Consumi compulsivi e arte-ecologica.
Il percorso creativo degli Artisti Eco-Green si è arenato in California. Incendi e alluvioni che hanno devastata la regione hanno indotto a riflessioni sulla effettiva possibilità di salvare il pianeta. Al di là di azioni artistiche provocatorie, un’attenta valutazione della situazione attuale fa emergere la realtà di un sistema economico globale prigioniero di una serie di contraddizioni. Mentre da un lato vi è l’assillo dell’inquinamento delle automobile, specie in Europa, dove sembra essersi scatenata una sorta di isteria green che arriva a chiedere l’abbattimento dei bovini e suggerire di nutrirci di grilli e carne sintetica, d’altro lato non solo si trascurano ben più gravi forme d’inquinamento, ma sollecitando il consumo si aumentano le occasioni di danni all’eco sistema. Consideriamo che solo negli Stati Uniti esistono ben 1.200 società televisive le quali devono la loro sopravvivenza alla pubblicità il cui scopo è stimolare il consumo, soprattutto consumi superflui, che causano inquinamento ambientale. Il consumo di cosmetici ad esempio, negli USA ammonta a 34 miliardi all'anno. In Italia, tenuto conto del numero di abitanti, la spesa è maggiore, ammonta infatti a 15 miliardi. Nel 2022 in Italia ci sono stati 56.624 decolli aerei di trasporto passeggeri privati, 262.000 in un solo giorno in tutto il mondo, inutile sottolineare l’imponente inquinamento che lo scarico degli aerei provoca. Di fronte a questa realtà, l’arte eco-green appare una puntura di spillo con scarsa possibilità di indurre al contenimento dei consumi, soprattutto sul còtè femminile, anche perché l’ eco – arte comprende una ridotta frangia di artisti, poca cosa rispetto alla grandissima maggioranza che realizza arte il cui unico riferimento è il mercato, cioè semplice oggetto di consumo. La scelta è ampia, dai nani da giardino al porno. Forse sarebbe necessaria, una propedeutica ecologia della mente, come suggeriva il libro di Gregory Bateson “ Verso un ecologia della mente” pubblicato nel lontano 1972 epoca nella quale sembrava ancora possibile mantenere la civiltà nell’alveo dell’umano sentire. Si è scelto di lasciare spazio all’egoismo individuale, in questo modo si è caduti nella trappola della libertà di consumo, che è l’opposto del concetto di vera libertà. Siamo finiti succubi di consumi superflui, se non nocivi, che hanno inciso anche sui rapporti personali. “Si aggrediscono e si amano come si ama il cibo: per consumarsi”.(Agostino, Confessioni). Sono stati accantonati i sogni e la fantasia, l’arte, rinunciando all’esperienza creativa in cui la mente cosciente ha solo una piccola parte.
piergiorgio firinu
Creatività e sovraopposizioni mentale.
Quando un romanziere,o un artista, prendono contemporaneamente in considerazione vari modi possibili per realizzare una storia, un’opera, si crea per così dire una sorta di sovrapposizione di stati mentali legati allo sviluppo di concetti. Se il romanzo viene messo per iscritto, l’opera realizzata, non per questo nel cervello dell’autore cessa la considerazione di ipotesi alternative, tanto che spesso uno scrittore, un artista, dichiarano di essere partiti con un’idea per poi approdare a un risultato diverso. Sembrerebbe fuori luogo chiedere all’autore quale delle ipotesi che aveva formulato fosse la più autentica. Sarebbe impossibile all’artista dare una risposta, per la semplice ragione che non la conosce egli stesso. Vi è quella di Douglas R. Hofstadter che definisce la funzione d’onda universale che bisognerebbe pensare come mente, una mente, o cervello, universale che stà in cielo, Dio, in cui tutte le diramazioni possibili vengono considerate contemporaneamente. Noi saremmo, secondo Hofstadter, semplici sottosistemi del cervello di Dio. Hofstadter non è un ecclesiastico, ma docente all’Indiana University di Computer Scienze, ovvero di intelligenza artificiale, quanto di più lontano dalla mistica religiosa. Tuttavia egli pensa, come Einstein, che il cervello di Dio si evolve deterministicamente e senza scosse .Il fisico Paul Davies, scrivendo su questo argomento nel suo libro “Other Worlds” dice : “ La nostra coscienza ordisce un sentiero, a caso lungo il cammino evolutivo del cosmo, che sempre si ramifica, dunque siamo noi che giochiamo a dadi con Dio”. Ciò non di meno resta inevasa la risposta all’enigma fondamentale che ciascuno di noi si dovrebbe porre: “ Perché la sensazione unitaria che ho di me stesso si propaga lungo una diramazione non un'altra? “ In altre parole perché il caso ha una parte così rilevante nella vita e nell’evoluzione? Quale legge soggiace alle leggi casuali che determinano le mie scelte? Jacques Monod, affrontò la questione sotto l’aspetto della microbiologia che soprassiede lo sviluppo delle forme di vita organiche, anch’egli ovviamente non conseguì alcuna certezza. Il problema è così basilare e importante che si può dire sia alla base di ogni forma di riflessione filosofica e religiosa. Solo l’ottusa superstizione nutrita di “dotta ignoranza” può indurre a formulare conclusioni definitive. Neppure la meccanica quantistica è riuscita ad aiutarci a capire. Non solo la risposta non sembra poter scaturire dalla meccanica quantistica: anzi questo è esattamente il collasso dell’onda che ricompare dalla finestra dopo che Everett l’aveva cacciato dalla porta. Si può sprofondare ancora di più nell’abisso del paradosso quando ci si rende conto che vi sono diramazioni di un’unica funzione d’onda universale che sfugge, come altre cose, al nostro controllo. Esserne consapevoli è un primo passo che, se non arricchisce la nostra conoscenza ci aiuta ad avere maggiore serenità e umiltà.
piergiorgio firinu
L’arte nega che se stessa-
Secondo Heidegger: “ il tratto fondamentale del Mondo Moderno è la conquista del mondo risolto in immagine”. In breve, il ricorso all’apparenza. Nella nostra rutilante e rumorosa civiltà, il problema del nulla non è d’attualità, tuttavia resta uno dei tanti problemi irrisolti diventato argomento per umoristi. A ben vedere l’arte ha celebrato in vario modo il nichilismo negando innanzi tutto se stessa. Dal quadrato nero di Kazimir Malevich, ai barattoli di Piero Manzoni. Vi è una certa contiguità tra esistenzialismo e nichilismo come dimostra quello che è considerato un caposaldo imprescindibile della filosofia contemporanea, “L’essere e il nulla”,di Jean-Paul Sartre, storico manifesto dell’esistenzialismo francese, che fin dalla sua prima comparsa nel 1943, si è subito imposto come il testo necessario per chiunque voglia scoprire la forza e l’angoscia suscitate dalla libertà. In contrasto con la lunga tradizione speculativa della filosofia occidentale, Sartre con coraggio afferma che l’uomo non è definibile proprio perché al suo principio non è niente, solo col tempo sarà. L’uomo infatti non è altro da ciò che fa, non è nient’altro di quello che progetta di essere: l’esistenza precede sempre l’essenza. Con queste asserzioni il filosofo parigino ci restituisce una nuova idea di umanità. Affermare che l’esistenza precede l’essenza significa affermare che non esiste una natura umana, un’idea a priori di umanità alla quale l’uomo dovrebbe conformarsi per essere un uomo, che nessuna essenza universale può precedere l’esistenza singolare. Per Sartre, il valore dell’esistenza dipende esclusivamente da quello che essa saprà fare di se stessa, dunque dai suoi atti, dalla sua responsabilità. La libertà si rivelerà in ogni sua azione, in ogni suo momento. La nostra comprensione intellettuale deve saper sollevarsi fino alla autorità della ragione e non dovrebbe venire scossa dal alcun impulso emotivo o fisico. Se volessimo vedere la questione sotto l’aspetto di fiaba diremmo; c'era una volta nell’XI secolo Fredegiso di Tours, allievo del sapiente Alcuino la cui fama nei secoli cosiddetti bui del Medioevo è legata principalmente a un epistola nella quale lo studioso sosteneva che il nulla non può non essere qualcosa di reale. La sua tesi fu liquidata sprezzantemente da De Wulf come insieme di “infantili sofismi”. Studiosi più recenti sono stati più clementi. Il filosofo Ludovico Geymonat nel 1952 osservava: pare più facile sorridere della soluzione di Fredegiso che non trovarne un'altra di maggiore consistenza dato che egli ci pone una domanda piuttosto imbarazzante: se il nulla sia qualcosa oppure no. Quando usiamo la parola “nulla” per noi ha un significato determinato che implica spesso semplicemente assenza di significato. Infatti il nichilismo dell’arte si riverbera in opere che esprimono aspetti della negatività, ovvero sono una sorta di celebrazione del nichilismo.
piergiorgio firinu
Materializzare i pensieri.
In “ Storia della follia nell’età classica” Foucault cita l’affermazione di una paziente: “ Chi legge i libri non è cosi pazzo come chi li scrive”. Forse questo vale in modo particolare per molte pubblicazioni che hanno per tema l’arte, essendo, per definizione, attività che non può essere codificata, si presta maggiormente alla elaborazione di teorie prive di fondamento logico, ovvero estranee ad ogni ermeneutica- ontologica. Le diffuse generalizzazioni sulla natura dell’arte, sembrano esimere dall’affrontare il problema. Il “filosofo” statunitense Artur C. Danto , ha pubblicato “La destituzione filosofica dell’arte”,e “ Dopo la fine dell’Arte. Il confine della storia”. Due titoli altisonanti per un contenuto che con un eufemismo si può definire povero. Da un lato vi è una sopravalutazione di ciò che è l’arte, dall’altro l’eccessiva semplificazione della produzione artistica che, essendo estremamente diversificata, difficilmente può essere contenuta in una unica definizione. Da oltre un secolo l’arte è campo di battaglie per le più disparate controversie, una sorta di guerra le cui vittime sono i significati. Dal cabaret Voltaire, alla folta schiera dei nipotini di Duchamp, è tutto un infittirsi di teorie e dispute al capezzale dell’arte in agonia. Voler forzare l’opera dell’artista conferendole a priori espressione concettuali, significa fare il verso alla filosofia. Si tende a ignorare la differenza sostanziale, tra il linguaggio filosofico, che può sopravvivere a truismi e anacoluti per la sua fluidità, la capacità di analizzare se stesso, di contraddirsi e correggersi, nella perenne evoluzione propria del pensiero, della mente attiva come un work in progress. L’artista plastico deve invece necessariamente, anche quando voglia esprimere un concetto, tenere conto che realizza un oggetto reale, da forma a cose che nascono dai suoi pensieri, egli per così dire, materializza i concetti, solidifica i pensieri. Mentre la filosofia può avvalersi dell’antico adagio “Orazio, dopo ratio”, l’artista non può modificare l’opera compiuta. Tanto è vero che deve affidarsi ai funamboli della parole per giustificare ciò che in se stesso non sempre ha senso. E’ vero che il filosofo non fa che intellettualizzare, tradurre il pensiero effimero in una teoria più o meno plausibile, ma è sottratto alla forma solidificata dell’opera che resta immutata nel tempo. Anche se c’è chi sostiene che l’arte deve affidarsi al contingente, questo non significa che possa sottrarsi alla necessità di darsi un significato, destinato spesso alla obsolescenza dovuta anche alla propria staticità. Carlo Michelstaedter scrive : “ Ogni cosa si distrugge avvenendo”. Ciò che nasce rivoluzionario scivola in una deriva reazionaria. Lo dimostra ciò che accade oggi nelle Accademie, costrette a una sorta di coazione all’originalità spesso presente solo nelle intenzioni. Unica possibilità dell’arte di sottrarsi a un rapido dissolvimento, è mantenere la coerenza con se stessa. L’arte significa fare, nulla più. Chi pretende di comprimere in generalizzazioni totalizzanti il semplice fare, ansioso di chiudere l’arte in una camicia di Nesso composta da definizioni precostituite, finisce per ridurre la molteplicità della creazione artistica. Trascurare la forma e affidarsi al concetto o alla tecnica, significa avvelenare la radice stessa dell’arte.
piergiorgio firinu
La commedia degli errori.
La banalizzazione dell’arte e la sua tecnologicizzazione tradiscono il pensiero creativo nella sua realtà. Viene meno l’affermazione del matematico del seicento Isaac Barrow : “Gli occhi della mente vedono più di quelli del corpo”. Non corrispondono al vero molti luoghi comuni relativi all’arte, in primis l’idea che l’artista sia l’unico guidato dalla fantasia. La storia riporta grandi imprese attuate da personaggi che erano sognatori e scienziati. Colombo suppose che a Occidente esistesse una terra sconosciuta e in base a questa sua intuizione, nel 1492, affrontò un viaggio verso l’incognito, superando la soglia di quella che gli antichi indicavano al confine dell’oceano con la scritta: “Hic sunt leones”. Galileo inventò i suoi atomi assolutamente indivisibili. Leverrier immaginò un pianeta invisibile per spiegare l’orbita di Urano. All’origine della razionalità scientifica non vi sono dunque solo “tecnici sapienti” o scienziati baconiani, ma persone che alla grande cultura uniscono un altrettanto grande fantasia creativa grazie alla quale hanno saputo immaginare mondi che hanno ampliata la conoscenza umana. Finito e infinito hanno rappresentato problemi all’apparenza futili alla cui base ci celavano le chiavi capaci di aprire mondi sconfinati. La crescita della conoscenza ha comportato l’abbandono di luoghi comuni e credenze radicate nei secoli, cambiando gradatamente il mondo intorno a noi. Nulla del genere ha fatto l’arte. L’enfasi declamatoria alla quale l’arte è stata fatta oggetto, non è che retorica priva di costrutto. Certa critica appare la rappresentazione di una commedia degli errori, e sembra tendere alla canonizzazione dell’arte. Processo che inizia cambiando il nome alle cose. L’arte esprime la struttura dei corpi e delle cose, un tempo rappresentava il bello della natura e di molti aspetti umani. Nel momento in cui l’artista, con un atto di supponenza e presunzione, ha creduto di dare forma alla “filosofia”, al “concetto”, l’arte si è avviata alla deriva, racchiusa nei limiti di fantasiose nevrosi creative nel tentativo, raramente riuscito, di dare alla bruttezza un significato di trascendente di poesia. Ha una certa base di verità l’affermazione di Aristotele secondo cui “La pittura rende gradevole anche ciò che è brutto”.Ma, va precisato; solo nel caso vi sia una grande tecnica pittorica e capacità di dar senso a ciò che è rappresentato. Difficile immaginare tale processo quando il ready made di un pollo,diventa un'innovativa opera d'arte, è il caso di un opera che l’artista belga Koen Vanmeche ha presentata alla Biennale di Venezia. Forse il gioco delle astrazioni non è dissimile da un racconto di spettri tenuto conto che ogni mutamento concettuale non è che la sostituzione di un fantasma con un altro, sul filo del libero pensiero. Quanto più solido ben definito e splendido è ciò che un impetuoso intelletto sa creare, tanto più la vita trova il percorso per sfuggire verso la libertà.
piergiorgio firinu
La disumanizzazione dell’uomo.
La disumanizzazione è in larga misura conseguenza della sviluppo tecnologico. Nella conferenza del 1933 sulla “Questione della tecnica” Heidegger era giunto a conclusioni chiarissime: “La scienza moderna deifica le cose in oggettualità e falsifica l’Essere, mentre la tecnica manuale, del mondo antico, non fabbricava, ma disvelava, conducendo le cose verso il compimento della pienezza. Come l’arte e tutto ciò che, senza remore e astruse giustificazioni, celebrava il bello”. La tecnica nel mondo moderno ha caratteristiche opposte: è violenza esercitata sull’Essere dall’esistente, una violenza che “provoca per produrre”, che oscura il mondo invece di risvegliarlo alla verità. L’uomo moderno è un essere “insurrezionale” : nell’uccisione di ogni spiritualità trovano il loro compimento la presa del potere da parte della tecnica. Schiavitù, oppressione, sfruttamento, disumanizzazione non dipendono solo dall’organizzazione della società, dall’uso della scienza e della tecnica, dalla proprietà dei mezzi di produzione,dal capovolgimento della gerarchia dei valori che nasce sulla base dei rapporti tra esseri umani, ma sono irrimediabilmente connessi all’impresa , prometeica, di una conquista e assoggettamento del mondo naturale. L’Eclisse della ragione di Horkheimer è del 1947, ma le conclusioni non sono differenti. “Nel dominio della natura - scrive il sociologo di Francoforte – è incluso il dominio sull’uomo”. D’altro lato la scienza moderna si identifica con una forma d’imperialismo , nasce e si sviluppa da un empio desiderio di dominio, i suoi metodi e le sue categorie sono frutto della insaziabilità umana, sono prodotti della lotta dell’uomo contro l’uomo, della volontà sopraffattrice: “La natura è oggetto di uno sfruttamento totale, la sete di potere dell’uomo è insaziabile”. Nelle guerre in atto, Palestina, Ucraina, Siria, vediamo all’opera sofisticati strumenti di morte che l’uomo ha messo a punto avvalendosi della scienza. La stessa scienza che non è riuscita a eliminare la fame nel mondo e portare l’acqua dove è necessaria per la sopravvivenza di milioni di persone. Il dominio nefasto della razza umana sul pianeta Terra non trova paralleli in nessuna epoca della storia naturale in cui altre specie animali rappresentavano le più alte forme di vita poiché gli appetiti di quelle razze animali erano limitati dalla necessità della loro esistenza fisica. I risultati raggiunti, non hanno ridotto lo slancio della scienza e della tecnica. L’organizzazione capitalistica della scienza in generale, non è necessariamente legata alla natura politica. L’orientamento capitalistico è dominato dalla volontà di trarre il massimo profitto da ogni azione umana guerre incluse, si possono denunciare i fatti, ma purtroppo non succederà mai che l’essere umano sia altro da se. E’ per questo che hanno poco senso le accuse rivolte a Galileo e agli altri precursori della rivoluzione scientifica, come Bacone che subì pensanti accuse da parte di Da Maistre e da Leibig. Come ricorda Lowith il motto della scienza moderna è il baconiano “sapere è potere”. Il discorso riaffiora distorto anche dalle tesi di alcuni filosofi marxisti. Karel Kosik, per citarne uno, ha sicuramente ragione nel polemizzare contro quelle forme di scientismo che sono solo prodotti complementari alle varie tendenze irrazionalistiche. L’assenza di valori, è stata ed è, teorizzata a priori come espressione di libertà svincolata dall’etica. Essa ha cause che non sono tanto da ricercare nei rapporti sociali, ma nella “efficacia” e nella “utilità”, nel processo puramente intellettuale della scienza che trasforma gli esseri umani in unità astratte, la pretesa dell’uomo di comprendere se stesso astraendo dalla proprio soggettività, nella matematizzazione, e quantificazione, nella ragione qual’è concepita da Bacone, Cartesio, Galilei e gli autori dell’Encyclopédie.
piergiorgio firinu
La scelta e il caso.
Vi sono azioni e cose che vengono percepite come necessarie anche se il concetto di necessità cambia nel tempo. Ciò che è considerato necessario oggi non lo era qualche decennio fa. Lasciando da parte riferimenti precisi, lo snodo è nella mutevolezza di una società proiettata al consumo. E’ paradossale che nella società di massa, assolutamente condizionata da media e spettacoli, vi sia una certa ossessione per quella che viene considerata “originalità”. Il problema coinvolge anche, se non soprattutto, gli artisti, o sedicenti tali, che rincorrono l’originalità attraverso quella che considerano violazione delle convenzioni, cioè le regole che ogni società si è data. Ci fu un tempo in cui l’artista guardava il mondo con il cuore di un bambino. I sacerdoti egizi sostenevano che l’arte dei greci era conseguenza del loro essere fanciulli capaci di sognare. L’uomo contemporaneo ha cessato di sognare ed anche per questo è diventato artisticamente impotente e tende a creare un arte di pura materia che non può dar gioia. Il pensiero che dovrebbe stare alla base di ogni creazione artistica è inquinato dalla tecnologia, in molti casi, lo sostituisce. In questo modo si estingue l’umana necessità creativa, anche se, per Hegel necessità non conferisce valore alle azioni. Wittgenstein nella sua opera principale, a proposito del processo di creazione, di un opera, sostiene che l’artista a un certo punto si arrende a un “va bene così”, ovvero accetta l’imprevisto soccorso del caso. Si narra che Apèlle dopo aver tentato a lungo di creare la schiuma che usciva dalla bocca del cavallo, non riuscendoci, rinunciò, e con stizza gettò la spugna, sulla tela istantaneamente affiorò la schiuma che pareva uscire dalla bocca del cavallo. Le avanguardie si affidano spesso alla provocazione, all’amusement. In questo modo finiscono per svilire l’opera, trascurando l’aspetto epistemologico e la stessa ontologia. Il concetto di valore è sempre opinabile, possiamo considerare valore ciò che ha significato per forma o rappresentazione e può costituire cultura, ovvero memoria storica, e merita di essere conservato. Schopenhauer, usava una metabase,chiamava in gioco l’arte attribuendo ad essa finalità escatologiche dell’esistenza. Egli respinse fermamente ogni teoria di vitalità trionfalistica, ma supplì con l’affermazione; quand'anche la vita fosse un guazzabuglio irrimediabilmente doloroso e informe, viene redenta dall'arte che costituisce una sorta di rifugio, o, come nella caverna di Platone, lascia immaginare vi sia altro, oltre all’ordinario della nostra esistenza che tende a indurci alla rassegnazione. La filosofia di Schopenhauer è impregnata di pessimismo tragico com’è proprio della realtà, un maggiore slancio nasce dal tentativo di rappresentazione. Nietzsche disse: “abbiamo l'arte per non soccombere alla verità”. Intendeva dire che ci serviamo dell'arte non per sottrarci alla verità, ma per tentare di cogliere la verità senza soccombere.
piergiorgio firinu
La scelta e il caso.
Vi sono azioni e cose che vengono percepite come necessarie anche se il concetto di necessità cambia nel tempo. Ciò che è considerato necessario oggi non lo era qualche decennio fa. Lasciando da parte riferimenti precisi, lo snodo è nella mutevolezza di una società proiettata al consumo.
E’ paradossale che nella società di massa, assolutamente condizionata da media e spettacoli, vi sia una certa ossessione per quella che viene considerata “originalità”.
Il problema coinvolge anche, se non soprattutto, gli artisti, o sedicenti tali, che rincorrono l’originalità attraverso quella che considerano violazione delle convenzioni, cioè le regole che ogni società si è data.
Ci fu un tempo in cui l’artista guardava il mondo con il cuore di un bambino. I sacerdoti egizi sostenevano che l’arte dei greci era conseguenza del loro essere fanciulli capaci di sognare. L’uomo contemporaneo ha cessato di sognare ed anche per questo è diventato artisticamente impotente e tende a creare un arte di pura materia che non può dar gioia.
Il pensiero che dovrebbe stare alla base di ogni creazione artistica è inquinato dalla tecnologia, in molti casi, lo sostituisce. In questo modo si estingue l’umana necessità creativa, anche se, per Hegel necessità non conferisce valore alle azioni.
Wittgenstein nella sua opera principale, a proposito del processo di creazione, di un opera, sostiene che l’artista a un certo punto si arrende a un “va bene così”, ovvero accetta l’imprevisto soccorso del caso.
Si narra che Apèlle dopo aver tentato a lungo di creare la schiuma che usciva dalla bocca del cavallo, non riuscendoci, rinunciò, e con stizza gettò la spugna, sulla tela istantaneamente affiorò la schiuma che pareva uscire dalla bocca del cavallo.
Le avanguardie si affidano spesso alla provocazione, all’amusement. In questo modo finiscono per svilire l’opera, trascurando l’aspetto epistemologico e la stessa ontologia. Il concetto di valore è sempre opinabile, possiamo considerare valore ciò che ha significato per forma o rappresentazione e può costituire cultura, ovvero memoria storica, e merita di essere conservato.
Schopenhauer, usava una metabase,chiamava in gioco l’arte attribuendo ad essa finalità escatologiche dell’esistenza. Egli respinse fermamente ogni teoria di vitalità trionfalistica, ma supplì con l’affermazione; quand'anche la vita fosse un guazzabuglio irrimediabilmente doloroso e informe, viene redenta dall'arte che costituisce una sorta di rifugio, o, come nella caverna di Platone, lascia immaginare vi sia altro, oltre all’ordinario della nostra esistenza che tende a indurci alla rassegnazione.
La filosofia di Schopenhauer è impregnata di pessimismo tragico com’è proprio della realtà, un maggiore slancio nasce dal tentativo di rappresentazione.
Nietzsche disse: “abbiamo l'arte per non soccombere alla verità”. Intendeva dire che ci serviamo dell'arte non per sottrarci alla verità, ma per tentare di cogliere la verità senza soccombere.
Il fascino dello specchio.
Dal mito di Narciso lo specchiarsi è sempre stato motivo di confronto, attrazione, della umana vanità. Nel “ Diario del seduttore” Kierkegaard ha scritto: “ E’ appeso uno specchio alla parete opposta, ed ella non vi fa caso, ma vi fa caso lo specchio”. Michelangelo Pistoletto con la sua idea dell’azione interattiva tra l’opera e chi guarda, ha dato forma a una delle ossessioni della modernità. Il fascino dello specchio non è tanto il fatto di potersi riconoscere, questa anzi è una possibilità che a volte suscita angoscia, quanto piuttosto l’arguzia misteriosa e ironica del raddoppiamento. Ci rendiamo conto di essere legati a una persona quando riscontriamo in lei i nostri stessi difetti, le nostre stesse qualità. Un gioco senza fine di segni che ci consentono di identificarci, quindi capire noi stessi attraverso l’altra/tro. Bisogna diffidare dell’umiltà degli specchi. Umili servi delle apparenze, possono riflettere gli oggetti che stanno di fronte a loro con apparente neutralità. In realtà vi è un gioco di luce, l’eccesso di chiarezza che mette in risalto quello che sul nostro volto non vorremmo vedere. L’arma aguzza e ingannevole della verità fatta apparenza, uno stato di sospensione della pura immagine della fisicità. Raramente lo specchio riflette l’espressione degli occhi, non vi è possibilità di “spiritualità” nelle apparenze, simile a un gioco di dadi che rotolano a caso verso significati imprevisti. Per questo i pornografi amano gli specchi, sono riflessione della pura materia, più reale del reale. Non è pensabile un boudoir senza specchi. I piccoli volgari frammenti di bravura libertina vanno raddoppiati. Il gioco della seduzione ha bisogno di conferme. Ossessionati dalla disillusione Kleist, Holderlin, Novalis, Kafka, hanno scritto pagine memorabili sullo specchio. Il doppio del nulla. Si dice che gli occhi sono lo specchio dell’anima, non è la loro unica funzione. Se cosi fosse vivremmo in una società di ciechi.
piergiorgio firinu
La supponenza critica.
Per Kant fanatico è colui che ha una fiducia sconsiderata per la ragione, tale propensione può tradursi nel rifiuto dei limiti della finitezza umana. Atteggiamento che si registra anche a proposito dell’intolleranza e della violenza che emergono dal dibattito critico contemporaneo sull’arte, in cui l’esame delle cause è oggetto di saggi supponenti e aggressivi. Il tema è stato affrontato con dovizia di dettagli da Michael Fried in “ Art Criticism, in the Sixties” pubblicato nel 1967. In oltre mezzo secolo nulla è cambiato, semplicemente si è capovolto quello che veniva considerato conformismo, prima che deflagrassero le così dette avanguardie, le quali hanno prodotto il risultato di capovolgere semplicemente i riferimenti socio-culturali creando una nuova forma di conformismo. Oggi conformismo significa accettare, in modo acritico, tutto ciò che, a torto o ragione, viene considerato provocatorio, e in controtendenza, in breve,“avanguardia”. Si dovrebbe tener conto del fatto che, come scrive Stanley Cavell, “qualsiasi prospettiva critica si basa sempre sul richiami ad affermazioni ovvie; qualsiasi “scoperta” critica si presenta sempre come scoperta dell’intera verità di un’opera, tutto questo spesso finisce per intrecciarsi con il problema dell’idiozia e dell’arroganza, sicuramente diffusa tra le masse….”. Questa è la ragione per cui risulta francamente deprimente leggere certe affermazioni di filosofi, purtroppo in cattedra. Il noto detto “ non c’è cosa tanto sciocca che non sia stata detta da un filosofo”, continua a trovare conferme. Sulla pagina culturale di un quotidiano, un filosofo, per “giustificare” l’azione di Andy Warhol”, consistita nell’esporre in gallerie d’arte logo di prodotti in vendita nei supermercati, fiocchi d’avena Kellog’s, pesche sciroppate Del Monte, zuppa di pomodoro Campbell’s, Ketchup Heinz, non trova di meglio che tirare in ballo “l’elemento ontologicamente costruttivo”, anche se non è chiaro cosa questo significhi e soprattutto quale attinenza abbia con il gesto di Warhol. La tesi dimostrerebbe che l’opera d’arte è essenzialmente “una cosa”, appare una tautologia abbastanza risibile. E’una “cosa” anche il contenuto dei barattoli di Piero Manzoni. Senza scomodare le categorie di Aristotele è chiaro che tutto ciò che è materiale è cosa. Ma il filosofo da rotocalco, non pago di simile profonda considerazione, ci spiega che i ready made trovano conferma e giustificazione nei musei archeologici dove sono esposti scheletri, lapidi, sarcofaghi, anfore. Sembra sfuggire, al dotto studioso, che una cosa sono le testimonianze storiche, altra cosa manufatti e prodotti escatologici e/o alimentare destinati ad altre sedi e altri usi. Non c’è dubbio che il tentativo di Duchamp di epater les bourgeois , ripetuto fino alla noia dai numerosi nipotini, si è dimostrato un colossale fallimento. Non solo perché è stato prontamente museificato, osannato dalla critica, quasi fosse in se un atto geniale, ma soprattutto perché ha contribuito a frenare lo stimolo alla ricerca di forme di espressività capaci di dare senso all’evoluzione della ricerca di rappresentazione della contemporaneità, ha fornito pretesto agli artisti “trovarobe” ai quali non è parso vero supplire alle loro carenze tecniche e concettuali facendo ricorso all’utilizzazione di tutto ciò che poteva avere una parvenza di trasformazione in opera d’arte, bastando la natura ontologica di “cosa”, tutto è utilizzabile, riciclabile, vendibile. Con il risultato che anche una mucca in formaldeide diventa vitello d’oro per l’artista, scorno per chi ancora si illude che l’arte sia altro.
piergiorgio firinu
Il gatto di Eliot.
T.S.Eliot afferma che ogni gatto ha tre nomi: il primo quello con cui viene abitualmente chiamato, il secondo , più particolare , quello con cui viene distinto dagli altri, il terzo quello che solo il gatto conosce. Tale è la distinzione articolata di significato e realtà. Nominare una cosa, non significa averne descritta l’essenza reale. Quando Searle sostiene che dobbiamo guardare le cose per come sono, fa una affermazione priva di senso, perché presume che l’aspetto delle cose basti a rendere possibile la loro comprensione. Un opera d’arte è soggetta a vari livelli di comprensione e diversi percorsi di lettura, per questo è reso necessario il processo ermeneutico. Il simbolo serve a contrassegnare l’indicibilità e intraducibilità dell’esperienza estetica. Ciò che vediamo e conosciamo tentiamo di descriverlo con la parola, è questo che conferisce dignità alla parola stessa, essa sola non rivela nulla ,ma conferma la rilevazione, a fissa in un significato che diventa fruibile, condivisibile. Dare un nome significa in qualche modo prendere possesso della cosa nominata. Gli schiavi romani non avevano un nome perché non gli era riconosciuta personalità giuridica. Solo quando si è separato il suono dal significato, si è costituita la sfera del senso linguistico in quanto tale. La scrittura come l’arte appartiene in origine alla sfera magica. Essa serve ad acquisire il potere che deriva dal nominare e definire una cosa, mentre l’illusionismo dell’arte si affida alla rappresentazione. Giambattista Vico considerato il fondatore della moderna filosofia del linguaggio, e quindi anche il fondatore di una filosofia della mitologia completamente nuova. La mitologia è il simbolo che diventa storia. Il mito affonda le sue radici nella oscurità dei tempi, quando la paura dominava l’umanità di cui è rimasta traccia in certi popoli primitivi dei quali si racconta che quando vedevano un arcobaleno tremavano e si nascondevano perché la ritenevano una rete tesa da un potente stregone per catturare le loro ombre. L’arte esprime anche una simbologia politica. Pare sia stato Panofsky il primo a rilevare la relazione tra lo stile Gotico e la riforma prendendo spunto dalla gerarchia del metodo scolastico, e quindi ambedue con l’ordine sociopolitico incarnato nell’Ile-de-France intorno alla monarchia capetingia. Nell’arte contemporanea l’oggettivazione formale,spesso scade nel triviale, è stato reso improponibile ogni riferimento simbolico come ogni richiamo al mito, in breve tutto ciò che conferiva significato all’arte.
piergiorgio firinu
L’intuizione di Platone.
Arte e filosofia, due visioni della realtà tra fantasia e ragione. L'Eredità lasciata dalla Grecia alla filosofia occidentale è la filosofia occidentale. E’ quanto scrive Bernard Williams nel Libro “Il senso del passato” . Nella scienza i greci hanno imboccato certe vie lungo le quali i Moderni hanno proseguito in progressi. Nelle arti i greci hanno lasciato opere meravigliose ma poca filosofia e ancor meno critica per la ragione che gli artisti greci erano considerati alla stregua di demiurghi, vale a dire artigiani. Il paradosso che ci sono opere meravigliose delle quali non conosciamo l’autore. Esattamente l’opposto di oggi in cui opere, diciamo poco significative vedono celebrarti i loro autori. La realizzazione di costruzioni architettoniche, opere all'interno delle quali in epoca successiva avrebbero guardato quanto più quanto meno come a modelli di perfezione. Nella filosofia i greci hanno aperto quasi tutti i grandi campi ,metafisica, logica, filosofia del linguaggio, teoria della conoscenza, etica, filosofia politica, in misura assai minore, abbiamo già detto, filosofia dell'arte. Non solo hanno inaugurato questi campi di ricerca, ma li hanno man mano definiti, molti di quelli che ancora oggi riconosciamo come problemi fondamentali di quei campi li dobbiamo a filosofi greci. Tra gli artefici di questi progressi due filosofi Platone e Aristotele. Da chiunque nel mondo occidentale conosca o studi filosofia, sono sempre stati considerati i più grandi per il genio filosofico e per ampiezza di concezione il loro influsso. Dante definì Aristotele: maestro di coloro che sanno. Platone esprime le sue perplessità sull'arte perché intuisce che, l’immaginifica creatività che, base dell'arte, si presta a depravazioni estetiche. Così è puntualmente è accaduto. Inoltre l'esaltazione antropologica che l’arte suggerisce finisce per tradursi in un ulteriore aspetto negativo. L’arte, avendo privilegiata la scelta di libertà, si è sottratta al determinismo che regola l’ambito fenomenologico. La distruzione delle regole a cui si richiama Kant. Agli occhi di Schopenhauer,e del primo Nietzsche,si attua la riduzione della morale a estetica. La pittura, come dice la parola stessa, è pur sempre un fare. Dunque, al di là delle teorie più o meno credibili, vale per il singolo artista l’affermazione di Goethe: “ Quello che so lo può sapere chiunque,ma il mio cuore è soltanto mio”. E’ questo che conferisce all’artista la capacità d’incidere sulla realtà, di creare o distruggere. Nietzsche accusava Euripide di aver distrutto la tragedia con la ragione. Euripide controbatte che per essere liberi andiamo contro natura e logica. Hegel, a questo proposito, ha accordata la benedizione dell'Alto del concetto quello storico, della religione,e artistico. Nella religione estetica, gli artisti che conoscono l'onore degli altari sfuggono il destino generale, sparire più o meno senza essere celebrati. Se non esistesse ancora in molti di essi la facoltà di partecipare positivamente alla trasfigurazione degli altri grandi, l’ottuso bom mot di Andy Warhol sui 15 minuti di gloria per tutti, descriverebbe effettivamente l'orizzonte ultimo di un'attività di civilizzazione nella quale più di qualsiasi moneta la fama viene svalutata dall'inflazione.
piergiorgio firinu
Identità è linguaggio.
L'ampliamento della nostra conoscenza può avvenire solo grazie al sapere pregresso, ovvero in base al pregiudizio che ci siamo creato. Gadamer sostiene che il processo di formazione mediante il quale una tradizione viene trasformata in processi individuali di apprendimento e assimilata tramite il linguaggio, egli attraverso un complesso procedimento di analisi storico –sociale, ha derivata la riabilitazione del pregiudizio. La conoscenza può elevarsi a riflessione e rendere trasparente la cornice normativa in cui si sviluppa. L’ impegno ermeneutico fa emergere allo stato di coscienza ciò che nella pratica del comprendere è già sempre storicamente pre- strutturato dalla tradizione, che non è un processo che noi dominiamo, ma il linguaggio tramandato in cui viviamo. Negli ultimi 80 anni, complice l'enorme sviluppo dei mezzi di comunicazione, si è provocata la deformazione del linguaggio. I social media hanno reso obsoleto il testo fondamentale di Marshall MacLuhan : “gli strumenti del comunicare” (1964). Anche nei processi di creazione artistica, si compie un’autentica integrazione, del potenziale di significato, vincolato simbolicamente è recuperato nell'atto creativo è reso forma. Questa trasposizione di contenuti semantici estende l'ambito della comunicazione e contribuisce al momento di emancipazione creativa. Le avanguardie hanno preteso di azzerare l’epistemologia dell’arte, cancellare un linguaggio strutturato e affidarsi all’agire estemporaneo, istintivo. Questa non può configurarsi come creazione, al più, è un’attività ludica. In questo processo disgregativo l’arte ha dissolto il proprio linguaggio. Secondo Wittgenstein : la perdita di un linguaggio significa la perdita di un mondo. Così, l’estraniazione semantica, finisce per ridurre il linguaggio dell’arte,in gergo, processo che, sul piano socio psicologico, si traduce in perdita d’identità. La critica procede in una narrazione eristica dell’arte nella presunzione di immaginare il senso delle opere che esamina, in realtà, spesso, è essa stessa a creare significati e motivazioni estranee alle intenzioni dell’artista che soggiace alla pluralità di suggestioni che il critico sembra suggerire. Gli artisti hanno fatto un balzo nel vuoto azzerando l’epistemologia dell’arte, a prescindere dalla esaltazione critica di cui hanno fruito, essi hanno gettato le basi del triste presente artistico che viviamo
piergiorgio firinu
Disincanto e razionalità.
Max Weber nei suoi testi di sociologia usa con frequenza l’espressione: razionalità. Egli ritiene che la razionalità consenta di raggiungere il disincanto dal mondo. Forse non c’è mai stato il disincanto dal mondo, se non per pochi anacoreti, quello che Weber definisce disincanto non è che una forma di cinismo o rassegnazione delle masse soggette alla suggestione dell’informazione e cultura al servizio delle èlite borghesi oggi dominanti, che hanno interesse a far apparire il mondo gradevole dispensatore di merci e piaceri. In ogni caso la razionalità è neutra, come la logica, non attribuisce valore. Un assassino che con perfetta razionalità compia un delitto, non ha per questo conferisce positività al suo gesto. E’ esattamente questo uno degli snodi che caratterizzano la civiltà contemporanea. Tecnologia e scienza sono frutto di razionalità neutra, indifferenti al valore morale. La versione filosofica di questo diffuso comportamento ha uno dei suoi riferimenti nel cosiddetto pensiero debole. L’arte non ha di per se un riferimento etico, questo non implica non possa avere, o dovrebbe avere, coscienza delle ricadute sociali che la sua suggestione crea e continuare a porsi la questione di qual è il significato e scopo dell’arte, problema mai risolto. Richiamarsi all’agnosticismo serve a paco e non costituisce risposta. Analogo discorso vale per il significato della scienza, che non è mai, o quasi mai, messo in discussione perché l’operato della scienza trova giustificazione nel risultato pratico-utilitaristico, anche se non sono poche le scoperte inutili, quando non nocive. Sicuramente la scienza costituisce una parte significativa della razionalizzazione intellettualistica dell’esperienza che accompagna il progressivo disincanto del mondo. Naufragate le illusioni che tendevano raggiungere il fine della felicità a cui si sono dedicate molte scuole filosofiche. La riflessione sulla felicità resta una componente di fondo della tradizione filosofica occidentale. Il paradosso, che mentre il problema della felicità nasce da una domanda socratica sulla virtù, nella pratica della società occidentale contemporanea si configura come l’opposto: la felicità è ricercata nel piacere, consumo, eccessi di ogni genere, tanto che la democrazia plutocratica americana ha incluso nella costituzione il diritto alla felicità La risposta alla ricerca della felicità, che un tempo era affrontata dalla letteratura e dall’arte, non può certo essere affrontata dalla razionalità, tanto meno alla scienza. Siamo burattini dominati dal caso e dalla necessità. Tolstoj, come altri grandi intellettuali, era molto critico nei confronti della scienza e pensava, come Socrate, che la felicità fosse possibile tramite percorsi virtuosi, in accordo con Kant ed Hegel riteneva che la felicità abbia un contenuto affermativo solo negli impulsi a cui è affidata la decisione e il sentimento.
piergiorgio firinu
Disincanto e razionalità.
Max Weber nei suoi testi di sociologia usa con frequenza l’espressione: razionalità. Egli ritiene che la razionalità consenta di raggiungere il disincanto dal mondo. Forse non c’è mai stato il disincanto dal mondo, se non per pochi anacoreti, quello che Weber definisce disincanto non è che una forma di cinismo o rassegnazione delle masse soggette alla suggestione dell’informazione e cultura al servizio delle èlite borghesi oggi dominanti, che hanno interesse a far apparire il mondo gradevole dispensatore di merci e piaceri.
In ogni caso la razionalità è neutra, come la logica, non attribuisce valore. Un assassino che con perfetta razionalità compia un delitto, non ha per questo conferisce positività al suo gesto.
E’ esattamente questo uno degli snodi che caratterizzano la civiltà contemporanea. Tecnologia e scienza sono frutto di razionalità neutra, indifferenti al valore morale.
La versione filosofica di questo diffuso comportamento ha uno dei suoi riferimenti nel cosiddetto pensiero debole.
L’arte non ha di per se un riferimento etico, questo non implica non possa avere, o dovrebbe avere, coscienza delle ricadute sociali che la sua suggestione crea e continuare a porsi la questione di qual è il significato e scopo dell’arte, problema mai risolto. Richiamarsi all’agnosticismo serve a paco e non costituisce risposta.
Analogo discorso vale per il significato della scienza, che non è mai, o quasi mai, messo in discussione perché l’operato della scienza trova giustificazione nel risultato pratico-utilitaristico, anche se non sono poche le scoperte inutili, quando non nocive.
Sicuramente la scienza costituisce una parte significativa della razionalizzazione intellettualistica dell’esperienza che accompagna il progressivo disincanto del mondo.
Naufragate le illusioni che tendevano raggiungere il fine della felicità a cui si sono dedicate molte scuole filosofiche.
La riflessione sulla felicità resta una componente di fondo della tradizione filosofica occidentale. Il paradosso, che mentre il problema della felicità nasce da una domanda socratica sulla virtù, nella pratica della società occidentale contemporanea si configura come l’opposto: la felicità è ricercata nel piacere, consumo, eccessi di ogni genere, tanto che la democrazia plutocratica americana ha incluso nella costituzione il diritto alla felicità
La risposta alla ricerca della felicità, che un tempo era affrontata dalla letteratura e dall’arte, non può certo essere affrontata dalla razionalità, tanto meno alla scienza. Siamo burattini dominati dal caso e dalla necessità. Tolstoj, come altri grandi intellettuali, era molto critico nei confronti della scienza e pensava, come Socrate, che la felicità fosse possibile tramite percorsi virtuosi, in accordo con Kant ed Hegel riteneva che la felicità abbia un contenuto affermativo solo negli impulsi a cui è affidata la decisione e il sentimento.
Libertà è volontà.
La nostra epoca sembra ossessionata dalla ricerca della libertà, mentre rifiuta le regole che la disciplinano. In “Disagio della civiltà”, Freud sottolinea più volte che la civiltà può esistere solo se accetta determinate limitazioni, scopo delle quali è preservare,attraverso il processo di sublimazione, energie da destinare alla scienza, alle arti e in ogni altra prestazione utile alla società. Contro questa repressione del desiderio Herbert Marcuse scrisse “Eros e Civiltà” , uno dei suoi libri più noti nel quale sviluppa con singolare vigore le premesse della filosofia sociale di Freud. Mentre per Freud libertà e civiltà sono incompatibili per Marcuse l’eros deve poter essere libero di manifestarsi sottraendosi alla repressione della civiltà. Inevitabilmente Marcuse divenne uno dei guru del ’68, da cui però finì per prendere le distanze. Molto più del ’68, il dilagare della ideologia femministoide ha creata una situazione di totale permissivismo sociale. Dal linguaggio all’abbigliamento la società di oggi ha superato tutte le ere precedenti, annullati tutti i limiti. Avendo abolita ogni regola, civiltà occidentale ha dato vita a una sorta di anarchia etica, situazione che si riverbera non solo nelle relazioni personali, ma nella violenza individuale e collettiva a conferma di quanto sosteneva Hobbes, nella nota preposizione: “Homo homini lupus”. La libertà, diceva Seneca, comincia dal controllo di noi stessi,della nostra vita nella quale dovremmo esercitarci alla positività. La volontà è una delle prerogative dell’intelligenza, essa può determinare il nostro destino. Secondo Nietzsche ed Schopenhauer tutti hanno la possibilità di intervenire con la propria volontà e modificare le situazioni. Esemplare il caso di Demostene che balbuziente dalla nascita riuscì a diventare l'oratore più celebre del suo tempo. L’organizzazione finalistica dei comportamenti umani viene proposta da Adler attraverso l’utilizzazione di una teoria filosofica presa a prestito da un saggio pubblicato nel 1911 dal filosofo tedesco Hans Vaihinger “La filosofia del come se” che riflette le influenze pragmatiche diffuse all’inizio del ‘900. La dimensione estetica paga la propria libertà con l’impossibilità di convalidare un principio di realtà. Come l’immaginazione che ne è la facoltà psichica costitutiva, il regno dell’estetica è essenzialmente non realistico. L’artista vive nella realtà fenomenica che in qualche misura condiziona il suo modo di elaborare il pensiero creativo. Paradossalmente, nel momento in cui le avanguardie si sottraggono alla astrazione estetica e si affidano alla elaborazione concettuale, nello stesso momento diventano soggetti alla realtà. L’intima connessione di bellezza, verità e arte, va in frantumi, subentra la ragione pratica. L’ansia di libertà sopra accennata,è stato forse il principale stimolo che ha mosso le avanguardie portandole agli eccessi raggiunti dagli epigoni di oggi, in una sorta di sabba della stupidità che si ostinano a definire creatività. Di fatto il procedere confuso della produzione d’arte, ha eliminato il piacere che proviene dalla percezione della forma di un oggetto, indipendentemente dalla materia di cui è composto e dal suo scopo. In questo modo ha capovolto il senso stesso dell’arte che diventa una sorta di strumento dell’ideologia, del satanismo, come il crocifisso immerso nell’urina, il femminismo con l’uso diretto e volgare della sessualità. La libertà ha fagocitato l’arte e contribuito alla debacle estetica del nostro tempo.
piergiorgio firinu
Creare l’Utopia.
Non è l’arte a creare l’utopia, ma la filosofia, soprattutto la filosofia politica. Sono stati molti i filosofi e intellettuali aver pagato un caro prezzo alle loro illusioni. Tommaso More, creatore del sostantivo “utopia”, è stato decapitato. Tommaso Campanella autore della “Città del Sole”, ha trascorso 27 anni in carcere. Condorcet, autore di “L’Esquisse”, si suicidò in carcere. Non risulta che un solo pittore sia stato punito per le proprie opere. E’ paradossale che nel ‘700 a cimentarsi nella ricerca di realtà impossibile siano stati molti sacerdoti, cioè esponenti, sia pure marginali, della Chiesa Cattolica Romana all’epoca dominante. Il parroco Jean Meslier ribadì il legame fra la costruzione concreta dell’utopica e la critica del sistema vigente, inquadrando tutto in una violenta denuncia della società fondata sulla proprietà individuale. Meslier attrasse l’attenzione di Voltaire che lo citò nei suoi scritti. Etienne Morelly Gabriel era un laico, nel suo libro “Code de la Nature” (1755) opera di valore anche letterario tanto che, per lungo tempo fu attribuita a Diderot. In questo caso la critica alla società parte dalla natura. Nietzsche è stato forse il filosofo che, a modo suo, fuggi maggiormente la realtà, fino all’esito finale quando a Torino dovette essere soccorso per una grave crisi. Il pensiero di Nietzsche è caratterizzato da una radicale messa in discussione della civiltà e della filosofia dell’Occidente , che si traduce in una distruzione programmatica delle certezze del passato. Nietzsche diceva di se stesso: “Io non solo un uomo , sono dinamite”. E ancora: “Io non sono abbastanza ottuso per il sistema”. Mentre Nietzsche visse sulla sua pelle il travaglio di una pensiero veramente creativo, gli artisti, specie pittori, non furono mai davvero capaci di trasformare in immagini la difficoltà, spesso la sofferenza, di esistere. Per questo nessun artista è arrivato a posizioni così estreme, al più, specie dal femminismo, unica trasgressione è stata la trasgressione sessuale, che poi, nella nostra era totalmente permissiva, trasgressione non è. Ed è esattamente questo il ristretto limite della cosiddetta arte di avanguardia che non ha mai proposto nulla che sapesse davvero coniugare forma e pensiero in un atto propositivo capace di dare forma al caos.
piergiorgio firinu.
Cresce l’ignoranza in epoca di diffusione dei media.
L’analisi heideggeriana della temporalità dell’esistenza umana ha mostrato in modo convincente che il comprendere non è uno dei possibili atteggiamenti del soggetto, ma il modo di essere dell’esistenza come tale. Questo spiega il persistere, anzi il crescere dell’ignoranza in epoca in cui vi è diffusione dei media e della editoria. Anche la qualità estetica di un opera d’arte si fonda sulla cultura e capacità tecniche dell’artista e ma trascende la dipendenza di condizioni storiche e culturali. L’atto della comprensione presume cultura e sensibilità, qualità che rendono possibile una vera esperienza dell’arte. Vi è una immaginaria linea di demarcazione tra il mondo nel quale l’artista ha realizzato l’opera e il mondo nel quale viene fruita. Nietzsche, capovolgendo la sentenza di Parmenide, poi ripresa di Hegel,”Ciò che è pesabile è reale e ciò che reale è pensabile”.Per Nietzsche : “ tutto ciò che pensabile è irreale”. Infrange il tradizionale principio di realtà. L’arte compie questo passo. Presumibilmente l’artista non pensa d’interpretare le varie teorie filosofiche della realtà. Immaginiamo un immagine sacra prodotta in epoca medioevale per comunicare la sintesi di una narrazione religiosa, quale la realtà dell’immagine,quella che vediamo fisicamente, ovvero la simbologia che si presume rappresenti? Oggi, in era assolutamente atea,esposta in un museo, quale significato assume? Anche il mito non è più parte del patrimonio culturale contemporaneo, ma ciò nonostante è sottoposto a dotte ermeneutiche, interpretazioni in chiave moderna. Come viene letta oggi un immagine sacra ? Alla tregua di una pittura astratta? Osservando cioè solo colore e forma, trascurando la narrazione religiosa e filosofica a cui l’opera rimanda ed aveva per così dire funzione didattica? Partire dalla denominazione,scienza dello spirito, per tentare di dare un'impronta spirituale alla impronta stilistica, è uno degli espedienti a cui facevano ricorso filosofi e artisti. Oggi la spirito non ha più diritto di cittadinanza nella società contemporanea, nella quale la sensibilità è quanto meno superficiale, epidermica, Potremmo fare un lunghissimo elenco di opere soprattutto di “arte” femminile la cui essenza va oltre la materialità per sconfinare nella più bieca volgarità formale. La critica, in difficoltà nel dare significato all’opera, spesso si limita ad ipotizzare le intenzioni dell'artista in una sorta di fantasiosa introspezione. D’altra parte che tipo di stimolo, sensazione, informazione, quale significato può avere la visione, del letto sfatto di Tracy Emin presentato come opera d’arte? Ci troviamo a fare i conti con artifizi del linguaggio,un’ipocrita discrasia semantica che la psicologia di massa, vulnerabile alla suggestione della comunicazione, priva di anticorpi culturali, assimila e fa propri. La comunicazione di massa utilizza anche una narrazione pseudo culturale e immagini artistiche ma solo in chiave pubblicitaria.
piergiorgio firinu
L’umana specie ha perso il controllo.
La metamorfosi dell’essere umano avviene in migliaia di anni per la formazione del tipo, e poi delle generazioni; sicchè un individuo percorre durante la sua vita quelle dei molti individui. Le norme dettate dalla coscienza morale venutasi a creare attraverso lì evoluzione di millenni, costituirono guida e fine. Abolito ogni riferimento etico si è piombati in un confuso solipsismo edonistico che ha travolto tutta la specie umana. Schopenhauer sottolinea come la natura non si curi dell’individuo, abbia riferimento solo la specie. Tuttavia quando la specie perde il controllo della propria identità arrivando a sovrapporre i generi, negando gli stessi valori che consentono la propria sopravvivenza, significa che il declino non riguarda più soltanto la “società”, cioè l’agglomerato umano che la civiltà ha formato,ma proprio la natura stessa della specie umana. Nietzsche personalizzava la filosofia, la usava per tenere a bada il problemi mentali che lo hanno assillato per tutta la sua esistenza. Tuttavia negli sprazzi di razionalità creativa, egli era ben conscio del germe che rodeva dalle fondamento l’intera civiltà rendendola incapace di dare un senso all’esistenza. Zarathustra è la favola dell’impossibile delirio di potenza che si arena nel vuoto mentale delle masse edoniche. La semiologia della modernità è una giungla di segni contradditori che prendono le distanza da cultura e significato, nella ricerca d’individualità. Un tentativo confuso di trarsi dal caos, destinato a finire nella rinuncia ed annullarsi nella identità collettiva a cui spingono media e potere. Difficile governare gli individui . E’ quindi necessario indurli ad essere massa, il globalismo non nasce per caso. Il progressivo deterioramento della specie umana, non è, di fatto, governato da nessuno, siamo cioè nel Caos organizzato. Scrive Pierre Klossowski, la classe dirigente è al servizio delle masse, come le masse sono al servizio del sistema. La realtà è priva di effettivo controllo. A livello globale chi trae beneficio? Quale tipo di beneficio? E’ sufficiente l’ebbrezza del potere che è per sua natura sempre provvisorio?
piergiorgio firinu
Il sogno barocco.
Già nella cultura antica il sogno suscitò l’interesse di molti filosofi. Aristotele dedicò ben tre trattati al sogno che considerava parte della nostra capacità percettiva. Egli sosteneva che le immagini che vediamo durante il sogno hanno cause esclusivamente fisiologiche. Anche Epicuro sviluppò disamine sul sogno attribuendo ad esso cause materialistiche e sensistiche. Leibniz contrastava l’idea barocca che la vita possa essere sogno, come argomentava Pedro Calderon de la Barca in : “La vita è sogno”. E’ del tutto contrario alla ragione l’ipotesi di un sogno lungo quanto la vita umana, tuttavia questa romantica prospettiva è stata usata da poeti e drammaturghi. Anche Shakespeare non l’ha disdegnata in molte sue opere. L’arte è per se stessa una particolare forma di sogno, essa è una sorta di metafora dell’oltre realtà. Nonostante la definizione di metafisica, dell’arte, è improbabile che De Chirico, seguace della filosofia di Nietzsche, aderisce alla metafisica così come la intendeva Platone, il quale descrive, certo il percorso dall’eros alla sapienza, ma assegna alle arti figurative un rango ontologicamente inferiore. Il surrealismo confonde il sogno con l’irrazionalità. A partire dal dadaismo, le avanguardie si sono affidate a intellettualismi che, al di là delle forme provocatorie, erano sostanzialmente aridi e privi di poesia. Mentre Salvador Dalì usava la pittura per esprimere fantasie contorte, Man Ray seguiva le teorie di Andrè Breton il cui pensiero, più che teoria dell’arte ,sconfinava nella psicanalisi e nella parodia della forma. Anche per l’artista, tra razionalità ed emozione, si dipana il percorso dell’esistenza, parola di cui, sosteneva Liebniz, non conosciamo il significato. Ribatteva Berkeley: “ Noi conosciamo molte cose, per le quali ci mancano le parole per esprimerle”. La filosofia Barocca dibattè sulla impossibilità di soddisfare la richiesta cartesiana di una prova dell’esistenza del mondo, tema intorno al quale Liebniz e Berkeley avevano opinioni diverse espresse in contrastanti teorie. Sulla scia dell’alone infinito di possibilità che assedia il nocciolo ristretto di realtà, l’arte tenta d’inventare vie di fuga. Ogni progresso è formato da elementi così piccoli, fatti di ore e di giorni, entro i quali le griglie concettuali diventano troppo grossolane , immagini, paragoni, metafore, appaiono inefficaci per confrontare i piani della realtà in cui siamo immersi.
piergiorgio firinu
La parola e l’immagine.
In che misura un’opera d’arte si radica nella memoria? Che tipo di riflessione sollecita in noi? Davvero opere di Hartung, Pollock,Manzoni,Burri hanno arricchita la nostra sensibilità e la nostra cultura? Quasi sempre l’opera d’arte è correlata alla parola che ne spiega il significato. Dunque la parola non è solo il segno del pensiero,se con ciò si intende un fenomeno che ne annuncia un altro, come il fumo annuncia il fuoco. Com’è noto Socrate diffidava della parola scritta. Egli affidava il suo insegnamento alla sua voce, al dialogo con uomini vicini, in grado di essere interrogati e di interrogare a loro volta, uomini con i quali esercitare l’arte della reciproca persuasione. . Evidentemente non sempre questo è possibile, specie oggi in un mondo sempre più affollato nel quale ogni giorno si pubblicano una quantità di libri e giornali. La parola e il pensiero, quando sono in relazione con l’opera d’arte, contribuiscono a chiarirne il significato, entrambe si avvalgono di un segno. Lo scritto, più dell’immagine, è polisemico. Il segno è espresso dalla parola, la parola si avvale di una gnosi che da senso alla narrazione. Non potremmo nemmeno ammettere, come si fa di solito, di considerare la parola come un semplice mezzo di fissazione, o involucro al vestito del pensiero. Perché mai sarebbe più facile ricordare parole e frasi, piuttosto che l’imput che abbiamo ricevuto direttamente dall’opera? Come ricordare i pensieri, se ogni volta le immagini verbali hanno bisogno di essere ricostruite? E perché mai il pensiero espresso verbalmente, cioè attraverso la parola, dovrebbe essere più efficace e comprensibile? Il senso delle parole è nella forza del pensiero di cui sono espressione, se le parole sono di per sé stesse comprensibili, è perché il parlare possiede un potere significante che può essere interpretato a vari livelli di gnosi. Attraverso il linguaggio costruiamo il nostro sapere. Come scrive Baldassarre Graciàn: “La ragione favorisce ciò che esiste”. L’apprendimento avviene tramite la parola scritta o pronunciata, la quale acquista significato, essa è lo strumento attraverso il quale si trasmette il sapere. Solo quando è riuscita l’azione della parola, pronunciata o scritta, si installa nella memoria, costituisce un nuovo campo, l’arricchimento di una nuova dimensione alla nostra esperienza. Più semplice e diretta l’esperienza della immagine pittorica che fa parte della storia dei mezzi estetici come stimoli formali di rinnovamento. Per questo, la pretesa delle avanguardie di rinunciare alla mimesi e allontanarsi dalla natura, è stata velleitaria, perché ha creato un vuoto che ha colpita l’immaginazione produttiva menomandola e, per così dire, riducendo l’apporto culturale, rinunciando a dare ciò che la natura non da. Quanto più l’arte è diventata “comprensibile” o ha fatto credere di esserlo, tanto meno poteva restar “comprensibile”, come la natura; la quale del resto aveva già cessato di essere comprensibile da quando risultò che il libro della natura è scritto in un linguaggio cifrato la cui comprensione richiede ben altro che l’ermeneutica.
piergiorgio firinu .
Percezione e consapevolezza.
Per quanto possa essere creativa l'immaginazione pensiamo sempre una realtà possibile, introiettata nella nostra memoria. Quindi possiamo esprimerci elaborando i nostri ricordi, consci e inconsci, ma restiamo prigionieri di quello che possiamo definire antropospazio.Ogni nostra intuizione e percezione è racchiusa nella camicia di Nesso della nostra realtà. Ci sono due modi di essere e due soltanto: l’essere in se, che è quello della oggettività dispiegata nello spazio, e l’essere per se che è quello della coscienza. La coscienza di me predispone alla comprensione di ciò che mi circonda. Da questo dualismo Merleau-Ponty tra la convinzione che la percezione naturale può essere interrotta dalla consapevolezza. Ciò significa, secondo il filosofo, che percezione e razionalità sono aspetti diversi dell’approccio al reale, la percezione vera sarà del tutto e semplicemente una vera percezione se l'immaginazione non sarà, che una forma diversa d’intelligenza, non turberà l’immersione nel momento,.la sensazione, in quanto pensata, indurrà alla presa di coscienza che in qualche modo distoglie dalla pura percezione. Questa considerazione del filoso francese ha un qualche collegamento con il filosofo danese Kirkegaard, il quale in Aut-Aut, confronto tra etica ed estetica,attuava la stessa formulazione avendo come riferimento l’annullamento nel godimento, che, sosteneva è tanto più totale quanto maggiormente la coscienza si annulla nell’attimo. Il piacere frutto della percezione fisica con cui la ragione raramente e solo parzialmente coesiste. Anche l’illusione è una sensazione nella quale è assente la razionalità, di qui la contrarietà di Platone a quella che egli definiva la doppia illusione dell’arte. Dunque la psicologia della forma ha basi opposte alla epistemologia della scienza. il processo creativo non può essere basato sulla sola immaginazione.. Tuttavia la peculiarità dell'illusione consiste proprio nel non darsi come illusione. Quando percepisco un oggetto reale, quasi istintivamente lo colloco in un contesto che gli conferisce un senso. Per non perdere di vista la realtà è necessario abbia conferma della percezione, abbia cioè una presa di coscienza. L’artista conserva lo stupore di fronte al mondo,questo stupore lo induce a tradurre la realtà attraverso la propria visione nel flusso del pensiero-immagine egli trova lo stimolo per dare forma a ciò che non esiste. Lo sguardo modifica la percezione.
piergiorgio firinu
La fisionomia delle cose.
La pittura è un tentativo di ottenere la fisionomia delle cose e dei volti attraverso la restituzione integrale della loro configurazione sensibile, è ciò che la natura fa senza sforzo in ogni momento. Ecco perché i paesaggi di Cézanne sono quelli di un mondo in cui non c'erano ancora uomini, egli sosteneva che il paesaggio dipinto deve emanare un profumo. Percepiamo con il corpo, i sensi, la parola invece nasce dal pensiero e non ha forma. Ogni percezione è la materia che prende forma, il reale si distingue dalle nostre finzioni perché in esso il senso investe e penetra profondamente la materia attuando l’affermazione di di Hegel secondo cui il reale è razionale. Quando l'artista sostituisce la parola alla forma, in pratica rinuncia all'arte plastica per richiamarsi al pensiero che è materia della filosofia. Ma la filosofia è l'elaborazione del pensiero per arrivare al concetto,cioè alla sintesi, le poche parole che costituiscono l'opera non sono sintesi di nulla perché non precedute dalla elaborazione teorica, assumono quindi più che altro le caratteristiche di slogan. Le opere di Isgrò,Ben Vautier,Chiari, per citare alcuni artisti che operano in questo modo, usano le parole come metafora, con richiami a significati che però non sono visibili nell’opera, dunque non hanno valenza estetica ma solo concettuale. Al contrario, la fenomenologia dell'Arte è il percorso attraverso il quale avviene l'elaborazione della forma. Plinio il vecchio narra che la pittura ha avuto inizio quando un pastore ricalcò la sua ombra e la colorò. L’arte non può essere solo immaginazione, ma è gnosi. Plutarco ha tramandato un frammento di Eraclito che potrebbe valere come motto dell’illuminismo: “Eraclito dice che unico e comune è il mondo per coloro che son desti, mentre nel sonno ciascuno si rinchiude in un mondo suo proprio e particolare”. Quali sono le regole e le leggi del mondo comune, del mondo della natura delle azioni umane così come si manifestano? Il mondo comune è quello della ragione, dunque della conoscenza. Kant cita il motto di Eraclito nei sogni di un visionario chiariti con sogni della metafisica del 1776, nella fase in cui si vede risvegliato, grazie allo scettico Hume, dal sonno dogmatico e dai sogni della metafisica. Deve il filoso rassegnarsi e dire alla fine con Voltaire: “Fateci attendere alla nostra sorte , lasciateci andare in giardino a lavorare”. Significa cioè ritornare al significato originario del sostantivo Arte che implica fare.
piergiorgio firinu
La pittura ricrea il fascino del deserto.
Nel 1830 Algeri era diventata francese. Due anni più tardi Delacroix era in Marocco al seguito di una legazione francese. Nei disegni che ritraevano le sconfinate sabbie gialle del deserto e gli arabi nei loro burns bianchi sventolanti mentre cavalcavano nel bruciante calore, l’artista fissò una vivace libertà ricca di colore, sacrificandola nel quadro: come illustratore della conquista coloniale favoriva inconsapevolmente la riduzione della libertà degli algerini. Infatti la libertà naturale per gli algerini non era se non impulso, passione, erotismo, gelosia, non privo di una certa dose di violenza e crudeltà. Per Delacroix, e per i suoi scialbi epigoni, tigri e stalloni arabi rappresentavano nulla più che soggetti, involucri della libertà, nella stessa misura in cui lo erano i cavalieri marocchini con i loro lunghi moschetti d’argento.Sotto la pienezza dei colori africani il pittore subì una sorta di richiamo all’antichità, ai mitici tempi omerici, le stesse antichità religiosamente custodite nelle sale dell’Accademia di Parigi. Un amico del comandante del porto di Algeri, che era riuscito ad esaudire il vivissimo desiderio di Delacroix di visitare un harem, racconta che alla vista delle floride ospiti ammantate di seta l’impulsivo artista non cessava di esclamare: “ C’est beau! C’est comme au temp d’Homere ! L’antichità che l’artista scorge in quel luogo, non è quella fredda, cristallizzata, classica, ma piuttosto quella concreta della vita orientale nel suo abituale scorrere. La stessa antichità africana che gli svelava i corpi possenti delle tigri e il focoso temperamento selvaggio dei cavalli arabi da combattimento, come racconterà il suo biografo Silvestre. Erotismo della natura primitiva, intensità degli impulsi, “férocité e verve” : ecco le categorie che affascinavano il pittore il quale scriveva in una lettera a un amico, nelle vie di Algeri puoi vedere sfrecciare l’incarnazione del sublime e la realtà tangibile di questa visione è in grado di ucciderti. Strettamente connessi l’un all’altro, il sentimento romantico per l’Africa e l’occupazione politica. Delacroix rimane comunque uno dei precursori di quella grande migrazione di pittori, scrittori, intellettuali che furono attratti del fascino dell’Africa. L’entusiasmo lastricò le città dell’Africa di cattive intenzioni. Non solo l’arte fu in molti casi una coloritura romantica al bieco colonialismo, ma rappresentava un paradosso: artisti e scrittori che dovrebbero essere orgoglioso supporto alla civiltà che avevano contribuito a creare, freno per gli eccessi dell’ansia di conquista e sottomissioni di popoli africani, e non solo. Invece fuggirono dall’Europa, spinti dalla confusa ricerca dell’esotico, del “primitivo”, senza rendersi conto che dietro al folklore vi era un modo diverso di concepire l’esistenza, una civiltà nata dall’antica saggezza. I popoli africani tentarono, per quanto fu loro possibile, di sottrarsi al destino di essere fagocitati dall’occidente.
piergiorgio firinu
La percezione sensibile.
Percezione e intuizione sono attitudini importanti per l’artista perché gli consentono di avere contatto con la realtà che elabora e forma. E’ però necessario che queste attitudini siano integrate da acquisizione epistemologiche che gli consentano la pratica realizzazione dell’opera. In questo ambito,la filosofia non offre soluzioni,da però un contributo alla riflessioni e consente, l’attribuzione di un razionale significato. Nel suo progredire la riflessione rimuove se stessa, nel rinnovarsi riscopre una soggettività vulnerabile destinata a modificarsi nel tempo con l’esperienza e il pensiero. L’arte, nella sua illusione ingenua di creare, supera l’evidenza apodittica di qua dell'essere del tempo ma questa ingenuità, o se si preferisce riflessione incompleta, si perde nella coscienza formale dell’oggetto che crea. La coscienza del proprio cominciamento appare autentica creazione,un mutamento di struttura della coscienza di cui le opere sono il frutto. Ciò significa che non è possibile assimilare le percezione alla sintesi. Il campo percettivo è riempito di riflessi, scricchiolii, fugaci in impressioni tattili che non sempre l’artista è in grado di connettere in modo preciso al contesto percepito, quindi si perdono immediatamente in confuse farneticazioni. L’artista sogna delle cose, immagina oggetti o persone la cui presenza non è necessariamente incompatibile con il contesto,anche se non si mescolano al mondo perché sono oltre il mondo, si muovono in un teatro dell'immaginario. La pereidolia rappresenta il sintomo, quasi istintivo,del bisogno di ricercare il senso in ogni forma visibile, anche se la percezione autentica si esplicita nel distinguere a poco a poco dai fantasmi della immaginazione, e, attraverso un travaglio critico, dare ad essi un significato che li giustifichi.. Se fosse fondata solo sulla coerenza intrinseca della rappresentazione la realtà della percezione dovrebbe essere sempre esistente, affidata a congetture improbabili. In ogni momento, si dovrebbe poter disfare di sintesi illusorie e realtà immaginate per integrarle al presente. I fenomeni della percezione non sempre si traducono nella evidenza formale. L’artista attua una sorta di selezione e annette i fenomeni più sorprendenti, mentre respinge altri aspetti della immaginazione, anche se più verosimili, anzi proprio perché più verosimili. La percezione non è che una possibilità di approccio al reale, non è nemmeno un atto, ma una presa di posizione dalla quale scaturisce l’intuizione, uno sfondo sul quale si attuano gli atti. Da questi presupposti prende forma la soggettività della creazione. Tema sul quale ritorneremo.
piergiorgio firinu
La dimensione ontologica dell’arte.
La dimensione ontologica dell’arte è stata definita in vari modi ed esaminata nell'ambito di una conoscenza storica ed epistemologica fino all’avvento delle cosiddette avanguardie che hanno non modificato, ma eliminato ogni approccio di carattere culturale in omaggio ad aspetti di estemporaneità sociale e di mercato.. La matrice primitiva della conoscenza in cui la realtà del mondo esterno è già stata qualificata da termini di un dominio secondo una legge che regola o forma in ordine di successione che ignora la natura della visione nell’ottica della conoscenza scientifica propriamente detta. Questo approccio intuitivo viene detta : creatività. L’artista costruisce e da la forma alla materia attraverso la sensibilità. Così facendo persegue inconsciamente un costante coefficiente di deformazione della realtà percepita soggettivamente senza preoccupazioni di un rispecchiamento che corrisponda alla natura delle cose. Attuando questa deformazione, imposta da questo specchio imperfetto,l’immaginazione umana segue uno schema di percezione in termini di pura apparenza, restando nell'ambito della soggettività. L’artista opera nello spazio e sulla materia utilizzando una epistemologia di tutt’altra natura di quella utilizzata dalla scienza. Non si pone infatti il problema dello spazio nella stessa ottica posta, a esempio, dal francescano Roberto Grossatesta il quale nel suo testo “ Metafisica della luce”.aveva teorizzato un concetto di spazio il cui dettaglio concettualizzato apriva ampi spiragli di conoscenza scientifica, immaginando una estensione fittizia, priva di materia, supponendo potesse essere una fonte di energia. Tale ipotesi era stata approfondita da Hobbes, mentre Giordano Bruno avanzava un diverso schema di spazio,vuoto e infinito. Non è questa le sede per approfondire tale materia. La citazione serve a chiarire che la filosofia orienta alla conoscenza delle cose le cui proprietà possono essere acquisite a partire dalla percezione sensoriale, sottoposte ad articolazione analitica. Ecco perché Gassendi e Marsenne ipotizzarono l’impossibilità dell’uomo di comprendere la causa prima delle cose. Essi sostennero che siamo in grado di conoscere la struttura dei fenomeni, ma quasi mai la ragione per cui avvengono. Sappiamo, a esempio, che solo il 5% della materia dell’universo ci è nota, il resto è costituito da buchi neri, ma non conosciamo la ragione del loro formarsi. L’arte non pone problemi di conoscenza, limita la propria sfera all’apparenza delle cose. Uno dei tanti truismi che costellano la storia dell’arte afferma: l’arte inizia dove la scienza si arresta. Questa affermazione conferma che l’arte rappresenta la più enfatica esaltazione antropocentrica, e porta a valorizzare oltre misura tutto quanto attiene agli esserti umani,secondo un propter quid la cui origine è la religione. Non c’è dubbio che l’apporto gnoseologico dell’arte è modesto. Delle due forme del sapere, intuitivo e analitico, l’arte segue il primo. Forse dovremmo dire seguiva, in quanto l’arte contemporanea ha percorsi affidati alla estemporaneità mondana, realizza opere nelle quali si i limita all'apparenza senza preoccupazioni di significato.
piergiorgio firinu
Le suggestioni di una società deviante.
Nicola Cusano nel 1463 scrisse De ludo Globi, un testo di carattere pedagogico educativo in cui vengono affrontati i temi del gioco e di ciò che costituisce una sorta di temperante evasione del pensiero. L’arte delle origini aveva anche questa funzione, nel senso di rappresentare la realtà nei suoi aspetti positivi e gioiosi, senza pretese universalistiche. Nella misura in cui si è preteso di attribuire all’arte significati escatologici, la natura essenziale dell’arte è mutata. . Il personaggio diventato noto quale simbolo di generosità verso gli artisti Gaio Cilnio Mecenate, fu soprattutto generoso verso il letterati come Orazio e Virginio, aveva meno interesse nei confronti di pittori e scultori, questo perché pittura e scultura erano considerate attività artigianali senza particolare valore culturale. La scrittura invece aveva capacità di creare personaggi e mondi nei quali il pensiero si perdeva in fantasie e si arricchiva di conoscenza. Quando Goethe, nel 1808 creò Faust, eroe borghese, narrò la favola dell’alleanza tra il dotto avido di piaceri e il demone disposto a concederglieli. Ebbe grande successo nella società dell’epoca, perché metteva in risalto la corruzione che allora era sicuramente inferiore a quella della società contemporanea. La massa di cariatidi che reggono Il Portico del capitalismo, convinti di fruire di piena libertà nel momento in cui, il sistema del consumo compulsivo, ha aggiunto nel registro dei diritti, la trasgressione. L’assioma di Nietzsche secondo cui le culture evolute si basano sulla schiavitù si esprime oggi attraverso una serie di condizionamenti imposti dalla civiltà che crea sempre nuovi bisogni e forme di dipendenza. Le suggestioni di una cultura deviante, si esprimono attraverso una simbologia che ha valore d’uso psichico, e crea la realtà alienata descritta da Bloch. L’Occidente, nella prospettiva di universi culturali diversi, di religioni e civiltà con diverse simbologie, è visto come l’impero della pornografia e parodia di un potere femminile che si limita ad annullare gradatamente le regole di civile convivenza che egli stesso si è date, a favore di un solipsismo che si traduce in darwinismo sociale. Quando una civiltà è immersa in stati crepuscolari per il dissolversi del futuro, le masse si abbandonano alla corrente in una condizione di trance della normalità. Anche gli artisti, la cui creatività s’inaridisce, si affidano alla reiterazione della provocazione, riducendo l’opera d’arte a frammento privo di significato.
piergiorgio firinu
Tecnologia, pensiero, creatività.
Richard Buckminster Fuller nel 1969 pubblicò il libro: “Operatting Manual for Spaceship Earth”, nel quale esprimeva all'idea che il pianeta terra non sarebbe molto più di una capsula all'interno della quale noi esseri umani dobbiamo sopravvivere. La teoria di Fuller sembra aver costituito una delle fonti d’ispirazione dell'artista danese Olafur Eliasson, l’artista degli oggetti, le cui numerose installazioni e montages offrono la più lucida interpretazione del concetto di rivolgimento ambientale che si possa riscontrare nella produzione di arte contemporanea. Soprattutto con la mostra “Surroundings surrounded”, realizzata in collaborazione con Peter Weibel nel 2001,.Eliasson si è candidato ad essere il primo artista di bordo di un isola assoluta in corso di costruzione. Nel titolo della mostra emerge in modo inequivocabile la svolta costruttivista; gli ambienti naturali mostrati dall’artista, interpretati grazie alla scienza e alla tecnica, non ci si trova di fronte a totalità eco-romantiche, ma a impianti di natura, spazi espositivi in laboratorio, vediamo imitazioni, pròtesi, esperimenti le cui presentazioni mettono sempre più luce allo stesso tempo la struttura naturale e l’effetto innaturale, in un all'ottica tecnico-scientifica. Eliasson realizza anche la cascata artificiale,nel frattempo divenuta famosa, per lo straordinario frastuono. Dal punto di vista artistico,scientifico e tecnico, viene sfruttato anche l'effetto cornice della situazione museale. Qui la natura si rapporta al museo come il mondo della vita lo fa con il vuoto. Resta la domanda di fondo: è arte tutto questo? O semplicemente la costruzione intelligente di effetti resi possibili dalla tecnologia, usata da un abile specialista in scenografia ed effetti speciali? Per i critici sembra attuarsi in modo parossistico la nota frase di Ludwig Wittgenstein: “va bene così”. Siamo oltre la profetica affermazione di Lissitzky secondo il quale il costruttivismo rappresentava il punto di passaggio dalla pittura alla architettura. Le costruzioni di Eliasson sono infatti costruzioni architettoniche in chiave tecnologica. Assistiamo all’attuazione di una sorta di nemesi relativa al tendenza avviata dalle avanguardie del secolo scorso dell’uso del ready-made e del tutto è arte. Forse i teorici di simile teorie non avevano immaginato, previsto, che sarebbe stata la tecnica a sostituire il ready-made, in un capovolgimento di senso che non modifica però la questione di fondo: se tutto è arte si può fare arte con tutto Questo conferma lo stato prefigurato da Elias Canetti di una “società in cui l’ogni uomo viene raffigurato che prega dinnanzi alla tecnica che lo condiziona.
piergiorgio firinu
Aria di Parigi.
La storia dell'arte non sempre narra i fatti che portarono alla realizzazione di un'opera,anche se in alcuni casi sono molto significativi. Marcel Duchamp trascorse le feste di Natale del 1919 dalla sua famiglia a Rouen. La sera del 27 dicembre contava di imbarcarsi a Le Havre a bordo del piroscafo La Touraine per raggiungere New York. Poco prima di partire si recò in una farmacia in rue Blomet dove convinse il farmacista a prendere un’ampolla di media circonferenza, ad aprirne il sigillo versare il liquido che conteneva, poi a chiudere questo recipiente bombato. Arrivato a New York Duchamp consegnò questa ampolla vuota che aveva portato con sé, alla coppia di collezionisti Walter e Louise Arensberg, come regalo del visitatore ai suoi ospiti, spiegando loro, che visto che i suoi fortunati amici possedevano già tutto, aveva voluto portar loro 50 centimetri cubi di Aria di Parigi. Così un volume d'aria delle coste francesi entrava nella lista dei primi ready-mades. Duchamp non si preoccupò minimamente del fatto che il suo oggetto di arte estemporanea costituisse di fatto una falsificazione, non era infatti riempito di aria di Parigi, ma con quella di una farmacia di Le Havre. Non solo, nell’atto di designazione celò l’origine reale, ma quando, nel 1949 per un incidente l’ampolla di Aria di Parigi della collezione Arensberg, andò distrutta, Duchamp incaricò un amico di tornare nella stessa farmacia di Le Havre ed acquistare una stessa ampolla con la quale ripetè l’operazione che aveva computo nel 1919. Dieci anni più tardi, nel 1959, nella hall di un hotel di New York, Duchamp spiegò al giornalista che lo intervistava: "l'arte un sogno che è diventato inutile” ; “Trascorro bene il mio tempo ma non saprei dirle cosa faccio… io sono un respiratore”. Commenti e considerazioni sarebbero inutili come l’arte del sogno a cui fa riferimento l’artista, ma ciascuno può trarre le proprie conclusioni.
piergiorgio firinu
Ermeneutica della forma.
Il rapporto che intercorre tra l’opera di avanguardia e metodi formali di teoria dell’arte, è stato stravolto con l’elusione dei tradizionali procedimenti tecnici e uso dei materiali. Ciò tuttavia non ha modificato l’approccio ermenèutico della critica d’arte, provocando una dicotomia tra oggetto e interpretazione che avviene ancora con criteri classici da buona parte della critica. Prassi e teoria dell’avanguardia hanno avuto, tra l’altro, l’effetto di diluire l’essenza significante in discipline diverse. Reinhard Brandt nel suo libro “Filosofia nella pittura”, ha analizzato opere di artisti classici con riferimenti filosofici. Appare evidente che le opere dei maestri del passato potevano essere apprezzate, indipendentemente dalla capacità d’interpretazione iconologia. L’arte d’avanguardia, avendo eliminato l’estetico, ha ridotto la forma a citazione concettuale, con la conseguenza che, l’osservatore non sempre in grado di percepire il significato sottointeso, perde ogni possibilità di comprensione e godimento. Senza dubbio, non è ancora emersa con sufficiente chiarezza l’inutilità della critica d’arte oggi. Essa ha un approccio classico a opere che sono la negazione di ogni espressione d’arte, intesa in senso tradizionale. A prescindere da capacità e intenzioni, i critici raramente sono in grado di svolgere efficacemente la propria funzione interpretativa, in quanto la lettura dell’opera richiede il ricorso a varie discipline, psico - sociologiche, politiche, filosofiche, e quant’altro serve a collocare l’opera nel contesto nel quale è possibile decifrarne il senso. L’analisi dell’opera non può essere attuata scientificamente, come ipotizza, tra gli altri, Peter Burger nel suo saggio “Teoria dell’avanguardia”, anche in ragione della estemporaneità di molte opere. Le forzature ermeneutiche della critica, finiscono per costituire anello di congiunzione con l’arte-arte, in questo modo accreditano una supposta concettualità, che forse era nelle intenzioni dell’artista, ma non è ravvisabile nell’opera. A ciò contribuisce il modesto bagaglio culturale degl’artisti, spesso non in grado di adeguare l’apparato concettuale alla sintesi della forma. C’è il rischio concreto di nobilitare la pura dissacrazione a concetto. Condizione necessaria per una possibile sintesi tra procedimenti formali ed ermeneutici è rendersi conto che nell’opera avanguardistica l’emancipazione del singolo elemento non raggiunge mai il distacco completo nella totalità dell’opera. Anche dove la negazione della sintesi diventa principio strutturale, deve comunque rimanere la possibilità di pensare a una unità, sia pure precaria. Addurre la complessità dell’opera per giustificarne la difficoltà di fruizione, è un espediente non accettabile perché significherebbe sminuire autonomia ed efficacia del linguaggio dell’arte. L’opera deve esprimere la totalità di senso, anche se è stata raggiunta l’unità dopo aver accolto la contraddizione. In altre parole, non è più l’armonia delle singole parti a costituire l’unità dell’opera, bensì il rapporto contraddittorio di elementi eterogenei. Per questo, dopo i movimenti di avanguardia, non si può pensare né di sostituire semplicemente l’ermeneutica con procedimenti formalistici, né di continuare ad affidare la critica a procedimenti intuitivi, ma adeguarsi alla mutata situazione storica.
piergiorgio firinu
La filosofia dipinta.
La fondazione della filosofia si proponeva la depurazione dell’intelligenza , suo compito fornire la chiave con cui armonizzare l’approccio alla realtà. L’’Atlante Farnese è uno splendido esempio della possibilità del connubio della filosofia e dell’arte, entrambe le discipline impegnate nel dare significato al reale. L’opera ha ispirato una quantità di ipotesi ermeneutiche e considerazioni filosofiche. L’immagine del Titano gravato dal peso del globo di cui non sa nulla e che non può vedere. Era l’Epoca in cui gli artisti possedevano una base culturale e con essa potevano interpretare la storia. Attuavano la suggestiva tesi linguistico ontologica teorizzata da Heidegger, secondo la quale l’opera d’arte “erige un mondo”. Tralasciando confronti imbarazzanti, è difficile negare che l’arte moderna abbia rinunciato ad esprimere la conoscenza del mondo, per quanto possa essere percepito dall’artista. In passato sono state molte le opere pittoriche che hanno raffigurato filosofi. Esempi importanti : “La Scuola di Atene” di Raffaello Sanzio. “ I tre filosofi” di Giorgione, e altre. Quasi sempre la pittura si limita a rappresentare situazioni ed espressioni intorno alle quali si sono affollati tentativi ermeneutici. Franz Hals, volendo rappresentare l’epistemologia cartesiana, decide di non rappresentare il filosofo con un libro di filosofia, ma sullo sfondo oscuro di una biblioteca, quasi a indicare la difficoltà della conoscenza di accedere alla luce. Nel momento in cui l’arte si è per così dire accartocciata nell’autoreferenzialità, la filosofia non è più stata necessaria, è subentrata la sociologia fatta propria dalla critica d’arte in una narrazione tautologica con pretese olistiche. L’artista contemporaneo, immerso nella mondanità e nel consumo, non ha la capacità nè la volontà di sottrarsi a quello che Sartre definiva in un dramma: “L’infermo sono gli altri” , tema approfondito ancor meglio da Melville. Le tesi secondo cui l’arte è un percorso di liberazione, non più attuale. L’artista è “gli altri”, si limita a rappresentare ciò che gli altri vogliono, fanno, pensano, cronista passivo di una realtà che lo coinvolge al punto da privarlo della capacità di rappresentarla se non per insignificanti, ripetitivi dettagli.
piergiorgio firinu
La promanazione del sensibile.
L’arte vera è, per così dire, una sorta di promanazione del sensibile tesa a stimolare le potenzialità umane. In qualche caso può arrotondare gli spigoli del reale. La religione usò l’arte per una pedagogia religiosa. Nicolò Cusano utilizzò un brutto ritratto realizzato da Rogier van der Weyden: “Immagine del tiratore multi vedente”. Come metafora dello guardo di Dio nella vita di ciascuno di noi. Se ho gli occhi capaci di vedere, se percepisco il mondo, è perché concentro la visione sul particolare. Questo può avvenire soprattutto nell’opera d’arte. Imparare a vedere è esercizio utile, è attraverso la visione che arricchiamo conoscenza e sensibilità. Oggi siamo sommersi da immagini e comunicazione verbale, è pressoché compiuto lo Stato mondiale omogeneo come aveva teorizzato Marshall MacLuhan, con i suoi fantasmi pentecostali del villaggio elettronico globale. Diventa importante utilizzare un filtro per evitare che il pattume visivo intasi la nostra mente e crei una sorta di saturazione dell’inutile. Non solo nell’arte plastica, anche nella letteratura il gioco della conoscenza che induce alla visione può essere deviante. In questo caso agisce solo sull’immaginazione. Stalin diceva che gli scrittori sono ingegneri dell’anima. Senza indulgere a metafore esagerate, non c’è dubbio che la letteratura ebbe una parte importante nel marcare i passaggi di civiltà. Purtroppo da oltre 50 anni anche la letteratura ha subito la stessa sorte dell’arte plastica, tracimando nel volgare e nell’ intimistico, per non dire pornografico, questo è avvenuto anche per il massiccio afflusso femminile nel settore. Dostoevskij aveva concepito il personaggio dell’idiota come tentativo di rappresentare “l’essere umano perfettamente bello”, e il suo inevitabile naufragio sullo scoglio della bruttura umana. Nel suo testo polemico del 1888, “l’Anticristo”, Nietzsche ha tratto le conseguenze nel campo della psicologia della religione delineando la figura del decadente ante litteram. Rilke, nel 1937 scrisse un saggio sulla stupidità che non pare abbia contribuito a ridurre il problema. Non c’è dubbio che, se la grande letteratura aveva lasciato un segno nella cultura dell’Occidente, tale traccia è stata in gran parte cancellata dalla marea di approssimazioni volgari del nostro tempo. La sottile psicologia di Dostoevslij in “Delitto e Castigo”, la ricostruzione della memoria in “A la recherche du temps perdu” di Marcel Proust. “Ulisse di James Joyce. “L’uomo senza qualità di Robert Musil, opere purtroppo molto citate poco lette, e ancor meno comprese. Viviamo in un mondo in cui abbiamo bisogno della IA per dare ordine ai nostri pensieri, mentre proseguiamo il percorso che ci allontana sempre più da tutto ciò che è natura.
piergiorgio firinu
La sostituzione del reale.
Weber sembra essere stato tra coloro che hanno proceduto al congedo dalla società. Oggi l’abbandono avviene con l’immersione nello spazio tecnologico. L’arte accompagna questo distacco cancellando gradatamente l’umano dalle sue rappresentazioni. Mentre il papa urlante di Francis Bacon implica ancora un tentativo di esplorazione, gli autoritratti di Andy Warhol raggiungono lo stato dell’altruismo nella vendita di se stesso. Le due opere hanno ancora un posto,sia pure a margine , dell’arte espressiva, poiché sia la lacerazione che la pietrificazione del volto contengono ancora il principio dell’espressione. Un richiamo, forse inconscio, sicuramente disperato di resistenza al nichilismo che pervade la società fatta di volti inespressivi e anonimi, ma curatissimi, deformati dal successo, sorrisi statici, volti il cui riferimento non sono più altri esseri umani, bensì monitor, videocamere, mercati, giurie di valutazione. I nuovi procedimenti dell’estetica facciale nelle arti plastiche sono simili ai cartelloni pubblicitari, non parlano al singolo, hanno come riferimento la massa, richiamo a follower, un mondo surreale in cui la menzogna dell’immagine e della parola, sono abituale merce di lucroso scambio, la realtà è mercato, in un confuso scambio d’identità messe in vendita. C’è il rischio che tutto ciò apra la strada alla pazzia. Anche se, a questo sadismo spirituale, ben si adatta il montage Untitled #314C di Cindy Sherman dove il volto si dissolve in un paesaggio rugoso costituito da elementi della trama,malvagi e incontrollabili, con una bocca le cui labbra mostrano una apertura oscena. Non è rimasto nulla di ciò che Benjamin ha battezzato “sex appeal dell’inorganico”. La carne divenuta copia sintetica di se stessa. Sherman sembra accanirsi su quelli che sono gli attributi del potere sessuale femminile il sedere, i seni, la vulva, deforma, dilata, in un parto di adulto, esprime orrore della procreazione. Nel libro “Sotto Il segno di Saturno”, Susan Sontag cita Artaud secondo il quale , il pazzo ha una doppia identità, vittima e portatore di saggezza. Infatti la pazzia accompagna molti artisti e filosofi costretti a fare i conti con gnosi e sensibilità. Come nelle opere citate, la sfida al reale può diventare un fardello troppo pesante, com’è stato per Hòlderlin, Nerval, Nietzsche, van Gogh e altri creatori di mondi,approdati una farneticazione liberatoria.
piergiorgio firinu
L’arte impotente.
Può scaturire la creatività da una umana incompletezza? La nostalgia per un mondo aristotelico trovava il suo obiettivo nella parola Cosmo, degenerato nella globalizzazione sempre più avviata verso una ginecocrazia che domina masse infantili di paranoici tecnologici, persone che tendono a perdere la forza di mantenere il controllo del loro spazio psichico riducendosi a individui isolati. Ci troviamo di fronte al paradosso che il progredire della conoscenza ci mette di fronte alla nostra impotenza. Nell’infanzia della civiltà era possibile coltivare l’illusione che la scienza avrebbe migliorato gli esseri umani e reso possibile un futuro luminoso, anche selezionando i migliori, cosa oggi non più pensabile, in ragione di un ipocrita formalismo democratico. Secondo la tradizione Platone avrebbe affisso all’ingresso della Accademia un cartello nel quale si chiedeva di astenersi dall’entrare chiunque non fosse esperto di geometria. Tale disciplina è stata fatta propria dall’arte moderna, diventata gioco, tautologia, ed ha finito per ridimensionare l’illusione della spazialità e dell’arte. L’elegia dell’arte astratta fatta da Kandinsky e dal filosofo hegeliano Kòjève suo nipote, è stata presto sommersa da una folla di epigoni privi di estro. La filosofia scinde la società tra quelli che ricordano e quelli che non ricordano. La cultura è memoria e consapevolezza, con effetti non sempre positivi. Secondo Peter Sloterdijk, ricerca e presa di coscienza hanno trasformato l’essere umano in un idiota del Cosmo. Un idiota ansioso che faceva esclamare a Pascal: “ L’eterno silenzio degli spazi mi spaventa”. Friedrich Nietzsche, ideatore di verità con le quali è difficile vivere, ma che l’onestà intellettuale ha difficoltà a ignorare, ho sostenuto che gli interpreti moderni di questo mondo hanno stabilito che vivere significa pagare il prezzo devastante della inadeguatezza umana. E’ perciò un bene che l’esistenzialismo abbia rivelato ciò che è essenziale per tentare di rompere il sigillo che la banalità pone all’intelligenza creativa. Quello che i filosofi contemporanei hanno chiamato oblio dell’essere, appare più che altro ostinata ignoranza, incapacità di superare la barriera dell’apparente. L’arte non può nulla contro questa situazione. In ogni caso gli artisti, ormai massa, hanno rinunciato, non sono più in grado di dare forma al grido di disperazione che sale da masse spensieratamente ignare.
piergiorgio firinu
Il gesto creativo.
A tutti i livelli di civiltà, fin dai tempi più remoti, una delle preoccupazioni fondamentali dell’uomo è stata la ricerca delle proprie origini. Questa inclinazione a ritrovare il riflesso di se stessi nelle profondità del passato è stata solo in parte soddisfatta. Anche oggi, in gran numero di persone, non sapendo dove sono diretti, nutrono lo stesso desiderio dei loro antenati di sapere da dove provengono; bastano tuttavia brevi riferimenti al passato delle grandi scimmie perché in genere siano tranquillizzati. Questo bisogno di scendere alle radici è così forte che non può essere determinato solo dalla curiosità. La preistoria è considerata da molti studiosi quasi un fatto personale; essa è forse la disciplina che conta il maggior numero di dilettanti, quella che ognuno crede di poter praticare senza una conoscenza specifica, in questo simile all’arte, campo nel quale si è scritto il maggior numero di sciocchezze. E’ stato invece trascurato, specie negli ultimi cinquant’anni, un aspetto importante, l’orientamento degli artisti a presentare manufatti in cui è ridotto al minimo, quasi annullato, l’intervento manuale. E’ noto agli studiosi che il cervello dell’uomo ha potuto svilupparsi in modo tanto considerevole grazie alla conformazione della mano. Questo fatto è stato studiato da André Leroi-Gourhan che ha pubblicato nel 1964 “Le geste et la parole. Technique et Langage”. La mano degli esseri umani possiede duttilità e abilità che non è concessa a nessun altro animale. Il cervello dell’uomo concepisce un’idea che la mano traduce ed esprime creando un oggetto concreto e tangibile. L’oggetto realizzato stimola il cervello e il pensiero di chi osserva spingendolo al desiderio di comprensione. Il venir meno del rapporto creativo mano-cervello, si traduce in sorta di menomazione, la riduzione dell’arte a puro atto mentale. Una sorta di parodia della concettualità propria della filosofia. Non basta sostenere, come alcuni neo-conformisti, che l’opera d’arte è ormai disgiunta dal valore estetico, non si tratta infatti di valore estetico, anche se questo è un punto in cui prevale il procedimento apodìttico. Si tratta semplicemente del fatto che in tal modo l’arte è privata di uno dei suoi aspetti più caratterizzanti: l’intervento manuale. Anche nelle opere riprodotte procedimento seriale, all’origine vi è intervento manuale, la riproduzione è la ripetizione meccanica di un tracciato in precedenza realizzato dalla mano, a meno che si tratti di fotografie. Nei ready made, e nelle mastodontiche opere prodotte in stabilimenti industriali non vi è traccia d’interveto manuale, ed è scarsissima la traccia originale dell’idea dalla quale l’opera nasce. La ricerca del nostro passato sarebbe impresa impossibile se i nostri antenati avessero semplicemente utilizzato le forme rozze di uso quotidiano a livello artistico. Gli artisti dell’antica Grecia, com’è noto, erano considerati nulla più che artigiani, eppure hanno creato sculture di sublime livello, spesso in assoluto anonimato, le loro opere sono l’orgoglio della nostra civiltà e tutt’oggi le ammiriamo. Lo stesso sistema era in vigore nel Medio-Evo., nelle gilde costituite da artisti che hanno costruito, anche in quel caso per lo più in anonimato, i monumenti che costituiscono vanto della cultura dell’occidente. Vale la pena notare che, nella misura in cui l’artista ha assunto rilievo, la sua firma è diventata più importante dell’opera stessa, l’arte è andata declassandosi a merce ordinaria.
piergiorgio firinu
La filosofia del passato adattata al presente.
Le citazioni producono un effetto di straniamento, quasi una sorta di sottile frazionamento. E’ questa la ragione per cui Benjamin sosteneva che le citazioni sono come banditi da strada che sbucano e portavano via all’argomentante le sue buone ragioni. Ovviamente il paradosso di Benjamin non è sempre valido, se anche fosse vero, l’espropriazione avrebbe comunque un effetto positivo, nel senso che indurrebbe l’espropriato a rimodellare pensieri e argomentazioni. Tuttavia non c’è dubbio che spesso si vogliono sostenere le ragioni del presente citando filosofi del passato. Le teorie elaborate secoli prima possono forse conservare una loro validità se argomentano su questioni attinenti alla natura umana, che, purtroppo, non è molto cambiata, tanto meno migliorata nel corso del tempo. Altra cosa se l’argomento riguarda questioni attinenti a una società radicalmente mutata. Esempio emblematico,la tolleranza. All’epoca dell’assolutismo monarchico e religioso, aveva buone motivazioni. Oggi in cosa consiste la tolleranza? Tolleranza verso chi coscientemente viola leggi e norme sociali che hanno lo scopo di difendere i più deboli, tirata in ballo per giustificare abiezioni di ogni genere, incoraggiamento a comportamenti disdicevoli. L’apodittica affermazione: tutte le idee hanno diritto di essere espresse, va precisata. Espresse o applicate? Certe forme di tolleranza rivolte noi stessi, sono un colpo di maglio non alla verità, ma alla ragione. Si esclude a priori la necessità di sottoporre le idee al vaglio della razionalità. Deleterio rinunciare a priori al tentativo di arrivare attraverso la logica a raggiungere il punto più vicino alla verità, ciò è impossibile se si esclude a priori esista qualcosa che possa definirsi “verità”. Questo atteggiamento ispirato al cinismo,contrariamente a quanti sostengono, non a favore della convivenza, al contrario, è fonte di prevaricazioni e soprusi. La negazione logica, il ricorso al surreale può valere come espediente letterario, in opere di Jonesco e Beckett. La ragione è stata definita la più umana delle virtù, è senz’altro imperfetta, tuttavia, usata con umiltà, resta l’unico strumento che abbiamo per orientare la nostra esistenza. Diceva Diderot “ chiedere di rinunciare alla ragione è come chiedere a chi trovandosi di notte in una foresta con un torcia accesa, venisse invitato a gettarla via per il fatto che non consente di vedere tutto e di vedere lontano”. A proposito di tolleranza, diceva Chamfort: “dobbiamo essere giusti, prima che generosi”. Per Montagne:“ Noi siamo, non so come, doppi a noi stessi,cosicché non crediamo in ciò che crediamo, e non riusciamo a disfarci di ciò che condanniamo”. L’epistemologia, cioè l’insieme delle nostre conoscenze, a partire da Cartesio e Locke, è stato gradatamente disgiunto da riferimenti logici diventando sinonimo d’incertezza. L’informazione, l’abilità, l’apprendimento, finiscono per appiattirsi in una narrazione eristica a sfondo solipsistico ludico adottando acriticamente la tesi di Hume secondo il quale “ la ragione è serva delle passioni”. Dunque, conoscenza ed etica, ridotte a opinione, o peggio alla concretezza funzionale. In questo modo il materialismo ateo, che si finge compassionevole,porta al vicolo cieco del qualunquismo. Il percorso verso la conoscenza dovrebbe tener conto del detto kantiano secondo cui non si può mettere in dubbio ciò che non si conosce. Vi è un mondo dei clown, soprattutto di matrice americana, di cui fa parte la “politically correct”, che rende incerto chi giudica chi, questo ci porta alla “democrazia GALUP”, anche in Italia. Scriveva Kafka all’amico Brod: seguendo gli Usa, sembriamo essere diventati Hardy & Laurel, ma abbiamo cessato da un pezzo di ridere.
piergiorgio firinu
La concupiscenza dello sguardo.
Vediamo ciò che pensiamo attraverso ciò che conosciamo. Lo sguardo come interrogazione, come un passo verso la conoscenza. La costituzione fondamentale della visione si manifesta in una particolare tendenza al “vedere”. Di una persona particolarmente acuta si dice che “sa vedere le cose”. Definiamo la propensione a vedere con il termine: curiosità. E’ la curiosità il principale stimolo alla conoscenza. Noi interpretiamo il fenomeno della curiosità come un fondamento ontologico- esistenziale. Già nella antichità e nella filosofia greca fu studiata la base del piacere di vedere. Il libro che occupa il primo posto nella raccolta dei trattati aristotelici di ontologia inizia con il fermare l’attenzione sulla visione. Lo sguardo, il vedere, osservare, stimola la riflessione ed è alla origine della scienza come lo è dell’arte. Non è pensabile un pittore privo di vista. L’interpretazione greca della genesi esistenziale della scienza non è casuale. In essa si fa esplicito ciò che era già delineato nella filosofia di Parmenide. L’essere è ciò che si manifesta alla visione intuitiva pura. Hans Belting affronta il tema della storia visiva mettendo a confronto diversi aspetti della visione. Nel “I Canoni dello sguardo” (Bollati Boringhieri 2010) usa l’emblema della finestra per sottolineare come mentre nella civiltà occidentale la visione è fondata sul primato dell’occhio e sulla sovranità del soggetto osservatore, la civiltà araba privilegia la luce ed è fedele al grafismo non iconico. Agostino si interroga sulla concupiscenza dello sguardo, come il vedere influisca profondamente sui nostri pensieri. Oggi che viviamo nella civiltà delle immagini ci troviamo a dover affrontare le volgarità che incessantemente vengono trasmesse da cinema e tv . Tali martellanti visioni si riflettono nei gesti, linguaggio, comportamento quotidiano delle masse. I sistemi complessi che sovraintendono la produzione di immagini hanno fagocitato anche l’arte. Gli artisti hanno adattato gli occhi sugli strumenti tecnici rinunciando alla visione immaginifica che guida la mano creatrice. Si è attuato una sorta di incapsulamento tecnologico che ci assorbe e ci distrae, soprattutto diventa un “bisogno” per riempite la mente di illusioni che non sappiamo più creare. Queste emozioni indotte ci rendono gradatamente psicolabili. Siamo abituati a vedere ovunque persone di ogni età e condizione concentrate sul proprio telefono, compulsare sulla tastiera per trasmettere il nulla. La visione del mondo si è ridotta per molti allo spazio di cm7 X11 dello schermo del telefono.
piergiorgio firinu
Considerazione sull’Arte nr. 16
Per Democrito e manifesto per chiunque, ciò che l'uomo è lo è riguardo al suo aspetto,poiché non vi è alcun dubbio che egli ci sia noto e familiare in base al suo colore alla sua figura. Aristotele però obietta: “anche il cadavere di un uomo ha pur sempre lo stesso aspetto, la stessa figura non di meno non è un uomo”. L’arte celebra i morti, essa sembra avere sua principale funzione di interpretare l’umanità in svariati modi. Nietzsche in “ Crepuscolo degli idoli” scrive: “ Nel bello, l’umano pone se stesso come norma della perfezione e adora se stesso”.Attraverso il cervello l’essere umano prende contatto con la realtà e la modifica a proprio uso, così preso di se, da esaltarsi di più di fronte un paesaggio o un immagine dipinta che di fronte all’originale. L’opera d’arte dovrebbe nascere dal raccordo mano- mente, azione-pensiero. Anche se per Platone, l'artista, creando un opera realizza una doppia illusione. L'oggetto dell'Opera non è l'idea, ma la forma. Platone sostiene che è l’idea l'unica realtà, non la cosa. L’opera è imitazione della cosa, non la cosa stessa. La nostra civiltà, molto più delle civiltà che ci hanno preceduto, abbonda di cose, scarseggia di idee, ovvero secondo l’ottica di Platone vive lontana dalla realtà, nell’illusione delle cose. L'uomo è uomo in quanto ha la capacità e il potere di realizzare se stesso, di programmare e realizzare la propria vita. Privato di queste capacità e possibilità, l'uomo cambia natura diventa per così dire più animale, oggi è un animale tecnologico che trova appagamento sempre più lontano dalla natura, di conseguenza la sua visione del mondo e di se stesso muta radicalmente. La prima Estetica del brutto fu elaborata nel 1853 da Karl Rosenkrantz, il quale tracciò una analogia tra il brutto e l’amorale. Non c’è dubbio che la modernità conferma la tesi di Rosenkrantz. Oggi le immagini ci sovrastano. Un flusso continuo e caotico inonda l’etere, la carta stampata, ogni luogo pubblico e privato. La rinuncia ai valori, che erano prerogativa dell'uomo reale,è l’inevitabile conseguenza. Infatti l’etica è legata alla natura dell’uomo dalla quale l’umanità si è allontanata,creando condizioni di vita artificiali e artificiose. In tale contesto diventa opinabile anche il genere sessuale che in natura caratterizza ogni specie animale. L’uomo ha seguito un percorso di abbandono della natura. La filosofia naturale fiorì per un periodo breve. Socrate distolse lo studio dalla ricerca della natura e l’orientò al problema dell’etica. Fu quindi responsabile di trasformare la filosofia in un’ambiziosa ricerca di nuove opinioni che inevitabilmente finirono esprimersi avverse all’etica. La natura non fu più guida, la filosofia nemmeno. Nessuno è in grado di valutare le conseguenze della massiccia presenza della tecnologia nella nostra esistenza. La facilità con la quale si reperisce ogni informazione tramite i motori di ricerca finisce per scoraggiare l’uso della memoria. La realtà artificiale ha modificata anche quella che per Francesco Bacone era una qualità importantissima per l’uomo: l’immaginazione. Questo percorso è destinato a renderci sempre più dipendenti dalla tecnologia, e ridurrà la nostra autonomia. mentale. Per Paracelso l’arte è “l’uomo aggiunto alla natura”, venuta meno la natura è venuta meno l’arte, anche se ancora non ne siamo consapevoli. L’aver affermato l’eterogeneità fra natura e arte ha condotto la filosofia a concepire l’arte come una mera aggiunta alla realtà e ha privato gli uomini della speranza di poter fruire di tutte le potenzialità che il rapporto arte e natura può comunicare.
piergiorgio firinu
Origine della cultura simbolica.
Scrive Hermann Hesse in biblioteca della letteratura Universale: “è un esigenza innata del nostro spirito di creare dei tipi e suddividere l'umanità secondo quello schema. dai caratteri” . Teofrasto suddivideva in quattro temperamenti i caratteri umani. La psicologia contemporanea conserva l’esigenza di ripartizione tipologica che è stata portata alle estreme conseguenze da Cesare Lombroso, il cultore di quella che è stata definita: “La scienza infelice”. Non risulta esistano testi specifici sulla psicologia dell’artista, il cui carattere è quasi sempre indagato attraverso parafrasi fantasiose e poco attendibili. Nel tentativo di mettere un freno alle proprie ansie, l’umanità ha dato vita alla cultura simbolica che si esprime soprattutto attraverso la religione e l’arte, in una molteplicità di narrazioni e segni spesso dai significati profondi e oscuri.. La cultura popolare era ricca di riti e tradizioni mescolate a superstizioni la cui origine si perde nei secoli. Anche l’arte aveva un ricco filone popolare, le famose Gilde medioevali, costruttori di cattedrali che ancora oggi sono orgoglio dell’umanità. E’ significativo che gli artisti che costruirono Cattedrali e castelli, capolavori dell’arte Romanica e Gotica, sono rimasti quasi tutti anonimi. Ammiriamo capolavori di cui molto spesso ignoriamo gli autori. Sarebbe utile una riflessione sullo stridente contrasto con la contemporaneità. Oggi si producono oggetti banali, del tutto insignificanti, i cui autori sono celebrati dai media, esaltati dalla critica. Ovviamente la costruzione di cattedrali non era arte popolare, anche se realizzata da semplici operai, che oggi definiamo artigiani. La vera e propria arte popolare aveva una ricca tradizione i cui protagonisti erano persone del popolo, dilettanti motivati ed entusiasti. Pensiamo ai cantastorie che giravano le fiere e spesso erano l’unica fonte d’informazione per i contadini che vivevano isolati ed ascoltavano i loro racconti cantati e illustrati con disegni. Narravano fatti di cronaca che avevano colpita l’immaginazione popolare. I pittori viandanti, alcuni dei quali di valore, dipingevano cappelle e piloni votivi ai bordi delle strade, chiesette tra i campi.. Fabbri e falegnami costruivano piccoli capolavori, molti dei quali oggi nei musei. Con l’avvento dell’industria tutto questo è finito, negli ultimi anni la tecnologia ha dato il colpo di grazia a quella che era la caratteristica essenziale dell’arte: la manualità. Oggi vengono esposti nani da giardino costruiti industrialmente, palloncini colorati, ed altre simili amenità che, stando ai critici, costituiscono il progresso dell’arte. La televisione generalista influenza le masse, l'arte, more solito, si adegua. Vi è stato un enorme afflusso femminile anche nel mondo dell'arte, critica, direzione di gallerie musei, biennali ed eventi vari sono in gran maggioranza affidati a donne, le quali hanno sollevato il problema dell’arte di genere. Di certo dall’arte di respiro universale all’arte di genere, il passo è lungo. Ridurre cultura e arte a questioni ideologiche e di genere, significa ridurre la libertà creativa confermando la profezia di Hegel secondo il quale l’arte non è materia compatibile con la società industriale. L’agonia dell’arte è durata oltre due secoli, quello che oggi è presentata come arte è una parodia triste, una sorta di lamento per immagini della pascaliana canna che non sa più pensare.
piergiorgio firinu
Linguaggio ed esperienza.
Una delle teorie degli epigoni di Kant poneva la questione se l’à priori trascendentale della conoscenza non si trovi, anziché, almeno in parte nel cervello, nell’intelletto, nel linguaggio umano effettivo. Il nucleo di questa tesi risale a Wilhem von Humboldt, di gran lunga il più fortunato tra i successori di Kant. Le condizioni di possibilità dell’esperienza sono anche le condizioni che rendono possibile gli oggetti dell’esperienza. Detta in altre parole: al di fuori del linguaggio non ci sono esperienza né oggetti empirici. Tuttavia sistemi simbolici più generali possono svolgere le veci del linguaggio. Nelle diverse etnie, gli antichi egizi, gli indiani Hopi, i giapponesi del XIX secolo, i rispettivi mondi empirici erano sistemi chiusi; ciò che non può entrare in essi non esiste, per loro non era un oggetto bensì un inconoscibile cosa in sé. La globalizzazione sembra porre in forse la pluralità di mondi che si sono andati formando dall’origine dell’uomo sulla terrà. La ricerca d’identità individuale tenta di resistere alla crescente omogeneizzazione planetaria ma spesso non lo fa in forme innovative, ma solo di rifiuto. Non si afferma una propria convinzione, si nega semplicemente quella dell’altro. Ernst Cassirer ha sviluppato il suoi studi sulla filosofia delle forme simboliche partendo dal principio che l’uomo non vive un universo soltanto fisico ma in un universo simbolico. Invece di avere a che fare con le cose, in un certo senso l’uomo è continuamente a colloquio con se stesso. Ha creato forme linguistiche, immagini artistiche, simboli mitici, riti e credenze religiose, la sua conoscenza è mediata da queste forme di comunicazione simbolica. Gli universi simbolici sono distinti gli uni dagl’altri; ciascuno è caratterizzato per se, non sempre è possibile la comunicazione, quanto più ancorato al trascendentale, ogni universo simbolico è sistema e paradigma chiuso. La natura e le sue leggi sono state, salvo alcune particolarità, esplorate dall’uomo che le ha decifrate. Come diceva Fontanelle: al tempo di Omero gli alberi non erano diversi da come sono ora. Lukàcs individua il compito dell’artista realista, in opposizione a quello di avanguardia in un duplice intervento. Innanzi tutto il riconoscimento della relazione tra realtà sociale e il momento della mimetizzazione artistica. Per Lukàcs la “mimetizzazione” non è altro che la creazione di un apparenza naturale. Va da se che, quanto più l’arte si allontana dalla mìmesi, tanto più si astrae, crea un proprio universo simbolico che, per complessità e frammentazione, rende difficile il processo di comunicazione attraverso il quale il linguaggio dell’arte era in parte riuscito a infrangere le barriere e comunicare anche con civiltà e sistemi culturali diversi. L’arte allontanandosi dalla natura rischia di ridursi a gergalità.
piergiorgio firinu
Linguaggio ed esperienza.
Una delle teorie degli epigoni di Kant poneva la questione se l’à priori trascendentale della conoscenza non si trovi, anziché, almeno in parte nel cervello, nell’intelletto, nel linguaggio umano effettivo. Il nucleo di questa tesi risale a Wilhem von Humboldt, di gran lunga il più fortunato tra i successori di Kant. Le condizioni di possibilità dell’esperienza sono anche le condizioni che rendono possibile gli oggetti dell’esperienza. Detta in altre parole: al di fuori del linguaggio non ci sono esperienza né oggetti empirici.
Tuttavia sistemi simbolici più generali possono svolgere le veci del linguaggio. Nelle diverse etnie, gli antichi egizi, gli indiani Hopi, i giapponesi del XIX secolo, i rispettivi mondi empirici erano sistemi chiusi; ciò che non può entrare in essi non esiste, per loro non era un oggetto bensì un inconoscibile cosa in sé.
La globalizzazione sembra porre in forse la pluralità di mondi che si sono andati formando dall’origine dell’uomo sulla terrà. La ricerca d’identità individuale tenta di resistere alla crescente omogeneizzazione planetaria ma spesso non lo fa in forme innovative, ma solo di rifiuto. Non si afferma una propria convinzione, si nega semplicemente quella dell’altro.
Ernst Cassirer ha sviluppato il suoi studi sulla filosofia delle forme simboliche partendo dal principio che l’uomo non vive un universo soltanto fisico ma in un universo simbolico. Invece di avere a che fare con le cose, in un certo senso l’uomo è continuamente a colloquio con se stesso. Ha creato forme linguistiche, immagini artistiche, simboli mitici, riti e credenze religiose, la sua conoscenza è mediata da queste forme di comunicazione simbolica.
Gli universi simbolici sono distinti gli uni dagl’altri; ciascuno è caratterizzato per se, non sempre è possibile la comunicazione, quanto più ancorato al trascendentale, ogni universo simbolico è sistema e paradigma chiuso. La natura e le sue leggi sono state, salvo alcune particolarità, esplorate dall’uomo che le ha decifrate. Come diceva Fontanelle: al tempo di Omero gli alberi non erano diversi da come sono ora.
Lukàcs individua il compito dell’artista realista, in opposizione a quello di avanguardia in un duplice intervento. Innanzi tutto il riconoscimento della relazione tra realtà sociale e il momento della mimetizzazione artistica. Per Lukàcs la “mimetizzazione” non è altro che la creazione di un apparenza naturale. Va da se che, quanto più l’arte si allontana dalla mìmesi, tanto più si astrae, crea un proprio universo simbolico che, per complessità e frammentazione, rende difficile il processo di comunicazione attraverso il quale il linguaggio dell’arte era in parte riuscito a infrangere le barriere e comunicare anche con civiltà e sistemi culturali diversi. L’arte allontanandosi dalla natura rischia di ridursi a gergalità.
Profezie inascoltate.
Ci sono libri che hanno grande successo, poi vengono dimenticati. Pare siano soprattutto libri che mettono in risalto la crisi della civiltà. Penso al libro di Freud: “Il disagio della civiltà”. A Rosenberg “Il tramonto dell'Occidente”, al più recente libro di Michel Onfray: “ Decadenza”. Potremmo continuare con l’elenco. Il libro di Benda “ Il tradimento dei chierici”, pubblicato a Parigi nel 1927, affrontò il tema dell'impegno sociale degli intellettuali, purtroppo trascurò un dettaglio molto importante, sono proprio gli intellettuali a contribuire al disagio sociale, creare quelle situazioni di degrado percepito e imitato dalla massa. Letto oggi il libro di Benda con riferimenti ad arte letteratura teatro che contiene,non solo è obsoleto, ma forse si rivolge a una platea sbagliata. Il paradosso è che i libri più recisamente cancellati dalla memoria collettiva, sono quelli, per così dire profetici, quelli le cui previsioni si sono avverate e sono riscontrabili nel degrado socio culturale della società contemporanea. E’ il caso di “Civiltà al bivio” di Radovan Richta. La critica d'arte in qualche modo si distingue per aver sempre dimostrato acquiescenza alla più retrive manifestazione delle cosiddette avanguardie, più che altro preoccupata di non creare turbativa al mercato. Oggi sui giornali e TV, nella descrizione di opere, ci tocca ascoltare ridicoli anacoluti nelle divagazioni di responsabili di gallerie, riviste d’arte,TV e quotidiani. Sembra che anche il settore delle arti sia diventato prerogativa femminile. Ciò spiega anche la tendenza di interpretare l'arte nell'ottica di genere ed attribuire prevalenza emotiva alla lettura delle opere d’arte. Quando Julian Benda si scaglia contro le crescenti barbarie delle società occidentali nel loro impoverimento culturale, nella subordinazione del pensiero agli interessi delle classi dominanti e afferma che il ruolo degli intellettuali è quello di custodi dei valori, e la loro attività non persegue fini pratici ma è unicamente rivolta verso il servizio della ragione, della verità, della Giustizia, scrive cose retoriche e false, ben lontane dalla realtà che conosciamo. Anche il pesante condizionamento e suggestione dei media sulle masse, è tema affrontato da molti studiosi tra i quali Jurgen Habermas, in un ottica diversa, da Noam Chomsky. Già Adorno aveva rilevato come la tv sia fonte di volgarità, la pubblicità oscena e martellante alimenta consumi e cattivo gusto che, inevitabilmente, si riverberano nei comportamenti collettivi.
piergiorgio firinu
Le possibilità dell’esperienza.
Una delle teorie degli epigoni di Kant poneva la questione se l’à priori trascendentale della conoscenza non si trovi, anziché, almeno in parte nel cervello, nell’intelletto, nel linguaggio umano effettivo. Il nucleo di questa tesi risale a Wilhem von Humboldt, di gran lunga il più fortunato tra i successori di Kant. Le condizioni di possibilità dell’esperienza sono anche le condizioni che rendono possibile gli oggetti dell’esperienza. Detta in altre parole: al di fuori del linguaggio non ci sono esperienza né oggetti empirici. Tuttavia sistemi simbolici più generali possono svolgere le veci del linguaggio. Nelle diverse etnie, gli antichi egizi, gli indiani Hopi, i giapponesi del XIX secolo, i rispettivi mondi empirici erano sistemi chiusi; ciò che non può entrare in essi non esiste, per loro non era un oggetto bensì un inconoscibile cosa in sé. La globalizzazione sembra porre in forse la pluralità di mondi che si sono andati formando dall’origine dell’uomo sulla terrà. La ricerca d’identità individuale tenta di resistere alla crescente omogeneizzazione planetaria ma spesso non lo fa in forme innovative, ma solo di rifiuto. Non si afferma una propria convinzione, si nega semplicemente quella dell’altro. Ernst Cassirer ha sviluppato il suoi studi sulla filosofia delle forme simboliche partendo dal principio che l’uomo non vive un universo soltanto fisico ma in un universo simbolico. Invece di avere a che fare con le cose, in un certo senso l’uomo è continuamente a colloquio con se stesso. Ha creato forme linguistiche, immagini artistiche, simboli mitici, riti e credenze religiose, la sua conoscenza è mediata da queste forme di comunicazione simbolica. Gli universi simbolici sono distinti gli uni dagl’altri; ciascuno è caratterizzato per se, non sempre è possibile la comunicazione, quanto più ancorato al trascendentale, ogni universo simbolico è sistema e paradigma chiuso. La natura e le sue leggi sono state , salvo alcune particolarità, esplorate dall’uomo che le ha decifrate. Come diceva Fontanelle: al tempo di Omero gli alberi non erano diversi da come sono ora. Lukàcs individua il compito dell’artista realista, in opposizione a quello di avanguardia in un duplice intervento. Innanzi tutto il riconoscimento della relazione tra realtà sociale e il momento della mimetizzazione artistica. Per Lukàcs la “mimetizzazione” non è altro che la creazione di un apparenza naturale. Va da se che, quanto più l’arte si allontana dalla mìmesi, tanto più si astrae, crea un proprio universo simbolico che, per complessità e frammentazione, rende difficile il processo di comunicazione attraverso il quale il linguaggio dell’arte era in parte riuscito a infrangere le barriere e comunicare anche con civiltà e sistemi culturali diversi. L’arte allontanandosi dalla natura rischia di ridursi a gergalità.
piergiorgio firinu
Il sesso, l’arte, la morte.
Afrodite nacque da un gesto violento, quando Urano, per vendicare la madre Terra castrò Crono e gettò i suoi testicoli in mare, dal sangue e la spuma bianca nacque la dea. Cupido,le cui frecce colpiscono il cuore, è il più antico degli dei e quindi di tutte le cose, ad eccezione di Caos. Artaud considera l’erotismo cosa minacciosa e demoniaca. In Art et la Mort descrive “questa preoccupazione del sesso che mi pietrifica e mi squarcia il sangue”. Il surrealismo aveva descritto con un certo ordine le repulsioni molto superficiali. Come disse Marcel Duchamp nel 1966, in contraddizione con Artaud: “ Il surrealismo rappresenta una politica spirituale della gioia. Anche Nietzsche aveva una visione negativa della sessualità. Egli scrisse ai suoi amici, subito prima del suo collasso mentale a Torino nel 1889, alcuni messaggi gnostici sulla trascendenza spirituale che l’arte consente mentre la sessualità aliena. E’ convinzione di molti che l’artista, per dar forma alle proprie intuizione, abbia bisogno di solitudine, non essere legato a nessun rapporto stabile. Benjamin aveva una pessima opinione del matrimonio. La esprime nel saggio su “Le affinità elettive” di Goethe. I suoi eroi sono Kirkegaard, Baudelaire, Proust, Kaffa, Kraus, artisti che non si sono mai sposati. Egli, in una lettera a Scholem, definì il suo matrimonio: un atto che mi fu fatale. L’arte è per Francesco Bacone, “ L’uomo aggiunto alla natura” , una simbiosi spirituale che trasforma la materia in pensiero creativo che può essere reso sterile dalla sessualità. L’aver affermato l’eterogeneità tra natura e arte ha condotto la filosofia a concepire l’arte come una mera aggiunta alla realtà naturale, nella quale inevitabilmente le pulsioni del corpo finiscono per avere il soppravvento. La conferma viene dal massiccio afflusso femminile nella produzione artistica. Le femministe, in particolare americane, usano l’arte come una sorta di ariete per demolire la struttura spirituale del pensiero creativo, sostituendola alla esibizione delle forme più laide di esibizionismo fisico. Oggi si sa molto bene, alla luce della teoria freudiana, discernere dietro qualsiasi pratica sociale, etica, politica , la “sublimazione”, la razionalizzazione secondaria di processi pulsionali. E’ diventato un clichè culturale descrivere in termini di rimozione e di determinazione fantasmatica, non più influenzata dalla presenza del padre, ma dominata dalla madre, come è chiarito da Jean Baudrillard nel libro “ Lo scambio simbolico e la morte”. L’avvento massiccio della presenza femminile, nel mondo dell’arte, evidenzia la esautorazione del padre. Salvo errore, non esiste una sola opera d’arte realizzata da artista donna che abbia per oggetto il maschio. L’arte femminista si ferma alla provocazione. Per altro appare chiaro che, la dicotomica alla teorizzazione dell’autonomia sessuale femminile, accompagna un disagio psichico in non pochi casi con esiti fatali.
piergiorgio firinu
Il sesso, l’arte, la morte.
Afrodite nacque da un gesto violento, quando Urano, per vendicare la madre Terra castrò Crono e gettò i suoi testicoli in mare, dal sangue e la spuma bianca nacque la dea.
Cupido,le cui frecce colpiscono il cuore, è il più antico degli dei e quindi di tutte le cose, ad eccezione di Caos.
Artaud considera l’erotismo cosa minacciosa e demoniaca. In Art et la Mort descrive “questa preoccupazione del sesso che mi pietrifica e mi squarcia il sangue”.
Il surrealismo aveva descritto con un certo ordine le repulsioni molto superficiali. Come disse Marcel Duchamp nel 1966, in contraddizione con Artaud: “ Il surrealismo rappresenta una politica spirituale della gioia.
Anche Nietzsche aveva una visione negativa della sessualità. Egli scrisse ai suoi amici, subito prima del suo collasso mentale a Torino nel 1889, alcuni messaggi gnostici sulla trascendenza spirituale che l’arte consente mentre la sessualità aliena.
E’ convinzione di molti che l’artista, per dar forma alle proprie intuizione, abbia bisogno di solitudine, non essere legato a nessun rapporto stabile. Benjamin aveva una pessima opinione del matrimonio. La esprime nel saggio su “Le affinità elettive” di Goethe. I suoi eroi sono Kirkegaard, Baudelaire, Proust, Kaffa, Kraus, artisti che non si sono mai sposati. Egli, in una lettera a Scholem, definì il suo matrimonio: un atto che mi fu fatale.
L’arte è per Francesco Bacone, “ L’uomo aggiunto alla natura” , una simbiosi spirituale che trasforma la materia in pensiero creativo che può essere reso sterile dalla sessualità.
L’aver affermato l’eterogeneità tra natura e arte ha condotto la filosofia a concepire l’arte come una mera aggiunta alla realtà naturale, nella quale inevitabilmente le pulsioni del corpo finiscono per avere il soppravvento. La conferma viene dal massiccio afflusso femminile nella produzione artistica. Le femministe, in particolare americane, usano l’arte come una sorta di ariete per demolire la struttura spirituale del pensiero creativo, sostituendola alla esibizione delle forme più laide di esibizionismo fisico.
Oggi si sa molto bene, alla luce della teoria freudiana, discernere dietro qualsiasi pratica sociale, etica, politica , la “sublimazione”, la razionalizzazione secondaria di processi pulsionali. E’ diventato un clichè culturale descrivere in termini di rimozione e di determinazione fantasmatica, non più influenzata dalla presenza del padre, ma dominata dalla madre, come è chiarito da Jean Baudrillard nel libro “ Lo scambio simbolico e la morte”.
L’avvento massiccio della presenza femminile, nel mondo dell’arte, evidenzia la esautorazione del padre. Salvo errore, non esiste una sola opera d’arte realizzata da artista donna che abbia per oggetto il maschio. L’arte femminista si ferma alla provocazione. Per altro appare chiaro che, la dicotomica alla teorizzazione dell’autonomia sessuale femminile, accompagna un disagio psichico in non pochi casi con esiti fatali.
La forma cosciente.
Quanto della critica e filosofia dell’arte resterebbe se adottassimo con diligenza il rasoio di Occam? I complessi articolati teoremi di Hegel aiutano davvero a comprendere l’arte? Vi è un paradosso costante, da un lato si esalta l’arte come la migliore più incisiva forma di comunicazione umana, lo si fa all’interno di testi che si attardano in complesse ermeneutiche volte a dare significato, chiarire senso e ragione delle opere prese in esame. Un altro aspetto quanto meno discutibile è considerare l’opera frutto della intuizione dell’artista. Cosa significa intuizione? L’impulso che spinge l’artista a realizzare l’opera? Dunque l’opera nasce dall’incoscienza dell’artista, dietro alla quale si suppone vi sia una sedimentazione culturale a lungo meditata. Osservando la maggior parte delle opere prodotte nell’ultimo secolo, forse parlare di cultura è fuori luogo. Questo punto non è mai stato esaminato e chiarito a sufficienza. Quando Heidegger in “Origine dell’opera d’arte” tenta una sua versione del tema che corrisponde al titolo, finisce per parlare d’altro scandendo in tautologie. Come quando afferma: “L’artista è origine dell’opera. L’opera è l’origine dell’artista”. In realtà l’artista non è un automa, isolato, facitore d’arte. L’artista è un corpo, con sensazioni, intelligenza, impulsi, un grumo di sensibilità ed esperienza. Ed esattamente questo il nocciolo della questione. La sensibilità ha una valenza positiva ed una negativa. Positiva perché consente all’artista di captare l’accadere nella fenomenologia sociale. Negativa perché lo rende vulnerabile alle influenze negative di una esperienza quando non è filtrata da cultura e volontà. Infatti la rappresentazione che l’artista offre è frutto di sapere e volontà, questo è sempre stato vero, lo è molto più oggi che l’artista si ritiene libero di usare strumenti ed affrontare temi che un tempo sarebbero stati improponibili. Il prezzo della libertà che l’artista si attribuisce, non può ridursi a gesti estemporanei, provocazioni che ormai sono prassi, ma richiede maggiore preparazione e consapevolezza che viene, o dovrebbe essere espressa nel contenuto dell’opera. Quando tutto si riduce ad estemporaneità e provocazione, diventa velleitarismo adatto a un mercato di squillionari amanti del ktsch
piergiorgio firinu
La forma cosciente.
Quanto della critica e filosofia dell’arte resterebbe se adottassimo con diligenza il rasoio di Occam? I complessi articolati teoremi di Hegel aiutano davvero a comprendere l’arte?
Vi è un paradosso costante, da un lato si esalta l’arte come la migliore più incisiva forma di comunicazione umana, lo si fa all’interno di testi che si attardano in complesse ermeneutiche volte a dare significato, chiarire senso e ragione delle opere prese in esame.
Un altro aspetto quanto meno discutibile è considerare l’opera frutto della intuizione dell’artista. Cosa significa intuizione? L’impulso che spinge l’artista a realizzare l’opera? Dunque l’opera nasce dall’incoscienza dell’artista, dietro alla quale si suppone vi sia una sedimentazione culturale a lungo meditata. Osservando la maggior parte delle opere prodotte nell’ultimo secolo, forse parlare di cultura è fuori luogo.
Questo punto non è mai stato esaminato e chiarito a sufficienza. Quando Heidegger in “Origine dell’opera d’arte” tenta una sua versione del tema che corrisponde al titolo, finisce per parlare d’altro scandendo in tautologie. Come quando afferma: “L’artista è origine dell’opera. L’opera è l’origine dell’artista”. In realtà l’artista non è un automa, isolato, facitore d’arte. L’artista è un corpo, con sensazioni, intelligenza, impulsi, un grumo di sensibilità ed esperienza. Ed esattamente questo il nocciolo della questione. La sensibilità ha una valenza positiva ed una negativa. Positiva perché consente all’artista di captare l’accadere nella fenomenologia sociale. Negativa perché lo rende vulnerabile alle influenze negative di una esperienza quando non è filtrata da cultura e volontà. Infatti la rappresentazione che l’artista offre è frutto di sapere e volontà, questo è sempre stato vero, lo è molto più oggi che l’artista si ritiene libero di usare strumenti ed affrontare temi che un tempo sarebbero stati improponibili. Il prezzo della libertà che l’artista si attribuisce, non può ridursi a gesti estemporanei, provocazioni che ormai sono prassi, ma richiede maggiore preparazione e consapevolezza che viene, o dovrebbe essere espressa nel contenuto dell’opera.
Quando tutto si riduce ad estemporaneità e provocazione, diventa velleitarismo adatto a un mercato di squillionari amanti del ktsch
Sensibilità e significato.
È mia opinione che l'arte, per più ragioni, costituisca la più acclarata dimostrazione di enfasi antropologica che pare essere cresciuta in modo inversamente proporzionale al valore delle opere prodotte nell’ultimo secolo. La critica e filosofica dell’arte non esercitano mai una vera critica, ma piuttosto una sorta di celebrazione dell’opera e dell’astista, oltre a ciò l’ermeneutica è quasi sempre portata avanti in modo generico. In più occasioni mi sono soffermato su questo aspetto. Accanto a opere veramente significative, molte di più possono essere definite quanto meno deludenti. Supporre che tutta l'arte possa avere significato culturale che resta con il passare dei secoli, è un azzardo. La Filosofia antica tratta con ampiezza del relativismo soggettivistico e fenomenico, che, sebbene anacronistico, è parte della tradizione antica pervasa da relativismo oggettivistico e realistico. Com’è noto Platone considerava negativamente l’arte e la considerava frutto di doppia illusione. Socrate insegnava ai suoi allievi il metodo per inventare le idee, ma le idee, non avevano necessariamente un fine pratico. Una delle interpretazioni della teoria di Protagora che si fonda su un'altra tesi che gli viene attribuita; il divenire è universale e incessante nulla esiste o è una data cosa in maniera permanente. Dunque qual è la permanenza del significato etimologico dell’arte? L’ermeneutica procede dall'oggetto, dalle qualità sensibili, ma spesso trascura il significato. Teoricamente vi è la possibilità di una doppia fruizione, emotiva che si affida all'organo del senso che produce la sensazione. Fruizione razionale tesa a identificare il significato nell’opera. Non esiste che il rapporto determinato dalla relazione oggetto-pensiero, oggetto-sensazione. Non sembra esserci altra tesi alla base dell’interpretazione che Platone attribuisce vagamente a Protagora, anche se non vi è certezza possa essergli storicamente attribuita. Per Platone non esisterebbe un nesso analitico tra fenomeno, arte, e essere, Solo la produzione di un illusorio valore della rappresentazione formale, ciò che noi definiamo genericamente arte. Il sofista Gorcia, trascinato da una incontenibile vena polemica, svolge la sua filosofia dell’arte che appare più che altro sotto forma di speculazione, per lui, maestro di retorica, l’intento è dare una prova del suo virtuosismo dialettico, ovvero la capacità di creare significato attraverso la parola. Potremmo definirlo un precursore della filosofia dell’arte. Il suo virtuosismo gli conferisce grande capacità di elaborazione, non sempre corretta, e coerente con la base di quanto effettivamente può essere l’essenza dell’opera d’arte. Nell’ultimo secolo critica e filosofia dell'arte hanno creato situazioni e significati immaginifici, difficilmente ravvisabili nell'oggetto osservato. Questo è un aspetto sul quale non si riflette mai abbastanza. L'arte è semplicemente un tentativo di dare forma al pensiero, come afferma Hegel, ma, a differenza del mobile pensiero, l’opera d’arte, nella sua staticità, non sempre conserva significato e valore. Dare forma alla storia del pensiero attraverso l'immagine. è prerogativa dei grandi artisti il cui segno resta una traccia del passato che la nostra sensibilità ancora recepisce.
piergiorgio firinu
Sensibilità e significato.
È mia opinione che l'arte, per più ragioni, costituisca la più acclarata dimostrazione di enfasi antropologica che pare essere cresciuta in modo inversamente proporzionale al valore delle opere prodotte nell’ultimo secolo.
La critica e filosofica dell’arte non esercitano mai una vera critica, ma piuttosto una sorta di celebrazione dell’opera e dell’astista, oltre a ciò l’ermeneutica è quasi sempre portata avanti in modo generico. In più occasioni mi sono soffermato su questo aspetto. Accanto a opere veramente significative, molte di più possono essere definite quanto meno deludenti. Supporre che tutta l'arte possa avere significato culturale che resta con il passare dei secoli, è un azzardo.
La Filosofia antica tratta con ampiezza del relativismo soggettivistico e fenomenico, che, sebbene anacronistico, è parte della tradizione antica pervasa da relativismo oggettivistico e realistico. Com’è noto Platone considerava negativamente l’arte e la considerava frutto di doppia illusione.
Socrate insegnava ai suoi allievi il metodo per inventare le idee, ma le idee, non avevano necessariamente un fine pratico. Una delle interpretazioni della teoria di Protagora che si fonda su un'altra tesi che gli viene attribuita; il divenire è universale e incessante nulla esiste o è una data cosa in maniera permanente.
Dunque qual è la permanenza del significato etimologico dell’arte? L’ermeneutica procede dall'oggetto, dalle qualità sensibili, ma spesso trascura il significato.
Teoricamente vi è la possibilità di una doppia fruizione, emotiva che si affida all'organo del senso che produce la sensazione. Fruizione razionale tesa a identificare il significato nell’opera.
Non esiste che il rapporto determinato dalla relazione oggetto-pensiero, oggetto-sensazione. Non sembra esserci altra tesi alla base dell’interpretazione che Platone attribuisce vagamente a Protagora, anche se non vi è certezza possa essergli storicamente attribuita.
Per Platone non esisterebbe un nesso analitico tra fenomeno, arte, e essere, Solo la produzione di un illusorio valore della rappresentazione formale, ciò che noi definiamo genericamente arte.
Il sofista Gorcia, trascinato da una incontenibile vena polemica, svolge la sua filosofia dell’arte che appare più che altro sotto forma di speculazione, per lui, maestro di retorica, l’intento è dare una prova del suo virtuosismo dialettico, ovvero la capacità di creare significato attraverso la parola. Potremmo definirlo un precursore della filosofia dell’arte. Il suo virtuosismo gli conferisce grande capacità di elaborazione, non sempre corretta, e coerente con la base di quanto effettivamente può essere l’essenza dell’opera d’arte.
Nell’ultimo secolo critica e filosofia dell'arte hanno creato situazioni e significati immaginifici, difficilmente ravvisabili nell'oggetto osservato. Questo è un aspetto sul quale non si riflette mai abbastanza.
L'arte è semplicemente un tentativo di dare forma al pensiero, come afferma Hegel, ma, a differenza del mobile pensiero, l’opera
d’arte, nella sua staticità, non sempre conserva significato e valore.
Dare forma alla storia del pensiero attraverso l'immagine. è prerogativa dei grandi artisti il cui segno resta una traccia del passato che la nostra sensibilità ancora recepisce.
Arte e verità.
Vi è un rapporto tra arte e verità? Nel caso, come si articola questo particolare rapporto? La filosofia contemporanea ha molto contribuito a confondere e ridimensionare il concetto di verità. A partire dal “Il pensiero debole” di Gianni Vattimo pubblicato nel 1988. Al pragmatismo deviante di matrice statunitense dei filosofi dell’arte che ricorrono a forzature ontologiche che sembrano cancellare millenni di filosofia riflettente. Nel 2005 due filosofi americani, Pascal Engel e Richard Rorty pubblicarono: “A cosa serve la verità?” In pratica misero in discussione lo stesso valore della verità. Gli artisti dal canto loro hanno, da almeno un secolo, iniziato un lungo percorso verso il nulla ontologico. Heidegger sostiene tre tesi che caratterizzano la concezione tradizionale dell’essenza della verità e l’opinione circa la sua prima definizione: 1) Il luogo della verità è l’enunciato (il giudizio). 2) L’essenza della verità sta nella concordanza del giudizio con l’oggetto. 3) Aristotele, il padre della logica, ha da un lato attribuito la verità al giudizio , come suo luogo d’origine, e dall’altro ha varato la definizione della verità come concordanza. Se la verità consiste nella adeguazione di una conoscenza al suo oggetto, tale oggetto deve per ciò stesso essere distinto dagli altri; una conoscenza è falsa se non si adegua all’oggetto a cui è riferita, benché contenga qualcosa che potrebbe a ragione valere per altri oggetti. Nella introduzione alla “Dialettica trascendentale”, Kant dice:” Verità e parvenza non sono nell’oggetto in quanto intuito, ma nel giudizio su di esso in quanto pensato” Cosa significa: concordanza? La concordanza di qualcosa con qualcosa ha carattere di relazione di qualcosa con qualcosa. Ogni concordanza quindi è anche la verità, è una relazione. Ma non ogni relazione è concordanza. Un’opera d’arte che riproduce un paesaggio o una persona, ha necessariamente relazione con il paesaggio o alla persona che, comunque immaginati, hanno tratti di riferimento certi. Viso, alberi, prati, case, che sono riprodotti ma non hanno contenuto di verità, sono prodotti dell’immaginazione. Picasso in una intervista del 1923 definì l’arte:” Una bella menzogna in grado di portarci alla verità”. Una opinione tra le molte facili definizioni che finiscono in stereotipi ripetuti all’infinito. A parte i truismi di Picasso, il sopravalutato divo dell’arte del secolo scorso, Horkheimer e Adorno in “Dialettica dell’illuminismo” affrontano con ben altri strumenti il problema dell’arte considerata nell’ottica del nostro tempo che arriva a considerare la verità una forma di superstizione, Concetto che gran parte del mondo dell’arte accetta, aprendo così la via alle brutture che sono seguite.
piergiorgio firinu
Le stagioni del nostro scontento.
Dove maggiori sono l’inquietudine e il dubbio nella nostra cultura e nella nostra società; e quando anche i programmi di una cultura e di una società nuove sembrano inadeguati; allora incontriamo le parole che indicano il nodo non sciolto, il viluppo inestricabile. Queste parole sono: diffidenza, anormalità, emarginazione, esclusione. L’enfatica invocazione all’uguaglianza degli uomini resta ipocrita e contraddittoria perché si fonda su una presunta regola e norma che ignora ordine e valori superiori all’esperienza sensibile che ha il corpo come riferimento primario, Ciò conduce all’ anarchia sociale nella quale l’etica è soppressa. Per Cudworth il sentimento etico è innato ,egli sostiene che agiamo in modo sbagliato quando non ascoltiamo la coscienza. L’esperienza ci dice che, purtroppo, la coscienza non è sempre attiva nel far sentire le proprie indicazioni. E’ lo scoglio che ogni illuminismo incontra sulla sua strada. Intorno a esso molto si è discusso e si continua a discutere, ma sempre, rifacendoci a principi di carattere generale, insomma cercando di dialetizzare, superare, dissolvere, i problemi che non sappiamo risolvere, includiamo nel discorso il tema “differenza” solo come pretesto di decettive manipolazione della realtà. Il pensiero critico di Adorno e Horheimer ha affrontato la questione della libertà sociale, tralasciando la libertà individuale. Lo snodo sta nella prassi che porta a disattendere, anzi a negare la validità delle regole, senza le quali non può esistere una società che possa dirsi civile e giusta. E’ difficile conciliare soggettività che la rimozione delle regole incrementa. Il mito della libertà si scontra con la realtà di esistenze difficili e una sempre più problematica realtà sociale. I giovani tentano di far sentire la loro voce ipotizzando una migliore e più libera società. La loro presa di posizione suscita molti interrogativi, anche perché contrasta con i loro comportamenti e la mancanza d’impegno. D’altra parte il livello dell’insegnamento nelle scuole di ogni ordine e grado e nelle università è carente. Vi è un eccessivo lassismo pedagogico che finisce per penalizzare i migliori. Docenti impreparati, orientati e condizionati dal pensiero unico secondo cui l’etica è null’atro che retorica che appartiene al passato. Gli intellettuali si considerano progressisti mentre si richiamano a teorie sclerotizzate e non sempre comprese, ma soprattutto sono privi di dignità e valori. . . In molti sembrano avere rinunciato alla speranza di una società migliore, non basta contestare senza preoccuparsi di acquisire la conoscenza necessaria per incidere davvero sui processi sociali. Per questo il richiamo alla libertà ha spesso motivazioni sbagliate, ingannevoli specie nei confronti dei giovani. Nel campo dell’arte assistiamo al disastro provocato dalle avanguardie la cui “libertà creativa” si è rivelata un fallimento totale, e ha portato al dominio del mercato e il cattivo gusto.
piergiorgio firinu
Che cosa è oggi ciò che definiamo cultura?
I grandi artisti greci per lo più nutrivano la loro immaginazione con la narrazione dei miti dei grandi filosofi presocratici. Fu fonte di ispirazione la narrazione di Esiodo: “Opere e i giorni”, grande poeta e narratore appartenente alla antichissima produzione della scuola beotica.
Ferecide altro grande creatore di miti. Acusilao, le cui genealogie in prosa sembra però fossero soltanto una replica di Esiodo
Cercare dì interpretare gli antichi miti è un’impresa a cui si sono dedicati generazioni di studiosi,dando interpretazioni e versioni diverse, anche perché quell’antica cultura è giunta a noi solo attraverso frammenti. Ciò nonostante anche la cultura dei filosofi che sono succeduti ai presocratci, Platone e Aristotele in primis, si è nutrita della antica mitologia.
Il richiamo a questa antica cultura ha il senso di marcare la differenza tra ciò che nutriva l’ispirazione dei grandi artisti dell’antica Grecia e gli artisti contemporanei.
Ciò che oggi chiamiamo cultura costituisce invenzione, l’esercizio di un imperfetto uso della memoria. Il discorso sull’arte trascura l’importante riferimento all’origine che non consiste nella sofistica elaborazione di Heidegger contenuta in “L’origine dell’opera d’arte” ( 1950)
Andando con il pensiero all’infanzia della civiltà emerge chiaro l’abisso che ci separa dalla profonda cultura che ispirava gli artisti dell’antica Grecia che hanno creato opere d’arte immortali. Dovremmo renderci consapevoli che immaginazione e creatività non sono affatto soggette al progresso, al contrario, proprio l’ansia di progresso ha prodotto l’orrido vuoto del pensiero contemporaneo.
Dovremmo avere la consapevolezza che l’esistenza è il percorso dall’innocenza all’esperienza. In questo percorso si va incontro alla inevitabile contaminazione. La civiltà dei consumi è la conseguenza di questa contaminazione il cui prodotto è una finta libertà priva di significato.
Già Thomas Man aveva, in più libri, affrontato il tema dell’artista, privo di coscienza critica e per questo incapace di creare. Andiamo quindi incontro alla civiltà nella quale la realtà è sostituita da simulacri, tema affrontato da Jean Baudrillard.
Anche la filosofia e critica d’arte sono permeate dalla stessa superficialità,quella che Heidegger definitiva: la verità sottoposta alla soggettività del giudizio. In questo modo viene usurpata la dignità del problema dell’arte
Come possono il brutto e il disarmonico suscitare piacere.
La prima opera d’arte astratta fu presentata da Wassilj Kandinskj nel 1910. Kandinsky era un giurista di grande cultura. Accompagnò la presentazione della sua opera con una esposizione tematica di profonda spiritualità. Suo nipote, il filosofo hegeliano Alexandre Kojève scrisse un libro nel quale dette una lettura delle opere di Kandinsky di notevole spessore filosofico. Da allora l’arte astratta ha dilagato, ma soprattutto, l’arte astratta, demolendo in qualche modo le teorizzazioni della critica d’arte sull’arte figurativa, ha aperto un varco che ha provocata la deflagrazione dei più deleteri fenomeni artistici. Come conseguenza la questione del valore dell’opera è andato sfumando nell’infittirsi di teorie ermeneutiche basate sull’assunto che il valore passi attraverso l’esperire soggettivo. A rendere più problematica la lettura dell’opera, in questi ultimi anni si è innescata la diatriba che verte sul quesito: l’opera d’arte è meglio recepita attraverso l’approccio emotivo o attraverso l’esame critico basato sulla ragione? Tramite questa domanda la psicologia è entrata a gamba tesa nel campo dell’interpretazione dell’arte, le categorie valoriali sono state radicalmente capovolte. Così l’edonismo ha finito per prendere il sopravvento anche nel campo dell’arte assumendo l’aspetto di uno scetticismo di maniera che non tiene in nessun conto la vera radice dello scetticismo logico-teoretico- conoscitivo,tema che risale ad Aristotele, il quale nella Etica Nicomachea criticava la visione edonistica dell’arte di Eudosso . A proposito dell’edonismo materialista significativa l’affermazione di Goethe su Shakespeare :” Nessuno ha disprezzato il costume materiale più di lui; egli conosce benissimo il costume interiore degli uomini”. Come possono il brutto e disarmonica suscitare piacere estetico? Nietzsche sosteneva che :“ Le cose più nobili ed elevate non agiscono affatto sulle masse”. Siccome però il consenso è il concime del potere, meglio assecondare le masse, anche in base al principio che divertire è più facile che educare.
piergiorgio firinu
Sensibilità e ragione.
I filosofi che si sono occupati di etica hanno fatto distinzione tra etica del sentimento ed etica della ragione. Il sentimento attiene alla sensibilità e privilegia impulsi individuali. Sofocle affrontò il tema in Antigone dove narrò del confronto tra Antigone, sorella di Edipo, che si battè strenuamente per ottenere che Creonte concedesse la sepoltura a suo fratello Polinice. L’etica del sentimento, vale a dire della preminenza dell’emotività, concerne anche l’arte, nell’approccio emotivo e nella lettura delle opere. Il tema è stato trattato di recente nel libro “ La tirannia delle emozioni” di Paolo D’Angelo. Per Shafterbury, teorico dell’etica del sentimento, la morale è un’estetica delle inclinazioni. Il gusto deve essere integrato dalla cultura. Quale cultura? Vale l’affermazione dello stesso filosofo: “ Il bello è indice di perfezione”. Cumberland, altro esponente dell’etica del sentimento, afferma che vi è coincidenza tra virtù e felicità. Questo, mi si passi la boutade, spiegherebbe perché c’è tanta infelicità nel mondo contemporaneo. E’ chiaro che l’etica del sentimento accantona la ragione come guida verso la comprensione delle norme che regolano i rapporti interpersonali e sociali a prescindere dalle ragioni eidetiche. L’uomo contemporaneo, non solo ha eliminato da lessico e prassi i sentimenti nobili come virtù, dovere, responsabilità, ma ritiene che la civiltà sia basata sui diritti individuali di qualsiasi genere. Va da se che i diritti, per concretizzarsi, comportano in primo luogo che non ledano il rispetto del prossimo e della società. Sappiamo che così non è. Da cosa è determinato il comportamento pratico delle masse? Di recente un gruppo di studenti ha manifestato in corteo contro il merito, per costoro era un loro diritto non essere giudicati in base al merito. L’uomo dovrebbe essere motivato verso qualcosa che lo renda capace di affrontare le difficoltà che la vita presenta. Invece prevale un sentimento edonistico. L’arte riflette questa tendenza. David Hume Fu forse il più grande degli spiriti critici della insorgente modernità. Nella sua opera, “Trattato sulla natura umana” , travalica lo psicologismo di Locke e affronta il tema del porsi praticamente della persona nella società, egli è consapevole che l’etica del sentimento si traduce spesso in solipsismo e nella pratica del peggior darwinismo sociale.
piergiorgio firinu
La dotta ignoranza della contemporaneità.
I filosofi da secoli tentano di affrontare il problema dell’essere umano, tra mille contraddizioni. Heidegger afferma: “Al di là dell’esame letterale di ciò che i filosofi hanno detto, in pochi sono riusciti a capire ciò che hanno voluto dire. Nel frattempo la civiltà prosegue il declino archiviando tutto ciò che limita o contrasta la piena libertà del corpo. Nel 1889 Enrico Bergson sostenne alla Sorbona l’esame per il dottorato, presentando come tesi “Il saggio sui dati immediati della coscienza”. Diventerà il suo libro di maggior successo. Egli scrive: “ Per lo più, viviamo esteriormente a noi stessi, scorgiamo del nostro io il fantasma …..viviamo per il mondo esterno anziché per noi, parliamo più di quanto pensiamo..” L’America, tra il pragmatismo dei suoi filosofi, inclusi gli anacoluti dei filosofi dell’arte, ha contribuito non poco ad avviare la deriva dell’Occidente. Nel libro “Dopo la fine dell’arte” pubblicato da Arthur C. Danto nel 1997,l’autore scriveva: “ ..La Metafisica era priva di senso perché era del tutto scollegata dall’esperienza, nonché dall’osservazione”. In questo modo viene liquidato il profondo pensiero dei filosofi che hanno tentato di definire la natura, l’essenza dell’uomo, i grandi pensatori dell’Occidente liquidati da presuntuoso parvenu. In realtà la Metafisica evidenzia i nostri limiti , tenta di dare risposte ad aspetti fondamentali della natura umana e dell’esistenza dell’uomo. La società occidentale ha archiviato gran parte dello studio della cultura umanistica, quasi a far tacere la coscienza critica che mette in crisi la realtà contemporanea. Kant ha preferito porre la libertà fuori dal tempo ed elevare una barriera insuperabile tra il mondo dei fenomeni e quello delle cose in se, perché, egli sostiene, la ragione non è, e non potrà mai diventare popolare La metafisica si pone il problema d’indagare le facoltà fondamentali dell’essere umano, quindi si traduce in antropologia al massimo livello. Nicola Cusano nel 1440 scrisse il libro “La dotta ignoranza” , segno che il problema della semplificazione truistica è antico. Ma la contemporaneità, anziché correre ai ripari, incrementa il qualunquismo socio-culturale Nel 2005 Pascal Engel e Richard Rorty pubblicarono “A cosa serve la verità”, compendio di cinismo ed approssimazione culturale che fa il verso a Pilato quando si chiese: “Cos’è la verità?”.
piergiorgio firinu
Immaginazione e conoscenza.
Da tempo è in atto un dibattito sulla fruizione emotiva dell’arte. Alcuni ritengono l’emotività un modo ottimale di affrontare la lettura dell’opera, altri propendono per l’approccio razionale. Entrambe le opinioni sono apofantiche perché trascurano di considerare le suggestioni a cui siamo soggetti, oltre alla qualità e la natura delle esperienze soggettive. Kant riduce espressamente lo scaturire della nostra esperienza a due fonti principali. Egli sostiene che innanzi tutto è da considerare la ricettività delle impressioni. Il secondo aspetto è quello che conosce in un oggetto le rappresentazioni, ovvero spontaneità dei concetti. La conoscenza umana forse è legata a meccanismi mentali ancora in parte sconosciuti. Si da per certo abbia origine dalla sensibilità e dall’intelletto. Mediante il primo gli oggetti ci vengono dati. Con il secondo vengono pensati. Senza dubbio gioca un ruolo la interiezione che però è poco di aiuto nella interpretazione del fenomeno arte. Quando Einstein afferma che l’immaginazione è più importante della conoscenza, dice cosa vera perché l’immaginazione è una forma di intelligenza creativa potenzialmente infinita, mentre la conoscenza è per definizione limitata oltreché non sempre corretta. L’immaginazione non è riducibile alla sola sensibilità e alla ragione, se l’immaginazione creativa nasce esclusivamente dall’esperienza, per così dire si materializza, e non è più pura immaginazione, è simile alla emersione dal fiume carsico creato dal nostro vissuto e dal nostro pensato che ad un tratto emerge con prorompente energia e consente di creare ciò che forse a lungo abbiamo pensato. Ecco perché il vissuto è importante. L’eristica usata da critici e filosofi dell’arte è un fattore di suggestione, non di conoscenza, con la scrittura sinottica dei cataloghi, si indirizza l’osservatore verso una interpretazione funzionale alla valorizzazione dell’opera il cui contenuto è spesso banausico. In “Nascita della tragedia” Nietzsche sottolinea l’enorme contrasto, per origine e per fini, tra l’arte dello sculture e del pittore, da lui considerata apollinea, e l’arte non figurativa della musica che considera dionisiaca. Oggi queste distinzioni non hanno forse molto senso, visto la commistione delle arti. La nostra epoca, che si crede superiore, usa l’idea di libertà, anche per l’arte, come un passepartout per ogni forma di devianza. Il risultato è che l’artista il quale produce forme vuote, è suo malgrado la cifra del tempo che viviamo. Nel 1958 Jean Paul Sartre pubblicò “La nausea” . Nel libro narra del vuoto incolmabile che si stava creando nella società occidentale, la rinuncia ai valori e frustrazione all’origine dello scivolamento di Antonio Roquentin, protagonista del romanzo. Da allora molta acqua è passata sotto i ponti della Senna, nel frattempo l’occidente non è certo migliorato.
piergiorgio firinu
Immaginazione e conoscenza.
Da tempo è in atto un dibattito sulla fruizione emotiva dell’arte. Alcuni ritengono l’emotività un modo ottimale di affrontare la lettura dell’opera, altri propendono per l’approccio razionale. Entrambe le opinioni sono apofantiche perché trascurano di considerare le suggestioni a cui siamo soggetti, oltre alla qualità e la natura delle esperienze soggettive. Kant riduce espressamente lo scaturire della nostra esperienza a due fonti principali. Egli sostiene che innanzi tutto è da considerare la ricettività delle impressioni. Il secondo aspetto è quello che conosce in un oggetto le rappresentazioni, ovvero spontaneità dei concetti. La conoscenza umana forse è legata a meccanismi mentali ancora in parte sconosciuti. Si da per certo abbia origine dalla sensibilità e dall’intelletto. Mediante il primo gli oggetti ci vengono dati. Con il secondo vengono pensati. Senza dubbio gioca un ruolo la interiezione che però è poco di aiuto nella interpretazione del fenomeno arte. Quando Einstein afferma che l’immaginazione è più importante della conoscenza, dice cosa vera perché l’immaginazione è una forma di intelligenza creativa potenzialmente infinita, mentre la conoscenza è per definizione limitata oltreché non sempre corretta. L’immaginazione non è riducibile alla sola sensibilità e alla ragione, se l’immaginazione creativa nasce esclusivamente dall’esperienza, per così dire si materializza, e non è più pura immaginazione, è simile alla emersione dal fiume carsico creato dal nostro vissuto e dal nostro pensato che ad un tratto emerge con prorompente energia e consente di creare ciò che forse a lungo abbiamo pensato. Ecco perché il vissuto è importante. L’eristica usata da critici e filosofi dell’arte è un fattore di suggestione, non di conoscenza, con la scrittura sinottica dei cataloghi, si indirizza l’osservatore verso una interpretazione funzionale alla valorizzazione dell’opera il cui contenuto è spesso banausico. In “Nascita della tragedia” Nietzsche sottolinea l’enorme contrasto, per origine e per fini, tra l’arte dello sculture e del pittore, da lui considerata apollinea, e l’arte non figurativa della musica che considera dionisiaca. Oggi queste distinzioni non hanno forse molto senso, visto la commistione delle arti. La nostra epoca, che si crede superiore, usa l’idea di libertà, anche per l’arte, come un passepartout per ogni forma di devianza. Il risultato è che l’artista il quale produce forme vuote, è suo malgrado la cifra del tempo che viviamo. Nel 1958 Jean Paul Sartre pubblicò “La nausea” . Nel libro narra del vuoto incolmabile che si stava creando nella società occidentale, la rinuncia ai valori e frustrazione all’origine dello scivolamento di Antonio Roquentin, protagonista del romanzo. Da allora molta acqua è passata sotto i ponti della Senna, nel frattempo l’occidente non è certo migliorato.
piergiorgio firinu
La mente impermeabile al pensiero.
L’assuefazione alla realtà, la dominanza dell’animale che è in noi, rende la mente impermeabile al pensiero. Aristotele sosteneva che l’uomo è un animale razionale, quindi nella misura in cui viene meno la ragione, l’animale prevale. Non è vero che la cultura renda migliori, fornisce solo la capacità di giustificare le proprie aberrazioni. Scriveva Chanfort: “ il teatro è la prova che gli esseri umani, anziché correggere i propri vizi, preferiscono celebrarli”. Proviamo immaginare cosa scriverebbe Chanfort oggi. Se queste affermazioni appaiono eccessive, pensiamo a quanto poco ha inciso la cultura nei secoli a partire dalla Grecia antica. Di fronte al crescente degrado della società, non si vedono tentativi di ristabilire un minimo di etica, anzi il degrado non è affatto percepito. Le domande essenziali dell’esistenza sono diventate argomento per umoristi. Nietzsche, nei cui testi si raccoglie la tradizione nella variante moderna, soprattutto positivistica, ha messo in opposizione l’apparenza con l’arte, entrambe modi di espressività dotate di modalità e realtà diverse, arrivando alla conclusione che l’apparenza cancella l’arte, riducendola rappresentazione priva di significato. La filosofia dell’arte rappresenta l’aspetto pleonastico dell’argomentare. Rendersi intellegibile è il suicidio della filosofia. Coloro che idolatrano i fatti, nel senso di opere “apparenti”, non si rendono conto che i loro idoli brillano solo di luce riflessa, se ne rendessero conto forse sarebbero sconcertati. L’ermeneutica culturale, cioè l’interpretazione dei fenomeni sociali, è al servizio dello status quo e del mercato, questo è uno degli aspetti peggiori di una società dell’apparenza. Come scrive Heidegger non si può spacciare per ragione l’argomentare solipsistico che giustifica la nostra crescente inadeguatezza. Il pensiero è lo strumento per formulare le domandare. Porre domande è un’operazione difficile, la motivazione del domandare è già una parziale risposta. Non a caso la filosofia di Parmenide, Eraclito, Platone consiste innanzi tutto nel domandare. Domandare è l’inizio non solo della filosofia ma della civiltà. Senonchè, siamo vincolati da troppo tempo e troppo saldamente alla contemplazione di noi stessi e al soddisfacimento dei bisogni del corpo. Anassimandro ha descritto in modo esemplare i limiti che la carne pone al pensiero. L’intera storia umana si basa sul confronto e soggiogamento della natura . Nel libro “ Contributi alla filosofia” , Heidegger cita spesso Holderlin, il poeta che, per lui, più di ogni altro ha intuito il futuro di ciò che sarebbe stato possibile se la viltà della carne non avesse preso il soppravvento. L’arte non è stata un argine, ma ha creato il solco entro il quale scendere al livello di ciò che la massa voleva.
piergiorgio firinu
L’arte è storia.
L’arte è storia. La globalizzazione cancella la storia dei popoli, quindi cancella la loro arte, il loro modo di pensare l’arte. Anche l’arte ha volte esprime il culto della personalità, quando si fa riferimento al “genio”, si continua a muovere sul tracciato del moderno pensiero dell’io privo di coscienza, inglobante la materialità, senza mettere in questione la metafisica del corpo, accantonando sensibilità “anima”, spirito. Il paradosso consiste nella celebrazione dell’artista, senza aver chiarito a cosa corrisponde la definizione del sostantivo arte, persistendo in un equivoco perenne. Sul tema esistono opinioni diverse. Dall’equivalenza di ogni opinione nasce la confusione dell’Occidente. L’arte è un enigma, la filosofia invece di accampare la pretesa di risolvere l’enigma, dovrebbe quanto meno vederlo, accertarne la complessità. Secondo Heidegger la filosofia non può mai dimostrare le tesi, soprattutto perché non vi sono tesi assolute, Nel momento in cui si affronta il tema dell’arte e degli artisti, la materia viene definita estetica. L’estetica considera l’opera d’arte come oggetto,considerando la percezione sensibile le modalità di approccio all’arte. in questo modo viene posta in secondo piano la gnosi ermeneutica. E’ stata questa la premessa per il sorgere delle avanguardie. Il mondo delle cose e il mondo dei significati, la corrispondenza del simbolo a cui l’arte tende, è il modo in cui la rappresentazione va oltre la forma, Si continua a considerare immortali le opera d’arte. e l’arte come valore eterno, affidandosi ad un uso generico del linguaggio,si evita di guardare in dettaglio, perché si teme che l’attenta osservazione induca e pensare e ci ponga di fronte alla nostra incapacità di dare un senso a ciò di cui stiamo parlando. In questo modo si finisce a indurre l’artista a non pensare a ciò che sta facendo. Così galleggiano tra fatuo e insignificante si avanza la pretesa di “ rompere gli schemi” “ superare i pregiudizi” . In realtà si cancella l’arte L’arte può anche essere vista come la realtà che la coscienza conferisce a se stessa. E’ qui che si radica il concetto di verità che l’arte dovrebbe esprimere. In assenza di coscienza ed etica la persona/artista naviga sulla superficie dell’esistenza e si disperde nella fenomenologia dell’accadere.
piergiorgio firinu
Dissolta la coscienza critica.
Dobbiamo rassegnarci ed accettare che il predominio del mercato imponga la propria idea di arte? Dobbiamo prendere atto che il mercato è supportato proprio da quei movimenti che si dicono libertari, rumorosi e prevaricanti agglomerati sociali che strumentalizzano il genere, le tendenze sessuali, l’ideologia. L’arte parla attraverso le proprie opere, se l’opera ricalca il pensiero unico si traduce in tautologia. Nell’opera d’arte è messa in opera la verità dell’Ente. L’arte è il mettere in mostra la verità. Questa la lettura dell’arte, forse troppo positiva, è di Heidegger. In realtà alla domanda : cos’è l’arte? non è stata data risposta. Questa mancanza costringe, chi scrive sull’arte, a girare in tondo, ribadire concetti dati per scontanti, che in realtà sono ripieghi lessicali. Intanto le opere se ne stanno collocate e appese nelle collezioni e nelle mostre, oggetti inseriti in nel meccanismo dell’industria dell’arte. Platone sosteneva che l’opera d’arte è una doppia imitazione. Copia l’idea e copia la realtà che l’idea esprime. Intenditori e critici s’impegnano per dare un significato a manufatti artistici con i loro approssimativi significati. Pistoletto, a esempio,ha presentato in varie sedi il simbolo dell’infinito, adottando l’espediente di cambiarne la denominazione. La critica ha rinunciato da tempo ai concetto di verità. Senza dubbio l’arte non costituisce più il modo supremo in cui la verità giunge ad esistere. E’ cessata la diade concettuale materia-forma. Un opera poggia anche sul plesso morfo- iletico che ricorre solo nei vecchi vocabolari, lo stanziarsi, il radicamento comunemente impiegato nello spazio mentale in cui l’artista dovrebbe muoversi ha perso la distinzione fra materia e sagoma, che costituiva lo schema concettuale per ogni teoria dell’arte, Il tentativo di fermare, porre in chiaro, il principio di coscienza creativa alla base di ogni estetica, è annegato nel mare del ludico contemporaneo, tanto che il filosofo americano Danto arriva a definire ciarpame, tesi, antitesi, sintesi indicate nella dialettica di Kant, che non sono altro che un richiamo a Platone, ripresi dall’idealismo tedesco a margine della critica dell’arte. Sono archiviati i contenuti di espressi da allegoria e simbolo, da sempre fondamentali per il linguaggio artistico. Siamo giunti al punto che la realtà di un opera d’arte, priva di metafora e di simbolismo, ha la stessa chiarezza, la stessa insignificanza, di un cartello stradale.
piergiorgio firinu
E’ possibile un arte concettuale?
Che un soggetto di un ordine tra elementi si possa ricondurre analiticamente all'esistenza di una relazione asimmetrica transitiva tra di essi e che si presuppone necessariamente una relazione di questa forma, è stato mostrato particolarmente dal Russell, esso prende il nome dalla terminologia del presupposto fondamentale di Richter. Una diversità è data dalla caratteristica di ciò che costituisce l'elemento specifico della forma, il fenomeno primitivo logico. Conformemente a questi presupposti Richter giunge alla conclusione che nella sfera logica non c'è né ci può essere alcuna serie. Manca quindi l'elemento più importante è assolutamente indispensabile per la costruzione del numero. Non già questa la conseguenza, bensì la premessa che qui scaturisce viene contestata dalla critica gnoseologica dell'idealismo logico. Il concetto della logica idealistica è completamente diverso, anche se molto si richiama Muller e allo stesso Richter. Poteva certo sembrare che, da questo punto di vista, la polemica forse è stata ridotta a una semplice distinzione terminologica e fosse quindi sterile polemica. Riguardo al suo valore oggettivo infatti chiunque è libero di pensare di usare il termine logico nel modo che ritiene, se ne giustifica l’ontologia. Per esempio, l’artista è libero di definire concettuale la propria approssimazione formale,ma trascurando di definire le motivazioni della scelta cade in un anacoluto formale. Significativa è a questo riguardo l’opera di Mario Merz che si richiama al matematico Leonardo Pisano detto il Fibonacci ( 1170 – 1242). L’opera riproduce una serie di numeri la cui valenza estetica è nulla il cui significato sotto il profilo artistico e una pura ipostatizzazione. Dovremmo considerare il significato: “opera concettuale”. Osservando ciò che contiene la terminologia di Richter,Peirce, Boole, Frege, Peano,Schroder, la logica stessa della sua forma classica, come nella moderna elaborazione avuta ad opera degli autori indicati, non può più essere definita come teoria dell'oggetto,dal punto di vista storico, non è mai esistita una scienza della logica che si sia limitata a ciò che si chiama “oggetto puramente logico”. Una tale limitazione compare solo all'inizio della logica in Parmenide, per il quale in realtà l'intero problema della logica si esaurisce nell'identità e nella diversità dell'essere e del non essere, ma già il sofista platonico va oltre questo fenomeno primitivo dell'uno e dell'altro, il concetto della comunanza delle idee si trova in una posizione centrale che per la prima volta rende possibile una scienza logica, questa comunanza che si fonda su un rapporto di dipendenza sistematica dei concetti e dei giudizi nel rapporto di premessa è conseguenza che tra loro sussiste. La successione logica che ne deriva può essere dedotta dalla semplice identità e diversità. Dunque l’arte concettuale si traduce in ossimoro per la contraddizione che si realizza tra concretezza estetica che assume ogni realizzazione formale, e l’estraniazione logica alla base della formulazione del concetto.
piergiorgio firinu
E’ possibile un arte concettuale?
Che un soggetto di un ordine tra elementi si possa ricondurre analiticamente all'esistenza di una relazione asimmetrica transitiva tra di essi e che si presuppone necessariamente una relazione di questa forma, è stato mostrato particolarmente dal Russell, esso prende il nome dalla terminologia del presupposto fondamentale di Richter.
Una diversità è data dalla caratteristica di ciò che costituisce l'elemento specifico della forma, il fenomeno primitivo logico. Conformemente a questi presupposti Richter giunge alla conclusione che nella sfera logica non c'è né ci può essere alcuna serie. Manca quindi l'elemento più importante è assolutamente indispensabile per la costruzione del numero. Non già questa la conseguenza, bensì la premessa che qui scaturisce viene contestata dalla critica gnoseologica dell'idealismo logico.
Il concetto della logica idealistica è completamente diverso, anche se molto si richiama Muller e allo stesso Richter.
Poteva certo sembrare che, da questo punto di vista, la polemica forse è stata ridotta a una semplice distinzione terminologica e fosse quindi sterile polemica.
Riguardo al suo valore oggettivo infatti chiunque è libero di pensare di usare il termine logico nel modo che ritiene, se ne giustifica l’ontologia. Per esempio, l’artista è libero di definire concettuale la propria approssimazione formale,ma trascurando di definire le motivazioni della scelta cade in un anacoluto formale.
Significativa è a questo riguardo l’opera di Mario Merz che si richiama al matematico Leonardo Pisano detto il Fibonacci ( 1170 – 1242). L’opera riproduce una serie di numeri la cui valenza estetica è nulla il cui significato sotto il profilo artistico e una pura ipostatizzazione.
Dovremmo considerare il significato: “opera concettuale”. Osservando ciò che contiene la terminologia di Richter,Peirce, Boole, Frege, Peano,Schroder, la logica stessa della sua forma classica, come nella moderna elaborazione avuta ad opera degli autori indicati, non può più essere definita come teoria dell'oggetto,dal punto di vista storico, non è mai esistita una scienza della logica che si sia limitata a ciò che si chiama “oggetto puramente logico”.
Una tale limitazione compare solo all'inizio della logica in Parmenide, per il quale in realtà l'intero problema della logica si esaurisce nell'identità e nella diversità dell'essere e del non essere, ma già il sofista platonico va oltre questo fenomeno primitivo dell'uno e dell'altro, il concetto della comunanza delle idee si trova in una posizione centrale che per la prima volta rende possibile una scienza logica, questa comunanza che si fonda su un rapporto di dipendenza sistematica dei concetti e dei giudizi nel rapporto di premessa è conseguenza che tra loro sussiste. La successione logica che ne deriva può essere dedotta dalla semplice identità e diversità.
Dunque l’arte concettuale si traduce in ossimoro per la contraddizione che si realizza tra concretezza estetica che assume ogni realizzazione formale, e l’estraniazione logica alla base della formulazione del concetto.
La nascita della critica d'arte.
Nel 1568 l’aretino Giorgio Vasari pubblica “Le Vite”, il testo si ispira alla novellistica fiorentina, descrive il mondo artistico e letterario della sua epoca nel quale la cultura aveva richiami al mondo classico che da impronta al suo lavoro, non solo ricco di episodi storici con aneddoti sulla vita degli artisti, ma anche molto curata sotto il profilo letterario. Un parallelo tra cultura, storia e arte. Per avere un’idea della cura con cui fu redatto il testo, basti dire che il lavoro di revisione, oggi diremmo l’editing, durò ben 15 anni. E’ noto che il Vasari è considerato il precursore della critica d’arte, nelle Vite non si è occupato soltanto della descrizione delle opere degli artisti, ma, come si evince dal titolo, ha redatto una serie di brevi biografie di ogni singolo artista. Vasari era implicato in molti dei fenomeni che descrive ed era posseduto da un pessimismo implicito che emerge dalla narrazione della parabola da Cimabue a Buonarroti. Oggi quella che per comodità viene ancora definita critica d’arte non ha più le caratteristiche di approfondimento di opere e personaggi., nei migliori dei casi ha forte connotazione sociale come “ Storia sociale dell’arte” di Arnold Hauser. Più spesso si tratta di racconti parziali su determinati fenomeni. Ogni studioso tende a specializzarsi su una determina forma artistica, o corrente, proliferate con l’avvento delle avanguardie. Raramente il critico si sofferma sul background dell’artista e sul mondo nel quale vive e opera, quando lo fa, traccia per lo più un racconto privo di approfondimenti e ricco di elogi. Diciamo che la critica d’arte ha assunto il compito di promozione commerciale più che di narrazione vera dei fenomeni artistici. Forse uno degli ultimi critici d’arte, per cosi dire, per vocazione, fu Charles Baudelaire. Il poeta francese visse in un periodo di fulgore dell’arte francese, tra il 1821 e il 1867, egli apparteneva al movimento del simbolismo ed estetismo che esprimeva la decadenza nonostante la Belle Epoque. Baudelaire scrisse sul Salon des Refusés, insieme a Emile Zola. Se pensiamo al grande scalpore che suscitò l’opera di Edouard Manet, “ Le Déjeuner sur l’herbe”, solo perché appariva un nudo, e lo paragoniamo a cosa rappresentano gli artisti oggi, dopo appena 160 anni, davvero dovremmo interrogarci sulla natura di quello che viene definito progresso dell’arte. Gradatamente la funzione si approfondimento critico viene assunta dai filosofi. Da prima con citazioni en passant nei testi con i quali era contenuto un richiamo a forme estetiche, fino ad arrivare a produrre una ricca serie di pubblicazioni di filosofia dell’arte con l’ambizione più o meno esplicita di chiarire i fenomeni artistici e dare significato alle opere. Raramente le loro considerazioni trovano riscontro nella osservazione del comune osservatore. Non è questa la sede di approfondimenti circa gli esiti dell’entrata a gamba tesa della filosofia nel mondo dell’arte. Mi auguro che i brevi qui contenuti possano indurre ad approfondire il vasto tema della realtà artistica di ieri e di oggi.
piergiorgio firinu
Propedeutica dell'intuizione
L'arte consiste nel raccogliere l'infinito molteplice dei fenomeni reali ed esprimerli con pochi accorgimenti tecnici, ovvero secondo l’epistemologia propria dell’arte, in relativamente pochi tratti con cui ordiniamo un sistema tramite il quale abbiamo pienamente il potere e la capacità di rappresentazione di ciò che colpisce la nostra immaginazione. Passione e intuizione sono due aspetti dello stesso misterioso impulso che muove l’artista. L’ultima opera di Cartesio ha per titolo un ossimoro: “ Le passioni dell’Anima”. Per definizione l’anima non prova passioni,anche i grandi filosofi cadono in truismi verbali. Questo richiamo ci aiuta comunque a capire l’affermazione di Hegel secondo il quale: l’arte è il pensiero che prede forma. La domanda che sorge spontanea è: di cosa si nutre, come si forma il pensiero propedeutico alla creazione artistica? Secondo Kant la conoscenza avviene attraverso l'intuizione, la cosiddetta intuizione artistica sarebbe una sorta di anticipazione della conoscenza di ciò che non esiste, nella migliore delle ipotesi espressione parziale di un pensiero in divenire. Altro tema è capire di cosa si nutre il pensiero per produrre le intuizioni che si esprime nella forma. Questo il punto cruciale che spiega il decadimento dell'arte contemporanea in quanto priva di pensiero. Altra cosa è il significato contenuto nell’opera. Parafrasando l’affermazione di Hegel: non vi è nesso tra la forma dell’uva e il gusto del vino. Questo per dire che la forma non esprime necessariamente un significato, ma nell’opera d’arte, è già sempre legata all’unità di forma e significato. . Oggi l’arte ha rinunciato al bello, alla mimesi, ma sopratutto ha rinunciato all’uso simbolo della forma. In “Verità e Metodo, Gadamer sostiene che il simbolo è l’idea stessa che si da esistenza nel momento e rappresenta il non visibile.
piergiorgio firinu
Il senso e il nulla.
La parola per così dire ordinaria si riferisce a una realtà esistente, mentre musica, pittura, e poesia, sono elaborazione della parola, creano il loro proprio oggetto. Dietro al linguaggio creativo c’è un pensiero trascendente. Il fenomeno del linguaggio non chiarisce stesso se non nella forma, perché ciò che va oltre la parola, ciò che il linguaggio evoca non è l’oggetto, ma la possibilità, la creazione in potenza. La sequenza delle parole è il tracciato che delinea l’astratto disegno che la mente elabora. Il reticolo del linguaggio cattura le emozioni, esprime opinioni, da corpo alle nostre fantasie. Lo sforzo di chiarezza serve alla mente per illuminare se stessa. Pascal dice delle opinioni: nei tre casi è lo stesso prodigio di una chiarezza a prima vista che scompare non appena vogliamo ridurla a quelli che, secondo noi, sono gli elementi che la compongono. Per questo l’arte, che esprime l’inesprimibile, è cosi importante. La formula verbale, scritta sulla carta o affidata alla memoria, non servirebbe a nulla se non abbiamo acquisito la facoltà interiore d’interpretarla. Come scriveva Goethe “nulla è più difficile e doloroso di un pensiero nuovo”. In troppi rifuggono dal soffrire. Ciò che abbiamo vissuto è e rimane perpetuamente in noi, il vecchio attinge alla propria infanzia. Ogni presente che si produce penetra nel tempo come un cuneo e aspira alla eternità. L’eternità non è un altro ordine al di là del tempo, ma l’atmosfera del tempo. Per questo il linguaggio dell’arte segna un tracciato nella coscienza sensibile che non controlliamo ma viviamo attraverso le emozioni. La teoria matematica fonda una tradizione. La pittura di Van Gogh s’installa in me per sempre, vederla, assimilarla significa compiere un atto che resterà impresso nella mia esperienza e che emergerà ogni qual volta affiora il ricordo, anche impreciso, del segno che esprime una dimensione a cui, forse, molto dopo la realtà si adegua. Dice Proust, siamo appollaiati su una piramide di passato, e non lo vediamo solo perché siamo assillati dal pensiero oggettivo, dal presente. Il rapporto tra ragione e vissuto, fra eternità e tempo, così come tra riflessione e riflesso, fra pensiero e il linguaggio o tra pensiero e percezione, è quel rapporto indefinibile che la fenomenologia ha chiamato Fundierung: il termine fondante, l’irriflesso. Il tempi fatui che viviamo c’inducono a rifuggire da ogni pensiero fondante nel timore che la ricerca del senso ci costringa a constatare il non senso della nostra esistenza.
piergiorgio firinu
Difficile conciliare libertà e ragione.
Molti filosofi e intellettuali hanno affrontato il tema della libertà, Nel 1894 Rudolf Steiner pubblicò “ La filosofia della libertà”, che conteneva un argomentare profondo sull’impossibile. Hegel, in “ Fenomenologia dello Spirito” Scrisse un intero capitolo dal titolo: “L’opera peculiare della libertà assoluta è la morte e il Terrore”. Nella ricerca della libertà gli esseri umani trascurano l’essenza e si fermano all’essenziale. Dunque la domanda a cui dovremmo rispondere è cosa significa “libertà”? Qui viene fuori lo snodo centrale che caratterizza tutte le nostre azioni,affrontato da Spinoza ed Hegel che così si esprimono: noi non giudichiamo buono ciò che è buono per sostanza e forma, ma giudichiamo buono ciò che ci piace. Estremizzando il concetto l’incontro perfetto sarebbe tra un sadico e un masochista. Sigmund Freud esaminò il tema in “Il disagio della civiltà” dove mise in evidenza che la civiltà non conferisce più libertà, al contrario la limita in quando pone norme di convivenza che devono essere osservate perchè la civiltà possa dirsi tale. Il testo si dilunga nell’illustrare situazioni nelle quali la libertà è negativa. Se noi limitiamo l’osservazione al piccolo mondo dell’arte, abbiamo davanti gli effetti della “libertà creativa” , cioè l’abolizione di regole e la eliminazione della necessità di legare arte e pensiero, arte e cultura. Ci troviamo quindi di fronte alla contraddizione di forma e contenuto. La prima affidata alla arbitrarietà del gusto che si realizza nell’atto, la seconda giudicata non necessaria in quanto, si sostiene, la fruizione non è legata alla ragione ma all’emozione. Il titolo di una sua recente opera Paolo D’Angelo: “ La tirannia delle emozioni”. Ecco dunque, richiamandoci a quanto sopra scritto, l’ansia di libertà si arena di fronte a noi stessi, alla nostra incapacità di controllo e gestione anche della nostre pulsioni cognitive. Il faticoso lavoro di Hans Georg Gadamer “ Verità e metodo” 1045 pagine di tentativi ermeneutici su aspetti fondamentali della dignità socio culturale, perdono di significato nel momento in cui vengono rimossi i nessi che legano libertà, verità, volontà, ragione. Nella realtà accettiamo di vivere la nostra vita in una libertà che abbiamo scelta secondo principi a cui è estranea ogni ragionevolezza.
piergiorgio firinu
Il fallimento della Ragione.
Feuerbach rappresenta la dissoluzione della filosofia hegeliana è il termine di passaggio dall'idealismo al positivismo. La filosofia, in tutto il suo percorso storico, gli appare come una consapevole o inconsapevole teologia,cioè un’alienazione dell'essenza dell'uomo nella essenza di Dio e quindi una mistificazione dell'uomo. Anche la filosofia di Hegel, la più grandiosa e conseguente di tutte le filosofie tradizionali, è essa stessa un immensa teologia. E’ teologia razionalizzata, cioè l’inveramento e il coronamento del pensiero teologico. Per Feuerbach invece la nuova filosofia è la risoluzione completa, assoluta, della teologia antropologica. Questo spunto verrà raccolto da Jacques Maritain nel suo capolavoro, “Umanesimo integrale”, pubblicato nel 1956, nel quale, anticipò Fukuyama che 56 anni dopo, nel 1992, pubblicherà il libro “Fine della storia”. Il pensiero di Hegel si sviluppò nell’esame dei nessi società e cultura, e lo indusse ad affermare che l’arte non aveva più ragion d’essere nella società moderna. Contrariamente alla previsione di Feuerbach secondo cui,l’uomo, liberato dal bisogno, si sarebbe dedicato alla cultura e all’arte. Profezia clamorosamente smentita dalla realtà. Si deve alla scuola di Francoforte l’approfondimento del tema cultura, politica, società. Horkheimer, in “La società in transizione”, pubblicato nel 1972, tenta una silloge dei problemi che allora si profilavano e che, non sono mai stati risolti, tanto che oggi ci ritroviamo a fare i conti di situazioni di maggior gravità. Come sosteneva Bertrand Russel. È molto più facile divertire che educare. Il fallimento del pensiero libertario nato con l’Illuminismo al quale Adorno e Horkheimer mossero una dura e motivata critica in “Dialettica dell’illuminismo”, si trascina nella civiltà contemporanea. La quale sembra aver abbandonato le ragioni vere che motivarono la nascita della civiltà occidentale. Nella società dell’apparenza, dello spettacolo, prevale tutto ciò che è ludico, e viene configurato nella vita sociale e nella comunicazione come il grembo in cui si feconda la libertà. Kierkegaard aveva messo in guardia dal pericolo di abbandonarsi alla deriva estetica, alla superficialità senza pensiero. Seguirà il pessimismo di Heidegger la cui filosofia tenta ancora domande destinate a restare senza risposta. In “Cosa significa pensare”. Heidegger tenta di metterci in guardia sull’essenza nascosta della tecnica moderna. Tema in parte ripreso in “L’origine dell’opera d’arte” , pubblicato nel 1950. L'uomo concreto si è liberato dal bisogno materiale, almeno in occidente, per scoprirsi più vuoto e vulnerabile di quanto non fosse mai stato, ma nello stesso tempo, prigioniero della propria dipendenza da consumi e piaceri. L’illusione di Feuerbach che un giorno la civiltà sara liberata dalla menzogna e nascerà un uomo libero capace di realizzarsi in armonia con se stesso, si è rivelata una cocente delusione. L'arte ha scelto la tecnica, il ludico, l’estemporaneità di un pensiero superficiale e intimistico, di matrice sopratutto femminile. La Biennale di Venezia del 2022 vede una massiccia presenza femminile, più della metà degli espositori è donna. Va da se che la scelta non è stata fatta, avendo come riferimento la qualità delle opere, ma la politica, il privilegio di genere, quasi che l’arte possa essere una forma di risarcimento psicologico delle carenze di natura, cultura, sensibilità.
piergiorgio firinu
L'osso di Hegel
È noto il detto: la matematica non è un'opinione. Ebbene, Hegel, nella fenomenologia dello spirito, afferma: la filosofia deve disprezzare la matematica. Ovviamente l'affermazione va meditata e collocata nel contesto logico che la motiva. Anche la logica è stata messa in discussione. Interessante il libro pubblicato da Nikolaj Aleksandrovic Vasil’ev “ Logica immaginaria” , nel quale sviluppa interessanti teorie sulle modalità dei giudizi logici. Non c’è dubbio che la logica, per così dire, riordina i pensieri, non li crea. Abitualmente la logica è associata all'idea di aridità di un pensiero razionale. Questo offre pretesto agli artisti per rifiutarla in quanto sarebbe contro la creatività. Non si insisterà mai abbastanza sul fatto che “realtà” e “verità” sono concetti creati dall’uomo, affidati a convenzioni. Possono quindi non solo essere sottoposti a critica, ma secondo l’evoluzione del pensiero e delle consuetudini, possono essere considerati concettualmente obsoleti. I filosofi spesso fanno ricorso a metafore incomprensibili. Hegel, in “Fenomenologia dello spirito” usa la metafora dell’osso per definire i limiti di un pensiero che si arena nella materia. Molto più rozzamente Danto definisce pattume la metafisica, anche se non rinuncia ai sofismi intorno a cui si radicano le argomentazione della sua filosofia. Resta vero che la coscienza critica è forse l'unica fonte di creatività, essa è alla radice della filosofia e di ogni impresa intellettuale che abbia un significato. Infatti il fallimento delle avanguardie è stato provocato da una finzione critica, che si è tradotta nella semplice sostituzione di procedure, e nella abolizione dei principi che ispiravano la epistemologia dell’arte, sostituendoli con un approccio parascientifico e adozione di procedimenti tecnologici. Questo ha comportato lo snaturamento della ontologia dell’arte. . La provocazione come metodo ha portato a confondere creatività con impulso. Parafrasando la nota affermazione di Einstein secondo il quale il risultato della scienza è frutto di 95% di lavoro 5% di genio. Trasferire il concetto nel campo dell’arte ci aiuta a chiarire la ragione per la quale molta arte contemporanea è ciarpame. Supporre che l’artista, o sedicente tale, abbia il dono della creatività che si manifesta per impulsi, significa inoltrarci in un deserto di senso nel quale, non è neppure chiaro chi possa essere considerato artista. I pregiudizi sulla creatività e talune forme d’arte sono ormai evidenti a tutti. Se si mantiene lo status quo è perché interessi concreti tengono in piedi la finzione che mette la sordina alla coscienza critica.
piergiorgio firinu
Sensibilità e ragione.
Vi è diversità tra i concetti dell'intelletto e i concetti della ragione. Nel primo caso la base è l'esperienza sensibile soggettiva che prescinde dalla conoscenza dell'oggetto. Nel secondo caso si tratta di una elaborazione astratta della ragione che presuppone quantomeno un tentativo di conoscenza dell'oggetto. La ragione ci consente di dar forma al pensiero. Se riportiamo queste considerazioni alla prassi della critica e Filosofia dell'arte, ci rendiamo conto che il processo analitico dell'opera non è mai riferito all'oggetto in quanto oggetto, ma più generalmente al significato astratto dell'insieme che l’artista si propone di rappresentare. La produzione di una estetica attraverso la filosofia ha portato ad un eccesso di intellettualizzazione dell’arte allontanandola dalla natura e dal bello estetico. Incidono poi aspetti estranei all’opera, come le considerazioni personali sull’artista, riconoscimenti di critici e filosofi dell’arte, in breve una narrazione che si basa su aspetti che tendono a valorizzare l’artista in quanto curriculum professionale e solo di riflesso la sua opera. E’ un procedimento corretto? Mi sia consentito avere delle riserve sul metodo che, purtroppo, ha consentito creare una sorta di mitologia su artisti mediocri come Picasso del quale il filoso Alexandre Kojève scrisse: “Picasso riesce a fare un quadro solamente una volta circa su cento in cui mette dei colori su una tela. E’ ancora più imbarazzante il fatto che la stragrande maggioranza dei suoi ammiratori sono assolutamente incapace di distinguere – nella sua opera – i quadri dalle tele imbrattate”. (Quodlibet 2005, pag.31) L'Osservatore comune generalmente esprime un giudizio basato quasi esclusivamente sulla sensazione, in teoria soggettivo, spontaneo. In realtà non c’è dubbio che la suggestione della critica e dello stesso luogo in cui è esposta l’opera, hanno un ruolo determinante. In astratto l'apprezzamento sensibile dell'osservatore non necessità di un riscontro, la sensazione ha valore solo come tale, cioè nessun valore, questo a prescindere dalla sensazione che può essere quasi sempre appagante. D’altra parte non è certo che la lettura razionale dell'opera,che si scontra con la difficoltà di superare le contraddizioni che la ragione ha con sé stessa, abbia la capacità di arrivare al nocciolo del problema di capire se c’è e qual’è il significato. Una conclusione potrebbe essere che quando la critica d'arte si limita ad illustrare dati oggettivi nell'opera potrebbe avere una qualche utilità per l'osservatore sul piano per così dire tecnico, lasciando spazio al godimento estetico che non necessità di una motivazione teorica. Quando invece la filosofia ha la pretesa di definire significati indimostrati e indimostrabili, allora non è più utile e si riduce a una narrazione supponente senza raggiungere un esito gnoseologico. Il piacere dell’’opera nasce dall’accordo tra immaginazione e intelletto. Non sono approdati a molto gli studi che hanno affrontato il tema di conoscenza e sensibilità attraverso i quali si forma il gusto. Pensiamo a “Critica del giudizio” di Kant. Resta inesplorato il campo della sensibilità che determina le nostre scelte, a volte accantonando la ragione.
piergiorgio firinu
Intenzione e risultato.
È ancora possibile tentare di affrontare il tema dell'arte fuori dal contesto di speculazioni mercantili? Hegel afferma che e la ragione è agire in conformità di un fine. Quale può essere il fine di un'opera d'arte, o supposta tale, dopo che in essa non è più contenuto il bello della forma né simbolo, nè narrazione. L'idea iniziale che ha indotto l'artista a realizzare l’opera, in quale misura può essere recepita dall'osservatore? La filosofia dell'arte sembra procedere per teorizzazioni che non esaminano l’opera in se stessa,nella sua peculiarità. Spesso si fa riferimento alle intenzioni dell'artista assumendo che l'intenzione sia stata realizzata. Nessun critico ha saputo conferire un significato e reale valore artistico al quadrato nero di Kazimir S.Malevic, allo scola bottiglie di Duchamp, ai barattoli di merda di Manzoni. Eppure queste opere sono entrate a far parte della storia dell’arte alla stessa stregua della opere di Velasquez, Caravaggio, de Chirico. Andiamo un attimo all’incipit del VIII capitolo dei Promessi sposi. “Carneade! Chi era costui? Ruminava tra se don Abbondio. Il sofista greco Carneade, è così entrato nella storia della letteratura. Quanti carneadi hanno dedicato la loro vita a scrivere libri che ben pochi hanno letto, a realizzare opere che pochi hanno visto? La convinzione che la cultura e l’arte abbiano grande influenza sulla società nell’era di Internet, va rivista. A meno che per cultura s’intenda il trip del momento dei mezzi d’informazione che stranamente si avventano come mosche su personaggi ed eventi estemporanei. La produzione di libri e la pubblicità che li accompagna, non ha, come scopo primario, educare il pubblico. La critica e la filosofia dell’arte sembrano aver svolto un ruolo deviante rispetto al gusto e alla sensibilità collettiva. Non c’è dubbio che la cultura di massa va a traino dei fenomeni estemporanei e segue il gusto determinato da suggestioni che non hanno certo orientamenti culturali. Nel 1916 Vilfredo Pareto scrisse; “ Trattato di sociologia generale” nel quale esaminò il formarsi delle èlite. Oggi le élite sono costituite da soggetti che nel medioevo non sarebbero stati sepolti in terra consacrata. Inevitabilmente l’arte si adegua. Esempi significativi in tal senso sono i graffiti. Nati come espressione spontanea e gratuita di giovani marginali, sono diventati opere da museo acquistate a caro prezzo. In democrazia conta il consenso numerico, chi ha più voti ha il potere. La qualità non la minima importanza. Nicola Cusano definisce il sapere umano un sapere sempre confrontabile, mai reale. L’abbassamento del livello delle opere produce l’effetto domino amplificato dai mezzi di comunicazione di massa. Il sostantivo “cultura” è usato come etichetta per attività e manifestazioni sociali di ogni genere. La “cultura” del cibo, la “cultura” della pipa, la “cultura” della droga. E così di seguito. In compenso la cultura senza aggettivi sembra diventata residuale. La lettura, esercizio solitario, richiede tempo e riflessione, incompatibili con la contemporaneità. La letteratura di evasione ha maggiore successo perché può essere letta in metropolitana.
piergiorgio firinu
Impulso e conoscenza.
È noto il detto: la matematica non è un'opinione. Ebbene Hegel, nella fenomenologia dello spirito afferma: la filosofia deve disprezzare la matematica. Ovviamente l'affermazione va meditata e collocata nel contesto logico che la motiva. Anche la logica è stata messa in discussione. Interessante il libro pubblicato da Nikolaj Aleksandrovic Vasil’ev “ Logica immaginaria” , nel quale sviluppa interessanti teorie sulle modalità dei giudizi logici. Non c’è dubbio che la logica, per così dire, riordina i pensieri, non li crea. Abitualmente la logica è associata all'idea di aridità di un pensiero razionale. Questo offre pretesto gli artisti per rifiutarla in quanto sarebbe contro la creatività. Tutte queste considerazioni ci portano chiarire come “realtà” e “verità” siano concetti creati da noi, affidati spesso a convenzioni. Possono quindi non solo essere sottoposti a critica, ma secondo l’evoluzione del pensiero e delle consuetudini, possono essere considerati concettualmente obsoleti. La coscienza critica è forse l'unica fonte di creatività, essa è alla radice della filosofia e di ogni impresa intellettuale che abbia un significato. Infatti il fallimento delle avanguardie è stato provocato da una finzione critica, che si è tradotta nella semplice sostituzione di procedure, nella sostituzione della epistemologia dell’arte con un approccio parascientifico e l’adozione di procedimenti tecnologici. Questo ha comportato lo snaturamento della ontologia dell’arte. Il risultato, per chi lo vuole vedere, è sotto i nostri occhi. Con il rifiuto del bello, della mimesi di fatto rifiutata la creatività, essendo arduo considerare creatività la produzione seriale meccanizzata, la produzione di manufatti industriali, l’adozione della tecnologica per creare realtà virtuali. La provocazione come metodo ha portato a confondere creatività con impulso. Parafrasando la nota affermazione di Einstein secondo cui; il risultato della scienza è frutto di 95% di lavoro 5% di genio. Trasferire il concetto nel campo dell’arte serve a chiarire la ragione per la quale molta arte contemporanea è ciarpame. Supporre che l’artista, o sedicente tale, abbia il dono della creatività che si manifesta per impulsi, significa inoltrarci in un deserto di senso nel quale, non è neppure chiaro chi possa essere considerato artista. I pregiudizi sulla creatività e talune forme d’arte sono ormai evidenti a tutti. Se si mantiene lo status quo è perché interessi concreti tengono in piedi la finzione che mette la sordina alla coscienza critica.
piergiorgio firinu
Patrimonio culturale contemporaneo
Storia e mito non fanno più parte del patrimonio culturale contemporaneo. Chiediamoci quindi come viene letta l'immagine della pittura oggi? Forse solo rilevando colore e forma, indifferenti al significato, quand’anche ci fosse. La maggior parte degli artisti contemporanei non ha cultura classica e ha cancellata la traccia di una narrazione filosofica o mitologica. Quello che resta è la cultura del mainstream, un impronta tecnologica che fa il verso alla scienza. La spiritualità non fa più parte del bagaglio culturale, non solo dell’artista, ma di tutta la cultura contemporanea. Con quale sensibilità oggi osserviamo un'opera d'arte? Potremmo fare un lunghissimo elenco di opere, soprattutto di matrice femminile, la cui essenza va oltre alla materialità per sconfinare nel laido. L'ermeneutica delle intenzioni dell'artista è forse meno importante di quella dell’osservatore medio. L’artista opera attraverso la propria soggettività, l’osservatore invece calibra la propria comprensione dell’opera attraverso il sentire collettivo, si sente esentato dalla necessità di approfondire il significato di ciò che osserva. Chiediamoci quale riflessione, stimolo, sensazione può suggerire, poniamo, la visione del letto sfatto di Tracy Smith? Si deve fare i conti con un’ipocrita discrasia semantica che pervade la psicologia di massa, resa vulnerabile alla suggestione della comunicazione perché priva di anticorpi culturali. A sua volta, la funzione sociale della scienza, come ha dimostrato il Covid19, parla attraverso una polifonia che si traduce in entropia della comunicazione influendo pesantemente sulla massa. Temi sicuramente diversi che hanno in comune la suggestione prodotta da una comunicazione confusa, quando non sistematicamente decettiva. La narrazione culturale ed artistica è soggetta alle stesse fonti di comunicazione, tv e giornali, ed agisce anch’essa sulla psicologia della massa contribuendo al formarsi delle opinioni come ha ben chiarito Jùrgen Habermas nel libro “Agire comunicativo e logica delle scienze sociali”. Se ci poniamo il problema che si è posto Max Weber del giudizio di valore, scopriamo che esso si basa sulle premesse del mercato incorrendo nell’arbitrarietà dei punti di vista. Runciman coglie assai bene il rapporto esistente tra il problema del giudizio di valore e il problema della scelta, ma deve arrendersi di fronte all’approccio a-culturale delle masse suggestionate, come abbiamo scritto, dalla imponente macchina della comunicazione che, in pratica, confluisce in operazioni di pubblicità e marketing. .
piergiorgio firinu
Fotografia: narrazione e menzogna
Oggi anche la fotografia è svilita dal consumo. Folle con il telefono ritraggono ogni cosa, soprattutto se stessi. La storia della fotografia è la narrazione di un possibile, di ciò che le immagini potrebbero narrare se guidate da una mentalità che non sia solo riproduttiva. In Europa la fotografia è stata in buona parte guidata dal concetti del pittoresco, per esempio il povero, lo straniero. il vecchio; dall'importante, per esempio il ricco il famoso e del bello. Le fotografie tendevano alla esaltazione o alla neutralità. Gli americani, meno convinti della permanenza di una qualsiasi organizzazione sociale, ed esperti della realtà e dell'inevitabilità del cambiamento, hanno fatto più spesso della fotografia partigiana. Hanno fatto fotografie non solo per mostrare ciò che bisognerebbe ammirare, ma per far conoscere ciò che occorrerebbe affrontare, deplorare, correggere. La fotografia americana comporta una connessione più sommaria e meno stabile con la storia; è un rapporto insieme più ottimistico è più predatorio, con la realtà geografica del sociale. L’aspetto ottimistico è esemplificato dal frequente uso che si fa della fotografia in America per destare le coscienze. All'inizio del secolo scorso Lewis Hine venne nominato fotografo ufficiale del National Child Labor Committee, le sue fotografie dei bambini che lavoravano nei cotonifici nei campi di barbabietole e nelle miniere di carbone influirono sulla decisione dei legislatori di proibire il lavoro infantile. Durante il New Deal, il progetto FSA di Stryker ,che era allievo di Hine, fece arrivare a Washington informazioni sugli operai stagionali e sul mezzadri,aiutando i burocrati a trovare il modo di aiutarli. Ma anche al massimo del suo moralismo,la fotografia documentaria era, in un certo senso autoritaria, perché la fotografia ferma l’attimo del quale non fornisce giustificazione. La fotografia è un media bizzarro. Scrive Roland Barthes in “La camera chiara” . Essa stabilisce una speciale corrente determina attrazione, ricorda avventure, porta alla memoria ricordi famigliari, amori dei quali il cuore non conserva traccia. Quando nel 1978 pubblicai “ La gabbia sui Pirenei” , teoria sull’uso dell’immagine fotografica nell’arte, molti espressero la loro perplessità. Oggi la fotografia e gli effetti speciali dominano incontrastati la produzione artistica. Come sempre accade, con il successo subentra una sorta di decadenza, si trascurano i dettagli, il senso del racconto. Come un brutto romanzo anche la narrazione per immagini diventa banale. La fotografia, come le parole, si presta all’inganno, ma è molto più efficace perché l’eloquenza della immagini è più incisiva, meno contestabile. Com’era inevitabile la fotografia è anche il media per eccellenza degli eccessi, Herman Nitsch la usa per le immagini kitsch, di vagine sanguinanti e quarti di bue appesi a ganci, Cindy Sherman mostra vagina dilatate. Il brutale e il fittizio s’incrociano in racconti confusi dove spesso emerge la parte oscura dell’artista che tenta di nascondersi dietro alla realtà.
piergiorgio firinu
I pregiudizi delle avanguardie.
L'arte non è solo qualcosa di passato, ma è capace di superare con la sua peculiare presenzialità di significato le distanze temporali. In questo senso è un esempio che appare sotto entrambi questi aspetti un caso di particolare e significativo nella comprensione di se. Infatti non è un semplice oggetto nella coscienza storica, e d'altra parte la sua comprensione implica sempre una mediazione storica che la definisce. Qual’è dunque nei confronti dell’arte il compito dell'ermeneutica? Possiamo citare Schleiermacher ed Hegel. Essi rappresentano due visioni diametralmente opposte nella risposta al problema ermeneutico. Due visioni che caratterizzano due possibilità e concetti di ricostruzione di integrazione. Schleiermacher si pone nei confronti della tradizione esaminando la perdita di distacco di una coscienza che muove le riflessioni ermeneutiche Il modo in cui essi definiscono il compito dell'ermeneutica è profondamente diverso Schleiermacher è teso a ricostruire nella comprensione della fisionomia originaria di un'opera d'arte e la letteratura che si sono tramandate dal passato e le successive elaborazioni le hanno strappate dal un mondo originario. Ciò vale per tutte le arti anche per le arti letterarie ma è particolarmente evidente nelle arti figurative. Scrive Schleirmacher: la situazione naturale originaria è già violata quando le opere d'arte diventano oggetti di scambio Infatti Ognuna di esse attinge una parte del suo significato alla sua destinazione originaria. L'opera d'arte strappata dal suo contesto,se tale contesto non è storicamente conservato, perde di significato ?L'arte è,nel senso vero e proprio, radicata nel terreno culturale e ambientale in cui è stata pensata e realizzata. Vive assorbendo l’humus dell'ambiente a cui appartiene e perde significato quando è tratta fuori da tale ambiente,diventa un oggetto di scambio diventa cioè qualcosa che ha solo più vaghi richiami con il passato. Ovviamente resta intatto il valore costituito dal riferimento storico che richiama. Hegel con sfumature diverse si richiama alla stessa concezione convenendo però che il significato dell’opera è legato all'ambiente originario a cui appartiene. Pertanto,per cogliere il suo significato,sarà necessaria una specie di ricostruzione che avviene attraverso l’ermeneutica. Sostengono un tesi diametralmente opposta Dilthey, e in parte Ranke e Droysen, i quali riconoscono nell'opera d'arte un significato atemporale, prodotto dell'esperienza estetica che appartiene al mondo Se riportiamo queste diverse concezioni alla contemporaneità, appare evidente che non è possibile applicare tali teorie alle opere d’arte contemporanea in quanto nascono senza storie e senza reali rapporti con la cultura estetica ma si muovono in un galleggiamento semantico di effimera consistenza. La pretesa di associare la realtà eidetica alla intuizione creativa naufraga nel non senso di una narrazione dicotomica rispetto all’oggetto artistico di riferimento. Tutte le avanguardie sono nate sul pregiudizio che ciò che l’arte era sempre stata fosse sbagliato. Il pregiudizio consiste nell’esprimere un giudizio privo di sufficiente conoscenza dell’oggetto o del tema che si giudica.
piergiorgio firinu
la natura dell'arte, l'arte della natura
La retorica affermazione “l’arte parte da dove la scienza si ferma” ritengo non corrisponda al vero. Gli artisti hanno cessato da tempo di rappresentare la bellezza della natura attuando la mimesi, la scienza ha fatto enormi passi verso la conoscenza, ma ha disseminato il percorso di disastri, oggi si cerca di correre ai ripari. Le regole metodiche delle scienze hanno prodotto una sorta di estraneità verso la natura e comunicato un senso di onnipotenza tecnologica. Dovremmo provare ad esaminare con attenzione in cosa consiste lo sviluppo tecnologico e cosa produce. Non è questa la sede per tale esame, ciò a cui possiamo accennare sono le ricadute di carattere socio-culturale e psicologico nel mondo dell’arte. E’ possibile aver creata una “interiorità tecnologica” ? Qualcosa deve essere successo, visto che gli artisti si arrendono alla tecnologia e buttano a mare secoli di epistemologia artistica. Se l’arte finisce per avere come riferimento concetti teleologici basati sulla produttività tecnica, la domanda che segue è: per produrre cosa? Verso quale escatologia? Risposta inevitabile: il mercato. Quando Husserl usa il concetto di Erlebnis, per lo più rozzamente tradotto con il termine:avventura, ritiene che il riferimento sia la coscienza, nella sua libera attività di immaginazione creativa. A costituire la coscienza sono anche il vissuto, ciò che abbiamo imparato e sperimentato nel corso del costante flusso della nostra esistenza. Coscienza significa consapevolezza delle nostre azioni delle quali dovremmo almeno tentate di avere il controllo, sul piano emotivo e pratico. Bergson nel 1899 pubblica “ I dati immediati della coscienza” , il libro contiene dure critiche alla psicologia del suo tempo. Egli prende in esame l’intima compenetrazione di tutti gli elementi della coscienza e si schiera contro la scienza oggettivante. La sua presa di posizione è destinata all’insuccesso. L’opera d’arte, in quanto costituisce un mondo a se, si stacca da tutti i nessi con la realtà oggettiva, è ispirata da ciò che rappresenta l’essenza specifica dell’avventura della mente creativa che sperimenta di volta in volta nelle forme di una sensibilità gnoseologica. La vera opera d’arte è un’avventura estetica che rinnova il confronto tra pensiero e forma, essa viene intesa come la pienezza della rappresentazione simbolica, metafora di una realtà immaginata che, anche se non realizzata, trasmette energia psichica e ci aiuta ad affrontare il presente. Arte come nutrimento della sensibilità e dell’intelletto. Ernst. R. Curtius, nel suo libro sull’estetica del Medio Evo rappresenta bene questa possibilità. Ripreso da Ronald G. Witt in “L’eccezione italiana”, seguendo i concetti di simbolo e allegoria. Georg Lukàcs attribuisce alla sfera estetica una struttura eraclitea, intendendo con ciò che l’unità del soggetto estetico non è un dato reale. Vista in quest’ottica l’arte astratta è una tautologia. Ogni rappresentazione è una rappresentazione per qualcuno. E’ necessario quindi che l’artista e l’osservatore condividano lo stesso codice, a prescindere dal livello culturale. Le immagini religiose con le quali la Chiesa Medioevale comunicava con i propri fedeli, la maggioranza dei quali erano analfabeti, erano condivise anche senza ermeneutiche iconologiche. Anche l’arte contemporanea ha un proprio codice di lettura calibrato,più o meno consciamente, su etica e cultura della società di oggi. La società infatti accetta, esalta e compra: orinatoi, rane crocifisse, barattoli di merda, fotografie pornografiche.
piergiorgio firinu
Il circolo ermeneutico.
L'immagine metaforica che rappresenta un punto centrale della metodologia gadameriana è quella del circolo ermeneutico. Tale immagine si è diffusa a partire da Schleiermacher, ma si è imposta soprattutto con Gadamer che l’ha sviluppata prendendo le mosse da alcuni elementi proposti da Heidegger e le ha dato una configurazione che si può ormai considerare sotto molti aspetti come definitiva. Per capire la singola parola di un testo occorre comprendere il contenuto in cui è collocata, il patrimonio linguistico dell'autore, il momento culturale dell'epoca cui l'autore appartiene; tale comprensione va fatta sia cercando di intendere il particolare in funzione dell'universale sia viceversa cercando di capire l'universale partendo dal particolare. Scrive Schleiermacher : il senso di ogni parola in un determinato passo deve essere determinato secondo la sua coesistenza con quelle che la circondano. Il patrimonio linguistico di un autore e la storia della sua epoca costituiscono come il tutto a partire dal quale il suo iscritti così come ogni singolo elemento devono essere compresi e, inversamente, questo tutto deve essere compreso a sua volta a partire dal singolare. Ovunque il sapere compiuto si trova in questo circo apparente, per il quale ogni particolare può essere compreso solo a partire dalle universale di cui è parte e viceversa. Questo movimento circolare ha come fine la comprensione del tutto,quindi si conclude con tale comprensione. Ora, è noto che trasformazione del linguaggio segue e accompagna il pensiero. Spesso la nostra visione del mondo non è determinata dalla conoscenza, ma dalla abitudine. La meticolosità di Gadamer nell’indagare gli sviluppi ermeneutici dell’arte, che con Heidegger diventerà ontologia, mal si conciliano con la prassi della critica e filosofia dell’arte contemporanea. Attribuire all’opera d’arte “esperienza di verità”, se mai è stato vero, oggi non è più così. L’affermazione di Vattimo :“La trasmutazione in forma è trasferimento del reale sul piano della verità” risulta piuttosto azzardata di fronte a una rana crocifissa e/o un lampadario costruito con tampax. L’ipotesi che la filosofia si abbandoni a esercizi linguistici capaci al più di creare una realtà mentale, sembra plausibile.
piergiorgio firinu
Il circolo ermeneutico.
L'immagine metaforica che rappresenta un punto centrale della metodologia gadameriana è quella del circolo ermeneutico. Tale immagine si è diffusa a partire da Schleiermacher, ma si è imposta soprattutto con Gadamer che l’ha sviluppata prendendo le mosse da alcuni elementi proposti da Heidegger e le ha dato una configurazione che si può ormai considerare sotto molti aspetti come definitiva. Per capire la singola parola di un testo occorre comprendere il contenuto in cui è collocata, il patrimonio linguistico dell'autore, il momento culturale dell'epoca cui l'autore appartiene; tale comprensione va fatta sia cercando di intendere il particolare in funzione dell'universale sia viceversa cercando di capire l'universale partendo dal particolare. Scrive Schleiermacher : il senso di ogni parola in un determinato passo deve essere determinato secondo la sua coesistenza con quelle che la circondano. Il patrimonio linguistico di un autore e la storia della sua epoca costituiscono come il tutto a partire dal quale il suo iscritti così come ogni singolo elemento devono essere compresi e, inversamente, questo tutto deve essere compreso a sua volta a partire dal singolare. Ovunque il sapere compiuto si trova in questo circo apparente, per il quale ogni particolare può essere compreso solo a partire dalle universale di cui è parte e viceversa. Questo movimento circolare ha come fine la comprensione del tutto,quindi si conclude con tale comprensione. Ora, è noto che trasformazione del linguaggio segue e accompagna il pensiero. Spesso la nostra visione del mondo non è determinata dalla conoscenza, ma dalla abitudine. La meticolosità di Gadamer nell’indagare gli sviluppi ermeneutici dell’arte, che con Heidegger diventerà ontologia, mal si conciliano con la prassi della critica e filosofia dell’arte contemporanea. Attribuire all’opera d’arte “esperienza di verità”, se mai è stato vero, oggi non è più così. L’affermazione di Vattimo :“La trasmutazione in forma è trasferimento del reale sul piano della verità” risulta piuttosto azzardata di fronte a una rana crocifissa e/o un lampadario costruito con tampax. L’ipotesi che la filosofia si abbandoni a esercizi linguistici capaci al più di creare una realtà mentale, sembra plausibile.
piergiorgio firinu
Ragione e sensivilità.
È necessaria una distinzione tra i concetti dell'intelletto e concetti della ragione. Nel primo caso la base dell'esperienza sensibile è soggettiva e prescinde dalla conoscenza dell'oggetto. Nel secondo caso si tratta di una elaborazione astratta della ragione che presuppone quantomeno un tentativo di conoscenza dell'oggetto. La ragione è la facoltà che ci consente di agire in vista di un fine. Se rapportiamo queste considerazioni alla prassi di critica e filosofia dell'arte, constatiamo che il processo analitico dell'opera, non solo non è mai riferito all'oggetto, pittura, scultura, disegno, ma solo un ipotetico significato che non chiarisce la finalità, vale a dire il senso, di ciò che è rappresentato. Se l’osservatore esprime un giudizio basato sulla sensazione, quindi soggettivo, non è ovviamente tenuto a fornire una motivazione della sensazione provata. Al contrario chi pratica critica e filosofia dovrebbe dare un riscontro logico convincente alle proprie teorie ermeneutiche. Mentre la sensazione è appagante in se, la lettura razionale dell'opera si scontra con le difficoltà di superare le contraddizioni che la ragione ha con sé stessa. In breve, mentre la critica d'arte quando si limita ad illustrare i dati oggettivi relativi all'opera potrebbe essere utile all'osservatore, la filosofia, nella sua pretesa di definizioni di significati indimostrati e indimostrabili,è si riduce a una narrazione quasi sempre senza esito logico. Le idee sul significato sono rappresentazioni riferite a un oggetto, ma non possono mai avere un contenuto di conoscenza dell’oggetto stesso. Esse sono frutto di una intuizione secondo un principio puramente soggettivo di immaginazione e intelletto. Allo stesso modo una idea estetica non può diventare conoscenza, perché essa è un’intuizione dell’immaginazione. Un’intuizione empirica può essere provata con un esempio che dia un risvolto logico alla intuizione. Ora, poiché riportare una rappresentazione della immaginazione è necessario far ricorso ai concetti, l’l’idea estetica si può definire una ipotiposi non esponibile. Il gusto estetico ha un fondamento soggettivo a priori. Di conseguenza la pretesa di valore universale è infondata. Dunque la narrazione filosofica dell’arte manca dei presupposti necessari a giustificare l’attribuzione di significato alle opere che prende in esame. David Hume nella sua discussione sulla regola del gusto (1752), osserva che, se è vero che la grandezza di un’opera dipende da un’opinione, è anche vero che alcune opinioni sono più fondate di altre. Fondate su cosa? Visto che l’arte non è soggetta a logica, ne esiste metodo certo per definire le opinioni sul gusto, problema di fronte al quale si sono arresi Kant, Hegel e tutti i filosofi che hanno affrontato il tema. I filosofi statunitensi hanno allargano il campo, fitta la confusione di Howard S. Becker che emerge da “I mondi dell’arte”, nel quale Becker teorizza, sulla scia di Cohen e Dickie, la commistione delle diverse espressioni artistiche, presumendo che tutte abbiano diritto ad essere considerate arte. Per sostenere tale tesi apodittica cita inevitabilmente Duchamp e tutti i suoi nipotini fino ad arrivare al Brillo di Warhol. Il problema è che Becker, come lui altri filosofi dell’arte, usa come megafono una cattedra universitaria. Ciò gli conferisce titolo per sostenere truismi e anacoluti. In questo modo, anziché istruire i giovani che seguono i suoi corsi, si limita a suggestionarli. I risultati sono visibili nella opere di gran parte degli artisti contemporanei.
piergiorgio firinu
La tecnologia è la negazione dell’arte.
Scrive Kant in “Critica del giudizio”. “La bellezza naturale è una cosa bella. La bellezza dell’arte è la rappresentazione di una cosa bella cosa”. Questa frase lascia capire le conseguenze di avere eliminato ogni residuo di naturalità, non solo nell’arte. Procediamo per stereotipi falsi. La tesi che il bello abbia ricadute morali è falsa. Forse in pochi ambienti la depravazione è più diffusa che nel mondo dell’arte. La libertà senza freno non produce altro che stravaganza, l’arte esige, oltre alla immaginazione, cultura e gusto. Altro pregiudizio è che l’amore dell’arte sia disinteressato. La storia ci dice che l’arte è sempre stata usata come esibizione di ricchezza e potere. Machiavelli nel libro “ Discorsi sopra la prima decade di Tito Livio” racconta come fin dai tempi dei romani l’arte veniva esibita nelle case dei patrizi e suscitasse invidia e ammirazione. Sembra che anche gli artisti abbiano dimenticata la stessa etimologia della parola “arte” che significa fare. Elevando a status di arte il trovarobato del ready made, come Duchamp, non si fa arte. Si dovrebbe chiamare arte solo una produzione determinata dalla libera volontà della ragione. Vale per molti artisti ciò che Reinhard scrivera : “Camper descrive esattissimamente come dovrebbe essere fatta un’ottima scarpa; ma certamente egli non la sa fare”. Non vi è una scienza del bello, ma soltanto la critica di esso, non vi sono belle scienze, ma soltanto belle arti. Per questo l’arte tecnologica che adotta processi scientifici è la negazione dell’arte. Il talento dell’artista è un dono naturale che crea la regola dell’arte. Si può imparare la scienza di Galileo che è codificata. Non si può imparare a creare opere come Raffaello, poetare come Dante e Shakespeare. Supporre, come accade oggi, che basti frequentare l’Accademia per “diventare artisti” è la base del disastro che ha colpito il mondo dell’arte riducendola al livello in cui si trova, un incrocio di opportunismo e mondanità. Creatività e cultura sono cose estranee al mondo dell’arte contemporanea. Dunque la pauperizzazione culturale, l’inquinamento etico hanno avuto ricadute tali da ostruire il percorso di risalita alla luce della verità e bellezza. Sguazziamo felici in un mondo artificioso e arido con crescenti enfatizzazioni antropocentriche.
piergiorgio firinu
Bergson, l'intuizionismo
Gli artisti che si richiamano all’intuizione fanno propri, forse inconsciamente, i principi dell’irrazionalismo. Bergson fu tra i maggiori esponenti di questa teoria filosofica che creo i prodromi per la nascita delle avanguardie. La filosofia di Enrico Bergson è denominata “intuizionismo”, e si richiama all' evoluzione creatrice, allo slancio vitale, mette in primo piano un sapere basato su un'attività alogica ed extraintellettuale che si richiama ai romantici del primo Ottocento, in particolare Schelling . Il centro propulsore della filosofia di Bergson è costituito dalla teoria della durata, in quanto stato immediato della coscienza. L'introspezione psicologica è restituita al suo schietto significato filosofico e liberata dall’intellettualismo, considerato deformante, a favore di una visione metafisica della realtà universale. Va da se che tali teorie sono insufficienti e arbitrarie. La psicologia cosiddetta positiva, o scientifica, del tempo nel quale Bergson pubblicava i suoi libri, presumeva di ridurre l'io a una successione di stati psichici collegati tra loro secondo la legge di rapporti determinati. Ben altra invece ci appare la realtà nella nostra esistenza se la si osserva e si tenta di coglierla nella sua essenza più profonda, non solo nelle sue manifestazioni esteriori, che possono essere paragonabili a foglie morte galleggianti alla superficie di uno stagno. La vita interiore ci appare come una corrente incessante di natura puramente qualitativa in questo modo cambia anche il significato della psicologia per la conoscenza della storia, per Hegel e per qualsiasi esponente dell'illuminismo francese. Gli impulsi e le passioni degli uomini sono le cause immediate di ciò che accade, gli uomini sono indotti ad agire. Poche persone hanno un sufficiente livello di conoscenza, un 'idea generale dell’evenienza fenomenica che affrontano. Detto in altri termini, raramente è la logica a giustificare e motivare le nostre azioni quotidiane. La posizione di Kant è stata notoriamente combattuta dai più svariati indirizzi filosofici, in primis da Hegel. Schopenhauer giudica impossibile l'azione disinteressata e ritiene che la volontà abbia sempre un fine pratico. Il principale motivo che muove la volontà è l’interesse nelle sue varie articolazioni dalla sopravvivenza al piacere. In fondo tale ragionamento chiama in ballo l’incipit della “La Ricchezza delle nazioni” di Andam Smith. Nei fatti gli artisti non sono motivati da ragioni logiche, ma da interesse pratico e spesso anche da impulsi creativi. Gli impressionisti hanno creata un proprio stile di pittura per ragioni pratiche, anche se poi si affidavano alla spontaneità del segno e del colore. Vi è troppa enfasi e poche motivazioni serie nel definire talune opere rivoluzionarie. Cancellare, rifiutare l’estetica e il bello, per questione di principio, conduce ad esiti quasi mai riusciti, e in ogni caso dovrebbe essere verificato osservando le opere con maggior rigore di quanto accade abitualmente. Nel destino dei singoli individui la realtà matura a prescindere dalla consapevolezza soggettiva. Così un artista che nel corso della vita non senta il bisogno di modificare la propria tematica lascia perplessi. In ogni caso il valore dell’artista è in rapporto alla sua capacità di tradurre la realtà e dar forma il suo pensiero. Hegel afferma: “L’arte è il pensiero che prende forma”. Parafrasando Wittgenstei che si poneva una provocatoria domanda: “ Compito della filosofia è indicare alla mosca come uscire dalla trappola?” . Compito dell’artista è dipingere la mosca?
piergiorgio firinu
Barnett Newman: The sublime is now
Nel 1990 sulla rivista Tiger’s Eys, Barnet Newman pubblicò lo scritto “The sublime is now”. Una sorta di manifesto dell’arte astratta nel quale emergono aspetti della cultura statunitense che in Europa non credo siano mai stati sufficientemente analizzati e approfonditi. Quarant’anni prima, 1950/51, lo stesso artista presentò un’opera di pittura astratta alla quale diede il titolo “Vir Heroicus Sublimis”. L’opera fu accolta con entusiasmo dalla critica. Si trattava di un olio su tela di m. 2,42 X m.5,42, di colore uniforme, rosso/arancione attraversato da piccole fenditure di colore alle quali Newman, forse ironicamente, diede il nome di zip. Sia lo scritto The sublime is now che l’opera Vir Heroicus Sublimis tennero campo a lungo nella cultura visiva statunitense. Come sempre avviene furono elaborate diverse letture, nonostante la dichiarazione di Newman: l’opera non rappresenta nulla. Il suo “manifesto” conteneva un durissimo attacco alla cultura europea. “ …Noi ci siamo sbarazzati dal peso morto della memoria, dell’associazione, della nostalgia, della leggenda, del mito, o di qualunque altra cosa vogliono significare le invenzioni della pittura europea occidentale….”. Barnet Mewman aveva frequentata la facoltà di filosofia. Si servì della sua conoscenza per disseminare nel testo citazioni a partire da Longino, il primo filosofo che si occupò del sublime. Poi Platone, Aristotele, Kant, Hegel. In particolare dal suo scritto emerge la conoscenza del libro: “Indagine filosofica sull’origine delle nostre idee si sublime e bello” pubblicato da Edmund Burke nel 1757. Il contenuto aggressivo del testo che Newman scrisse contro la cultura europea, si scontra con il paradosso che tutti i filosofi che egli cita appartengono alla cultura europea. A mio parere, lo scritto di Newman, con la roboante esaltazione della sua opera, ha motivazioni di carattere psicologico e forti venature nazionalistiche la cui interpretazione potrebbe essere tema psicanalisi. Dallo scritto infatti appare evidente un enorme complesso d’inferiorità nei confronti della cultura europea che afferma di voler rifiutare. Già in passato ho affrontato il tema di come sia stato possibile che, anche alla luce della enorme arroganza che contraddistingue Newman, come lui buona parte dei protagonisti del mondo dell’arte statunitense, gli intellettuali e artisti europei hanno supinamente accettata una egemonia non certo basata sulla superiorità culturale. Ho ripreso oggi questo tema alla luce dei recenti tentativi di revanche degli Stati Uniti, che, pare, nutrano la speranza di mantenere una egemonia. Temo che il tentativo sia destinato a fallire. I tempi sono mutati. La credibilità morale degli USA è crollata dopo la serie di guerre immotivate. Gli stessi intellettuali statunitensi hanno preso le distanze da un potere che inutilmente tenta di dare credibilità a se stesso. Da tempo i libri di Noam Chomsky raccontano di arroganze e misfatti del potere statunitense. Di recente John J. Mearsheimer ha pubblicato “La grande illusione”, nel quale descrive il fallimento degli ultimi presidenti USA nella loro pretesa di imporre la Weltanschauung americana con i carri armati.
piergiorgio firinu
Barnett Newman: eroica, sublime arroganza.
Nel 1990 sulla rivista Tiger’s Eys, Barnet Newman pubblicò lo scritto “The sublime is now”. Una sorta di manifesto dell’arte astratta nel quale emergono aspetti della cultura statunitense che in Europa non credo siano mai stati sufficientemente analizzati e approfonditi. Quarant’anni prima, 1950/51, lo stesso artista presentò un’opera di pittura astratta alla quale diede il titolo “Vir Heroicus Sublimis”. L’opera fu accolta con entusiasmo dalla critica. Si trattava di un olio su tela di m. 2,42 X m.5,42, di colore uniforme, rosso/arancione attraversato da piccole fenditure di colore alle quali Newman, forse ironicamente, diede il nome di zip. Sia lo scritto The sublime is now che l’opera Vir Heroicus Sublimis tennero campo a lungo nella cultura visiva statunitense. Come sempre avviene furono elaborate diverse letture, nonostante la dichiarazione di Newman: l’opera non rappresenta nulla. Il suo “manifesto” conteneva un durissimo attacco alla cultura europea. “ …Noi ci siamo sbarazzati dal peso morto della memoria, dell’associazione, della nostalgia, della leggenda, del mito, o di qualunque altra cosa vogliono significare le invenzioni della pittura europea occidentale….”. Barnet Mewman aveva frequentata la facoltà di filosofia. Si servì della sua conoscenza per disseminare nel testo citazioni a partire da Longino, il primo filosofo che si occupò del sublime. Poi Platone, Aristotele, Kant, Hegel. In particolare dal suo scritto emerge la conoscenza del libro: “Indagine filosofica sull’origine delle nostre idee si sublime e bello” pubblicato da Edmund Burke nel 1757. Il contenuto aggressivo del testo che Newman scrisse contro la cultura europea, si scontra con il paradosso che tutti i filosofi che egli cita appartengono alla cultura europea. A mio parere, lo scritto di Newman, con la roboante esaltazione della sua opera, ha motivazioni di carattere psicologico e forti venature nazionalistiche la cui interpretazione potrebbe essere tema psicanalisi. Dallo scritto infatti appare evidente un enorme complesso d’inferiorità nei confronti della cultura europea che afferma di voler rifiutare. Già in passato ho affrontato il tema di come sia stato possibile che, anche alla luce della enorme arroganza che contraddistingue Newman, come lui buona parte dei protagonisti del mondo dell’arte statunitense, gli intellettuali e artisti europei hanno supinamente accettata una egemonia non certo basata sulla superiorità culturale. Ho ripreso oggi questo tema alla luce dei recenti tentativi di revanche degli Stati Uniti, che, pare, nutrano la speranza di mantenere una egemonia. Temo che il tentativo sia destinato a fallire. I tempi sono mutati. La credibilità morale degli USA è crollata dopo la serie di guerre immotivate. Gli stessi intellettuali statunitensi hanno preso le distanze da un potere che inutilmente tenta di dare credibilità a se stesso. Da tempo i libri di Noam Chomsky raccontano di arroganze e misfatti del potere statunitense. Di recente John J. Mearsheimer ha pubblicato “La grande illusione”, nel quale descrive il fallimento degli ultimi presidenti USA nella loro pretesa di imporre la Weltanschauung americana con i carri armati.
piergiorgio firinu
Velazquez: Las Meninas.
Brevi cenni sull’opera di Velazquez: Las Meninas. Capolavoro di realismo immaginifico. L’osservatore può cadere nella tentazione ermeneutica di ravvisare nell’opera una teoria filosofica. Se tutto ciò che il pittore dipinge rende visibile e riconoscibile una rappresentazione del riflesso della realtà, si dovrà concludere che l'opera espone una visione complessiva del mondo come pura apparenza? Volendo giocare con le teorie, si potrebbe sostenere che l’opera è una rappresentazione che esige Res cogitans del tutto separata dalla Rex estensa. L’opera di Velasquez mostra come sostanzialmente identici il vedere e l’esser visto, ci sarebbe dunque più di Spinozza che di Cartesio. Il mondo come idea, secondo Cartesio e Locke, come pura rappresentazione del senso in Schopenhauer? Un anticipazione della Condition humaine di René Magritte? Tutto è espressione dell’io dell’artista? Magritte descrive effettivamente la condizione umana secondo una precisa tradizione filosofica, per la quale non abbiamo accesso alle cose ma ci confrontiamo sempre soltanto con le nostre rappresentazioni delle cose, come se fossimo seduti in una stanza dietro una tela dipinta che fa da finestra. Velazquez, contrariamente a Magritte, non si occupa della presunta condizione umana,bensì dell’arte pittorica. Il dipinto rappresenta la realtà così com’è realmente, non è vero l'opposto, che la realtà sia mera rappresentazione o fenomeno. La filosofia dell'Io di Cartesio, nella quale tutto si riduce a fenomeno interno alla coscienza, non salva i fenomeni. Velazquez è realista, rappresenta le cose, per descrivere le sue opere le parole sono superflue, serve invece cultura e tanta attenzione. E’ un fatto che la pittura realistica di quel livello conduce a una soluzione sorprendentemente simile alla filosofia cartesiana dell'idea. Certo, mentre il realismo russo si avvicina vagamente alla sostanziale “verità” realistica, il realismo USA che deriva dalla Pop Art è pittura cartellonistica. Nel libro “Le parole le cose” di Michel Foucault, pubblicato nel 1966,il filosofo tenta l'interpretazione, o meglio dà una propria interpretazione della opera di Velazquez: “Las Meninas” All’inizio del libro descrive in modo dettagliato l’opera del pittore madrileno, ritorna con un richiamo a pagina 77. L’esposizione dettagliata del quadro, sotto il titolo “Damigelle d’onore”, esamina con puntigliosa precisione la posizione del re nell’opera, e parla di “ritorno al linguaggio”. Tema altamente speculativo, segue la non meno profonda analitica della “finitudine”. L’analisi si avvale della raffinata dialettica nella quale Foucault è maestro, ma sembra cadere vittima dei propri paradossi. Cosa significa, nella elaborazione ermeneutica l’affermazione “ritorno del linguaggio”? Quando mai il linguaggio andò perduto così da renderne possibile il ritorno? Il lettore, intimidito dalla colta dissertazione del maestro, forse rinuncia a chiedersi in quale epoca all'intera umanità si è creato un buco nero nella storia del linguaggio. Tutta la cultura sembra essere messa in forse dalla semplice affermazione di Foucault che pare aver scoperto la base della ragione dell’intero occidente. Entrano nel giudizio Platone, Aristotele, gli stoici così come i grammatici antichi che stabilirono le basi del nostro comunicare, gli eroi omerici, Kant. Tutti costoro, e molti altri si sono pronunciati sui temi che Foucault sembra scoprire oltre 2000 anni dopo.
piergiorgio firinu
L’eccesso di leggerezza porta all’evaporazione del pensiero.
Di cosa si nutre, di cosa potrebbe nutrirsi il pensiero creativo? Se anche un artista sceglie la solitudine, decide di vivere lontano dalla confusione urbana, resta comunque influenzato dalla realtà che filtra inevitabilmente nel suo quotidiano. La contemporaneità è caratterizzata dal disincanto che spesso tracima nel cinismo, le spinte ideologiche che muovevano gli artisti ancora 50 anni fa, si sono arenate nelle spire del ludico mondano, l’eccesso di leggerezza ha fatto evaporare il pensiero creativo ormai alieno ai fenomeni culturali perché assolto nella effimera prassi sociale. Hegel dichiara: “qualcosa è conosciuto come limite, come carenza, deficienza, solo quando quel limite e quella carenza sono state superate”. Per Bertolt Brecht: “ Un’opera che non esibisce la propria sovranità nei confronti della realtà, non è un opera d’arte”. E’ necessario il superamento, una fertile dinamica mentale che non si areni nella estemporaneità. Husserl ha affrontato il tema partendo dall’ontologia formale e la dialettica del superamento creativo. Il rifiuto della logica da parte degli artisti porta a procedere in modo oggettivistico ritenendo di essere possessori di verità. Ma, come affermava Nietzsche: “Una verità importante ha bisogno di critica, non di lode”. La critica d’arte enfatizza, non attua una reale ermeneutica dell’opera, attuando un procedere relativistico che Husserl ritiene insensato. Quello che costituisce valore e significato di un opera, non è quello che il singolo crede e pensa della sua creazione, bensì il rapporto tra la sua creazione e la realtà. Dice Epicuro: “…Come giudichiamo positiva la scienza medica, non a cagione della sua capacità stessa ma in ragione degli effetti sulla nostra salute. I fenomeni artistici, per loro natura, non sono soggetti alla codificazione e, come i fenomeni sociali, sono basati sulla apparenza, spesso estranei alla realtà storica in atto. Heidegger intende la storicità un modo dell'essere la cui filosofia deve riconoscere nell'uomo l'esistenza particolare, solo in questo modo originario anche l'arte può conferire senso alla narrazione storica. Nietzsche considera significativa l’arte quando è frutto di energia spirituale. In “ La nascita della tragedia”, a proposito dell’arte senza valore egli cita un proverbio indiano: “Rosicchiare un corno di vacca è inutile e accorcia la vita: ci si logora i denti e non se ne ricava alcun sugo”. Propedeutica all’arte statunitense è la filosofia di William James e John Dewey il cui pragmatismo è l’esatto opposto dell’immaginazione che ha caratterizzato l’arte a partire dai greci. Come viene trattata l’arte nella filosofia e nella critica d'arte USA costituisce la rinuncia anche al concetto di creatività, a cominciare da ciò che definisce l’epistemologia artistica. L’artista non eccederebbe in soggettivismo se solo riflettesse sul fatto che nessuno può vedere se stesso, addirittura l’umanità, come se fosse un soggetto libero da determinate condizioni psicologiche, storiche, esistenziali. Ernst Mach vede il problema dell’arte come un’azione che trasformala la realtà nel momento in cui la rappresenta.
piergiorgio firinu
La bellezza è compatibile con la società contemporanea?
La questione del bello in arte non è mai stata chiarita e forse non è possibile alcun chiarimento. La leggibilità del mondo, come recita il titolo di un libro di Hans Blumenberg, è particolarmente complessa perché attiene a scelte squisitamente soggettive. Nella critica del Giudizio Kant si dilunga in teorizzazioni che sicuramente hanno una loro validità, ma di certo non incidono sul complesso di scelte estetiche basate su prerogative personali. Hermann dà un’esatta introduzione all’analisi sociale del Kitsch: “ Poiché il Kitsch non potrebbe nascere né sussistere se non ci fosse l’uomo Kitsch che ama il Kitsch, che come produttore d’arte lo vuol produrre, e come consumatore è pronto a comprarlo”. Quando parliamo di Kitsch l’idea corre a qualcosa di particolarmente brutto, il Kitsch è espresso soprattutto dalle persone. Certi abbigliamenti, certo esibizionismo sociale, e anche piercing e tatuaggi, Secondo Nelson Goodmann: “Il problema del brutto si dissolve; perché il piacere e la gradevolezza non definiscono né misurano l’esperienza estetica”. La dinamica del gusto , è spesso imbarazzante ma diventa anch’essa comprensibile alla luce dei comportamenti di massa. Nel 2007 Umberto Eco pubblicò “Storia della bruttezza” , una silloge d’immagini, di opere d’arte che, a giudizio dell’autore, sono rappresentative della bruttezza. Le opere comprendono arte classica e arte contemporanea. Mentre i soggetti dell’arte classica sono comunque realizzati con sapienza pittorica, l’arte contemporanea è spesso costituita da happening e trovarobato di cattivo gusto che in qualche caso pretende di avere motivazioni ideologiche, in sostanza emerge il mito della libertà di scelta, pretesto che giustifica le scelte peggiori. Nel volume “La scuola di Francoforte” pubblicato da Rolf Wiggershaus nel 1992 (Ed.Bollati Boringhieri) L’autore narra la storia delle tesi sociali che Adorno, Horkheimer, Marcuse tentarono di elaborare. Purtroppo tali teorie furono affossate dal ’68, nonostante i sessantottini affermassero di richiamarsi ai pensatori francofortesi. Marcuse nel libro “La dimensione estetica”, prese le distanze dai movimento del ’68 e da certa arte femminista che proprio allora andava emergendo. A pagina 57 della edizione Oscar Mondadori pubblicato nel 1977, Marcuse scrive: “ Sebbene si sia cercato di sostenere che la pornografia e l’osceno rappresentano isole di comunicazione anticonformista, simili aree privilegiate tuttavia non esistono: da molto tempo l’osceno e la pornografia risultano infatti integrate e recano anch’esse in quanto merci il messaggio della realtà repressiva”. Ventidue anni prima, nel 1955, lo stesso autore pubblicò “Eros e Civiltà”. E’ sempre valido l’ammonimento di Kant: “Nessuno riuscirà mai a raddrizzare il legno storto dell’umanità”. Il bello dell’arte non è stato soppresso per o con motivazioni socio-culturali o ideologiche, semplicemente la bellezza non può far parte del bagaglio culturale di una società i cui intellettuali anziché essere orientati dal “bello interiore”, lo considerano un impaccio. La cultura contemporanea attua il tentativo di trascendere l’essere umano come essere naturale. L’esito finale sarà presumibilmente una creatura bionica, senza etica e sentimenti.
piergiorgio firinu
Farfalle e avvoltoi.
Non c’è dubbio che la morale fai da te ha il vantaggio della comodità. Risponde a pieno titolo al mito della libertà assoluta che ha radici antiche. Francois Rabelais indica la regola dei telemiti, scritte sul frontone dell’abbazia di Theleme: “ Fa’ quello che vuoi”. Thelème deriva dal greco “desiderio”. Se il mito della libertà non è mai stato facilmente realizzabile, tanto più difficile è oggi far coincidere libertà e complessità della vita moderna. Si è indotti a credere che la morale fai da te si applichi solo alla vita privata, ai gusti sessuali. In realtà non è così. Sollevare la questione se la morale abbia o meno radici religiose, addurre che, essendo nata dal pensiero umano, ha valore transitorio, è come parlare del sesso degli angeli, pleonasmi che preludono alla applicazione del detto dei telemiti. I fatti lo dimostrano. In politica, economia, nelle scuole di ogni ordine e grado, succedono cose impensabili fino a qualche decennio fa. E’ in corso una feroce polemica sui giornali che si occupano di finanza. E’ risultato chiaro che, alla base del disastro provocato dalla questione subprime, c’è stata totale assenza di moralità economica. Tempo f le Borse di tutto il mondo furono sconvolte da un improvvisa crisi economica e bancaria. Uno dei responsabili del disastro, il signor James Cayne, ovviamente statunitense, mentre fioccavano i suicidi lui si dedicava al gioco del golf, al bridge, alla marijuana, come lui, altri alti dirigenti responsabili del crollo che ha colpito molti risparmiatori. E’ di pochi giorni fa la notizia di un aereo in volo sul cielo di Washington con il primo e secondo pilota che non rispondevano alla torre di controllo semplicemente perché dormivano. Alcuni tra i più importanti Istituti finanziari americani hanno fuorviato il mercato per il proprio tornaconto. Gli USA,che fanno guerre per esportare la democrazia, poi si ritrovano ai vertici di importantissime istituzioni finanziarie personaggi privi di moralità che con il loro comportamento producono danni enormi ai risparmiatori, e in definitiva alle economie di tutto il mondo. Non è necessario aver letto i libri che teorizzano e giustificano la morale fai da te, basta il martellamento dei media, la pressione verso il pensiero unico, in questo modo si creano situazioni ambientali, abitudini e tolleranze che si generalizzano. Forse la teoria delle catastrofi, il famoso esempio della farfalla che provoca l’uragano, vale anche in ambito sociale. Forse il richiamo molto più realistico ed efficace non è alla farfalla, ma agli avvoltoi.
piergiorgio firinu
A priori epistemico.
Le parentele filosofiche si rivelano piuttosto insidiose per sostenere un certo livello di approfondimento traendolo dal brodo di coltura e ricostruzioni di varia natura e provenienza. Il rischio è di inscatolare ipotesi empiriche in arzigogolate parafrasi astratte, poggiando per così dire il cappello dove più fa comodo. Le teorie che vogliono costituire le basi ermeneutiche del processo creativo, risultano piuttosto instabili perché non si servono della conoscenza, ma della congettura, cercando di portare ai confini estremi le possibilità di teorie che, prive di fondatezza, restano nel campo delle supposizioni, fuori della portata di ogni verifica razionale. E’ quanto emerge dalla lettura dei libri di Danto, sui quali avremo modo di ritornare. Quello che viene proposto come il superamento della prassi, trascura di chiarire perché continuiamo ad usare lo stesso lessico, gli stessi riferimenti, le stesse forme di ragionamento, sia pure parzialmente capovolto, ma mai annullato. Detto in altri termini se riteniamo che l’epistemologia del fare artistico sia da annullare, dovremmo rinunciare per affrontare l’ermeneutica artistica a costruire strutture verbali che si avvalgono degli stessi riferimenti. Non si spiega altrimenti perché le teoria sembra aver come unico scopo sostituire un mito con un altro a scapito di razionalità ed empiria. L’esperienza di per sé non è in grado di fornire una giustificazione, di conseguenza, certe forme di ragionamento appaiono piuttosto conati conoscitivi il cui scopo è far spazio ad apodittiche realtà che non reggono ad analisi concettuali e sono prive di motivazioni razionali, anzi, spesso costituiscono vere e proprie favole con morale prestabilita. La percettività appartiene ad un altro ordine di fattori, materiali derivanti da singole esperienze. Il fatto che questi tentativi non abbiano alcuna giustificazione nella realtà ontologica delle opere, rende tutto il processo esclusivamente verbale e piuttosto confuso. Sarebbe necessario sviluppare considerazioni autenticamente epistemologiche su possibilità e limiti di una teoria rigorosamente verificabile, appaiono di difficile definizione certi procedimenti teorici ripetitivi e molto simili a truismi. Gran parte della filosofia dell’arte sembra non disporre delle risorse concettuali sufficienti per tentare di costruire una teoria che abbia un riscontro e un fondamento plausibili. La piattezza del tentativo di definizione porta inevitabilmente ad a priori che finiscono per essere accettati anche se non verificabili. Tanto che ormai non c’è più distinzione tra fumetti, street-art, realtà virtuale. Un pot-pourri culturalmente piuttosto insipido.
piergiorgio firinu
L’umorismo degli antichi filosofi cinici.
In “Ecce homo” Friedrich W. Nietzsche scrive:” Il cinismo è quanto di più alto può essere raggiunto sulla terra; per conquistarlo servono i pugni più forti e le dita più delicate”. Come sempre Nietzsche esprimeva ottimismo. Il cinismo oggi si fonde con l’intimismo ed ha carattere soprattutto femminilizzato, i contemporanei non possiedono la capacità di essere coerenti con le proprie scelte. Da Antistene a Diogene a Cratete, dal IV secolo a.c. al V secolo d.c. per un millennio c’è stata una filosofia cinica. Capi politici, gendarmi, delatori, per Diogene erano tutti meritevoli d’impiccagione. Una volta gli chiesero quali fossero secondo lui le bestie più feroci. Senza esitazione rispose: esattori delle tasse e sicofofanti. Platone considerava Diogene un Socrate diventato matto. La Fontaine ricorda che Diogene si considerava alla stregua del lupo che condanna il cane perché paga il cibo quotidiano al prezzo della libertà. E’ chiaro che, questi brevi cenni della filosofia cinica, nessun politico moderno può considerarsi un cinico. La cultura dell’occidente è stata inquinata, o filtrata, secondo i punti di vista, dalle infinite elaborazioni ideologiche il cui unico scopo è forse quello di creare uno spazio mentale nel quale collocare i pensieri che contraddicono la realtà. Non è un caso che se gli empiristi classici, Locke, Berkeley, Hume, si affannarono per dare un senso alle azioni di personaggi politici il cui livello di ignominia non è mai stato esecrato dalla cultura successiva, così che i massacri e la sottomissione di altri popoli finiscono per essere celebrati con decorazioni ed encomi e sono prodromi alla presa del potere prima della “aristocrazia” e poi della borghesia. L’ironia e l’umorismo degli antichi filosofi cinici ha perso gradatamente diritto di cittadinanza in un consorzio civile e nelle classi intellettuali che hanno da prima modificato gradatamente il significato del linguaggio, per poi lasciare libertà di dominio a elementi umani sempre più compromessi con la verità. Come scrive Oscar Wilde ne “La ballata del carcere di Reading; “E questo posso dire: che ogni legge creata dall’uomo per l’Uomo, dal tempo che il primo Uomo assassinò suo fratello ed ebbe inizio la pazzia del mondo, rende paglia il frumento e tiene in vita gli sterpi: allora si ingrandisce il male”. Schopenhauer, misogino convinto, seppe distinguere il “Mondo come realtà e rappresentazione”, sulla scia delle ombre nella caverna di Platone. Le parole sono come l’ombra di Alessandro Magno, tolgono luce, distolgono e confondono, per obliterare la naturale cattiveria del genere umano. L’uomo contemporaneo non conosce più la tristezza che presuppone il pensiero, ma solo la disperazione che il vuoto interiore produce.
piergiorgio firinu
Monadi inespressive.
Nel momento in cui l’artista abbandona la mimesi e si orienta alla rappresentazione di concetti, come scriveva Hegel , finisce per trattare il legno di ferro. Estremizzando la volontà di esercitare la propria libertà creativa senza possedere la capacità di controllo degli opposti, si arena nel nulla. Una cosa è l’elaborazione universale dell’arte, diverso realizzare una singola opera che esprima un concetto leggibile. Le determinazioni del concetto, l’universalità, la particolarità, sono certamente diverse, resta invariata la natura del segno e ciò che dovrebbe essere designato. Come sostiene Heidegger : “Si chiama concetto qualcosa che non è se non la determinazione della rappresentazione”. Quando Kazimir Malevic con il quadrato nero crea un’opera accolta con entusiasmo dalla critica, in realtà realizza un opera non opera. Senza espressione non c’è concetto ovvero significato. In pratica è stata l’anticipazione formale del nichilismo contemporaneo del quale Malevic non è certo l’unico esponente. Esiste una epistemologia basica possedendo la quale è possibile realizzare una pluralità espressiva. Ogni categoria, attività, professione include l’osservanza di canoni che costituiscono l’essenza stessa dell’operare in un determinano campo. Rifiutando in toto i canoni si rifiuta l’essenza stessa della materia alla quale i canoni si riferiscono. Detto in altre parole rifiutando canoni ed epistemologia dell’arte si attua un rifiuto dell’arte nella sua sostanziale realtà. E’ ciò che avvenuto con le cosiddette avanguardie. Accade allora che si creano tante monadi quanti sono gli artisti. Il nome di monadi, espressione già usata dai pitagorici, ripresa da Leibnitz che la pone a cardine della propria filosofia. Nella realtà contemporanea le monadi potrebbero costituire la cifra dell’egoismo elevato a sistema nel quale, sotto l’aspetto culturale, è inclusa l’arte nelle singole cellule che si contrappongono. L’anarchia creativa portata all’estremo, ignora il principio sintetizzato da Hegel nella preposizione : “ La verità è quando il sapere concorda con l’oggetto”. Il concetto, in quanto tale, non può essere fissato attraverso figure spaziali e segni. Ecco la ragione per cui la pretesa di usare l’arte, facendone una difettosa espressione filosofica, rende l’arte velleitaria e ne falsifica il ruolo.
piergiorgio firinu
Ermeneutica dell’immaginazione.
La causa e l’effetto. Il pittore che stende i colori sulla tela dando ad essi una certa forma compie un movimento. Questo moto non determina la forma, tanto meno il contenuto che è determinato dalla cultura e dal pensiero dell’artista. Quindi l’essenzialità dell’opera è influenzata da ragioni estrinseche al gesto. L’ipercinesia sociale è per lo più inutile spreco di energia. La storia dell’arte non è costituita da gesti, ma da pensieri che danno senso alla narrazione dell'arte ed all'operare dell'artista. Lo studioso che esamina un'opera la colloca in una determinato contesto. Questo non significa che il contesto conferisca necessariamente significato all'opera. Ogni opera può essere letta a più livelli,considerato che l’arte è politica e storia, utile riflettere sulla realtà e valori sociali dell’epoca in cui l’opera è stata realizzata. Se trasferiamo queste considerazioni all'arte moderna e contemporanea, constatiamo che la maggior parte delle opere non contengono alcun riferimento al momento storico in cui vengono realizzate. In quanto il valore intrinseco il tema è più complesso, perché rientra nel mai risolto interrogativo di cosa realmente esprime il sostantivo arte. I tentativi di trovare una corretta definizione, si sono arenati in una tautologia: è arte ciò che l'artista ritiene sia arte. Il potere demiurgico attribuito a un individuo non ha alcun fondamento reale. Pensiero,cultura, idee politiche dell'autore influiscono in varia misura a determinare l’azione dell’artista. La serie di relazioni che condizionano natura, contenuto e forma dell’opera sono risultato del background dell’artista. L’opera riflette pensieri, consci e inconsci. Il valore di un artista consiste nella capacità di sintetizzare ciò che è contenuto nel proprio intelletto. Detto in altri termini: non basta pensare l’opera, è necessario saperla realizzare in modo che possa essere percepita, letta, dal maggior numero di persone. Il più delle volte la critica si limita alla lettura formale dell’opera, la filosofia tenta di individuarne le ragioni che la ispirano. Questo in teoria. Nei fatti sappiamo che critica e filosofia svolgono lo stesso compito: dare un significato all’opera, spesso con eccesiva propensione ad enfatiche esegesi, più che altro utili a una ricaduta mercantile. La faticosa, spesso inutile, ermeneutica delle intenzioni dell’artista, a cui si dedicano sia la critica che la filosofia, è uno degli aspetti surreali del mondo dell’arte. Non solo perché dovrebbe essere evidente che la lettura tracima dall’oggetto al soggetto. Dalla studio della forma al tentativo di capire la psicologia che la ispira. Finisce per essere maggiore l’esercizio creativo impiegato nella decifrazione dell’oggetto, di quanta immaginazione l’artista abbia impiegato nel realizzarlo. Parafrasando Shakespeare potremmo dire: ci sono più cose nella mente dell’artista di quante l’opera ne esprima. Purtroppo neppure la TAC riesce a leggere i pensieri, è molto improbabile riescano a farlo i pur volenterosi critici e filosofi.
piergiorgio firinu
La filosofia dell’avvenire che non c’è.
I filosofi si sono affannati a descrivere il mondo, ma non hanno avuta la capacità di cambiarlo, o quanto meno contribuire a migliorarlo. La corrente che orientò a sinistra la filosofia di Hegel si è trovata di fronte al fallimento decretato dalla storia. Ludwig Feuerbach rappresenta la dissoluzione della filosofia hegeliana è il termine di passaggio dall'idealismo al positivismo. Intanto sembra azzardato definire positivismo idee la cui incidenza sul reale è sbagliata ed errata nello stesso tempo. Nel suo libro “Principi della filosofia dell’avvenire” pubblicato nel 1844, egli sosteneva che, quando le masse fossero state liberate dalla miseria e dal bisogno, si sarebbero orientate verso la cultura e l’arte. Mai previsione fu più errata, come ciascuno può constatare ai giorni nostri. La filosofia in tutto il suo corso storico appare a Feuerbach come una consapevole o inconsapevole teologia, cioè un’alienazione dell'essenza dell'uomo nell'essenza di Dio, e quindi una mistificazione dell'uomo. Anche la filosofia di Hegel, la più grandiosa e conseguente di tutte le filosofie tradizionali, è essa stessa un’immensa teologia, è teologia razionalizzata, cioè l’inversamente e il coronamento del pensiero teologico. Feuerbach invece tenta di creare una nuova filosofia, la trasformazione completa, assoluta, coerente, della teologia in antropologia. Per lui l'uomo non è quale si rivela nella comunicazione con Dio, ma quale viene configurato nella vita sociale e dalla comunicazione con gli altri. Il grembo in cui si feconda e il bisogno, è l'atto essenziale della sua umanità, l'amore dei suoi simili. Secondo Feuerbach, dove non vi è amore non vi è verità. Non essere nulla e non amare nulla sono tutt’uno. Come dal singolo di Kierkegaard, recisi i legami che lo uniscono a dio, nascerà l’esistenzialismo, l’essere per la morte di Heidegger. Così dall’uomo concreto di Feuerbach , quando l’essere sarà liberato dalla menzogna, nascerà una spinta verso una maggiore elevazione delle masse. Oggi la menzogna è l’asse portante dell’intera società, dalla politica alla comunicazione, dall’arte alla promozione del consumo, siamo sommersi da messaggi decettivi. Resta vera l’affermazione di Nelson Goodman: “ Mentre la scienza si giudica in base alla verità, l’arte si giudica in base alla soddisfazione”. L’esperienza estetica diventa una sorta di esercizio ginnico, dove sinfonie e arte rappresentano gli attrezzi che usiamo tanto per l’autopromozione sociale quanto per costruirci un’immagine di cultura spendibile sul mercato, campo nel quale il il falso e il truismo costituiscono risonante banalità sostituendo le ipotesi elementari ed esitanti la cui conferma si realizza nell’opera.
piergiorgio firinu
La filosofia dell’avvenire che non c’è.
I filosofi si sono affannati a descrivere il mondo, ma non hanno avuta la capacità di cambiarlo, o quanto meno contribuire a migliorarlo. La corrente che orientò a sinistra la filosofia di Hegel si è trovata di fronte al fallimento decretato dalla storia.
Ludwig Feuerbach rappresenta la dissoluzione della filosofia hegeliana è il termine di passaggio dall'idealismo al positivismo. Intanto sembra azzardato definire positivismo idee la cui incidenza sul reale è sbagliata ed errata nello stesso tempo. Nel suo libro “Principi della filosofia dell’avvenire” pubblicato nel 1844, egli sosteneva che, quando le masse fossero state liberate dalla miseria e dal bisogno, si sarebbero orientate verso la cultura e l’arte. Mai previsione fu più errata, come ciascuno può constatare ai giorni nostri.
La filosofia in tutto il suo corso storico appare a Feuerbach come una consapevole o inconsapevole teologia, cioè un’alienazione dell'essenza dell'uomo nell'essenza di Dio, e quindi una mistificazione dell'uomo. Anche la filosofia di Hegel, la più grandiosa e conseguente di tutte le filosofie tradizionali, è essa stessa un’immensa teologia, è teologia razionalizzata, cioè l’inversamente e il coronamento del pensiero teologico. Feuerbach invece tenta di creare una nuova filosofia, la trasformazione completa, assoluta, coerente, della teologia in antropologia. Per lui l'uomo non è quale si rivela nella comunicazione con Dio, ma quale viene configurato nella vita sociale e dalla comunicazione con gli altri.
Il grembo in cui si feconda e il bisogno, è l'atto essenziale della sua umanità, l'amore dei suoi simili. Secondo Feuerbach, dove non vi è amore non vi è verità. Non essere nulla e non amare nulla sono tutt’uno.
Come dal singolo di Kierkegaard, recisi i legami che lo uniscono a dio, nascerà l’esistenzialismo, l’essere per la morte di Heidegger. Così dall’uomo concreto di Feuerbach , quando l’essere sarà liberato dalla menzogna, nascerà una spinta verso una maggiore elevazione delle masse. Oggi la menzogna è l’asse portante dell’intera società, dalla politica alla comunicazione, dall’arte alla promozione del consumo, siamo sommersi da messaggi decettivi.
Resta vera l’affermazione di Nelson Goodman: “ Mentre la scienza si giudica in base alla verità, l’arte si giudica in base alla soddisfazione”. L’esperienza estetica diventa una sorta di esercizio ginnico, dove sinfonie e arte rappresentano gli attrezzi che usiamo tanto per l’autopromozione sociale quanto per costruirci un’immagine di cultura spendibile sul mercato, campo nel quale il il falso e il truismo costituiscono risonante banalità sostituendo le ipotesi elementari ed esitanti la cui conferma si realizza nell’opera.
L’inconoscibilità di ciò che è noto.
“La filosofia è puro stare a vedere” Hegel
Inconoscibilità di ciò che è noto Quanto conosciamo delle motivazioni in base alle quali conduciamo la nostra vita? Viviamo in una società conformista e reazionaria; cultura e informazione inventano una realtà declinata al femminile che non esiste. Non abbiamo il senso di ciò che effettivamente accade, condizionati da una comunicazione tanto assordante quando decettiva. Jὔrgen Habermas ha affrontato il tema in “Agire comunicativo e logica delle scienze sociali”. Le discordanze fra positivisti e filosofi del linguaggio ordinario oscillano tra differenze ed enfasi su vari aspetti della comunicazione socio-culturale. I filosofi del linguaggio ordinario si sono dedicati soprattutto all’uso delle parole trascurando i sottointesi semantici che si evolvono spesso in modo distorto. Questo processo di riproduzione di senso non è mai neutro, esso subisce i condizionamenti della ripetitività di una comunicazione finalizzata al consenso. Noam Chomsky in “La fabbrica del consenso” affronta il tema in modo più specifico. Entrambi gli studiosi analizzano le cause, ma non propongono soluzioni, semplicemente perché le soluzioni implicano aspetti culturali e politici la cui modificazione, ove possibile, presuppongone la modifica di equilibri politici e culturali profondi, in breve concernono il modo in cui la società di evolve. Max Horkheim e Theodor W. Adorno in “Dialettica dell'illuminismo”, tentarono di risalire all’origine del sistema mondo com’è andato configurandosi in occidente. I due studiosi rilevano come: “ la vita pubblica ha raggiunto uno stadio dove il pensiero si trasforma inevitabilmente in merce”. La più evidente dimostrazione di questo assunto sono critica e filosofia dell’arte. Il sapere, che spesso è costituito da spurie teorie di fatto al servizio del mercato o, nella migliore delle ipotesi, della ideologia. La creatività finisce per essere consolidata in patrimonio, distribuito a fini di consumo. Uno dei bersagli di Horkheimer e Adorno è l’illuminismo giustiziato, sostengono, da Kant, Sade e Nietzsche. Il libro, “Dialettica dell’Illuminismo” è l’archetipo di tutte le critiche della razionalità scientifica totalitaria. Max Horkheimer e Theodor Adorno non sembrano provare alcun imbarazzo a citare quello che viene considerato il campione del pensiero reazionario e tradizionalista Joseph de Maistre . “Anche secondo Bacone – scrivono- deve sussistere tra i sommi principi e le preposizioni empiriche , una connessione logica evidentemente attraverso i vari gradi di universalità”. I due filosofi tedeschi e il conte savoiardo muovono da posizioni diverse, ma convergono nell’indicare la triade Bacone- Illuminismo- Scienza come le cause dello sfacelo della civiltà di fronte alla quale la filosofia è impotente. Hegel prende atto di questa impotenza quando, nella Fenomenologia dello spirito definisce la filosofia: “Puro stare a vedere”. La parziale resa della ragione ha creato le condizioni perché nella contemporaneità occidentale sopravvivano due religioni, il cristianesimo, per altro annacquato, e il capitalismo. Partecipando al suo ultimo consiglio dei ministri, De Maistre, che era cancelliere come Bacone, bocciò i progetti che gli erano stati presentati esclamando: “ Signori, la terra trema e voi volete costruire!”. Era quindi inevitabile che De Maistre venisse classificato come reazionario e posto ai margini. Poco importava che avesse visto giusto un secolo prima che avvenissero i disastri ai quali oggi assistiamo.
piergiorgio firinu
All'inizio furono profezie e sogni.
L’arte da tempo ha abbandonata la rappresentazione di soggetti religiosi, e tuttavia da sempre gli esseri umani si sono affidati alle profezie e ai sogni. La paura creò la superstizione e da essa ebbe origine la religione, anzi le religioni. Neppure sull’idea di dio la specie umana riuscì a trovare un accordo. Platone nel decimo libro delle leggi afferma che “l’universo è pieno di dei”. Ci siamo liberati degli dei, ora l’adorazione si riversa su personaggi di squallore infinito che i media trasformano in icone e le masse seguono con fanatico entusiasmo.
Per dare corpo alla sua teoria di superuomo Nietzsche riesumò la figura di Zarathustra profeta iranico che a un certo punto della sua esistenza ricevette delle rivelazioni da dio Ahura Mazdä.
Artemidoro di Efeso scrisse Oneirocritica sull’arte divinatoria, punto di riferimento fino a Freud per l’interpretazione dei sogni. Mai come oggi, con la dominante ansia progressista, si parla tanto di futuro, si ha fede nella scienza e nella tecnologia che condiziona e domina le nostre vite. Il nostro immaginario ancestrale è andato attenuandosi, le figure di Cassandra e Tiresia sono state sostituite dai chiromanti che vendono illusioni a povere donne confuse.
Michelangelo ritrasse alcuni profeti nella cappella Sistina. Le profezie, anche quelle enigmatiche e ambigue, hanno sempre trovato spazio nella mente umana. Eraclito sosteneva “il Signore di cui l’oracolo di Delfi, non dice e non nasconde: significa”. Eschilo descrive Cassandra che vede gli assassini di Agamennone, e scopre per prima il cadavere di Ettore che giunge a Troia. Apollo desiderava Cassandra che si rifiuta,per questo il dio la condanna a non essere mai creduta.
Dante annuncia la sua visione del futuro dal Purgatorio e il celebre miniatore Oderisi da Gubbio mette in scena Cimabue e Giotto, entrambi innovatori e attenti alla narrazione religiosa dell’arte. Sulla scena mitologica si confrontano la dea del parto Lucina e quella della morte Nenia che trascina innanzi il tempo.
L’armonia delle due nature, l’essere umano e l’universo, si è frantumata nel ‘600 con l’esplosione del conflitto tra scienziati e umanisti. Frattura mai più composta. Anche Karl Jasper in “Origine e senso della storia” , propose la sua visione del futuro. Eric Arthur Blair, meglio noto come George Orwell, con il Grande Fratello credette di anticipare il futuro, non poteva immaginare che la modernità avrebbe ridotta la sua visione ad un squallido spettacolo televisivo nel quale, ancora una volta, l’uomo esibisce il peggio di se.
Profeti e indovini non hanno mai anticipato nulla, hanno solo alimento le illusioni di un’umanità sempre più corrotta e confusa. Quasi un secolo prima che Sartre facesse dire al personaggio di un dramma: “L’inferno sono gli altri”, Melville era andato più a fondo: “L’inferno è l’esterno”. A giudicare dalla drammatizzazione per il forzato impedimento agli assembramenti nelle città, sembra che nell’infermo i contemporanei si trovino a loro agio.
piergiorgio firinu
Linguaggio e pensiero.
Lenin sosteneva: la vita ci induce a rinunciare al raziocinio insegnandoci la dialettica. In cosa consiste il concetto di dialettica non è così chiaro. Spesso la dialettica è un modo per oscurare il significato del sostantivo verità, in questo modo la verità diventa opinione, argomento filosofico apodittico. Spinoza struttura la narrazione dell’Etica in questo modo; proposizione, dimostrazione, scolio, conclude con C.d.d. (come dovevasi dimostrare). Egli sviluppa tesi, antitesi, sintesi senza contradditorio. Non vi è una reale concreta dimostrazione, solo una costruzione teorica senza riscontro oggettivo. Si presta quindi ad essere contraddetta. Cosa che puntualmente avviene. La filosofia può anche essere vista come confronto tra sistemi, o divisa, come sosteneva Willard Van Orman Quine tra concettuale e dottrinale. Il linguaggio filosofico è inevitabilmente complesso, al limite della gergalità. Heidegger creò un proprio linguaggio. La lettura delle sue opere rende necessaria una sorta di traduzione simultanea. La filosofia, come l’arte, è spesso appannaggio di dilettanti, ovvero di individui sprovveduti. Contro di loro si scaglia Hegel sostenendo che, mentre un calzolaio per realizzare una scarpa deve imparare il mestiere, in molti presumono che la filosofia non richieda apprendimento e fatica. Hegel non chiarisce la ragione per la quale ciò è possibile. La scarpa è oggetto la cui verificabilità è agevole, la filosofia, è soprattutto un esercizio mentale, sicuramente utile per sviluppare le sinapsi, ma di difficile verifica a posteriori. Alcuni filosofi hanno l’ambizione di insegnare a pensare. Heidegger ha scritto “Cosa significa pensare”, mentre Diego Marconi assume che il pensare sia un mestiere e espone questa sua convinzione nel libro, “Il mestiere di pensare”. La filosofia dell’arte non solo pretende, per così dire, di sovrapporsi alle opere con un linguaggio additivo, ma, attraverso una più o meno dotta elaborazione linguistica, si propone di modificare la stessa ontologia dell’arte. Tra gli esponenti di questa corrente spiccano alcuni filosofi statunitensi, tra i quali Arthur C. Danto e George Dickie. Quest’ultimo autore è noto soprattutto per avere espresso la liberatoria e contraddittoria affermazione: tutto è arte. Così, i sopravvenuti filosofi del nuovo mondo, mandano al macero intere biblioteche e secoli di studi e approfondimenti, da Giorgio Vasari a Ernst H. Gombrich e moltissimi altri. Danto liquida la metafisica come “vacua e insensata” (pag. 134 “Dopo la fine dell’arte” Edizioni Bruno Mondadori). Wittgenstein sosteneva che i problemi filosofici sorgono quando il linguaggio fa vacanza. Ma l’analisi del linguaggio è di per sè una materia complessa tanto che, come detto sopra, in qualche caso i filosofi ritengono necessario creare linguaggi ad hoc con risultati che John L. Austin definiva aberranti.
piergiorgio firinu
Coscienza e libertà:
La filosofia si è spesso interessata alla questione della coscienza, ovviamente in forme estremamente complesse ed articolate che non hanno una ricaduta diretta nella sostanzialità interpretativa della normale quotidianità. In ogni ambito dell'attività umana la coscienza dovrebbe suggerirci comportamenti e decisioni giuste. Ciò che condiziona le nostre azioni è la realtà oggettiva/soggettiva nella quale si dipana la nostra esistenza. Presa di coscienza è sinonimo di consapevolezza. Tuttavia, nonostante le complesse interpretazioni dei filosofi, resta difficile stabilire in cosa consiste la coscienza, soprattutto comprendere la ragione delle notevoli differenze tra individui. Nel microcosmo dell’arte, il problema si pone in termini estetici – antropologici avendo presenti, per orientarci, richiami e riferimenti a Kant, Hegel, Schopenhauer, Nietzsche a cui potremmo aggiungere le riflessioni di M. Kähler, A. Ritsch. Infine la monografia di H.G. Stoker. Vasto ambito che andrebbe ulteriormente ampliato per mettere in luce le molteplicità di fenomeni di coscienza che caratterizzano criticamente i diversi modi possibili di considerare la fenomenologia dell’arte. L’ampia bibliografia, se pur incompleta, aiuta a inquadrare il tema. Per quanto concerne la storia del concetto di coscienza, la monografia di Stoker si differenza dall'interpretazione esistenziale già nell'impostazione, quindi nei risultati, nonostante parecchie concordanze, Stocker non valuta sufficientemente fin dall'inizio le condizioni ermeneutiche per una descrizione della coscienza sussistente oggettivamente ed effettivamente; con ciò va di pari passo all'annullamento dei confini fra fenomenologia e teologia con danno di ambedue Per quanto riguarda i fondamenti antropologici della ricerca mutuati dalla soggettività della scelta, la monografia di Stoker rappresenta un considerevole progresso rispetto alle interpretazioni precedenti, più per la trattazione complessiva dei fenomeni della coscienza e delle loro ramificazioni, che per l'analisi delle radici ontologiche del fenomeno. Se dalle narrazioni concettuali della filosofia, ritorniamo alla concretezza di ciò che l’artista intende comunicare, ci troviamo di fronte a narcisistiche velleità. Effettivamente la comunicazione extramondana trascura il bagaglio epistemologico che dovrebbe essere la base per realizzare la visione soggettiva che l’artista intende rappresentare. I barattoli di Manzoni, l'orinatoio di Duchamp, la rana crocifissa di Kippenberger, il crocifisso immerso nell’urina di Andres Serrano, sono tutte opere che sollevano perplessità, ci pongono di fronte alla domanda: quale tipo di coscienza muove queste azioni? Qual’è l’intento di quei sedicenti artisti? Lascio a chi legge l’onere della risposta. Certo è problematico il confronto tra il discorso aureo sulla questione di coscienza, che include, ovviamente aspetti etici, e fatti artistici che riflettono un vuoto interiore, uno squallore esistenziale che sgomenta. E tuttavia tutto viene accettato in nome della cosiddetta libertà di espressione. Mettere in vendita la coscienza soggettiva per un attimo di notorietà, vellicare gli aspetti peggiori della natura umana, sono forme di prostituzione socio-culturale che dovrebbero far riflettere. Se è vero che la coscienza e un’entità soggettiva, è altrettanto vero che l’opera d’arte dovrebbe trasmettere valori con valenze universali agendo all'interno di una realtà antropologica e civile. Le opere citate, a cui se ne potrebbero aggiungere molte altre, sono espressioni di una realtà depravata. Realizzare simili opere non significa compiere un atto di libertà, come da più parti si sostiene. La libertà non può essere solo espressione di sterile cinismo. Le opere che abbiamo elencato non hanno alcun valore sul piano dell'etimologia artistica, tanto meno nella simbologia libertaria.
piergiorgio firinu
Ludwig Wittgenstein : va bene così.
Con l'ultimo colpo di pennello il quadro è ultimato, oppure il pittore si ferma a ciò che Wittgenstein definisce: “ va bene così” Qual è il limite, la completezza della realtà ontologica dell'arte? Cosa è rimasto del rapporto tra arte e vita? La filosofia antica, in parte ripresa da Heidegger, esamina un percorso dell'esistenza che si conclude con la morte. Il destino dell'essere è un insieme di frammenti temporali che chiamiamo vita, ne accettiamo tutte le inevitabili incompletezze. Per l'estetica la completezza si realizza nella perfezione, mai raggiunta e non raggiungibile. La vita si prolunga nella memoria di chi resta e nella testimonianza della poesia. “Passi echeggiano nella memoria in quel corridoio che non percorremmo, verso quella porta che non aprimmo mai.” (T.S. Eliot Quattro quartetti) “Dove urlano le onde e il vento/ dove vola la procellaria e nuota il delfino”. La pretesa di definire la vita in quanto significato escatologico è destinata a fallire. Platone ci mette di fronte ai nostri limiti con la parabola della caverna. Talete anticipa con una metafora naturale la narrazione dell’eterno ritorno: “ Entriamo e non entriamo nello stesso fiume”. Il fluire inarrestabile del tempo. Platone rileva che l’arte crea una doppia illusione, forse necessaria, paradigma dell'esistenza essa stessa illusione. L’arte contemporanea rifiuta il bello, la storia, la mimesi, ma soprattutto rifiuta la poesia, sembra quasi che il bello, la poesia siano disturbanti quando entrano in esistenze vendute alla funzionalità senza scopo, che non sanno, non possono andare oltre il presente. La pedagogia ha rinunciato da tempo alla norma dei greci: Kalos kagathos”, Bello e buono. L’espressione Kalokagathia si riferisce alla perfezione fisica e morale della scultura greca del V secolo a.C. L’umanità non ha più visto la perfezione delle sculture di Mirone, Policleto, Fidia, Prassitele, Skopas, Lisippo. I frammenti delle opere di questi artisti sono custoditi nei musei a ricordo di un Arcadia che ai primordi della civiltà ci illuse sulla possibilità che davvero il bello potesse salvare il mondo. Forse l’umanità non vuole era salvata, non più di quanto una scrofa possa preferire il velluto al fango. Per quanto si possa far ricorso a teorie spurie non possiamo nasconderci che il mondo così com’è lo abbiamo costruito noi. La nostra storia, la nostra arte, il nostro sistema economico produttivo, i nostri abiti, le nostre abitudini, tutto è frutto della nostra attività, delle nostre scelte, delle nostre azioni. Possiamo esserne orgogliosi? Ai contemporanei l’ardua sentenza. Quello che è certo, non è stata la filosofia ad orientare le nostre scelte. L’auspicio di Kant: “ Il cielo stellato sopra di noi, la legge morale dentro di noi”, non è mai stato un riferimento, una linea guida, il cielo lo abbiamo inquinato, la legge morale l’abbiamo cancellata.
piergiorgio firinu
Visione e pensiero.
È Vediamo ciò che pensiamo e attraverso ciò che conosciamo. Lo sguardo come interrogazione, come un passo verso la conoscenza. La costituzione fondamentale della visione si manifesta in una particolare tendenza al “vedere”. Di una persona particolarmente acuta si dice che “sa vedere le cose”. Definiamo la propensione a vedere con il termine: curiosità. E’ la curiosità il principale stimolo alla conoscenza. Noi interpretiamo il fenomeno della curiosità come un fondamento ontologico- esistenziale. Già nella antichità e nella filosofia greca fu studiata la base del piacere di vedere. Il libro che occupa il primo posto nella raccolta dei trattati aristotelici di ontologia inizia con il fermare l’attenzione sulla visione. Lo sguardo, il vedere, osservare, stimola la riflessione ed è alla origine della scienza come lo è dell’arte. Non è pensabile un pittore privo di vista. L’interpretazione greca della genesi esistenziale della scienza non è casuale. In essa si fa esplicito ciò che era già delineato nella filosofia di Parmenide. L’essere è ciò che si manifesta alla visione intuitiva pura. Hans Belting affronta il tema della storia visiva mettendo a confronto diversi aspetti della visione. Nel “I Canoni dello sguardo” (Bollati Boringhieri 2010) usa l’emblema della finestra per sottolineare come mentre nella civiltà occidentale la visione è fondata sul primato dell’occhio e sulla sovranità del soggetto osservatore, la civiltà araba privilegia la luce ed è fedele al grafismo non iconico. Agostino si interroga sulla concupiscenza dello sguardo, come il vedere influisca profondamente sui nostri pensieri. Oggi che viviamo nella civiltà delleimmagini ci troviamo ad dover affrontare la volgarità delle immagini che incessantemente vengono trasmesse da cinema e tv e si riflettono nei comportamenti quotidiani delle masse. I sistemi complessi che sovraintendono la produzione di immagini hanno fagocitato anche l’arte. Gli artisti hanno abbassato gli occhi sugli strumenti tecnici rinunciando alla visione immaginifica che guida la mano creatrice. Si è attuato una sorta di incapsulamento tecnologico che ci assorbe e ci distrae, soprattutto diventa un “bisogno” di evasioni, ci rende più psicolabili. Siamo abituati a vedere in ogni dove le persone concentrate sul proprio telefono compulsare sulla tastiera per trasmettere il nulla. La visione del mondo si è ridotta per molti allo spazio di cm7 X11 dello schermo del telefono.
piergiorgio firinu
La lezione di Diogene.
Una delle prerogative della saggezza è la capacità di proiettarsi verso il futuro, ovvero saper valutare le conseguenze della azioni. E’ questa la ragione per cui la saggezza è generalmente supportata dalla morale. A volte la moralità può assumere aspetti paradossali. Diogene è noto per gli atteggiamenti provocatori, ma nella realtà il suo stile di vita era improntato alla semplicità, egli rifiutava ricchezze e onori. Lo conferma l’aneddoto di quando Alessandro Magno si recò a fargli visita, fermato il cavallo davanti alla spelonca in cui abitava Diogene, disse al filosofo: Chiedimi qualsiasi cos desideri, esaurirò il tuo desidero. Diogene risposte. Spostati che mi togli il sole. Perché la morale può renderci felici è presto detto. Come Diogene ci aiuta capire attraverso le osservanze morali riusciamo a controllare le nostre pulsioni, desideri, ambizioni, aggressività. La nostra libertà è resa impossibile dai molti condizionamenti. Leibniz immaginava un mondo abitato solo da esseri ragionevoli i cui rapporti tra loro fosse ispirato da leggi morali. Lo definiva “Il Regno della Grazia”. E’ noto che l’immaginazione ottimistica di Leibniz cadde sotto gli strali di Voltaire, il quale essendo un uomo di mondo, sicuramente non aveva la moralità come stella guida, badava alle cose concrete, vedeva il mondo com’ è non come vorremmo che fosse. Il primo passo per liberarsi dalla morale è stato eliminare l’ingombrante figura di dio. Siccome la religione ha caratteri che l’assimilano alla superstizione, si è scelto, come si usa dire, di buttar via il bambino con l’acqua sporca. Niente dio, niente morale. Quello che è rimasta in piedi è una sorta di parodia detta “morale laica” , che come l’araba fenice che vi sia ciascun lo dice dove sia nessun lo sa. E’ nota la frase che Dostoevskij fa dire a Ivan Karamazov; Se dio è morto tutto è permesso. Ma la morte di dio è provocata non solo dalla cattiva coscienza, anche dalla rinuncia alla ragione. Tommaso d’Aquino nella Summa Theologiae propone un percorso tramite il quale la ragione porta a dio. Più succintamente Biagio Pascal si affida alla scommessa sul paradiso. Ovviamente tutte queste tappe della cultura filosofica sono sicuramente antitetiche alle società contemporanee che guarda caso, sono le più ricche, infelici e disordinate della storia umana.
piergiorgio firinu
Il difficile confronto con la realtà
Una delle prerogative della saggezza è la capacità di proiettarsi verso il futuro, ovvero saper valutare le conseguenze della azioni. E’ questa la ragione per cui la saggezza è generalmente supportata dalla morale. A volte la moralità può assumere aspetti paradossali. Diogene è noto per gli atteggiamenti provocatori, ma nella realtà il suo stile di vita era improntato alla semplicità, egli rifiutava ricchezze e onori. Lo conferma l’aneddoto di quando Alessandro Magno si recò a fargli visita, fermato il cavallo davanti alla spelonca in cui abitava Diogene, disse al filosofo: Chiedimi qualsiasi cos desideri, esaurirò il tuo desidero. Diogene risposte. Spostati che mi togli il sole. Perché la morale può renderci felici è presto detto. Come Diogene ci aiuta capire attraverso le osservanze morali riusciamo a controllare le nostre pulsioni, desideri, ambizioni, aggressività. La nostra libertà è resa impossibile dai molti condizionamenti. Leibniz immaginava un mondo abitato solo da esseri ragionevoli i cui rapporti tra loro fosse ispirato da leggi morali. Lo definiva “Il Regno della Grazia”. E’ noto che l’immaginazione ottimistica di Leibniz cadde sotto gli strali di Voltaire, il quale essendo un uomo di mondo, sicuramente non aveva la moralità come stella guida, badava alle cose concrete, vedeva il mondo com’ è non come vorremmo che fosse. Il primo passo per liberarsi dalla morale è stato eliminare l’ingombrante figura di dio. Siccome la religione ha caratteri che l’assimilano alla superstizione, si è scelto, come si usa dire, di buttar via il bambino con l’acqua sporca. Niente dio, niente morale. Quello che è rimasta in piedi è una sorta di parodia detta “morale laica” , che come l’araba fenice che vi sia ciascun lo dice dove sia nessun lo sa. E’ nota la frase che Dostoevskij fa dire a Ivan Karamazov; Se dio è morto tutto è permesso. Ma la morte di dio è provocata non solo dalla cattiva coscienza, anche dalla rinuncia alla ragione. Tommaso d’Aquino nella Summa Theologiae propone un percorso tramite il quale la ragione porta a dio. Più succintamente Biagio Pascal si affida alla scommessa sul paradiso. Ovviamente tutte queste tappe della cultura filosofica sono sicuramente antitetiche alle società contemporanee che guarda caso, sono le più ricche, infelici e disordinate della storia umana.
piergiorgio firinu
Il gusto e la forma.
Nell’arte si giudica dalla forma dell’oggetto attinente all’estetica, o al suo contenuto? Non c’è dubbio che rispondere a questa domanda vorrebbe dire chiarire il senso della filosofia dell’arte. Peccato che la risposta sia impossibile se non tramite apodismi. Infatti, mentre la quantità e anche la natura di un oggetto in quanto materia può essere accertata, altra cosa è stabilire la qualità con una approssimazione che possa essere generalizzata. La scelta diventa soggettiva e si affida al sostantivo maschile “gusto”, cioè qualcosa di estremamente opinabile. Spinoza chiarisce questa propensione nello scolio della preposizione 39 dell’ Etica: “..noi non desideriamo niente per il fatto che lo giudichiamo buono , ma viceversa diciamo buono ciò che desideriamo…” . Già l’estetica medioevale aveva tentato distinzioni in questo campo. Scoto Eriugena, anticipa la brama collezionistica quando descrive un elegante vaso d’oro, ornato di pietre preziose, guardato dal saggio e da un uomo vizioso. Il saggio ammira l’oggetto per la forma. L’altro guarda ed è preso da desiderio di possederlo. Questa contrapposizione ha una parte considerevole nell’estetica medievale. In Tommaso d’Acquino è già formulata nel senso che è un godimento dell’armonia delle forme, di piacere estetico. Ciò implica, come abbiamo detto, il gusto. Tema sul quale Galvano della Volpe formula una teoria che tracima nella socialità dell’arte. Operazione tutto sommato tautologica. Diciamo che la filosofia dell’arte, specie di matrice statunitense, ha contribuito non poco a far nascere il gusto Kitsh e il gusto Kamp. Quest’ultimo è soprattutto preferito dalle comunità omosessuali. Andy Warhol era una sorta di guru della numerosa comunità omosessuale newyorkese che gravitava intono alla Factory. Quello che Hermann Broch chiama uomo Kitsh si fonda sulla menzogna, come egli afferma, su una rappresentazione per lo più poco consapevole, falsa, illusoria del rapporto con la realtà sociale. Egli scrive: l’uomo contemporaneo ama il Kitsh perché è Kitsh. Peter Sloterdijk nel primo volume di Sfere (Editore Cortina 2014) pagine 496-97 scrive a proposito della musica Pop e la descrive psicoacustica, o come la definisce Tom-Götter divinità del suono, ritorno alle caverne. E’ possibile sentirla soprattutto nelle Love Parades e nei Gay Pride. Ecco dunque che l’incultura della contemporaneità ha la propria arte, la propria musica e la propria letteratura, il tutto proposto e riproposto dai media, in particolare tv e cinema.
piergiorgio firinu
I paradossi della società contemporanea.
La lettura dell’ultimo lavoro di Paul Virilio “L’incidente del futuro” suscita reazioni contrastanti. Un filosofo si occupa della deriva socio-culturale a cui siamo immersi da tempo, mette l’accento sugli apodismi alla base della incongruenza sociale. La tesi che sviluppa non è però coerente. Il progresso non elimina ciò che resta di umano in noi, com’egli sostiene. Se così fosse non ci troveremmo sommersi da crescente entropia sociale con la quale dobbiamo fare i conti. Il progresso è usato a pretesto e giustificazione di comportamenti ignobili e insensati, tipicamente umani. “Progresso” e “Libertà” sono i due miti del nostro tempo. Gli esempi citati da Virilio dimostrano che non sempre i due termini sono compatibili. Non perché il cattivo di turno, scienziato o politico, disponga di macchine infernali di coercizione. Il “Il Grande Fratello” è opera di mediocri personaggi della comunicazione e spettacolo. L’ansia di prostituirsi moralmente è così diffusa da non avere bisogno di essere incoraggiata. Le ventimila ragazze che si presentano per un posto da Velina, vedono se stesse come evolute, moderne, aperte a tutto ciò che è nuovo. Dunque alla locomotiva del progresso non serve il ricorso a violenza e/o sotterfugi per procurarsi il carburante. Una folla davanti alla caldaia ansiosa di buttarsi nelle fiamme della “libertà” e progresso”. Forse, avrebbero difficoltà e definire i due sostantivi, ma questo non fa differenza.
piergiorgio firinu
Realtà e percezione.
Vi sono realtà che percepiamo ma non vediamo. Il freddo, il caldo. L’ombra la vediamo ma è percepibile al tatto, non è nulla solo assenza di luce. Altre realtà sono un nostro difetto di visione. Immaginiamo un daltonico, un astigmatico, osservano un oggetto e lo vedono difettoso, un colore diverso, una immagine sfocata. Vediamo cioè un difetto nell’oggetto osservato mentre in realtà il difetto è di chi osserva. Questo tipo di difficoltà può essere individuato e risolto con l’ausilio di un supporto tecnico. Ma cosa accade quando un difetto di valutazione, di comprensione, sono dovute all’intelletto, quando cioè l’intelletto non riesce a comprendere uno scritto, un pensiero, una fenomeno? Intanto è estremamente difficile stabile con sufficiente approssimazione il reale livello di comprensione. Conoscere non equivale a capire. Questa spiega l’apparente paradosso di persone colte ma ottuse. Nella grande ricchezza della lingua, chi scrive si trova impegnato nella ricerca della parola giusta, che risponda esattamente al concetto che vuole esprimere. Secondo Roland Barthes la ricerca della parola giusta costituisce l’essenza della letteratura. Altri tempi. Platone si servi dell’espressione idea nel senso di qualcosa che non è ricavato dai sensi , ma sorpassa anche i concetti dell’intelletto. Le idee sono per lui gli archetipi delle cose stesse, non semplici chiavi per esperienze possibili. Per Aristotele nell’esperienza non s’incontra mai nulla che vi sia adeguato. Se noi partiamo da queste premesse per esaminare la narrazione condotta dalla filosofia dell’arte, ci rendiamo conto che, nella maggior parte dei testi, non si manifesta la capacità di penetrare il significato vero del fenomeno arte nella espressione materiale in cui si presenta. Se, ad esempio, com’è stato stabilito, il colore esprime pura emozione, il voler dare un significato razionale a un opera astratta, basata cioè esclusivamente sul colore, è operazione inattuabile se non facendo ricorso ad apodismi. A meno di supporre che il filoso più che un tentativo ermeneutico, si affidi a un esercizio di narrazione sofistica. Zenone d’Elea, sottile dialettico, fu molto biasimato da Platone come petulante sofista, perché egli per dar prova della sua abilità dialettica cercava di una stessa proposizione dimostrare, tramite speciosi argomenti, prima la sua fondatezza e poi la sua inconsistenza logica. Quando un filosofo scrive testi per tentare di argomentare in ordine ai fenomeni artistici, distinguendo qualità, significato e valore di singole opere, e poi approdare all’affermazione: tutto è arte. Va da se che, se tutto è arte sono pleonastiche le distinzioni di merito e di valore, tutto è affidato al gusto e alla scelta soggettiva, le teorie sull’arte si disperdono in immaginazione decettiva.
piergiorgio firinu
Arte, immagini affidate alla estemporaneità.
Qualunque sia il contenuto della nostra conoscenza, e in comunque modo si riferisca all’opera che stiamo osservando, il nostro giudizio è frutto di una sedimentazione di saperi ed esperienze. La preposizione: “a nessuna cosa conviene un predicato che la contraddica”, si chiama principio di non contraddizione; è un criterio generale che appartiene alla logica. L’equivoco nasce dalla modalità di narrazione con pretesa ermeneutica del tutto apodittica. Il giudizio critico viola il principio di non contraddizione ogni qual volta presume di identificare nell’opera significati che non sono riscontrabili. I giudizi sono spesso accolti per abitudine e si combinano con le inclinazioni. Da questo punto di vista appare molto più distruttiva la critica dello psicologo Daniel Wegner che argomenta: “ Le ragioni che adduciamo per giustificare le nostre scelte sono mere confabulazioni, congeniate a posteriori , e per ciò casualmente irrilevanti per la produzione dei nostri giudizi”. Dovrebbe valere l’affermazione di Kant secondo cui: “ La verità di un giudizio è l’accordo della conoscenza con il suo oggetto”. Ma come può valere la conoscenza di un opera che non ha un ontologia definita? Per esempio da dove si possono trarre gli argomenti per attribuire significato a un opera astratta che palesemente non rappresenta nulla, nel senso che è priva di fondamento logico ed ha solo un impatto emozionale indotto dalla disposizione del colore senza disegno? In questi casi entrano in gioco le diverse sensibilità. La storia dell’arte non è solo una teoria di artisti e opere, ma entra nel vivo della storia e della cultura dell’epoca in cui fu creata. Per questa ragione, in molti casi, razionalità e logica non sono necessarie, l’opera è la traccia di un evento, l’immagine di un personaggio, uno scorcio di natura. Nulla di tutto questo è ravvisabile nella maggior parte dell’arte dell’ultimo secolo. In misura ancor maggiore nella cosiddetta arte astratta. L’espediente della critica è spesso di attribuire all’artista un intento preciso, ricamando immaginifici dettagli sulla personalità del soggetto creatore. Come quando si attribuisce a Jackson Pollock la capacità di indirizzare il dripping alla realizzazione di una precisa forma. Trattasi, a mio avviso, di decettività fantasiosa, priva di riscontro oggettivo. In realtà l’esperienza artistica è possibile solo mediante una rappresentazione per realizzare la quale è necessaria la percezione filtrata da gnoseologia e sensibilità che diventano forma.
piergiorgio firinu
Unicorno. Mitologia dell’ impossibilità.
L'idealismo materiale, ossia l'idealismo che si riferisce alla materia del conoscere, si contrappone all’idealismo formale. L’idealismo problematico di Cartesio dichiara indubitabile solo un'affermazione empirica cioè: io sono. Quello dogmatico di Berkeley considera lo spazio con tutte le cose a cui esso aderisce quali condizioni inseparabili, come qualcosa in se stesso impossibile e dichiara perciò anche le cose nello spazio semplici immaginazione. Ora se noi consideriamo la rappresentazione, come concetto materializzato di una cosa rappresentata, dovremmo dedurne che un concetto resta vuoto se non confermato dall'esperienza. Nella logica immaginaria dell'arte tutto è diverso. Un artista può dipingere, dar forma a un unicorno. L’unicorno esiste,è davanti ai miei occhi, ma non nella realtà. L’arte quindi realizza un ossimoro, crea una realtà che non esiste. L'artista può scegliere tra collocare l'unicorno nello sfondo di una realtà conosciuta, oppure, coerentemente, creare una realtà immaginaria nella quale collocarlo. Altro ossimoro. Tuttavia, mentre l'unicorno è figura mitologica nota, la realtà immaginaria creata dall'artista nella quale colloca l’unicorno, è interamente frutto della sua fantasia creativa, quindi distinta dal reale. Quando affermo che l'arte contemporanea è frammentata, mi riferisco alla difficoltà dell’artista di creare una realtà nella quale collocare l’unicorno, dare quindi compiutezza e continuità la narrazione. Questo limite non impedisce di usare un’immagine mitologica, ma, come detto, rende problematico saper dare all’unicorno una giusta collocazione. Resta la realtà dell'unicorno, per restare alla metafora, esso è collocato però nella scenografia di una realtà nota. E’ quanto ha fatto il surrealismo: immaginare un significato senza la capacità di realizzarlo in una forma compiuta. Una narrazione interrotta che ha aperto la strada all’uso di concetti formali i quali, ancora più che nel surrealismo, restano sospesi nel nulla, privi di una definizione semantica. La rinuncia alla mimesi e alla narrazione storica, ha condotto l'arte al fallimento formale e contenutistico. Così come il delirio modifica tutto ciò che comunque fa parte della nostra esperienza pregressa, mentre oggetti e persone vengono semplicemente deformati, modificate. L'arte con la pretesa di affidarsi alla concettualità, rischia di realizzare qualcosa di simile. Creare una sospensione tra il possibile e immaginario, dare una forma del tutto insufficiente ad esplicare un contenuto autonomo che giustifichi se stesso in una definizione ontologica non spuria. Non c'è dubbio che le teorizzazioni ormai hanno poco a che vedere con l’attuale sistema dell’arte, vista la situazione di un mondo artistico che in pratica funziona esclusivamente in funzione del mercato. Tuttavia sarebbe utile che gli artisti prestassero maggiore attenzione alle motivazioni del loro operare. Forse sarebbero indotti a tentare di dare un'impronta, un significato, alle opere che producono in modo da evitare di galleggiare nel vuoto di velleitarismi, come purtroppo avviene con eccessiva frequenza.
piergiorgio firinu
Donne, arte, potere.
Con il libro “Il paradosso di Antigone” ho tentato di descrivere il fondamento decettivo delle teorie femministe che tendono a rappresentare la donna vittima di una cultura patriarcale. La storia dell’occidente, dove maggiori sono le recriminazioni femminili, dimostra che non c’è mai stata vera sottomissione della donna. Ovviamente ci sono, e ci sono state questione naturali e sociali che in qualche misura determinano i ruoli con vantaggi e svantaggi che vanno sicuramente valutati e in molti casi superati da entrambe le parti. Resta il fatto che le disuguaglianze non sono prevalentemente di genere, ma di classe sociale. Il problema è ben descritto da Karl Max nel Primo libro del Capitale. La storia registra il diffuso potere femminile, non solo nella versione descritta da J.J. Bachofen, ma nel tessuto vivo della società. Ci vorrebbero più libri anche solo per elencare donne regine, nobili, cortigiane che hanno avuto potere, in qualche caso assoluto. Elisabetta I, figlia di Enrico VIII, Caterina di Russia e molte altre. Da notare che nessuna delle donne che hanno avuto il potere ha inciso sulla posizione sociale delle donne. Rispondere a questa domanda ci aiuterebbe a capire molte cose, ma non è questa la sede. Quanto scritto appare evidente anche nel campo dell’arte. Nella impossibilità di ricostruire per intero gli eventi, ci limitiamo a brevi cenni prendendo in considerazione un periodo particolarmente interessante della storia di Francia, tra il 1643 – 1742. Era l’epoca in cui l’assolutismo regio sperperava enormi somme di denaro in feste e lussi di ogni genere, nell’acquisto di opere d’arte, creando grandi collezioni poi finite nei musei, in particolare al Louvre. Ebbene anche in quel periodo la corte era dominata dalle donne nobili e cortigiane. In particolare due donne si contendevano il predominio nel campo dell’arte. Yeanne f’Albert de Luynes, contessa di Verrua e Jeanne Antoinette, marchesa de Pompadour. La prima, dopo varie relazioni con uomini potenti realizzò una collezione di opere d’arte senza uguali, all’epoca si diceva fosse superiore anche a quella del reggente, il Duca di Orleans. Alla fine della sua vita la contessa Verrua creò una specie di casa di tolleranza di alto bordo che era chiamata Maison de volupté. La marchesa de Pompadour era la favorita di Luigi XV. Nei ventun anni durante i quali fu maîtresse en titre du Roi dei France, Luigi XV dissipò 72 000 000 di livres per lei. Era il personaggio più potente in Francia, faceva e disfaceva ministri, disponeva di uffici pubblici, di onori e privilegi. Anche Pompadour creò una immensa collezione d’arte che alla sua morte venne gestita da Colbert e Charkes Le Brun. Ovviamente questi sono solo due tra i moltissimi casi che la storia politica e la storia dell’arte registrano in ordine al potere femminile. La posizione sociale della donna non fu mai una conquista, un merito guadagnato in attività utile alla nazione. All’epoca i maschi si guadagnavano titoli nobiliari e privilegi sociali, sopratutto sui campi di battaglia per conquistare nuovi territori o per difendere la nazione. Ovviamente molti pagavano con la vita. Per le donne posizione sociale e privilegi erano sempre frutto di eredità, matrimoni o relazioni amorose.
piergiorgio firinu
Il rischioso passaggio dalla forma del concetto.
Paradossalmente il positivo della filosofia è costituito anche dal linguaggio quasi sempre tortuoso, spesso inutilmente complesso. Perchè dico positivo? Perché l’oscurità del linguaggio induce, a chi voglia capire, soffermarsi con attenzione, rileggere e riflettere.
Questo attiva l’intelletto e lo stimola. Di negativo resta che spesso la difficoltà di comprensione non è data dalla complessità dell’argomento trattato, quanto piuttosto dalla modalità del linguaggio e l’uso di espressioni inutilmente complesse.
Quanto sopra premesso spiega perchè, quando la filosofia entra a gamba tesa bel mondo dell’arte ed attua una propria ermeneutica, non si propone la comprensione dell’opera in esame, ma usa l’opera come pretesto per un esercizio filosofico linguistico parallelo. Ciò produce un effetto surreale di sdoppiamento semantico .
Posto che l’opera in esame, prima della realizzazione, sia stata pensata dall’artista, quale è il percorso mentale che consente al filosofo di interpretare le ragioni che hanno motivata l’opera? Il filosofo compie un processo a ritroso, si riappropria del percorso creativo dell’artista e attraverso questo immaginario processo pretende di attuare un’ermeneutica esaustiva.
D’altra parte, nel momento in cui l’artista abbandona la mimesi, rifiuta il bello e pretende di concretizzare nell’opera una operazione concettuale, cambia la natura stessa del suo agire e da artista diventa filosofo. Siccome presumibilmente la sua preparazione filosofica non è sufficiente a realizzare una vera sistematicità filosofica che egli pretende esprimere nell’opera, ecco dunque che si pone in sottordine a teorie più complesse e apre le porte alla filosofia che non si limita più all’ermeneutica dell’ opera, ma pretende di stabilirne la natura.
Di conseguenza la rappresentazione del reale, filtrato dalla sensibilità dell’artista, lascia il campo ad un creatore di concetti quale l’artista pretende di essere. A posteriori i concetti si sovrappongono alla forma che non più rappresentativa in se stessa .
Inoltre, collegare la rappresentazione di una certa idea ad un determinato oggetto, è processo empirico non necessariamente valido perché può essere inquinato da eccesso di soggettività. Si crea quindi un discrasia per cui la logica della rappresentazione non coincide più con l’immaginazione produttiva.
Piergiorgio Firinu. “I pugni in tasca” . Immagine tra passività e impotenza. Fotografia elaborata. 2020
L’intelligenza sensibile confluisce nella rappresentazione formale.
La logica estrae il contenuto della conoscenza e lo trasforma in concetti. Lo spazio e il tempo contengono molteplici intuizioni pure nelle quali è interpretato il mondo fenomenico, vale a dire il mondo delle nostre sensazioni,ma non i pensieri. Il pensiero rappresenta l’essenza della soggettività, richiamata dal noto detto di Cartesio: “Cogito ergo sum” . Fa parte delle facoltà del nostro intelletto selezionare e accogliere le rappresentazioni degli oggetti che possono quindi entrare ogni volta nel contesto della percezione. La sensibilità, la cultura, la capacità tecnica dell’artista consentono di far confluire nella forma le virtualità delle proprie intuizioni. Non basta la spontaneità del pensiero, nè solo la tecnica, per dar forma al molteplice fenomenologico. Il reale percepito, penetrato, raccolto unificato in una sintesi costituisce la materia gnoseologica che è la base che l’artista utilizza per la realizzazione dell’opera. Questo atto di sintesi è contenuto, trova compimento, nella forma della quale costituisce il valore. Winckelmann sosteneva che il pennello del pittore dovrebbe essere intinto nell' intelletto. Considerato che la pittura non è più la parte preponderante della produzione artistica, dovremmo pensare a un necessario adattamento concettuale che consenta di dare continuità all’epistemologia che nutre il pensiero creativo, attuare un connubio tra conoscenza, sensibilità, impressione. Hutcheson collega l’arte ad armonia e regolarità. Shaftesbury, sosteneva la tesi che “all beauty is truth”. Va da sè che le avanguardie hanno capovolto le tesi di questi studiosi accreditando il laido e disarmonico, Il processo è reso possibile dall’abbassamento del livello etico culturale, a cui si aggiunge l’impreparazione dell’artista. Quando le avanguardie con arroganza apodittica attuarono una radicale cesura con la millenaria cultura artistica, senza proporre alternative, limitandosi a dar vita a una serie di atti e opere di provocazione, con la messa in scena di pantomine derisorie, nella presunzione che, abolendo epistemologia, modificando l’ontologia dell’arte, ne derivasse una maggiore libertà creativa per gli artisti. Fu un errore fatale al quale forse non è più possibile porre rimedio. La libertà così ottenuta si è tradotta in anarchica ed ha contribuito all’abbassamento del livello di preparazione degli artisti. Dalle nuove correnti artistiche non è emerso un solo pensiero nuovo, qualcosa capace di nutrire l'intelligenza creativa. Gli artisti hanno abdicato alla loro autonomia lasciando alla critica e alla filosofia il compito di dare il significato alla loro opere. Non sono emersi artisti di sufficiente levatura da saper rappresentare in modo adeguato i multiformi fenomeni della contemporaneità. Nella migliore delle ipotesi l'arte contemporanea è costituita da frammenti, figure approssimative o cartellonistica, oppure, come già detto, provocazioni. Negli ultimi tempi hanno trovato ampio consenso i graffiti sui muri, la cosiddetta Street Art. Questo significa che gli artisti non sanno o non vogliono affrontare il difficile combattimento per immagini, non sanno andare oltre la pura rappresentazione, non sanno usare la metafora per rappresentare una realtà filtrata da sensibilità e sapere.
piergiorgio firinu
La storia dell’arte è lastricata di cattive intenzioni.
Parafrasando il detto: “le vie dell'inferno sono lastricate di buone intenzioni”, potremmo dire capovolgendo il senso che la storia dell'arte è lastricata di cattive intenzioni. Infatti così come a Roma il maggior fulgore dell’arte avvenne nel periodo di grande corruzione del papato, anche in Francia con l' assolutismo regio, si ebbe il periodo di creazione delle istituzioni fondamentali in vigore ancora ai nostri giorni. Da Francesco I a Luigi XIV si ebbero le quattro fasi durante le quali si radicò il potere della monarchia. La prima, quella di Francesco I e Enrico II fu il periodo del plauso popolare per la monarchia, un periodo in cui si diedero al popolo francese i primi frutti del Rinascimento italiano. La seconda fase sotto il regno di Enrico IV portò uno sconvolgimento del paese in lotte religiose e civili. Solo grazie alla grande popolarità personale del re, che peraltro era causa del malcontento, si riuscì a tenere a bada l’ira del popolo e tranquillizzare i protestanti della Linguadoca per essere stati traditi con la sua conversione al cristianesimo e aver perso le loro tradizioni e le libertà. La terza e quarta fase riguardano il deliberato programma di assolutismo sviluppato da Richelieu durante la minore età di Luigi XIII. continuato da Mazzarino. Si raggiunse finalmente il culmine della Corte del Grand Monarque. Una stessa politica fu comune a tutte queste quattro fasi, quella di ottenere con la vendita delle cariche una nuova classe di nobili che in teoria avrebbero dovuto restare fedeli alla corona che li aveva creati, è questa l'origine del noblesse de la robe e del bourgeois gentilhomme. Al tempo di Luigi XIV questi erano diventati così potenti che a loro volta, malgrado il comico ritratto che ne fa Molière, costituivano una nuova e seria minaccia per l'autorità reale. L'importanza di questi parvenu per la storia dell'arte è incalcolabile poiché diedero vita al mecenatismo e al collezionismo del Seicento in Francia, che è soprattutto la storia della rivalità tra re, reso sempre più splendido dalle sue illimitate spese, ed i suoi ministri e i nuovi milionari che volevano umiliarlo ostentando le loro spese personali. Ci volle il Castello di Versailles, come ben comprese quel Colbert, per tenere al loro posto questi nuovi ricchi. La politica di Richelieu, assecondando gli artisti dell’epoca fornì la base legittima per un mecenatismo reale delle arti. Fu infatti in quel periodo, 1635 che fu fondata l’Accadèmie Francaise. Fu il primo passo nell’affermazione del dispotismo intellettuale del Grand Siècle. Colbert fondò l’Accadèmie des Beaux Arts nel 1648, diretta con fermo rigore da Charles Le Brun, un pittore di non grande valore che si riscattò grazie alla sua capacità politica e organizzativa, tanto che divenne l’interprete delle ambizioni politiche e intellettuali dei tre primi ministri del Grand Siècle, Richelieu, Mazzarino e Colbert. William Chambers scrisse:” Non Leonardo, né Michelangelo, né Raffaello, né Tiziano, ma a Le Brun si deve il perfezionamento della coscienza estetica dell’Europa occidentale.
piergiorgio firinu
L’arte della natura, la natura dell’arte.
L'artista deve produrre uno strumento di autoformazione che possa utilizzare per realizzare la propria opera. I generi e la specie dell'arte non si comportano diversamente dalle cose della natura anche se hanno come questa la loro imputabilità, costanza e forma specifica, la loro specifica determinazione alla quale non si può aggiungere né togliere nulla. Non è dunque l'esteta il legislatore dell'arte, allo stesso modo che il matematico e il fisico non sono i legislatori della natura, non comandano nè stabiliscono leggi, ma prendono atto soltanto di ciò che è, mentre cercano di scoprire nuove leggi che la natura non rivela facilmente. Nell’arte non esistono barriere, l’artista non si lega ne lo si obbliga ad attenersi soltanto a taluni aspetti della realtà. La libertà artistica come tutte le libertà nasce dal controllo e dall’uso della ragione intuitiva. I generi dell'arte non sono determinati da limiti, ogni oggetto può essere infatti rappresentato. Come diceva Aristotele l’arte rende bello anche il brutto estetico. Questo non riguarda i contenuti in quanto tali, ma il modo in cui sono rappresentati. E’ l’espressione che distingue la buona arte da imitatori e provocatori. L'artista può dar prova della sua facoltà individuale tra le diverse espressioni di un medesimo oggetto l'artista dovrebbe sempre dare la preferenza a esattezza e fedeltà, chiarezza e concisione, non potrà limitarsi a cercare le novità, la provocazione ad ogni costo per attirare l’attenzione della critica. Dovrà cercare soltanto quelle novità che misurano la giusta innovazione, la necessaria semplicità dell'espressione di un pensiero. Un pensiero nuovo non è affatto un pensiero che non sia mai stato pensato prima, altrettanto non è detto sia espressione intelligente. Vi è poi il rischio di eccesso di soggettivazione, ciò che appare valido soltanto al singolo individuo del suo particolare punto di vista. L'individuo, in quanto soggetto estetico, dovrebbe accantonare le sue peculiarità e le sue idiosincrasie per lasciare parlare soltanto la sua sensibilità come strumento di ermeneutica del reale. Il singolare spostamento dei motivi del pensiero che è frutto di sapere ed esperienza, proteggono l’artista dal pericolo di cadere nel vuoto formalismo e lo aiutano a trovare la semplicità, la schietta, la naturalezza dell’espressione. La consuetudine e la tradizione non sono di ostacolo alla creatività, se mai agiscono da filtro, da verifica a priori. I filosofi dell’arte hanno la pretesa di dettare l’agenda all’artista, la realtà contemporanea incomincia a venir meno alla riflessione critica e la sostituisce ad una finta credulità. Tutto ciò che la cultura intellettuale ed artistica contiene nella sua concretezza puramente empirica deve lasciare spazio alla libertà della quale l’artista ha bisogno, fermo restando che, se di questa libertà fa cattivo uso, ciò si rifletterà nella mediocrità delle sue opere. Purtroppo oggi l'arte rischia di essere considerata semplicemente come una forma di decorazione, una gadget tecnologico, o un argomento mondano.
piergiorgio firinu
L'arte in Europa ai tempi di Rubens
Proviamo per un momento a soffermarsi sulle condizioni sociali e storiche in cui vivevano negli artisti intorno al 1650, la scena in cui, per esempio, si mossero Rubens è presto il giovane Velazquez. la loro abilità e l’ambizione li indusse a muoversi con versatilità sulla scena politica dell'intera Europa. Era l'epoca della guerra dei 30 anni che stava per terminare così disastrosamente per l'Austria e la Germania nel 1648. Roma, uscita dal Rinascimento, era immersa in un’atmosfera di nepotismo e inquisizione, in pieno sviluppo dell’arte Barocca. La corona di Spagna era tenuta con magnificenza ma senza logica dai due Filippi Filippo III e Filippo IV che mentre, contribuivano senza limiti alle glorie del Prado, continuavano la rapida dissipazione delle loro eredità asburgica. Glli Stuart in Inghilterra stavano seminando i germi del regicidio e della guerra civile che avrebbe portato alla decapitazione di Carlo I Stuart. Nella Francia, pur esausta dalla lotta di religione, il potere del re si andava rafforzando per l'abilità e la disciplina dei due cardinali primi ministri e Mazzarino Richelieu. La Svezia sotto Gustavo Adolfo andava minacciando l'autorità Imperiale spingendo la sua influenza dalla Scandinavia fino ai più lontani confini. Maria Cristina di Svezia e lasciò sgombra la scena in vista di dar sfogo alla sua passione per l’arte e divenne la regina dei collezionisti e degli amatori d’arte della capitale pontificia. L'Olanda gustava i frutti dell'oligarchia mentre sotraeva pacificamente all'Inghilterra e alla Francia il commercio del Mondo Nuovo. Alle Fiandre toccava lo strano compito di tenere per il meglio e per il peggio la bilancia del potere nella prima metà del XVII secolo Questo era lo stato dell’arte nell’Europa nel quale il giovane Rubens divenne ambasciatore. I suoi impegni politici non gli impedirono di dedicarsi alla sua produzione artistica. Egli eseguì la sua prima missione di Spagna, poi tornò a Mantova dove per quattro anni servì duca Vincenzo Gonzaga dedicandosi allala pittura e ai suoi interessi umanistici, di studioso e di collezionista. Visitò Venezia, Roma, Genova, la corte del Granduca di Toscana ed acquistò una favolosa raccolta di pitture e statue che non pagò con denaro ma con lo scambio di proprie opere. Aveva già raggiunto una grande fama e quindi potè pattuire con grande margine di discrezionalità. Nel 1608 tornò ad Anversa per iniziare una dei più produttivi periodi della sua vita. Nel 1609 sposò Isabella Brandt e costruì un palazzo di stile italiano del quale è conservata una descrizione fatta circa 40 anni dopo la sua morte.quando il palazzo era passato alla famiglia Canon Max Rose ha pubblicato una descrizione dell'interno e dell'esterno del palazzo. Questa era la situazione culturale e sociale in cui vivevano gli artisti intorno al 1650 - 1700. Sarebbe improbo tentare un confronto con la contemporaneità.
piergiorgio firinu
Uno sguardo al passato per capire il presente.
Ho spesso sottolineato che l'arte è condizionata e condiziona la società nel suo insieme. Montesquieu nel suo libro più noto “Lo spirito delle leggi”, evidenzia come il modo di educare, il modo di amministrare, la giustizia, la forma del matrimonio e della famiglia, la compagine della politica interna ed esterna, tutto sia importante, e influisca, modifichi profondamente la stessa esistenza delle persone e incida sulla cultura e l’arte. E’ chiaro che l'arte subisce forti condizionamenti dalle situazioni. Dare uno sguardo al passato può aiutarci a capire il presente. Quando Guicciardini, visitando Anversa nel 1560, racconta che nella città ci sono 300 artisti 169 Fornai 78 macellai da un quadro importante della realtà socio-culturale. Tuttavia non si deve credere che i floridi borghesi delle Fiandre preferiscono soddisfare gli occhi più che lo stomaco. La popolarità dell'arte risaliva a vecchia data, gli artisti per due secoli e più avevano ricevuto sostegno economico dai Conti delle Fiandre e del Bramante, soprattutto dei Duchi di Borgogna. Nella corte di Filippo il Buono, colui che aveva fondato l'ordine del Toson d'oro nel 1429, la cavalleria era giunta alla sua ultima e splendida fioritura, e l’arte era più viva che mai. Nel secolo XV al principio del XVI la capitale era Bruges, nonostante Gand, la città dov’era nato Carlo V, e Ypres, fossero i centri più ricchi dell’industria fiamminga. Dopo la sconfitta e la morte di Carlo il Temerario nel 1477, Anversa si innalzò sopra le ceneri della cultura borgognona francese a una posizione di assoluta supremazia. Ciò che distingue Rinascimento dei Paesi Bassi da quello italiano è la diversità dal punto di vista verso il soggetto e dell'artista verso la società. Nel nord non c'era stata una tradizione monumentale classica. Un'arte come quella del Medioevo era il prodotto dell' entusiasmo religioso e di un gusto per il lusso: una vita cortigiana in cui gli estremi del misticismo e del rozzo materialismo si toccano. I fratelli Van Eyck si può dire avessero chiuso il periodo del medioevalismo nell'arte, anzichè aver aperto la porta del Rinascimento. In questo breve cenno al passato abbiamo la percezione, quasi respiriamo, l’atmosfera di una società orientata a uno sviluppo che tenga conto delle esigenze non solo materiali. C’è inoltre da rilevare come la cultura civile maturata in lungo lasso di tempo, abbia inciso profondamente nell'attività e nello sviluppo dell'arte dei secoli successivi. Se facciamo un raffronto con la società contemporanea, appare evidente il grande abisso, il vuoto, di una società pervasa da una cultura funzionale, basata esclusivamente su immanenza e apparenza. Per nascondere le molte defaillance la cultura si richiama al multietnico, al meticciato, dimenticando che ogni cultura ha radice nei luoghi e nelle circostanze in cui nasce. Gli escamotage della modernità sembrano la via più breve per cancellare quello che resta della cultura dell’occidente.
piergiorgio firinu
Roberto Grossatesta, metafisica della luce.
Dal 1235 alla morte, l'inglese Roberto Grossatesta (1168 - 1253) è stato, oltre che uomo di chiesa, teologo, filosofo e scienziato, colui che affrontò la teoria della luce e indagò un tema che sembra avere radici molto lontane, nelle religioni indoiraniche e nel mito del dio sole. Per il pensiero occidentale sono importanti, soprattutto i riferimenti alla tradizione biblica. La luce è stata il primo prodotto della creazione. Il pensiero platonico e neoplatonico greco nella luce simboleggia il movimento del soprasensibile nella sua diffusione ed espansione di grado in grado fino a disperdersi nel sensibile della materia fisica e metafisica, la sostanza della luce così eterea semplice, è qualcosa di intermedio tra l'intelligibilità del pensiero e la materialità del mondo corporeo terrestre. Grossatesta raccoglie da Sant'Agostino questo tema e lo elabora in connessione anche con la ripresa, già in atto nel secolo XII, delle dottrine più esplicitamente neoplatoniche dello pseudo-dionigi nell'ambito di una conoscenza sempre diffusa della filosofie e della scienze arabe, ebraiche e medievali. La metafisica neoplatonica della luce si apparenta a una cosmologia che già in Sant'Agostino aveva affrontato nei suoi studi sulla Genesi e delle scienze fisico-matematiche nell'ottica della geometria aritmetica. A tutto questo si riallaccia Grossatesta nella sua cosmologia che è originale per l'accostamento tra la genesi e la filosofia di Aristotele, anche se, a differenza dello stagirita, c’è l'impiego della matematica alla maniera platonica. Il pensiero di Grossatesta si esprime con vivacità e con ampiezza tematica che abbraccia tutto il pensiero che il vescovo scienziato ha della cosmologia, della geometria e dell’ottica. Egli indugia anche nella spiegazione fisica di fenomeni come l'iride, approfondisce gli studi della metafisica, si interessa di antropologia. E’ assorto nel tentativo di approfondire anche i grandi problemi inerenti alla forma, la potenza, l'atto visto nella sua casualità, tema di recente affronto da Bachelard. La ricerca della verità che può essere contenuta nella conoscenza l'epistemologia. Neppure il difficile e mai risolto tema del libero arbitrio è trascurato dal Grossatesta negli anni in cui ebbe la cattedra ad Oxford. Molto vicino all'ordine dei francescani , iniziava con lui nel Medioevo europeo una tradizione che pur possiamo chiamare inglese nell'accostamento che egli operava tra le tematiche scientifiche e quelle mistiche e spirituali. Temi che dopo di lui vennero affrontati da Duns Scoto e Ockham. Il tema della luce è argomento che, sia pure in un ottica diversa, coinvolge, o dovremmo dire coinvolgeva l’arte, prima che l’epistemologia dell’arte venisse abbandonata a favore della tecnica, produzione seriale e industriale. Ma questa è un'altra storia.
piergiorgio firinu
Mondo sensibile, mondo intellegibile.
Il sistema dell'arte contemporanea, avendo perso lo slancio che deriva dalla forza spirituale che alimenta l'immaginazione, agisce come uno specchio che riflette le immagini ma non le crea. E’ come una sorta di monade che nulla accoglie da fuori ma produce ed elabora tutti i suoi contenuti. Secondo la legge peculiare hortus clausus, un privilegio che l’artista, o presunto tale, si concede, ma nel farlo confonde accumulo con conoscenza, ludico con creativo. Una sorta di illusorio Panopticon dell'abbondanza. Per alimentare simile circo Barnum della banalità mondana, non serve la cultura basta il know-how tecnico e/o l’abilità cartellonistica, gli artisti come Olafur Eliasson creano effetti speciali, una sorta trompe l’oeil da videogiochi. Tutto ciò cancella lo spirito che nutre la vera creatività. Restano immagini dell' immanenza mondana, spesso riflesso di accattivanti perversioni formali, capaci di stimolare la pruderie di cui sono afflitti impotenti e frigide. Prevale il mundus sensibilis sul mundus intelligibili, due mondi nettamente separati da una cesura nella quale si annida il ludico. Si continua ad elogiare il frammentato e confuso sistema dell’arte, coltivando illusioni sulla durata del fenomeno dell’arte contemporanea. In realtà trattasi di qualcosa di simile alle bolle di sapone tenute sospese da una forza cenegetica di accaparramento speculativo. E’ quasi certo che tutto ciò si tradurrà in un colossale debacle dopo la quale, forse, l'arte riacquisterà il proprio significato, ma non prima di aver spazzato via la serie di ectipi che ingombrano musei gallerie. Una vera arte non si potrà mai fondare su aspetti puramente materiali, non si dà vita alla materia facendosi assorbire da essa. Abbiamo rinunciato alla definizione dell'arte, ci accontentiamo della descrizione. Scrive Diderot: “ Beato quel filosofo al quale natura diede doti come a Epicuro. Lucrezio, come Aristotele e Platone, dotati di una fantasia felice, una grande eloquenza e l’arte di presentare le proprie idee con immagini efficaci e sublimi”. Non è certo il caso della maggioranza dei filosofi dell’arte. Hegel affrontò il tema dell’arte dopo avere sostenuto che: “la filosofia è la realtà appesa al filo del pensiero”. Forse gli artisti oggi hanno perso quel filo e con esso la capacità di porre la realtà di fronte a se stessa, rendendola fruibile e comprensibile dando pregnanza alle immagini. Per Bachelard “l’arte semplifica il reale e complica la ragione”, è compito dell’artista usare la ragione e la sensibilità per creare il reale nel quale vorremmo vivere.
piergiorgio Firinu
Le lacrime di Klee
Il pensare si realizza per immagini. Le immagini contengono pensiero. Per questo le arti visive costituiscono il terreno naturale del pensiero visuale. Trattare l’arte come pensiero visuale può sembrare arbitrario. Certamente l’arte adempie ad altre funzioni. Abbandonati quasi del tutto i canoni di bellezza, armonia, ordine, l’arte continua a svolgere la funzione di rendere visibili cose sulle quali di solito non si sofferma l’attenzione. Se la creazione della bellezza creava problemi di selezione e di organizzazione, non meno difficile è rendere visibile l’invisibile tanto più oggi che gli strumenti del comunicare l’arte si sono andati moltiplicando. Bill Beckley un giorno mi disse: “l’artista è come un radar, capta segnali e li trasmette dopo averli resi intelligibili”. Penso avesse ragione. Ma le motivazioni dell’agire non sono altruistiche, spesso nascono da ragioni personali. Quando Paul Klee scrive nel suo diario: “ io creo pour ne pas pleurer”; questa è la prima e ultima ragione”, è evidente che i disegni e i quadri di Klee sono serviti a un artista tanto grande, un essere umano tanto intelligente come alternativa al pianto chiarendogli quali fossero le ragioni del pianto, come si potesse vivere quella situazione malgrado tutto. Dunque l’arte come forma di maieutica, alimenta la forza per affrontare la realtà. Forse è questa la ragione vera che spiega perché un artista lavora soprattutto per se stesso, anche se il risultato del suo lavoro è fruito da un gran numero di persone. Importante il modo com’è fruita l’opera d’arte. In questo senso, se si escludono eccessi e improvvisazioni, l’arte contemporanea ha il merito di avere ridimensionato l’aura dell’arte, conciliandola con la riflessione. Fruire in modo completo di un opera d’arte significa appropriarsene. L’oggetto arte, il cui possesso è conteso con somme ingenti di denaro, è cosa morta se non comunica. Se comunica, in un certo senso, il possesso è superfluo, se non per la vanità del possessore. Conserviamo nella mente le visioni di opere che amiamo, esse rischiarano momenti bui della vita. Come ci impossessiamo attraverso la lettura del contenuto di un libro, così può essere per l’opera d’arte. Questo è forse l’unico possesso possibile. Trasformare le opere in feticci significa volgarizzarle, far loro violenza, pietrificarle a valore venale. Nociva l’ammirazione disgiunta dalla comprensione. Sulla strada della conoscenza l’arte non è una realtà separata, ma essenziale nutrimento della nostra sensibilità. .
piergiorgio firinu
Accenni a studi sulla creatività
Forse non è il cervello il vero luogo della evoluzione umana, Gaston Bachelard si pone la domanda ma resta vago nella risposta. Il germoglio terminale dello slancio Vitale con le sue molteplici connessioni, non ha forse dell'organo delle innumerevoli possibilità quando adopera la suggestiva espressione di campi di forza creati nell'immaginazione dallo spostamento di due immagini diverse, non ci spinge forse, in un certo senso, a dinamizzare i rapporti delle idee e conferire all'idea forza un senso sempre più pregnante? Allora tutto è ormai definito, l'anima, corpo, persino il mondo nel quale cerchiamo di oggettivare la nostra esistenza. Le grandi nobili suggestioni che inducono a confrontarci con una realtà globale che l'artista ritornerebbe a trovare con gioia in una filosofia originale del creare al fine di comprendere l'evoluzione intellettuale e farla propria. Converrebbe prestare attenzione al pensiero, sempre alla ricerca di occasioni dialettiche, per uscire dai propri confini, rompere i propri quadri, insomma, il pensiero che tenta di oggettivarsi. Allora non è possibile concludere che un tale pensiero sia creatore? Che sia la spinta psicologica che guida? E’ un fatto che spesso le idee più ardite, feconde, sono dovute a artisti e scienziati giovanissime dei quali potremmo fare un lungo elenco a partire da Antoine-Laurent de Lavoisier, ghigliottinato durante la rivoluzione francese del 1789, per finire a Albert Einstein che scopri la relatività ristretta a 25 anni. L’elenco di artisti che dettero il meglio di se prima dei trent’anni sarebbe ancor più lungo A confronto della realtà contemporanea nella quale i giovani sembrano sempre alla ricerca di supporti e giustificazioni. L’idea che possa esistere una intuizione creativa trova conforto nella giovane età di artisti e scienziati che, per ragioni biografiche, non potevano avere ne molta esperienza e neppure ampia conoscenza. I filosofi si sono cimentati nel tentativo di indagare la creatività. Martin Heidegger in “L’origine dell’opera d’arte”(1950) , nel suo stile di scrittura piuttosto tortuoso, ha esaminato il rapporto dell’artista con l’opera e dell’opera con l’artista. Non pare abbia gettata luce utile per chiarire il problema. Risultato non migliore ha ottenuto Edward O. Wilson con “Le origini della creatività”(2017) che ha posto l’accento sull’uso delle metafore. In breve l’essere umano, i suoi pensieri, la creatività restano oscure ombre in fondo alla mente che cerca di conoscere la natura, ma ha difficoltà a capire se stessa.
piergiorgio firinu
Nulla è più complesso del semplice.
Vorrei accennare brevemente a un argomento che ho più volte trattato, parlo di tecnologia e arte. Non si può non ricordare che la nuova tendenza filosofica mette in discussione la razionalità di Cartesio proprio nel momento in cui la civiltà è avviata a una sempre maggiore tecnicalità e all’uso della intelligenza artificiale. Qualunque possa essere l’opinione in merito, non è possibile negare a questi nuovi approcci un carattere di aridità razionale. Condannato Cartesio, resta in atto la prassi che egli ispira. Vi è inoltre un altro paradosso; si celebra la natura e si condanna la dottrina che vede nella natura l’ispiratrice del più semplice spirito dell’arte e, sulla nuova rappresentazione, si innescano riferimenti semantici grazie ai quali il nuovo spirito dell'arte risulta sconvolto. Se tutto ciò che riguarda l'intuizione non può più essere, tout court, ascritta a un impulso primigenio, è pur vero che un impulso creativo ci deve pur essere. Anche perché se l’ispirazione non può più essere considerata “primitiva”, nel senso di spontanea, è chiaro che è resa possibile la codificazione dell’arte che in questo modo perde definitivamente la propria ontologia. Valutando il fondamento dualistico, tecnica- sapere, va tenuto conto della società nella quale gli artisti vivono, della cultura che essi assimilano insieme alla superficialità tecnicistica diffusa. Tutte le nozioni fondamentali possono in un certo modo essere sdoppiate, fino al realizzarsi di una saturazione informativa nella quale l’eventuale residualità complementare dell'intuizione è proceduta da una scelta che la snatura e gli conferisce una sorta di ambiguità epistemologica che si pone alla base della nuova realtà dell’arte nella quale anche la creatività è aridamente programmata. La descrizione artistica assume il carattere immediato dell'evidenza senza che sia negata nè turbata dalla conseguente banalità. Cartesio non credeva nell'esistenza di elementi assoluti, egli pensava che la capacità di razionalizzare la realtà fosse un aiuto per comprenderla. Elementi concepiti dall’idea e arricchiti dalla esperienza creativa, l’obiettivo dovrebbe essere raggiungere il più alto grado di chiarezza con l’uso di elementi semplici individuabili attraverso l’osservazione. Come espresso molto bene da Depréel, “la verità dimostrata”, egli scrive, “non si sostiene costantemente sulla propria evidenza, bensì sulla dimostrazione”. Vien fatto di domandarsi se, alla luce della psicologia della nuova arte, è ancora lecito richiamarsi alla spirito, ovvero se l’arte oggi non sia puramente e semplicemente metodologia . Così “l’adattamento creativo”, sarebbe quasi esclusivamente un adattamento alla normalità produttiva, con buona pace della pretesa intuizione. Gli oggetti condizionano l’idea, non l’idea gli oggetti, essi sono resi estranei all'idea chiara e distinta, la relazione tra gesto e oggetto affidata ad un automatismo produttivo. Nulla è più cartesiano che la lenta modificazione spirituale imposta dalle successive approssimazioni dell'esperienza. La genuina semplicità preserva dal cadere nel banale come invece appare oggi la povera concezione dell’arte che si rifugia nella tecnologia per l’incapacità di rappresentare la realtà in tutta la sua complessità
piergiorgio firinu
La permanenza dell'Essere.
La contemporaneità È ossessionata dal nuovo, dal cambiamento, abbiamo dimenticato quanto la cultura greca ci ha trasmesso. Ciò che veramente è non può mutare, sostenevano i greci. L'esistenza del cambiamento prova quindi una mancanza di “vero essere” ciò che i greci talvolta chiamavano per mettere in rilievo le deficienze sostanziali: “non essere”. I vari gradi di apprensione intellettuale corrispondono con le loro forme logiche ai gradi di conoscenza, l'ordinamento gerarchico dei soggetti nella loro gradazione qualitative di essere. Il linguaggio idiomatico inglese usa spesso la parola “whole”, intero, e “perfet”, perfetto. Intero e perfetto come sinonimi, in contrapposizione a rotto, parziale, imperfetto e superfluo. Si avverte che l'intuizione che si c'era in tale identificazione è relativa distinzioni che ebbe un valore determinante per la cosmologia e per la teoria dell'essere dei Greci. La cultura greca nei suoi atteggiamenti peculiari aveva carattere specificatamente estetico, le opere d'arte sono totalità qualitative. i loro pezzi staccati assumono puro carattere fisico. L'urna greca, come la statua. il tempio greci erano opere d'arte complete che noi consideriamo finite nella misura, limite. Sono fissati rapporti e proporzioni che sono il contrassegno di tutto ciò che veramente è. Tali oggetti o soggetti sono sostanze fornite di disegno e forma in senso oggettivo il mutamento la suscettibilità di variazioni non sono viceversa misurabili e ci sono segni della presenza dell'indefinito. Il finito il definito, il completo, sono tali grazie ha limiti e misure fissate, il mutamento come tale sfugge alla espressione intellettuale dei filosofi greci. Esso può essere conosciuto solo nella misura in cui può essere compreso instabile confine che semina il suo inizio e la sua fine o conclusione oggettiva Cioè nella misura in cui il mutamento tende a muoversi verso un limite finale immutabile, il mutamento è conosciuto, in altre parole, soltanto in quanto compreso in limiti stabili dal punto di vista della conoscenza delle forme logiche. E’ cosa sensibile, particolare, parziale, mentre il tutto misurato definito da limiti e irrazionale. Il sillogismo è la forma di inclusione completa è di due tipi uno sia è incluso sia ciò che lo limita e include è permanente nell'altro ciò che posto all'interno dei limiti dati per se stessi, un processo di mutazione ovvero fisico, non razionale.
piergiorgio firinu
Codice della creatività.
I due momenti dell'arte, nel suo farsi e nel linguaggio che la esprime, non sempre coincidono. Renato Boccali da anni svolge attente ricerche sulla estetica delle immagini in Gaston Bachelard. Nel 2012 ha pubblicato “L’éthique et la main”. Libro estremamente interessante che affronta il rapporto tra etica ed arte. Il tema della manualità è stato affrontato in modo scientifico più ampio da Leroi-Gourhan in “Il gesto e la parola” , due volumi pubblicati da Einaudi nel 1964. Il libro traccia un percorso storico e scientifico sulla manualità, la mano, guidata dall'intelletto e dal sapere, protagonista dello sviluppo della civiltà. Essa forma, costruisce, crea. Il gesto creativo è sintesi di manualità e pensiero. Prevale la tendenza a utilizzare la tecnica in sostituzione della mano, nel lavoro e nell'arte. La manualità è stata per millenni base della creazione artistica, è apertamente rifiutata dagli artisti contemporanei che si servono di tecniche industriali. In particolare gli artisti statunitensi fanno da tempo largo uso della riproducibilità e produzione industriale. D’altra parte realizzare parallelepipedi di ferro di grandi dimensioni non c’è altro modo se non i sistemi dell’industria. Carl Andre, Claes Oldemburg, Walter De Maria, Richard Serra sono alcuni degli artisti che usano tali sistemi di produzione. Altri artisti si affidano alle nuove tecnologie, creano ambienti con effetti speciali simili a quelli che vediamo nei film. L’artista surrealista svedese Erik Johansson presentò una mostra nella quale realizzò una sorta di sole artificiale, dimostrando abilità tecnica notevole. Bill Viola rielabora la proiezione di capolavori del passato e crea immagini che proietta con effetti suggestivi. Con l'avvento della intelligenza artificiale anche il cervello umano è costretto a cimentarsi con nuove sfide. Lo racconta Marcus Du Sautoy nel libro: “Codice della creatività”. Tutti questi rivolgimenti hanno una ricaduta nella realtà antropologica perché modificano l’approccio culturale delle masse e incidono sull’ Etica per una pluralità di ragioni. Compito dell’artista non è mostrare il reale, ma dimostrarlo. La produzione manuale, in generale lenta, permette che azione e riflessione vadano di pari passo. La riflessione comporta un più diretto coinvolgimento emotivo nella creazione, gli intervalli del pensiero scanditi dal gesto implicano emozioni che la fredda tecnologia non favorisce. La conseguenza dell’uso della tecnologia è il prendere forma di una epistemologia antitetica al tradizionale processo creativo dell’arte. Si attiva un meccanismo mentale che a lungo andare produce una lenta graduale disumanizzazione e determina una sorta di neutralizzazione emotiva. Questo processo è visibile nell'arte plastica, ma molto di più nel cinema. Nella produzione cinematografica un posto di primo piano è occupato dalla di realtà virtuale, personaggi virtuali creati in laboratorio sono i protagonisti dei film. C’è da osservare che tale processo ha avuto inizio con i fumetti che hanno abituato i ragazzi ad appassionarsi a personaggi immaginari creati dalla matita del fumettista e diventati veri e propri eroi nell'immaginario collettivo, non solo degli adolescenti. Anche Edward O. Wilson affronta il tema della creazione artistica con il libro: “Le origini della creatività”, pubblicato nel 2017. Egli parte dai primordi quando i nostri antenati con grande abilità costruivano flauti utilizzando le ossa di uccelli. Con Homo habilis, 2,3 milioni di anni fa, ebbe inizio la brusca svolta della nostra specie. Ma questa è tutta un'altra storia.
piergiorgio firinu
Dietro l’immagine filosofia e mito.
Cassirer sosteneva che l'uomo è un animale simbolico. La simbologia si inquadra in una certa disciplina sociale nella quale appare a volte il riferimento a una relazione ambigua con il naturalismo che includerebbe anche i comportamenti degli animali. In realtà naturalismo e simbolismo sono antitetici, ed è improprio usare l’espressione “simbolismo animale”. Altra caratteristica degli esseri umani, messa in luce da Aristotele, è la propensione alla socialità. Grazie a questa tendenza è stato possibile lo sviluppo della civiltà. Tutto ciò che è cultura deve essere visto in termini di relazioni a partire dal linguaggio. L’arte è forse la forma più evoluta di relazione, specie quando è espressa attraverso la comunicazione iconica che esprime i temi umanistici descritti da Erwin Panofsky nei sui studi di iconologia attraverso i quali riusciamo a capire l’oggetto nel quale è compresa la realtà culturale contenuta nella significazione del termine “iconologia”. Altra funzione e significato è espresso nella “iconografia”. Nella prima abbiamo una ricca messe di significati storico-culturali, nella seconda la semplice descrizione dei segni. Il suffismo “grafia” deriva dal verbo greco graphein, scrivere, sta a significare un modo di procedere puramente descrittivo, spesso addirittura statistico. L’iconografia è perciò una descrizione e classificazione delle immagini, come l’etnografia è una descrizione e classificazione delle razze umane; è cioè uno studio limitato, per così dire, ancillare, nel senso che certi determinati temi trovano formulazione visiva attraverso forme al servizio di un superiore significato. Alla luce di quanto esposto appare chiaro che tante celebrate opere di arte contemporanea rientrano a pieno titolo nella iconografia come pura narrazione segnica di ordinaria estemporaneità. Pensiamo, esempio, alla Pop Art. L'arte è una attività e socialmente condizionata, è influenzata e influisce sulla cultura sociale. La povertà dell’arte contemporanea deriva anche dalla assenza di simbologia, che, come abbiamo scritto, è il tema della iconologia. La connessione dell’arte con i simboli implica la trasmissione di cultura ben oltre l’estemporaneità della forma. La funzione del simbolo e le relazioni dei simboli tra loro sono propri del linguaggio dell’arte rinascimentale e costituiscono i termini della funzione che la simbolizzazione artistica espleta. Non è un caso che la pittura rinascimentale si richiamasse, e fosse ispirata, dalla mitologia e dalla filosofia. Pico della Mirandola e Benivieni erano ispiratori di molte opere, così come Ficino e Plotino. Il regno della natura non ancora contaminato dall’industria e dal consumo era oggetto di studi che hanno segnato la nascita della civiltà occidentale. Il movimento neoplatonico a Firenze, più in generale nell’Italia settentrionale, era l’humus che stimolava e nutriva l’arte nel suo momento di maggiore fulgore. Quando Luca Cranach rappresenta un Cupido che si benda, è ispirato dagli insegnamenti platonici, in quel semplice gesto, l’artista esprime l’essenza dell’amore platonico che non è attratto dal corpo. Cupido ci dice che è possibile amare un’idea. Va da se che siamo lontani anni luce dalla contemporaneità così immersa nella materia che ha espulso dal linguaggio e dall’arte tutto ciò che ha costituito stimolo alla crescita umana prima del tracollo nella modernità.
piergiorgio firinu
Dietro l’immagine filosofia e mito.
Cassirer sosteneva che l'uomo è un animale simbolico. La simbologia si inquadra in una certa disciplina sociale nella quale appare a volte il riferimento a una relazione ambigua con il naturalismo che includerebbe anche i comportamenti degli animali. In realtà naturalismo e simbolismo sono antitetici, ed è improprio usare l’espressione “simbolismo animale”. Altra caratteristica degli esseri umani, messa in luce da Aristotele, è la propensione alla socialità. Grazie a questa tendenza è stato possibile lo sviluppo della civiltà. Tutto ciò che è cultura deve essere visto in termini di relazioni a partire dal linguaggio. L’arte è forse la forma più evoluta di relazione, specie quando è espressa attraverso la comunicazione iconica che esprime i temi umanistici descritti da Erwin Panofsky nei sui studi di iconologia attraverso i quali riusciamo a capire l’oggetto nel quale è compresa la realtà culturale contenuta nella significazione del termine “iconologia”. Altra funzione e significato è espresso nella “iconografia”. Nella prima abbiamo una ricca messe di significati storico-culturali, nella seconda la semplice descrizione dei segni. Il suffismo “grafia” deriva dal verbo greco graphein, scrivere, sta a significare un modo di procedere puramente descrittivo, spesso addirittura statistico. L’iconografia è perciò una descrizione e classificazione delle immagini, come l’etnografia è una descrizione e classificazione delle razze umane; è cioè uno studio limitato, per così dire, ancillare, nel senso che certi determinati temi trovano formulazione visiva attraverso forme al servizio di un superiore significato. Alla luce di quanto esposto appare chiaro che tante celebrate opere di arte contemporanea rientrano a pieno titolo nella iconografia come pura narrazione segnica di ordinaria estemporaneità. Pensiamo, esempio, alla Pop Art. L'arte è una attività e socialmente condizionata, è influenzata e influisce sulla cultura sociale. La povertà dell’arte contemporanea deriva anche dalla assenza di simbologia, che, come abbiamo scritto, è il tema della iconologia. La connessione dell’arte con i simboli implica la trasmissione di cultura ben oltre l’estemporaneità della forma. La funzione del simbolo e le relazioni dei simboli tra loro sono propri del linguaggio dell’arte rinascimentale e costituiscono i termini della funzione che la simbolizzazione artistica espleta. Non è un caso che la pittura rinascimentale si richiamasse, e fosse ispirata, dalla mitologia e dalla filosofia. Pico della Mirandola e Benivieni erano ispiratori di molte opere, così come Ficino e Plotino. Il regno della natura non ancora contaminato dall’industria e dal consumo era oggetto di studi che hanno segnato la nascita della civiltà occidentale. Il movimento neoplatonico a Firenze, più in generale nell’Italia settentrionale, era l’humus che stimolava e nutriva l’arte nel suo momento di maggiore fulgore. Quando Luca Cranach rappresenta un Cupido che si benda, è ispirato dagli insegnamenti platonici, in quel semplice gesto, l’artista esprime l’essenza dell’amore platonico che non è attratto dal corpo. Cupido ci dice che è possibile amare un’idea. Va da se che siamo lontani anni luce dalla contemporaneità così immersa nella materia che ha espulso dal linguaggio e dall’arte tutto ciò che ha costituito stimolo alla crescita umana prima del tracollo nella modernità.
Lo spirito dell’arte.
Quanto può far pensare la difficoltà che lo spirito dell'arte resti sostanzialmente identico attraverso le più profonde rettifiche è dato dal fatto che nel pensiero dell'arte non si considera nel giusto valore la funzione sociale. E’ stato ripetuto infinite volte che l'arte è un linguaggio, un mezzo di espressione che ci siamo abituati a considerare come utensile a disposizione di una ragione paziente. In realtà non ne siamo padroni,nel senso,che la comprensione è resa complessa dalle infinite ermeneutiche più o meno motivate. Le idee che l’arte tenta di trasmettere articolando la forma del reale o creando immaginarie realtà, è preceduta, si suppone, dall’articolazione del pensiero soggetto alla segmentazione, non sempre consapevole di stesso. All’origine il segno poteva avere un significato che rifletteva la magia spirituale dell'atto evocativo. E’ questo il fascino delle le prime immagini grafite sui muri delle caverne, la loro forza suggestiva nel costituirsi in narrazione tra reale e immaginario. Oggi il significato dell’arte non ha nulla di magico, ma è affidato a teorie ermeneutiche inutilmente complesse, spesso prive di costrutto logico formale. Per esempio, ammettendo che l'idea di astrazione sia un'idea semplice,chiara, si può dire che le espressioni artistiche non fanno che richiamarsi a particolari colori senza forma e senza significato. Tutto è giustificato con l’apodittica tesi che l'intuizione primaria dell'artista giustifica gesto e forma. Le nuove teorie non tengono in nessun conto lo spirito dell'arte e si allontanano da ogni residua ingenuità. L’insieme della produzione artistica è diventata, in un certo senso, più omogenea, interamente presente nel conformismo della prevalenza, senza impegno reale nella ricerca di originalità formale. L’espressione formale non è comprensibile in se stessa, ma piuttosto in quanto aderente al conformismo diffuso. E’ assente lo sforzo che costituisce la ricerca dell'espressione, la sola che permette la realizzazione di un fenomeno artistico compiuto. Non si può trasmettere alcuna conoscenza senza la padronanza e originalità dello strumento della comunicazione. Se volessimo situarci sistematicamente dal punto di vista psicologico,non potrebbe sfuggirci la reazione dello strumento dell'arte il cui artefice ignora la stessa funzione della propria azione. Appare chiaro allora che l'uomo artista sostituisce l'uomo faber senza che la sua azione abbia nessuna tensione e sappia utilizzare in modo adeguato lo strumento tensoriale. Egli è un mirabile operatore di generalità acquisite nel maneggiare nuove possibilità tecniche. Manca il pensiero frutto di esperienze compiute nella fatica del confronto, rifiutando la scorciatoia di una simbologia artificiosamente costruita in adeguamento al mainstream corrente. La nuova arte relativistica si esprime in un unico simbolo il cui significato designa mille caratteri di una realtà banalizzata da superficialità e ripetizione, nascosta al pensiero legato a un programma di esperienze da realizzare cercando i simboli che uniscono il possibile. Per creare potremmo forse sbloccare le immagini di Mallarmè la loro lunghezza d'ispirazione, l'accento Vergine si pensa come qualcosa che avrebbe potuto essere, senza mai trascurare idealmente nessuna delle possibilità che volano intorno alla figura artistica e appartengono all'originale anche contro la verosimiglianza.
piergiorgio firinu
Lo spirito dell'Arte.
Quanto può far pensare la difficoltà che lo spirito dell'arte resti sostanzialmente identico attraverso le più profonde rettifiche è dato dal fatto che nel pensiero dell'arte non si considera nel giusto valore la funzione sociale. E’ stato ripetuto infinite volte che l'arte è un linguaggio, un mezzo di espressione che ci siamo abituati a considerare come utensile a disposizione di una ragione paziente. In realtà non ne siamo padroni,nel senso,che la comprensione è resa complessa dalle infinite ermeneutiche più o meno motivate. Le idee che l’arte tenta di trasmettere articolando la forma del reale o creando immaginarie realtà, è preceduta, si suppone, dall’articolazione del pensiero soggetto alla segmentazione, non sempre consapevole di stesso. All’origine il segno poteva avere un significato che rifletteva la magia spirituale dell'atto evocativo. E’ questo il fascino delle le prime immagini grafite sui muri delle caverne, la loro forza suggestiva nel costituirsi in narrazione tra reale e immaginario. Oggi il significato dell’arte non ha nulla di magico, ma è affidato a teorie ermeneutiche inutilmente complesse, spesso prive di costrutto logico formale. Per esempio, ammettendo che l'idea di astrazione sia un'idea semplice,chiara, si può dire che le espressioni artistiche non fanno che richiamarsi a particolari colori senza forma e senza significato. Tutto è giustificato con l’apodittica tesi che l'intuizione primaria dell'artista giustifica gesto e forma. Le nuove teorie non tengono in nessun conto lo spirito dell'arte e si allontanano da ogni residua ingenuità. L’insieme della produzione artistica è diventata, in un certo senso, più omogenea, interamente presente nel conformismo della prevalenza, senza impegno reale nella ricerca di originalità formale. L’espressione formale non è comprensibile in se stessa, ma piuttosto in quanto aderente al conformismo diffuso. E’ assente lo sforzo che costituisce la ricerca dell'espressione, la sola che permette la realizzazione di un fenomeno artistico compiuto. Non si può trasmettere alcuna conoscenza senza la padronanza e originalità dello strumento della comunicazione. Se volessimo situarci sistematicamente dal punto di vista psicologico,non potrebbe sfuggirci la reazione dello strumento dell'arte il cui artefice ignora la stessa funzione della propria azione. Appare chiaro allora che l'uomo artista sostituisce l'uomo faber senza che la sua azione abbia nessuna tensione e sappia utilizzare in modo adeguato lo strumento tensoriale. Egli è un mirabile operatore di generalità acquisite nel maneggiare nuove possibilità tecniche. Manca il pensiero frutto di esperienze compiute nella fatica del confronto, rifiutando la scorciatoia di una simbologia artificiosamente costruita in adeguamento al mainstream corrente. La nuova arte relativistica si esprime in un unico simbolo il cui significato designa mille caratteri di una realtà banalizzata da superficialità e ripetizione, nascosta al pensiero legato a un programma di esperienze da realizzare cercando i simboli che uniscono il possibile. Per creare potremmo forse sbloccare le immagini di Mallarmè la loro lunghezza d'ispirazione, l'accento Vergine si pensa come qualcosa che avrebbe potuto essere, senza mai trascurare idealmente nessuna delle possibilità che volano intorno alla figura artistica e appartengono all'originale anche contro la verosimiglianza.
piergiorgio firinu
La luce, tra scienza e arte.
Dobbiamo ammettere che il senso comune spesso è fallace. Lo dimostra, tra l’altro,l’esame della riflessione luminosa. L'idea della riflessione così chiara nella impressione apparente, risulta poi complessa se entriamo nello specifico ed esaminiamo la sostanza dell'irradiamento luminoso. E’ facile cogliere in questo esempio l'inefficacia epistemologia delle idee semplici del tipo cartesiano, quando queste idee siano attinte da una intuizione immediata nella quale sono prevalenti gli insegnamenti dell'esperienza relativi alla geometria elementare. L’esperimento comune dello specchio, a cui si riferisce Bachelard nel libro “Il nuovo spirito scientifico” è a prima vista così semplice chiaro distinto,così geometrico da potersi situare alla base della condotta artistica, dello stile medesimo che caratterizza la mentalità dell’artista e, forse, in misura minore, anche della persona comune. E’ stata mostrata la grande superiorità del bambino il quale non ha esperienza alcuna, eppure comprende quasi sempre il significato dell'azione che compie, mentre il cane, intanto non accumula sapere e certo non sa servirsi dell’esperienza. Lo schema di pensiero artistico è tanto primitivo da sembrare difficilmente analizzabile dal punto di vista psicologico. Così gli esordienti si stupiscono spesso per l'insistenza del docente che suggerisce di accompagnare l’atto con attenta riflessione. Oggi la pittura è parte residuale dell’arte, forse per questo quasi sempre l’artista trascura o ignora che la luce è corpo e sostanza della pittura. E’ curioso come ben prima dell’arte la scienza abbia affrontato il problema dell'azzurro del cielo, del firmamento, dei reali ostacoli posti alla necessità di capire come si forma. C'è chi ha sostenuto che l'aria in strati sottili non è azzurra mentre in strati più profondi diventa azzurra Questa è una delle tante intuizioni smentite dalla scienza. L'azzurro è anche interpretato matematicamente ed è stato, abbiamo detto,tema del pensiero scientifico del quale non è possibile esagerare l'importanza. D’altra parte nell’arte non sembra che la realtà sia molto presente nella sua forma fenomenica, questo non significa ritrarre manici di scopa o omini tristi in una stanza di albergo. La realtà non è così determinante per il nuovo spirito dell'arte che si dissolve in frammenti tecnici. Alcuni secoli fa il cielo stellato che ci sovrasta era oggetto di attrazione e fascino. Oggi esaminiamo il fenomeno luminoso, il cielo e altre realtà senza avere la capacità di opporci al piatto schematismo che induce al conformismo. Non siamo in grado di tentare, attraverso il pensiero razionale e creativo, di affrontare i concetti che sono sintesi delle esperienze e rettificano le osservazioni superficiali. La somma di esperienza, ragione e creatività sono gli ingredienti indispensabili per realizzare un’opera d’arte che abbia forma e significato. L’epistemologia dell’arte, se compresa, aiuta a meglio educare la psicologia del linguaggio artistico collocando l’azione nella giusta dimensione spazio-tempo. Quale poeta ci darà la metafora di questo nuovo linguaggio dell’arte? In che modo arriveremo a rappresentarci l'associazione del temporale con il senso culturale e storico? Quale visione Suprema dell'Armonia ci permetterà di conciliare la ripetizione nel tempo della simmetria dello spazio del quale l’opera occupa un frammento, ma il cui significato si espande nello spazio mentale di chi osserva? Sono aspetti estremamente interessanti. Quando l'artista si propone di rappresentare qualcosa di universale, dovrebbe forse meglio meditare.
piergiorgio firinu
Natura dell'artista, natura dell'arte.
Ipotizzare che il pensiero geometrico sia l'essenza stessa della ragione umana, come sostiene Bachelard, è una forzatura che non tiene conto che la ragione agisce in molti campi, si attua in molti modi a prescindere dal pensiero geometrico. Limitando il discorso al campo dell’arte plastica appare chiaro che gli artisti contemporanei anziché approfondire la parte scientifica dell’arte affrontata da maestri come Piero Della Francesca, Michelangelo Buonarroti, Leonardo da Vinci, hanno, per così dire, capovolto il tavolo e cancellato secoli di storia dell’arte. Non hanno certo approfondito le teorie di Euclide, tanto meno la rielaborazione in chiave eretica della geometria fatta da Lobatchewsky. Eppure la geometria ha un ruolo importante nella disciplina artistica. L’artista si orienta in quanto condizionato da fattori diversi mai stati analizzati profondamente, come spesso accade, seppelliti sotto cumuli di speciose elaborazioni teoriche. Ci si potrebbe chiedere: tutti possono fare gli artisti? Ma tutti sono artisti? Qui entriamo nell'antro oscuro delle forzature culturali suggerite o imposte anche dalla ideologia; in primis dal dall’idea di uguaglianza contro il quale si scaglia Nietzsche, il supporto ipocrita di una società di disuguali,non scalfito da Max Stirner con il suo voluminoso libro “ L’unico e la sua proprietà”. Neppure la sociologia dell'arte ha affrontato il tema. Arnold Hauser nei due volumi “Storia sociale dell’arte” pubblicati da Einaudi nel 1956 tratta la collocazione dell’arte nella società ma non approfondisce l’ontologia dell’artista, la sua attenzione si concentra solo sul tema dell'arte nella società. L'individuo artista è condizionato dalla società in cui nasce, dalla cultura che lo forma. L'esame di questi aspetti può aiutare a capire la genesi culturale dell'arte statunitense. Gli studiosi danno grande importanza al contesto relativo dell'arte africana, asiatica, cinese,per l’arte degli stati uniti si presume sia una branca della cultura europea. Cos’ non è, le differenze tra le due realtà culturali sono molte. La giovane nazione americana, non avendo un background storico artistico paragonabile a quello dell'Europa, ha dovuto inventarsi riferimenti e schemi culturali propri. Questo ci riporta quanto abbiamo scritto sopra, cioè alla indeterminata natura dell'artista e quindi dell'arte. Su questo snodo ha fatto perno una certa cultura per sviluppare teorie ancipiti. Filosofi e critici dell'arte statunitensi hanno creato veri e propri anacoluti concettuali poi supportati dalla potenza politica, economica e dal patriottismo americano. La città di New York, la più europea delle città americane, ha costituito il crogiuolo nel quale è avvenuta la commistione tra le avanguardie europee e la cultura americana. Non dobbiamo dimenticare che Duchamp e molti altri artisti europei, russi e di altre realtà culturali hanno trovato entusiastica accoglienza in America. Aline B. Saarinen nel libro “I grandi collezionisti americani” affronta il tema. Come sostiene György Lukàcs: “l’arte non basta a se stessa”, ignorando questa indicazione è soprattutto la cultura americana ha incrementato il kitsch nell’arte, ormai accettato ed esaltato perché, come scrive Hartmann “ l’uomo contemporanea ama il kitsch, compra il kitsch, perché è kitsch”.Questo è quindi l’inevitabile approdo della nostra civiltà con cultura artistica approssimativa a cui fa riscontro un consumo compulsivo.
piergiorgio firinu
Siamo animali intelligenti?
La filosofia di Schopenhauer è davvero ricca di contraddizioni per esporre le quali dovrei scrivere un trattato. Mi limiterò a brevi considerazioni concentrandomi sul nucleo centrale del pensiero del filosofo. Schopenhauer nel suo libro più importante, “Il mondo come volontà e rappresentazione”, considera la volontà l’essenza stessa della natura umana, animale, vegetale. In pratica assegna alla volontà la funzione che circa un secolo dopo Henri Bergson assegna a èlan vital, l’impulso creativo che muove l’evoluzione. Schopenhauer arriva a sostenere che la volontà è eterna. Siccome la volontà guidata dalla ragione è prerogativa umana, mentre la volontà intesa come della natura alla base dello sviluppo ed evoluzione naturale è legata a fattori climatici, ne deriva che, assumendo che, per ragioni ambientali, come è successo su Marte, la vita si estingua, si estinguerebbe anche la vita umana,quindi la volontà cesserebbe di esistere, ergo non è eterna. Ma non è la sola argomentazione apodittica di Schopenhauer. La scienza che affronta il tema dell’evoluzione dell’universo ci dice che i pianeti sono soggetti a radicali cambiamenti dovuti alle graduali evoluzioni del sistema planetario. Ci dice anche che noi conosciamo solo il 5% dell’Universo, tutto il resto è materia oscura. Di fronte a questa evidenza scientifica l’antropocentrismo di Schopenhauer sfiora il ridicolo, a maggior ragione la sua tesi secondo cui la volontà è eterna, a parte la difficoltà di definire il concetto di eternità. Va pur detto che, nella nostra ansia antropocentrica siamo arrivati a creare un dio al quale abbiamo dato le nostre sembianze. Questo sembra indicare che l’intelligente pazzia dell’uomo non ha limiti. Bisogna riconoscere che è molto più umilmente intelligente la poesia. Shakespeare mette in bocca ad Amleto la famosa frase: “ Ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio,di quante tu ne possa sognare nella tua filosofia”. Schopenhauer avrà letto Amleto? L’arte, specie l’arte plastica, vista in un’ottica planetaria è ben poca cosa, anche in questo caso si spreca l’enfasi di autoesaltazione. Si costruisce un altare di parole in cima al quale poniamo tutto ciò che è umano. Arriviamo a considerare arte anche il nostro sterco, nobilitato con artifizi retorici. In realtà il nostro agire è spesso un fischiare nel buio per tenere a bada la paura di vederci per quello che realmente siamo: animali intelligenti ma dissoluti.
piergiorgio firinu
Siamo animali intelligenti?
La filosofia di Schopenhauer è davvero ricca di contraddizioni per esporre le quali dovrei scrivere un trattato. Mi limiterò a brevi considerazioni concentrandomi sul nucleo centrale del pensiero del filosofo. Schopenhauer nel suo libro più importante, “Il mondo come volontà e rappresentazione”, considera la volontà l’essenza stessa della natura umana, animale, vegetale. In pratica assegna alla volontà la funzione che circa un secolo dopo Henri Bergson assegna a èlan vital, l’impulso creativo che muove l’evoluzione. Schopenhauer arriva a sostenere che la volontà è eterna. Siccome la volontà guidata dalla ragione è prerogativa umana, mentre la volontà intesa come della natura alla base dello sviluppo ed evoluzione naturale è legata a fattori climatici, ne deriva che, assumendo che, per ragioni ambientali, come è successo su Marte, la vita si estingua, si estinguerebbe anche la vita umana,quindi la volontà cesserebbe di esistere, ergo non è eterna. Ma non è la sola argomentazione apodittica di Schopenhauer. La scienza che affronta il tema dell’evoluzione dell’universo ci dice che i pianeti sono soggetti a radicali cambiamenti dovuti alle graduali evoluzioni del sistema planetario. Ci dice anche che noi conosciamo solo il 5% dell’Universo, tutto il resto è materia oscura. Di fronte a questa evidenza scientifica l’antropocentrismo di Schopenhauer sfiora il ridicolo, a maggior ragione la sua tesi secondo cui la volontà è eterna, a parte la difficoltà di definire il concetto di eternità. Va pur detto che, nella nostra ansia antropocentrica siamo arrivati a creare un dio al quale abbiamo dato le nostre sembianze. Questo sembra indicare che l’intelligente pazzia dell’uomo non ha limiti. Bisogna riconoscere che è molto più umilmente intelligente la poesia. Shakespeare mette in bocca ad Amleto la famosa frase: “ Ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio,di quante tu ne possa sognare nella tua filosofia”. Schopenhauer avrà letto Amleto? L’arte, specie l’arte plastica, vista in un’ottica planetaria è ben poca cosa, anche in questo caso si spreca l’enfasi di autoesaltazione. Si costruisce un altare di parole in cima al quale poniamo tutto ciò che è umano. Arriviamo a considerare arte anche il nostro sterco, nobilitato con artifizi retorici. In realtà il nostro agire è spesso un fischiare nel buio per tenere a bada la paura di vederci per quello che realmente siamo: animali intelligenti ma dissoluti.
Manualità e pensiero
I due momenti dell'arte, nel suo farsi e nel linguaggio che la esprime, non sempre coincidono. Renato Boccali da anni svolge attente ricerche sulla estetica delle immagini in Gaston Bachelard. Nel 2012 ha pubblicato “L’éthique et la main”. Libro estremamente interessante che affronta il rapporto tra etica ed arte. Il tema della manualità è stato affrontato in modo scientifico più ampio da Leroi-Gourhan in “Il gesto e la parola” , due volumi pubblicati da Einaudi nel 1964. Il libro traccia un percorso storico e scientifico sulla manualità, la mano protagonista dello sviluppo della civiltà, guidata dall'intelletto e dal sapere, forma, costruisce, crea, il gesto creativo è la sintesi di manualità e pensiero. Oggi la tecnica tende a sostituire la mano nel lavoro e nell'arte. La manualità è stata per millenni base della creazione artistica, oggi è apertamente rifiutata dagli artisti che si servono di tecniche industriali, in particolare gli artisti statunitensi fanno da tempo largo uso della riproducibilità e produzione industriale. D’altra parte realizzare per parallelepipedi di ferro di grandi dimensioni non c’è altro modo se non i sistemi dell’industria. Carl Andre, Claes Oldemburg, Walter De Maria, Richard Serra sono alcuni degli artisti che usano tali sistemi di produzione. Altri artisti si affidano alle nuove tecnologie, creano ambienti con effetti speciali simili a quelli che vediamo nei film. L’artista surrealista svedese Erik Johansson presentò una mostra nella quale realizzò una sorta di sole artificiale, dimostrando abilità tecnica notevole. Bill Viola rielabora la proiezione di capolavori del passato e crea immagini che proietta con effetti suggestivi. Con l'avvento della intelligenza artificiale anche il cervello umano è costretto a cimentarsi con nuove sfide. Lo racconta Marcus Du Sautoy nel libro: “Codice della creatività”. Tutti questi rivolgimenti hanno una ricaduta nella realtà antropologica perché modificano l’approccio culturale delle masse e incidono sull’ Etica per una pluralità di ragioni. Compito dell’artista non è mostrare il reale, ma dimostrarlo. La produzione manuale, in generale lenta, permette che azione e riflessione vadano di pari passo. La riflessione comporta un più diretto coinvolgimento emotivo nella creazione, gli intervalli del pensiero scanditi dal gesto implicano emozioni che la fredda tecnologia non favorisce. La conseguenza dell’uso della tecnologia è il prendere forma di una epistemologia antitetica al tradizionale processo creativo dell’arte. Si attiva un meccanismo mentale che a lungo andare produce una lenta graduale disumanizzazione e determina una sorta di neutralizzazione emotiva. Questo processo è visibile nell'arte plastica, ma molto di più nel cinema. Nella produzione cinematografica un posto di primo piano è occupato dalla realtà virtuale, personaggi virtuali creati in laboratorio sono i protagonisti dei film. C’è da osservare che tale processo ha avuto inizio con i fumetti che hanno abituato i ragazzi ad appassionarsi a personaggi immaginari creati dalla matita del fumettista e diventati veri e propri eroi nell'immaginario collettivo, non solo degli adolescenti. Anche Edward O. Wilson affronta il tema della creazione artistica con il libro: “Le origini della creatività”, pubblicato nel 2017. Egli parte dai primordi quando i nostri antenati con grande abilità costruivano flauti utilizzando le ossa di uccelli. Con Homo habilis, 2,3 milioni di anni fa, ebbe inizio la brusca svolta della nostra specie. Ma questa è tutta un'altra storia.
piergiorgio firinu
La difficoltà delle scelte, tra ragione ed emozione.
Nell’ansia antropologica che ci spinge continuamente a celebrare noi stessi, nonostante gli immani disastri che la nostra specie ha provocato nel pianeta, non riusciamo a cogliere la natura dei cambiamenti ai quali siamo soggetti. La scuola di massa ha, per certi versi, aggravato la situazione,diffondendo una pseudo cultura in base alla quale tutti hanno diritto di esprimere le proprie opinioni anche se non motivate o frutto di spurie teorie fondate per lo più su un esasperato solipsismo che può contare su giustificazioni teoriche basate sul principio di libertà. Letteratura, arte, politica, sono il portato di questa approssimazione culturale inquinata dalla globalizzazione e da una velleitaria pretesa di uguaglianza che si traduce in un progressivo livellamento verso il basso di ogni attività umana. La I.A. ha aggravato la situazione demandando ad automatismi tecnico matematici molte attività e decisioni. Il sistema finanziario, dal quale dipende il benessere di milioni di persone, è in larga misura affidato a logaritmi. L’arte ha rinunciato da tempo alla manualità che dovrebbe essere una caratteristica della produzione artistica. Al progresso della tecnica si associa una certa idea sociale della libertà e dei diritti individuali. La femminilizzazione della società ha una parte non secondaria nello stato della società attuale. Tutto si basa su stereotipi culturali diffusi. Masse etero dirette inconsapevoli delle loro azioni costituiscono la realtà sociale di oggi. Come è stato scritto, se una pietra che cade per il principio di gravità pensasse riterrebbe di cadere per propria volontà. Nessuno meglio di Shakespeare con la forza della poesia ha affrontato il problema costituito dalla difficoltà di prendere decisioni. Scrive Schopenhauer: “Per una mente debole il pensiero è altrettanto faticoso quanto lo è per un braccio debole sollevare un peso”. Vi è una forza della natura che prescinde dal pensiero e condiziona l’agire umano; Platone e Aristotele hanno affrontato sotto il profilo filosofico la capacità umana di autodeterminarsi. La questione del libero arbitrio ha occupato le acute menti dei filosofi senza approdare a nulla. Goethe, in “Le affinità elettive” tratta il tema della attrazione che condiziona la volontà. Egli si serve della metafora degli elementi chimici, processo naturale, e mette a confronto con quanto avviene tra esseri umani. Anche per individui intellettualmente dotati è difficile sottrarsi al dominio delle passioni. Hume sosteneva che la ragione è al servizio delle passioni. In realtà la ragione, essendo un fragile processo del pensiero, soccombe sotto la pressione degli istinti animali primari. Questo avviene per l’aggressività, che nei casi estremi porta alle guerre, avviene nella sessualità, ed anche è stimolo all’egoismo.
piergiorgio firinu
La filosofia della felicità
La “felicità” è uno dei temi affrontati dalla filosofia, uno dei tanti che non ha trovato una definizione, un senso, che possa essere condiviso. L’arte evidenzia la difficoltà di esprimere un’ idea di felicità perché la raffigurazione è necessariamente legata al corpo umano con i suoi limiti. L’impossibilità di definire ed esprimere la felicità consiste nella frammentarietà temporale. Il “ carpe diem” di Orazio. Per Schopenhauer la felicità è negativa. E’ l’idea già espressa da Erodoto: “ Non c’è mai stato al mondo uomo che non si sia augurato di non vedere l’indomani”. Vale anche per i grandi intellettuali l’affermazione: “Quot capita, tot sententiae” . C’è chi, come Locke , lega la felicità al rispetto delle regole morali all’interno del circolo delle relazioni.L’amante che tradisce svilisce se stessa e offende l’amato. La più semplice definizione della felicità è “non aver bisogno di nulla se non di se stessi”. Il problema è che per raggiungere questo stadio di autonomia sarebbe necessario possedere una notevole quantità di stoicismo o di cinismo. Diogene arringava la folla gridando “Ehi, uomini!”, e , all’accorrere di molti, li respinge sprezzante “Uomini chiamai, non canaglie” . Epitteto considerava Diogene, insieme a Socrate, il suo modello di riferimento. Epicuro insegnava che il piacere è ridotto a ben piccola cosa, ma di questa piccola cosa finiamo per essere schiavi. Per crearsi un alibi gli umani hanno inventato la parole “amore” che, quando si riferisce al rapporto tra i sessi, è un altro modo di definire l’attrazione sessuale. E’ di pochi l’incapacità di resistere alle pulsioni del corpo. In non poche donne vi è un aumento in misura morbosa dell’istinto sessuale che si configura come “ninfomania”. Gassendi sostiene a chiare lettere che l’amore è connesso strutturalmente al piacere. E’ infatti le teorie di Platone sull’amore, il cosiddetto “amore platonico” , non hanno trovato e non trovano molto seguito. Non diversa sorte ebbero le teorie di Plotino secondo cui : “ Lo stato felice consiste esclusivamente nella capacità contemplativa”. Non è chiaro come e perché i filosofi costruiscono teorie che sembrano dimenticare che l’uomo è un animale generalmente incapace di tenere a bada i propri impulsi, se si escludono rarissime eccezioni di persone che hanno raggiunto il dominio di se stessi. Senza indulgere al pessimismo di Schopenhauer , non c’è dubbio che la felicità è per tutti gli umani molto più rara di quanto lo siano i momenti di sconforto e di dolore. Alla radice c’è sicuramente l’incapacità di auto dominio, di indirizzare le proprie energie mentali verso obiettivi capaci di dare senso alla propria vita. Se è vero che l’arte non riesce a raffigurare la felicità, è altrettanto vero che le biografie degli artisti sono le narrazioni di incontinenza e squilibrio tali da spiegare perché la felicità non è compagna dell’arte.
piergiorgio firinu
Dialettica Negativa.
Bialobrzeski sostiene che la scienza contemporanea si differenzia nettamente dalle dialettiche filosofiche perché non è una costruzione a priori e traduce il discorso seguito dalla conoscenza della natura. La dialettica filosofica, quella di Hegel, per esempio, procede per opposizione fra la tesi e l’antitesi e dalla loro fusione in una nozione superiore della sintesi. In fisica, le nozioni sono unite non contraddittorie e sono complementari . In breve, la conoscenza scientifica procede per accumulo, senza cesure. Esattamente l’opposto di quanto è avvenuto nel campo dell’arte a partire dalle avanguardie di fine ‘800 che hanno accampato la apodittica pretesa di negare validità al pregresso. La cosiddetta filosofia dell’arte, soprattutto di matrice statunitense, elabora una serie di teorie valutative il cui apporto gnoseologico è di fatto nullo. La radice di una deviazione dialettica va forse cercata in Bachelard quando tenta di valorizzare la negazione attraverso un razionalismo dialettico con pretese di complementarietà. I filosofi dell’arte mettono insieme teorie spurie spigolando qua e là nel vasto campo della filosofia negativa. Anche Leon Rosenfeld uno dei divulgatori della cosiddetta interpretazione di Copenaghen , sostiene che si è avvezzi a considerare le contraddizioni logiche come cosa da evitare a favore di un sistema coerente. Egli respinge l’assunto, più precisamente sostiene la generalizzazione attraverso la negazione. Canguilhem tenta di introdurre la libertà di variazione piuttosto che la volontà di negazione. Ma ormai il processo di sovvertimento logico è avviato e in questo pescheranno a piene mani i cosiddetti filosofi dell’arte. Anche per Geymonat e Redondi l’esito filosofico avanzato del pensiero bachelardiano è espresso da quella dialettica negativa che conduce a rifiutare precedenti forme di conoscenza. Il guaio è fatto, anche perché a differenza del campo scientifico nel quale vi è comunque una verifica esperienziale, l’arte non ha vincoli epistemologici nè verifica codificata dell’esito ontologico. Il risultato è la creazione di un esercito di epopte che con il coraggio dell’ignoranza assaltano la cittadella dell’arte e, parafrasando Tacito, distruggono ogni cosa, creano un deserto di pensieri e la chiamano libera creatività.
piergiorgio firinu
L’oro di re Mida e la verità di Sileno.
In “Nascita della tragedia” Nietzsche scrive: “Io sono convinto dell’arte come compito più alto della vera metafisica di questa vita” . In realtà egli si riferiva a un’arte che ha cessato di esistere con l’avvento delle avanguardie. Fu un atto di estrema ignoranza e insieme di presunzione pretendere di cancellare l’epistemologia dell’arte. Pierre Hadot sottolinea come l’abbandono della trascendenza a favore della totale immanenza abbia amputato la parte creativa degli esseri umani. Il modello etico dei contemporanei si riduce a una estetica dell’esistenza, una forma di dandismo di massa incolto e tutto sommato triste. Gli antichi consideravano apollinea l’arte della scultura e più ingenerale figurativa, dionisiaca l’arte musicale. Appare ovvio che quando l’arte si affida ai ready made, per ciò stesso rinuncia a creare a favore del recuperare attraverso la parola i resti della produzione di massa. Schopenhauer indica come segno distintivo dell’artista l’attitudine di rendere naturale il sogno traducendolo in forma. Apollo, come dio di tutte la capacità figurative, e insieme divinanti, corrisponde alla sua radice etimologica che significa “ splendente”, la divinità della luce, domina anche la bella parvenza del mondo greco e forse fornisce l’estro a Zeusi, Parrassio e gli altri geni che hanno lasciato la loro impronta in una civiltà che è stata lievito dell’occidente prima dell’avvento dei Lumi. Forse l’Arcadia, vissuta o immaginata, è stata solo uno sprazzo di luce subito spento dalla nostra ingordigia di esistere. Un’antica leggenda narra che re Mida inseguì a lungo nella foresta il saggio Sileno, seguace di Dionisio. Quando lo raggiunse il re domandò quale fosse la cosa migliore e più desiderabile per l’uomo. Dopo un lungo silenzio Sileno sbottò in un sorriso beffardo e disse: Siete una stirpe miserabile ed effimera, figli del caso e della pena, meglio per voi sarebbe stato non essere mai nati. Oggi Apollo, Dionisio, Sileno, tutta la schiera di dei inventati per consolarci nel buio esistenziale al quale non sappiamo attribuire un senso, sono stati cancellati, così il pensiero creativo e la sapienza della filosofia umanistica che ha tentato inutilmente di raddrizzare il legno storto
dell’umanità.
piergiorgio firinu
L'impossibilità di guardare il cielo.
La saggezza è la condizione per perseguire la virtù. Questo spiega perché la virtù non ha più diritto di cittadinanza nella società contemporanea della quale l’inganno è la cifra. Significativo ciò che scrive Rabelais in proposito, soprattutto in riferimento agli inganni dei legulei. L’argomento è ripreso da Dickens. L’accostamento tra sapere e virtù è ampiamente trattato nell’’antica cultura Vedica e nella filosofia pitagorica. Entrambe le scuole sostenevano quanto può essere pericoloso il sapere quando è posseduto da persone malvagie e corrotte. Forse per questo Antistene prendeva a bastonate chi si proponeva come suo discepolo. Posato il bastone di Antistene la filosofia cinica, o meglio il cinismo tout court con venature di nichilismo, è dilagato nella società materialistica e edonistica di oggi. Massimo esempio, l’uso decettivo della parola si realizza nella filosofia dell’arte nella quale si elaborano tesi spurie che sono semplicemente propedeutiche al mercato, e hanno contributo alla morte dell’arte che da più di un secolo non è in buona salute. Di certo il materialismo edonistico è la base stessa di una società basata sul consumo e la stimolazione del desiderio del consumo nel sistema sociale malato nel quale viviamo. Noi non possediamo desideri, sono i desideri a possedere noi. E’ curiosa l’etimologia di desiderare, significa scendere da una stella, de sidere. Peccato che la produzione che alimenta e soddisfa il consumo abbia oscurato e inquinato il cielo. Ma forse siamo sempre più simili al maiale che è stato associato ai filosofi epicurei , i famosi porci di Epicuro, perché la conformazione anatomica non consente loro di alzare la testa al cielo, del quale c’è da presumere non abbiamo molto interesse, così come per le masse vagolanti della in-civiltà contemporanea.
piergiorgio firinu
Comunicazione e visione.
L’ultima provocazione nell’iter della deriva dell’arte contemporanea, sembra essere una banana fermato sul muro con uno scotch. Ciò che deprime non è il gesto di un poveretto in cerca di visibilità, ma lo spazio che viene dato dai media, addirittura con un servizio Tv su questo atto. Questo si inquadra nella più generale modalità di comunicazione che privilegia volgarità e cattivo gusto. Forse dovremmo chiederci: cosa sappiamo di come viene visto, in particolare dai bambini, un programma tv, un film, una rivista illustrata? Porsi questa domanda è d’importanza cruciale per tentare di capire i risvolti culturali e psicologici prodotti dalla comunicazione. Purtroppo chi organizza il palinsesto tv si preoccupa quasi elusivamente dell’ audience, chi produce film ha come unico fine il guadagno.. Diamo per scontato che tutti, bambini inclusi, sappiano trarre il giusto significato dalle immagini. Per esempio film che presentano fatti di guerra con scene cruente, scene di sesso. E’ diffusa l’apodittica convinzione che ogni esser umano abbia imparato fin dalla nascita a guardare il mondo in un ottica razionale, si suppone quindi che non abbia difficoltà a decodificare le immagini traendo da esse gli aspetti istruttivi positivi. A parte la difficoltà anche per una persona esperta a trovare aspetti positivi dalle immagini di assoluto squallore che cinema tv trasmettono in continuazione, la lettura delle immagini ha carattere estremamente soggettivo. Anche attraverso le immagini si produce omologazione, si stimola lo spirito gregario che è parte di ciascuno di noi, in breve, si incoraggiano gli aspetti peggiori al solo fine di lucro. Tutto questo è noto da tempo, eppure la situazione sembra peggiorare ogni giorno. Attualmente, gli spettacoli più disgustosi della tv americana, sono anche quelli di maggiore successo. Segno evidente degli effetti negativi che i media in generale e la tv particolare hanno sugli ascoltatori. E a proposito dell’uso della comunicazione, è significativo che in un periodo di femminismo trionfante, a Torino le rivendicazioni delle donne vengono collocate in luogo malfamato e di spaccio, i Murazzi del Po. Cosa significa questo? Che le donne che si rivolgono agli spacciatori africani per acquistare le dose vogliono essere rispettate e fare sesso solo se lo vogliono? Considerato l’importanza della donna nella società tutto questo appare di uno squallore e di una tristezza assoluti e certo non induce a essere ottimisti per il futuro.
piergiorgio firinu
La farmacia di Platone.
Il contrasto Platone/Aristotele viene utilizzato da certo modernismo preso dal prurito delle estreme differenze e pulsioni, pronto a distribuire i segni meno/più all’arte, filosofia , politica. Un atteggiamento di contrasto, come quello delle avanguardie, può diventare rituale svuotandosi di forza propulsiva, andando incontro alla perdita di significato. L’opposizione Platone/Aristotele non costituisce un’eccezione; ricorda quei rituali che adottano sistemi antitetici su un medesimo aspetto. Ai giorni nostri lo scatenarsi dionisiaco non è che maniera; le più audaci provocazioni, i più “spaventosi” scandali non hanno più il potere di stupire. Al pari della tragedia, il testo filosofico funziona come giustificazione a posteriori, i mali spiegati, mai risolti. Tentavi di espulsione, perpetuamente ripresi che non giungono mai a conclusione. E’ quello che a mio parere dimostra in modo abbagliante il saggio di Jacques Derida “La pharmacie de Platon”. La dimostrazione è imperniata sull’uso rivelatore della parola pharmakon. Il pharmakon platonico funziona esattamente come il pharmakos umano con analoghi risultati, è il perno di voltafaccia decisivi per la divisione tra cattiva sofistica e buona filosofia. Oggi, in qualsiasi situazione che scivoli verso la tragedia, ci solo anti-eroi. La funzione dell’eroe, prigioniera di stilemi militari, di coraggio, è falsata, rende quasi accettabile l’affermazione di Beltolt Brecht “beato il popolo che non ha bisogno di eroi” , ma allo stesso modo non ha bisogno di artisti, di filosofi, di tutte quelle figure che rimuovono con il loro esempio le incrostazioni delle umane debolezze e per ciò stesso costituiscono una differenza che i tempi non tollerano. A meno che gli artisti non si adattino, i filosofi offrono pretesti per giustificare le aberrazioni della modernità. Il reale è da descrivere, non da costruire o costituire. Ma il segno dell’arte oggi non esprime che se stesso, cerca nella confusione di una cultura estemporanea e superficiale di adeguarsi, l’artista, preso da se stesso, non dilata l’immaginazione partendo dal reale, ma tenta pateticamente di adattare il reale alla propria immaginazione, cerca tutto ciò che giustifica modi di essere senza scopo. Questo vale soprattutto quando finge di andare contro mentre in realtà stuzzica la pruderie del pubblico. Non basta avere “esperienza di se stessi”, di questa coscienza che noi siamo: su tale esperienza si misurano i significati di confronto espressi dal linguaggio dell’arte, è questa esperienza elaborata e partecipata che fa si che il linguaggio voglia dire qualcosa non solo per noi. Le essenze di Husser riconducono a se tutti i rapporti dell’esperienza, come la rete porta i pesci dal fondo del mare. Io mi protendo verso un mondo e percepisco un mondo, a patto che non mi perda nell’esperienza di me. Se non so distinguere i miei sogni dalla mie percezioni, il fenomeno mondo mi sfugge. Poiché siamo nel mondo siamo condannati al senso, nulla possiamo fare o dire che non assuma un nome. L’arte è la realizzazione della verità, o almeno il tentativo collegare esperienza e possibilità.
piergiorgio firinu
Simboli del pensiero nella forma.
“Gettare con”, “mettere insieme”, “far coincidere” Simbolo è infatti originariamente il mezzo di riconoscimento consentito dalla due metà di una moneta o di una medaglia spezzata L'analogia dovrebbe mettere in guardia i compilatori di lessici filosofici. Si hanno due metà di una cosa di cui l'una sta per l'altra, aliquid stat pro aliquo, come avviene in tutte le definizioni classiche del segno e tuttavia le due metà della moneta realizzano la pienezza della loro funzione solo quando si ricongiungono. Costruire un'unità, questa sarebbe l'interpretazione simbolica, l'etimologia di simbolo. Qualcuno distingue tra simboli intellettuali e simboli emotivi. Marilyn Monroe simbolo del sesso e della bellezza. In questo caso il simbolo è per così dire posticcio, scade nell’opinione. Suzanne Langer in “Feeling and Form” critica vari usi confusi del termine simbolo e si richiama alla necessità filosofica di definirlo meglio. Lo stesso interdetto definizionale si ritrova in “Anatomy of Critism” di Northrop Frye. Argomento affrontato anche da Delacroix che cita l’esempio della volpe come simbolo di astuzia. Mary Douglas dedica un intero volume ai natural symbols ed esordisce affermando che la natura deve essere espressa in simboli. Un altro classico dell’antropologia simbolica “From Ritual to Romance” di Jessie L. Weston, che ha fornito spunto per l’utilizzo di simboli al poeta Thomas Eliot. La Weston sostiene che i simboli funzionano in un sistema di relazioni reciproche. Raymond Firth denuncia le equivocità dell’uso che viene fatto da molta letteratura e dalla stampa quotidiana. Anche Lévi-Strauss afferma che ogni cultura può essere considerata un insieme di sistemi simbolici. Chi più di altri ha elaborato il tema è stato Ernest Cassirer nel libro “Filosofia delle forme simboliche” nel quale afferma: “Il simbolo non è un rivestimento meramente accidentale del pensiero, ma il suo organo necessario ed essenziale”. Julia Kristeva ha affrontato il tema evidenziando le differenze terminologiche e sostenuto che il simbolo è un insieme di processi primari , scariche energetiche e pulsioni. Per la Kristeva il simbolico non è quello che molti assegnano alla simbologia dell’arte. Vale qui rilevare che, come sostiene Husserl, anche attività che hanno carattere tecnicistico, l’arte è pur sempre una attività che si realizza attraverso una componente tecnica, tuttavia persiste la tentazione del ricorso alla teoresi, non sempre in coerenza con la forma. Il simbolo mette in gioco qualcosa che non è stato ancora codificato e spesso provoca effetti che l’autore non aveva previsto.
piergiorgio firinu
Creatività e consapevolezza.
Quale rapporto esiste, se esiste, tra creatività e consapevolezza? Per consapevolezza non s’intende una sorta di responsabilità etica, ma più semplicemente l’automotivazione che giustifica l’agire dell’artista. John Searle ha proposto un esperimento mentale chiamato “La stanza cinese” . Immaginiamo una persona chiusa in una stanza con un manuale di istruzioni che indica una risposta appropriata per ogni scritta in caratteri cinesi che venga messa davanti. Disponendo di un manuale sufficientemente ampio la persona nella stanza potrebbe sostenere una discussione in lingua cinese senza comprendere una sola parola della lingua mandarina. Questo esperimento, studiato per dimostrare i limiti della I.A. in realtà pone in discussione anche l’intelligenza naturale e tutte quelle prerogative che solitamente vengono associate alla creatività. In altre parole un artista può agire senza conoscere realmente il tema che tratta. Un esempio potrebbe essere l’opera sui numeri di Fibonacci realizzata da Mario Merz. Come è noto i numeri di Fibonacci , (Leonardo Pisano detto il Fibonacci -1170 – 1242) definita anche successione aurea, consiste in una sequenza di numeri ottenuta sommando insieme i due numeri precedenti. Senza inoltrarci nei dettagli, quello che vorremmo rilevare è un possibile nesso tra una teoria matematica e un’opera d’arte. Quale era il livello di conoscenza matematica dell’artista? La difficoltà di definire cos’è la creatività rende difficile stabilire cos’è l’arte. Il problema non si risolve certo con le dozzinali argomentazioni di certi filosofi statunitensi. Se l’arte è un linguaggio, cioè una condensazione di significati, dovremmo presumere che debba avere una propria autonomia. Per Frank Kafka “ il linguaggio non è che una mediocre traduzione” , il problema resta il contenuto della traduzione a meno che tutto si riduca ai giochi linguistici di cui parlava Wittgenstein. La natura dell’arte, nella sua forma migliore dovrebbe permettere di integrare sensazioni e informazioni in una esperienza unificata. La stanza cinese di Searle, immaginata come critica alla I.A. in realtà ci mette di fronte a verità scomode che ridimensionano il mito dell’artista come ispirato demiurgo.
piergiorgio firinu
La bellezza come premio.
L’arte dovrebbe essere ispirata dalla curiosità del mondo di cui facciamo parte, assumere l’impegno di portare un contributo positivo. Il premio per questo impegno non dovrebbe essere il denaro, il potere, ma la bellezza. Nella città di Dio, Agostino si richiama alla Mente suprema, o Logos, noi abbiamo imparato a dare spiegazioni sull’ordine della natura, e abbiamo costruito con raffinati strumenti matematici teorie che spiegano ciò che ..”muove il sole e le altre stelle…” . Purtroppo conosciamo solo il 5% della materia della quale è fatto l’Universo. C’è in questo una palese contraddizione. La scoperta della meccanica quantistica ha modificato riferimenti matematici considerati validi per secoli. Possiamo escludere che possa emergere una realtà che la scienza non ha ancora scoperto? Per quanto concerne il piccolo mondo dell’arte ci troviamo di fronte al paradosso accettato senza riserve, ciò che dovrebbe essere se non bello, quanto meno significativo e profondo , non può essere generato da ciò che è brutto, insignificante, superficiale. La Rivoluzione industriale ha visto il trionfo della materia sul pensiero, l’epistemologia culturalmente in armonia con “On the Origin of Species” (1859), fu il primo passo per eliminare la mente come principio esplicativo. Oggi si evidenziano i frutti di un sistema produttivo sbagliato che ha dato origine a un sistema sociale iniquo. A questo ha contribuito la caratteristica degli umani la cui forza sta nell’adattamento, la cui vulnerabilità sta nell’adattamento. Se riuscissimo a osservare con distacco la società contemporanea, volgarità, eccessi, sprechi, ignoranza, forse potremmo avere un impulso di rifiuto. Purtroppo, complice cultura e comunicazione, noi siamo chiusi all’interno di una metaforica bolla di inconsapevolezza, non abbiamo la minima reazione, trasciniamo la nostra infelicità come inevitabile. L’arte è stata inglobata totalmente nel meccanismo di consumo ludico che costituisce finalità a se stesso. Per gli artisti l’unica forma di contestazione efficace sarebbe il silenzio e la rinuncia a produrre opere. L’artista ha lo scopo conscio di poter vendere la sua opera, ma nella realizzazione egli dovrebbe avere sufficiente energia mentale per sottrarsi alla contingenza sociale. Questo,temo, avviene sempre più raramente, le lusinghe della mondanità e del denaro condizionano pesantemente l’artista la cui capacità creativa, se e quando è posseduta, non lo rende più forte.
piergiorgio firinu
L'originalità è un valore?
Nel 2006 il finanziere messicano, David Martinez, pagò in una asta 140 milioni di dollari per il dipinto di Jackson Pollock denominato No.5,1948. Chi conosce le modalità di realizzazione delle opere di Pollock non può non rimanere incredulo di fronte a simili eccessive valutazioni. Ovviamente dietro a tale risultato c’è la serie di considerazioni critiche e filosofiche delle opere dell’artista statunitense. Uno studioso della Università dell’Oregon, Richard Taylor, ha rivelato che i dipinti realizzati da Pollock con la tecnica del dripping hanno un procedimento caotico dovuto a vari fattori tra i quali il fatto che quando l’artista realizzava le sue opere era spesso in stato di euforie alcolica e pertanto il cinetismo era piuttosto instabile. Ciò che distingue il processo produttivo degli artisti, da Goya a Pollock, è il modo in cui il colore viene applicato sulla tela. Questo comporta il verificarsi di strani paradossi tra i quali spicca un aspetto paradossale, gli studiosi che utilizzano l’I.A. e tramite algoritmi riescono a realizzare copie di dipinti di grandi maestri, per esempio opere di Antoon van Dyck, si trovano in difficoltà nel riprodurre le opere di Pollock. La ragione dovrebbe essere cercata nel fatto che le opere di Pollock, simili a frattali, non rispondono a un preciso metodo nella applicazione del colore, come abbiamo sopra precisato, ciò non toglie che sia forte l’impatto visivo di quasi tutte le opere dell’artista statunitense . Di fronte a tale problema le risposte posso essere diverse. Attribuire alla originalità irriproducibile delle opere, oltre alla impossibilità di usare la I.A. per riprodurle, apparentemente gioca a favore dell’opera. Meno ottimisticamente si potrebbe supporre che la cautela degli studiosi nel trarre conclusioni è suggerita da ragioni diverse, meno scientifiche. Accettando l’ipotesi della originalità dell’opera, si dovrebbe stabile se l’originalità e sufficiente a giustificare il valore artistico di un opera, tanto più se l’originalità emerge solo dalla disposizione del colore, fattore non rilevabile a occhio nudo. Oggi per valutare un opera d’arte pare si debba far ricorso a strumenti di alta tecnologia, mentre è ridimensionata la funzione della critica. Se dovessimo considerare un valore in se l’originalità, dovremmo convenire che il contenuto dei barattoli di Piero Manzoni è sicuramente originalissimo, essendo impossibile da imitare anche con la più sofisticata tecnologia, la composizione chimica del contenuto risulterebbe non riproducibile.
piergiorgio firinu
Passione.
Il tema di Piramo e Tisbe, ripreso da Shakespeare in “Giulietta e Romeo”, è stato variamente interpretato nella pittura post-rinascimentale. E’ nota la storia della sventurata copia babilonese che Ovidio narra nella Metamorfosi (IV,55-166). I genitori dei due giovani impedirono le nozze ed essi si accordarono per incontrasi segretamente una notte fuori dalle mura della città, presso un albero di gelso vicino a una fonte. Tisbe arrivò per prima sul luogo dell’incontro. Mentre era in attesa, una leonessa venne a bere alla fonte, aveva appena divorato una preda ed aveva la bocca insanguinata. La fanciulla fuggì impaurita e nella fretta perse il velo che il felino lacerò. Quando Piramo sopraggiunse, trovò il drappo lacerato e insanguinato. Pensò che Tisbe fosse stata uccisa e sentendosi responsabile della morte dell’amata trasse la spada e si trafisse; il suo sangue colorò per sempre di rosso le bacche del gelso. Quando Tisbe torno sui suoi passi, vide l’amato morente, si gettò sulla spada. L’episodio è rappresentato dal Tintoretto (Modena, Galleria Estense). Da Nicolsa Poussin (Francoforte, Stadelsches Kunstinstitut). Nella filosofia stoica Piramo e Tisbe erano considerati degli stolti, esempio di cedimento alla passione con conseguenti azioni sconsiderate.
piergiorgio firinu
Sbagliate le previsioni di MacLuhan.
Fino verso la fine del secolo scorso vi era una sorta di cesura tra la cosiddetta società tardo capitalista e la sinistra. Oggi la sinistra trova appoggio nei media, finanza, economia. I ceti popolari sono condannati subdolamente al silenzio. Gli intellettuali sono fin troppo allineati alle oligarchie finanziarie, anche perché i loro padroni sono capitalisti, in genere del tipo più aggressivo. Questa situazione è particolarmente evidente in Italia. Questa nuova forma di silenzio “urlante” non riguarda solo le parole, ma anche le immagini. Tempo fa Susan Sontang contraddì le previsioni di McLuhan sulla devalutazione e credibilità delle immagini. Questa devalutazione procede in parallelo al depauperamento linguistico e artistico. Facciamo cattivo uso della nostra libertà nell’uso di immagini e parole. Adorno scrisse sul regresso dell’ascolto e del feticismo della musica che appare una sorta di leitmotiv del degrado. Il fenomeno del progressivo involgarimento nella produzione di immagini, non sembra attrarre l’attenzione del mondo della cultura. Il feticismo delle immagini ha portato ad un regresso dell’immagine, cioè ad una involuzione della nostra capacità di comprenderne il vero contenuto. Bourdieu ha descritto con molta sagacia il modo in cui la società istituzionalizza specifici valori culturali che ritiene utili al pensiero tendente alla egemonia. Si crea uno specifico arbitrario che verrà diffuso dai media e dalla industria culturale, il tutto convogliato nel pensiero unico. La tattica del controllo sociale non è più necessario venga occultata, “l’inculcamento arbitrario l’arbitrario dell’inculcamento”, precisa Bourdieu avviene alla luce del sole. Ci troviamo di fronte a un paradosso; quanto maggiore è la violenza e la volgarità del linguaggio verbale e visivo, tanto maggiore sembra essere la facilità con la quale la massa metabolizza il tutto, lo incorpora con rapidità nel proprio lessico. In questo modo i messaggi più pericolosi appaiano inoffensivi. Già Voltaire aveva intuito a suo tempo quello che oggi è divenuto tipico. Egli si chiedeva: “Qual è l’autore più pericoloso?” Quello che è letto dagli oziosi di corte e dalle dame.” Oggi alla Corte è subentrata la borghesia. Al vertice della società non ci sono più dame di corte ma attrici pornografiche, cantanti rock, campioni sportivi, tutti soggetti che in genere non dedicano molto tempo alla lettura e tuttavia subiscono la suggestione del mainstream che essi stessi contribuiscono a creare. Allarma, o dovrebbe allarmare, il pensiero che questa società è frutto di molte rivoluzioni e duemila anni di filosofia. Avremo sbagliato qualcosa, oppure va bene così?
piergiorgio firinu
La zappa di Wilde.
Quando si interpreta un’opera d’arte si dovrebbe ricorrere ad argomenti concreti, non a prove e dimostrazioni teoriche; la relazione empirica con l’opera suggerisce collegamenti fra ciò che è rappresentato nell’opera e l’intenzione dichiarata dell’artista e verificare se il risultato sia coerente con le dichiarazioni d’intenti. Il linguaggio dell’arte dovrebbe rifuggire dal realismo banale, ma esprimere l’idea mediante metafora. La celebre affermazione di Oscar Wilde “Chi chiama zappa una zappa dovrebbe essere costretto a usarla” non sembra più avere diritto di cittadinanza nel campo dell’arte, che usa ed abusa dell’objet trouvè, utilizza spezzoni di film, ready made, e quant’altro. Su Ilsole24ore un critico ha definito la biennale 2005,”biennale del tampas”. Espressione forse non elegante ma efficace. Poussin sosteneva “Chi conosce la stupidità e l’incostanza degl’uomini non si meraviglia di quello che fanno”. Per giustificare certe opere non basta certo servirsi di qualche cliché della critica ideologica in chiave femminista. Nelle poche migliaia di anni da che ha avuto inizio la civiltà umana i progressi della scienza e della tecnica sono stati enormi, mentre la natura umana è rimasta pressoché immutata. Ogni volta si inventano teorie che provocano e giustificano nuovi conflitti e divisioni, fino ad arrivare nell’arco degli ultimi 150 anni a fomentare la guerra tra i sessi. Sembra che la cultura non sia mai servita ad evitare conflitti, ma piuttosto a giustificarli.
piergiorgio firinu
Nietzsche: il corpo.
Parte importante nell’opera di Nietzsche, il corpo, la cui capillare ragione costituisce sia il principio metodico che l’ideale che regola il suo pensiero. Nel 1885 il filosofo scriveva: “ E’ essenziale muovere dal corpo, e utilizzarlo come filo conduttore. Esso è il fenomeno molto più ricco che consente una osservazione più precisa. Il credere nel corpo è fondamento meglio nel credere nello spirito”. La credenza nel corpo sembra essere per Nietzsche un riferimento costante. Egli era convinto che la filosofia fino ad allora era stata una interpretazione menzognere del corpo. In realtà il corpo, proprio per la sua concretezza fisica, non richiede di essere “interpretato”, ma impone le proprie regole alle quali neppure Nietzsche è sfuggito, finendo per disperdere il suo genio nella pazzia. Non c’è dubbio che il corpo è la base che permette tutto il resto. Come i colori e la tela sono strumenti indispensabili per l’opera pittorica. A nessuno verrebbe in mente di considerare più importanti gli strumenti del risultato. Oggi si cerca tutto ciò che può essere supporto alle nostre inclinazioni. Il corpo è visibile, dà e riceve piacere, ha richiami prepotenti. Altra cosa il pensiero. Flebile refolo, incerta guida verso ideali sempre più sfocati. Scienza che coltiva l’ottimismo della specie. Arte che ha perso il supporto della realtà.
Fantasie soffocate dal tempo ingrato che viviamo.
piergiorgio firinu
Arte retorica.
Ci sono casi in cui frasi paradossali, si tramutano in profezie. Il duca di Bedford sosteneva: “ il successo è volgare”. Nella società contemporanea la dimensione umana può essere interpretata alla luce del dualismo cartesiano. Res extensa, rex cogitans dove rex extensa è la materialità corporale costantemente esibita in arte come in ogni altra occasione. Res cogitans è sostituita in parte dalla I.A. e ridotta nella pratica di uno spregiudicato darwinismo sociale in ogni settore, in primis in politica, ma anche in arte e in tutti i casi dove la posta in gioco è il successo. Abbandonato il suggerimento “Quod tibi non vis fieri” , l’aggressività femminile e maschile ha raggiunto livelli di guardia. La retorica delle buone intenzioni è limitata dalle scarse capacità e priva di volizione. All’origine della retorica era la dialettica giudiziaria. Per Corace e Tisia, i primi retori siciliani, la retorica era l’insieme delle tecniche di elocuzione forense. In politica la retorica è soprattutto un atto di seduzione verbale. Su questo concordano Perelman e Olbrechts Tyteca che mettono l’accento su argomenti logici, cioè argomenti che possono raggiungere un alto grado di consistenza inferenziale e referenziale, senza l’appoggio di vere e proprie dimostrazioni formali. Quest’ultimo aspetto e appannaggio soprattutto della filosofia dell’arte. L’arte di oggi è essenzialmente retorica in quanto, avendo rinunciato alla epistemologia, usa l’ontologia come conclusione di apodismi formali. Detto in altre parole, gli artisti moderni fanno uso abbondante di ready made, di cui anche la fotografia è parte, costruiscono a posteriori le motivazioni. Fin dai tempi antichi sono stati molti i filosofi che hanno scritto libri contro la retorica. Ne citiamo due i cui scritti furono molto noti. Sesto Empirico e Filodemo di Gandara. In “Contro i retori” , Sesto Empirico avanza una delle più violente critiche di tutti i tempi contro la retorica. La sua argomentazione è molto più vicina al Platone del Gorgia che a quello di Fedro. Vi è in nuce la consapevolezza che la retorica, e l’eloquenza che ne deriva, sono molto spesso versus veritate. Anche l’arte si affida al processo di trasferenza analogica che nella retorica, da Aristotele in poi, si chiama metafora. Vi è il famoso brano del Leviathan, in cui Hobbes disapprova l’uso della metafora definendole “ignes fatui”. In effetti questa affermazione trova riscontro nell’utilizzo nell’objet trouvè, simili a piccoli fuochi incerti sotto il soffiare del vento sembrano sempre prossimi a scomparire. L’arte contemporanea, che alcuni arrivano a definire di consumo, appare soggetta alla stessa precarietà formale e linguistica.
piergiorgio firinu
Dalla Bottega all’Accademia.
Fino al Rinascimento la pratica artistica avveniva nelle botteghe degli artisti, a partire dal XVIII secolo, con la nascita delle Accademie, la formazione degli artisti viene in qualche modo istituzionalizzata. Vale la pena notare che, nonostante i proclami delle avanguardie, le accademie non sono state abolite ma, per così dire, occupate. L’istituzionalizzazione dell’arte è di fatto propedeutica al mercato e contemporaneamente alla nascita della critica d’arte. Con l’avvento delle avanguardie, la prima delle quali è stata quella dei refusès del Salon che esposero nei locali del fotografo Nadar il 16 aprile 1874. Inizia da allora la fase discendente. Dall’accademismo della Bellezza secondo il quale l'arte avrebbe dovrebbe essere solo una testimonianza di armonia di gusto e di raffinatezza, si passa alla accademismo dell'irrazionale secondo cui l'arte deve essere la testimonianza di una decadenza irreversibile dello spirito umano. C’è da dire che in verità il problema dell’arte interessa una ristretta cerchia di persone. Quindi l'involuzione dell'arte si riduce a una farsa la cui sceneggiatura è scritta da una oligarchia. Farsa o dramma che sia non coinvolge dunque più di tanto l'uomo della strada il quale si occupa d'altro, assorto dalle sue necessità, non ha tempo per le trasformazioni estetiche ed emotive esibite dagli artisti. L’uomo qualunque non si perde in riflessioni ma trova soddisfazione, reale o fittizia, tra le infinite e diverse modalità della comunicazione di massa, riviste, settimanali illustrati, fumetti comici, romanzi polizieschi ed erotici, cronistorie di principesse insoddisfatte, di uomini politici declinanti, di spie imprudenti. Tutte storie rese ancor più popolari da radio, televisione, e soprattutto il cinema con un esauribile repertorio di eroi e di eroine del sesso, del potere, del sadismo. Manifesti insegne luminose automobili e cucine da sogno, iI design diventa quella che è stata definita “arte applicata” a forma d’arte che affianca l’industria e ne e valorizza i prodotti. Tutto ciò presenta aspetti deplorevoli quando, come nell’arte, il logo diventa lo strumento per imporre costi elevati. Operazione assorbita più o meno inconsapevolmente dalle masse aflitte da pulsioni consumistiche etero dirette. Sono state fatte molte ricerche sui questi temi sopra accennati e sulla psicologia delle masse, P.F. Lazarsfeld, R.K Merton, critici della cultura come T.W. Adorno. Studiosi hanno condotto un'analisi approfondite e minuziosa, hanno saputo mettere in evidenza che la comunicazione di massa è sempre un meccanismo di controllo sociale che si avvale di archetipi ed emblemi pseudo comunicativi , imbevuta di animismo e di feticismo che quasi sempre serve interessi completamente estranee alla comunicazione. Ad esempio: serve distribuire prestigio ed a legittimare status sociale di individui e di gruppi. Il mondo dell’arte, esaurite le velleitarie pretese di rinnovamento radicale, si è adagiato nel più trito conformismo ripetitivo, affidando l’apparenza di rinnovamento alle provocazioni di varia natura e alla foggia dell’abbigliamento degli artisti oltre ad abbandonarsi totalmente alla parodia del genio e sregolatezza consumata nei salotti della ricca e corrotta borghesia compradora.
piergiorgio firinu
La forma di narciso
Gli altisonanti proclami delle avanguardie arrivano ad eccessi francamente inconcepibili. Tomas Maldonado, eclettico artista e studioso argentino, esponente della cosiddetta “arte concreta” , movimento che vide la partecipazione di vari artisti di successo, scrive: “ Si conclude in tal modo la preistoria dello spirito umano”. Il riferimento è alla nuova arte concreta. Francamente appare affermazione esagerata. A parte gli eccessi frequenti i nella storia delle avanguardie, i fondamenti dell'arte contemporanea non vengono quasi mai chiariti nella loro sostanziale logicità, con tutte le riserve che derivano dall’accostamento di logica e arte. Il concetto spaziale di Lucio Fontana è stato a lungo avversato da artisti e da critici, non in quanto privo di rilevanza estetica o espressività formale, piuttosto perché il riferimento allo spazio era visto sotto diversa configurazione. Infatti la spazialità era oggetto dall’arte cinetica come dell’arte astratta geometrica, e anche dalla mobilità delle opere di Calder. Quindi molte obiezioni avevano un qualche fondamento. Dato per scontato che tagli su tela e/o su altri materiali possano costituire una forma d’arte, la spazialità di Fontana appare statica, di fatto non vi è alcuna spazialità, semplicemente un’apertura costituita da una fenditura che non contiene prospettive spaziali. La definizione di “Concetto Spaziale” è quindi solo una arbitraria questione nominalistica. Lo spazio è tema squisitamente architettonico. Nel dualismo tra funzionalità ed estetica, è prevalsa spesso una terza alternativa, il narcisismo creativo fine a se stesso. Wright costruisce la sua famosissima casa su un dirupo in una situazione particolare che, per ovvie ragioni, non può costituire un modello ripetibile, in quanto difficilmente sono reperibili condizioni adatte a ripetere una costruzione analoga. Situazione opposta per l’architettura di Le Corbusier , l’architetto che ha creato la famigerata “unità abitativa”, dando di fatto origine a un modello di edilizia popolare che ha dilagato nelle periferie di tutto il mondo. Lo sviluppo dell’architettura, in parallelo con l’arte d’avanguardia ha finito per essere referente di stessa, realizzando opere che non si proponevano funzionalità, o più semplicemente l’interesse del committente a vivere in case confortevoli e sicure. Dando sfogo al proprio narcisismo con aspetti che possono rappresentare uno stile asettico con una volumetria e una forma decorativa spesso superflua. E’ stato sostenuto, in riferimento ai musei dell’arte, che il contenitore è spesso più significativo del contenuto. Dall’estetica dell’essenzialità propugnata da Walter Gropius, Hannes Mayer, Moholy Nagy, in breve da tutto il gruppo di artisti e studiosi della Bauhaus che svilupparono il tema di un razionalismo moderno e funzionale, all’estetica della sovrabbondanza messa in atto dalle archistar contemporanee.
piergiorgio firinu
Il nome e la cosa.
Hilary Putnam nel suo scritto “Mente, linguaggio, realtà” mette in forse il detto latino “Nomina sunt conseguenza rerum”. Per confermare la sua affermazione fa alcuni esempi: un pittore riferendosi alla tonalità di una certa macchia può dire “io la chiamerò giallo di cadmio”. Sostiene Putnam cambiando il nome non cambia il colore. Ad un primo approccio il ragionamento è ineccepibile, c’è però un dettaglio. Tutti i nomi sono legati a una convenzione che, radicandosi, si dimentica mentre resta il riferimento nominalistico anche quando questo è interpretato in modo estensivo. Il sostantivo arte, ad esempio, significa fare, ma nella comune interpretazione quando diciamo arte ci riferiamo a manufatti, scritti, testi musicali. Supponendo di sostituire arte con la parola pinekarede dovrebbe trascorrere molto tempo e molto lavoro per far accettare la nuova definizione. Questo significa che il nome e la cosa che indica hanno un rapporto che non è determinato dalla necessità, ma da una altrettanto impegnativa convenzione. E’ a questo snodo che si profila il problema creato dalla radicale modifica epistemologica dell’arte attuata dalla cosiddette avanguardie. In quel caso non è stato modificato il nome ma l’oggetto che il nome indica. Le narrazioni della critica e filosofia dell’arte non affrontano, a mio avviso, questo problema con strumenti adeguati, ma fanno ricorso ad apodismi che confluiscono in tautologie. Arthur C. Danto e George Dickie non hanno affatto affrontato il problema, lo hanno dato per scontato cesellando pseudo teorie che non tengono conto nè della storia dell’arte, tanto meno dello sviluppo epistemologico che l’accompagna. I due autori statunitensi hanno messo in atto quella che a tutti gli effetti è una provocazione prodroma alla valorizzazione dell’arte statunitense liberandola dal confronto con l’arte europea. Questo ha avuto una serie di conseguenze negative. Innanzi tutto l’enfatica esaltazione di certi artisti americani, quel che è peggio, ha offerto pretesto a uno stuolo di sedicenti artisti per realizzare “prodotti” che a quel punto, alla luce delle manipolazioni dei due filosofi, potevano essere indicati con il sostantivo arte.
piergiorgio firinu
Qual è lo scopo del gioco?
Le tecniche usate dai filosofi sono di solito esattamente le stesse a secondo della specializzazione. Nella filosofia della scienza Mill è molto spesso associato a Hume, mentre Reichenbach riflette il pessimismo viennese. Lo scopo di questi filosofi era quanto meno improntato a chiarire relazioni e identificare prove di processi la cui sostanza era documentata e non mutava in base alla ermeneutica dei singoli o delle scuole di pensiero. La filosofia della scienza di Toulmin è stata improntata al tentativo di chiarire il rapporto tra la scienza e la filosofia di Wittgenstein. Dunque l’impegno intellettuale con precisi e in gran parte verificabili obiettivi. Ma qual è l’obiettivo dei filosofi dell’arte? Prima ancora quale rapporto è possibile stabilire tra una forma espressiva non codificabile e una filosofia che, necessariamente, deve richiamarsi a codificazioni linguistiche, a una epistemologia che si avvalga di un metodo analitico. Quine si poneva il problema di come sostenere la genuina distinzione tra analitico e sintetico. Intendendo per analitico l’approfondimento del significato e per sintetico il dato di fatto. I filosofi hanno tutto il diritto di avere intuizioni e a credere qualcosa per fede, il problema è dare sostanzialità alle argomentazioni che pretendono di perseguire un significato. Il filosofo dovrebbe dare risposte, sia pure interlocutorie, chiedersi, come fa Putnam: “Qual è lo scopo del gioco?”. Uno dei pretesti che la filosofia dell’arte utilizza è il concetto di stipulazione, una nozione assolutamente arbitraria che spesso rasenta l’assurdo. Chi usa un linguaggio, sia pure in modo non convenzionale, non può sottrarsi più di tanto alle regole, pena il rischio di cadere dalla preposizione alla farneticazione. Quando Paul K. Feyerabend con il libro: “ Contro il metodo” , attaccò frontalmente determinate codificazioni della ricerca scientifica, documentò il suo punto di vista con riferimenti chiari, dove per chiari si intende verificabili. Nulla di tutto ciò avviene nella filosofia dell’arte e in talune pubblicazioni di estetica. La conclusione che se ne ricava è che, in realtà, la filosofia dell’arte vuole essere autoreferenziale attraverso l’attribuzione di autoreferenzialità all’arte, usando tautologie che sono altrettanti anacoluti concettuali: del genere: è arte ciò che viene considerata arte. Affermazione che, prima ancora che sull’arte nella sua articolazione epistemologica, pensiero-azione- forma, mette una pietra tombale sulla filosofia dell’arte che ammette implicitamente di essere pleonastica.
piergiorgio firinu
Dal consumo dell’arte all’arte del consumo.
Paolo Passerin cita una frase di Richard Lewontin: “La sociologia americana è da buttare”.E’significativo che la cultura statunitense,così conflittuale, tesa al materialismo e alla funzionalità, non abbia sociologi capaci, o intenzionati, a interpretarla. Eppure Fernand Braudel sosteneva che la sociologia ha tempi brevi. Ma brevi non significa superficiali. Quanto poi alla storia sociale dell’arte, essa viene evocata mettendo in gioco un confronto che è sociale, culturale, storico. Temi e argomenti che non si improvvisano e non si inventano come avviene invece nella filosofia dell’arte di matrice statunitense che crea immaginari accostamenti vorrei dire per necessità. Quando si studiano i fenomeni artistici, solitamente in Europa, li si colloca in un contesto storico attuando un confronto oggettivo tra un prima e un dopo. Il retroterra culturale americano è troppo recente e quindi necessariamente povero. Fintanto che l’arte statunitense ha mantenuta la cultura della vecchia Europa non ha prodotto artisti particolarmente significativi, se si esclude John Singer Sargent e pochi altri. E’ questa la ragione vera per cui negli USA è stato dato ampio spazio alla cosiddette avanguardie. Era l’unico modo per oscurare, se non azzerare, valori che vedrebbero gli USA debitori nei confronti del vecchio continente. Ecco dunque che la potenza economica- finanziaria funziona come trampolino di lancio di un’arte che non trovava, e non trova, nella cultura la propria ragione di essere, ma veniva, viene, supportata dal mercato, i cosiddetti squilionari, con poca cultura e tanto denaro. La visione dell’arte in chiave sociologica ha come unico referente il consumo presentato come rappresentazione del presente, in realtà non è altro che una parodia in chiave pubblicitaria della civiltà che più di ogni altra ha posto il consumo come mitologia del progresso e quindi degno di essere rappresentato dagli artisti. E’ stato inevitabile il passaggio dall’arte del consumo al consumo dell’arte.
piergiorgio firinu
Qualità versus innovazione.
In “Old Possum Book of Pratical Catts”, T. S. Eliot afferma che ogni gatto ha tre nomi: il primo quello con cui viene comunemente chiamato. Il secondo più particolare, quello con cui viene distinto dagli altri. Il terzo quello che solo lui conosce. Tale distinzione può essere applicata alle opere d’arte che possono essere lette a più livelli. Ciò che è nella mente dell’artista,quello che l’artista riesce realmente a realizzare e la lettura che un osservatore, magari sprovveduto, dà dell’opera. E’ mia convinzione che il terzo livello sia il più importante perché è quello che dimostra che l’opera è comprensibile e quindi fruibile. Vi è una tesi che non è praticata perché non praticabile; la volontà dell’artista di creare opere effimere, destinate a durare pochissimo tempo. Nella realtà l’artista non è mai totalmente consapevole del proprio operare. Vale ciò che scriveva Malraux:” Il caso distrugge, il tempo trasforma, ma siamo noi a scegliere”. Pare l’estensione di una affermazione di Karl Marx: “ Gli uomini fanno la storia, ma non sanno perché la fanno”. Secondo il modello della storia dell’arte, ampiamente adottato, prevale il carattere produttivistico, cioè l’impulso costante all’innovazione, senza troppa preoccupazione per qualità e significato. Elio Vittorini parlò di “Rozzi innovatori”. M.J. Friedländer giudicava ingannevole il concetto di qualità, utile più che altro a dare una impronta eloquente al discorso. Bernard Berenson sosteneva che “Il senso della qualità deve esistere in principio come un dono di dio”. I Ruskin in “The Laws of Fèsole” si affidava addirittura a un principio giansenista affermando: “Non potrai mai arrivare alla perfezione se non per un dono di nascita”. Adottando questo principio dovrebbero essere chiuse la accademie. Il che, francamente, mi trova totalmente d’accordo.
piergiorgio firinu
I campi del sapere e l’arte.
Quando oltre un secolo fa, Charles Sanders Peirce affermò che il significato di una “concezione intellettuale” è identico alla somma delle sue conseguenze, di fatto utilizzò il rasoio di Occam e tagliò il cordone ombelicale che lega buona parte delle argomentazioni sull’arte al significato. Il pragmatismo di scuola statunitense, che ebbe John Dewey tra i suo maggiori esponenti, fu applicato in modo del tutto improprio nella presunzione che il problema del significato possa risolvere o dissolvere i problemi tradizionali della filosofia. Una cosa concepibile può essere rappresentata da un concetto, ma occorre che il concetto sia concepibile e non si dissolva in anacoluti tautologici. Un pittore, riferendosi a una macchia gialla può dire: la chiamo cadmio. Ma questo non attribuisce alla macchia alcun significato, resta una questione nominalistica. Hylary Putnam, in un suo scritto “Linguaggio e realtà” nega, pur senza farne cenno, la validità del detto latino “ nomina sunt conseguentia rerum “ . Di fatto crea un vuoto nel significato dei nomi e lo fa in modo approssimativo sostenendo che il nome di una bambina “Mary Jane” non è in alcun modo legato alla bambina, cambiando il nome la bambina resta identica a se stessa. Difficile contestare l’assunto, ma è lecito contestare la scelta dell’esempio. Una quantità di nomi, inclusi i nomi di persone, hanno un significato preciso, in qualche caso vengono posti per ragioni precise. Questo avviene soprattutto nella scienza, ma anche in una quantità di altri campi del sapere. Piuttosto si deve rilevare che vi è spesso un abuso nominalistico, specie nel campo dell’arte dove spesso i titoli delle opere non hanno alcun riscontro nel significato. Non si tratta di un uso metaforico del linguaggio, piuttosto di un intento decettivo senza implicazioni metaforiche. Tutto ciò non avviene solo in riferimento ai titoli delle opere ma al contenuto rappresentato nel quale è difficile ravvisare un significato. Critica e filosofia dell’arte galleggiano nel vuoto del non senso, procedono per successive manipolazioni del linguaggio non prive di forzature. Se dovessimo davvero applicare il principio suggerito da Pierce, dovremmo portare al macero un gran numero di libri che trattano di critica e filosofia dell’arte e insieme ai libri le opere a cui fanno riferimento. A rendere non attuabile questa utile operazione di pulizia, è il mercato. Gli squilionari non sono forse in grado di capire, ma sono interessati ad acquistare opere intorno alle quali critica e filosofia dell’arte hanno costruito una cornice di significati immaginari.
piergiorgio firinu
Ermeneutica dell’immagine.
Il sostantivo “ignoranza” nella sua eccezione più semplice significa ignorare. Una delle modalità in cui si manifesta è il linguaggio. Anche se è possibile articolare in modo appropriato uno scritto o un discorso basato su riferimenti inesatti o falsi. Non sempre falsità e inesattezze sono casuali, pensiamo alle arringhe degli avvocati o i discorsi dei politici, spesso sono un espediente linguistico volto a ottenere un risultato. Tuttavia, ha a prescindere da particolari situazioni, è un fatto che la maggior parte delle persone, spesso dotate di una infarinatura culturale, usano termini di cui non conoscono il significato. Com’è noto le discipline che studiano le parole, sono l’etimologia, ovvero la derivazione di una determinata parola, la semantica, cioè il significato. Ovviamente il lessico ordinario usa le parole attribuendo loro il significato corrente. Se dico “nostalgia” pochissimi ne conoscono l’etimologia, tuttavia hanno chiaro il significato. Per chi voglia approfondire la conoscenza etimologica delle parole esistono dizionari. Diverso il discorso sul “linguaggio” dell’arte il cui significato è difficilmente indagabile specie da quando gli artisti hanno abbandonato le mimesi. Considerato che ogni opera d’arte, a prescindere dal suo valore, è un unicum, ogni ermeneutica rischia di essere arbitraria, perché soggettiva. Esistono innumerevoli libri di critica e filosofia dell’arte, quasi tutti utilizzano gli stessi schemi, usano gli stessi riferimenti elaborandoli in forme diverse. Il conformismo, come l’ignoranza, sono abilmente mascherati ma costantemente presenti nella critica e filosofia dell’arte, discipline che non hanno trovato una risposta convincete alla domanda “ cos’è l’arte? Per superare l’impasse la critica di matrice USA ha fatto ricorso a una tautologia; è arte ciò che viene considerata arte. Alla banalità di questa affermazione si aggiunge il radicato luogo comune che attribuisce agli artisti facoltà anticipatrici, oltre a non ben definiti doni di intuizione e creazione. Ci troviamo quindi di fronte a un susseguirsi di approssimazioni prive di fondamento logico e concettuale. La leggenda vuole che a inventare la pittura sia stata la figlia di un vasaio di Corinto, che avrebbe casualmente tracciato sul muro il contorno dell’ombra proiettata dal suo giovane amante. Dobbiamo quindi constatare che anche l’arte pittorica, stando alla leggenda, è nata dal caso. La produzione degli artisti è rimasta fedele al significato del sostantivo arte, che com’è noto significa fare,fino all’età moderna. Max Weber, in “Storia Economica e Sociale dell’Antichità”, documenta che gli artisti della antica Grecia, del calibro di Zeusi, Parrassio, gli architetti che costruirono il Partenone Callicrate e Iclino, Alessandro di Antiochia che scolpì Afrodite, nota come “La venere di Milo”. Tutti questi geni erano semplicemente considerati demiurghi, nell’eccezione di artigiani. Ancora nel medioevo i componenti le Gilde che costruirono i più importanti edifici e cattedrali che costellano l’Europa, erano anonimi artigiani. Non si può fare a meno di rilevare che, nella misura in cui l’artista acquista importanza, la qualità delle opere peggiora. In questo senso, la dichiarazione di morte dell’arte di Hegel si inquadra nel più generale decadimento della cultura dell’Occidente iniziato con la prese di potere della Borghesia. Il colpo di grazia definitivo all’arte lo hanno dato le cosiddette avanguardie storiche e l’influenza degli Stati Uniti. L’arte è diventata un banale prodotto di consumo.
piergiorgio firinu
Arte e verità.
Il contrasto Platone/Aristotele viene utilizzato da certo modernismo preso dal prurito delle estreme differenze ed espulsioni, pronto a distribuire i segni meno/più all’arte, filosofia , politica. Un atteggiamento di contrasto, come quello delle avanguardie, può diventare rituale svuotandosi non solo di forza propulsiva, andando incontro alla perdita di significato. L’opposizione Platone/Aristotele non costituisce un’eccezione; ricorda quei rituali che adottano sistemi antitetici su un medesimo aspetto. Ai giorni nostri lo scatenarsi dionisiaco non è che maniera; le più audaci provocazioni, i più “spaventosi” scandali non hanno più il potere di stupire. Al pari della tragedia, il testo filosofico funziona come giustificazione a posteriori, mali spiegati, mai risolti. Tentativi di espulsione, perpetuamente ripresi che non giungono mai a conclusione. E’ quello che a mio parere dimostra in modo abbagliante il saggio di Jacques Derida “La pharmacie de Platon”. La dimostrazione è imperniata sull’uso rivelatore della parola pharmakon. Il pharmakon platonico funziona esattamente come il pharmakos umano con analoghi risultati, è il perno di voltafaccia decisivi per la divisione tra cattiva sofistica e buona filosofia. Oggi, in qualsiasi situazione che scivoli verso la tragedia, ci solo anti-eroi. La funzione dell’eroe, prigioniera di stilemi militari, di coraggio, è falsata, rende quasi accettabile l’affermazione di Beltolt Brecht “beato il popolo che non ha bisogno di eroi” , ma allo stesso modo non ha bisogno di artisti, di filosofi, di tutte quelle figure che rimuovono con il loro esempio le incrostazioni delle umane debolezze e per ciò stesso costituiscono un esempio di differenza che i tempi non tollerano. A meno che gli artisti non si adattino, i filosofi offrono pretesti per giustificare le aberrazioni della modernità. Il reale è da descrivere, non da costruire o costituire. Ma il segno dell’arte oggi non esprime che se stesso, cerca nella confusione di una cultura estemporanea e superficiale di adeguarsi, l’artista, preso da se stesso, non dilata l’immaginazione partendo dal reale, ma tenta pateticamente di adattare il reale alla propria immaginazione, cerca tutto ciò che giustifica modi di essere senza scopo. Questo vale soprattutto quando finge di andare contro mentre in realtà stuzzica la pruderie del pubblico. Non basta avere “esperienza di se stessi”, di questa coscienza che noi siamo: su tale esperienza si misurano i significati di confronto espressi dal linguaggio dell’arte, è questa esperienza elaborata e partecipata che fa si che il linguaggio voglia dire qualcosa non solo per noi. Le essenze di Husser riconducono a se tutti i rapporti viventi dell’esperienza, come la rete porta i pesci dal fondo del mare. Io mi protendo verso un mondo e percepisco un mondo, a patto che non mi perda nell’esperienza di me. Se non so distinguere i miei sogni dalla mie percezioni, il fenomeno mondo mi sfugge. Poiché siamo nel mondo siamo condannati al senso, nulla possiamo fare o dire che non assuma un nome. La vera arte è sempre un tentativo di cercare un frammento di verità, o almeno di collegare esperienza e possibilità.
piergiorgio firinu
Le aporie della storia dell’arte.
La conoscenza non consiste in una serie di teorie che convergono verso una visione ideale, tanto meno un approccio graduale a una possibile verità. In un oceano di alternative lo studioso cerca una possibilità plausibile in una articolaziona di ermeneutiche guidate dal pensiero critico. Maggiore è la consapevolezza critica più realizzabile una ermeneutica che abbia un reale valore conoscitivo. Sarebbe assurdo cercare un metodo onnicomprensivo per illustrare in modo adeguato la storia dell’arte. Il rapporto tra produzione artista e società è stato indagato da Gyôrgy Lukàcs, Arnold Hauser, Ernst H. Gombrich e molti altri. Tutto questo non ha cambiato minimamente il percorso dell’arte che ha proseguito sulla strada del feticismo speculativo del mercato approdando ai nani da giardino di Jeff Koons al quale un settimanale italiano, con pretese culturali, ha dedicato un articolo dal titolo “Jeff Koons, re dell’arte”. Ci troviamo di fronte alla apoteosi del kitsch la cui deriva era stata denunciata da Lukàcs all’inizio del secolo scorso.
piergiorgio firinu
Roberto Grossatesta: Metafisica della luce.
Vescovo di Lincon dal 1235 alla morte, l’inglese Roberto Grossatesta (1168 – 1253) , fu ecclesiastico, filosofo, scienziato. Egli si dedicò allo studio della teoria della luce le cui radici risalgono alle religioni indo-iraniche e all’antico mito del dio Sole. Per il pensiero occidentale la teoria della luce si riallaccia da un lato alla tradizione biblica, la luce è il primo prodotto della creazione, dall’altro il pensiero platonico e neoplatonico greco, che nella luce simboleggia il movimento del soprasensibile nella sua diffusione ed espansione, di grado in grado, fino a disperdersi nel sensibile della materia. Fisica e metafisica. La corporeità della luce, così eterea e semplice, sembra rappresentare l’intermedio fra l’intelligibilità del pensiero e la materialità del mondo corporeo. Il tema della luce, già trattato da Sant’Agostino, viene ripreso da Grossatesta che lo elabora in connessione anche alla ripresa, già nel XII secolo, delle dottrine più esplicitamente neoplatoniche dello Pseudo Dionigi e nell’ambito della conoscenza sempre più diffusa della filosofia e della scienza arabe ed ebraiche medioevali. La metafisica neoplatonica della luce si apparenta a una cosmologia, come già in Sant’Agostino e nella sua esegesi della Genesi, e alle scienze fisico matematiche dell’ottica, della geometria, dell’aritmetica. Il risultato è la cosmologia del Grossatesta, originale accostamento fra la Genesi e il De caelo di Aristotele, ma anche, a differenza dello Stagirita, per l’impiego della matematica, alla maniera platonica. Il pensiero di Grossatesta è espresso con vivacità in una ampiezza tematica che abbraccia le conoscenze scientifiche di allora, la metafisica, l’antropologia, nei loro grandi problemi riguardanti la forma, la potenza e l’atto, la casualità, l’epistemologia, il libero arbitrio. Discipline e sviluppi che solo secoli dopo furono sviluppate e codificate a partire da Ruggero Bacone, Duns Scoto, Occam. Ignoto ai più, Grossatesta fu figura importante, e un precursore in molti campi.
piergiorgio firinu
Forma e idea.
Con l’avvento delle avanguardie si è data sempre più importanza ai concetti, alle idee, trascurando il significato che effettivamente trasmette la forma. E’ dubbio si possano esprimere concetti e idee a prescindere da ciò che l’opera raffigura. E’ vero che, se gli artisti sono produttori diretti dell’opera nella sua materialità, i critici e gli storici dell’arte sono i più importanti produttori di senso. Ma la produzione di senso è collegata all’ermeneutica dell’opera, non può essere una creazione parallela di fantasia. L’ontologia dell’opera contiene in sè il significato che il critico non crea ma evidenzia. Possiamo prendere a riferimento gli empiristi inglesi per i quali le idee sono immagini, ovvero le immagini sono idee. Ma il creatore di immagine è colui che dà forma all’idea, compito del critico è di esplicitare l’idea contenuta nella forma, non crearla. Le macchie di colore in uno spazio visivo non sono di per se una narrazione, anche se il senso può essere ridotto all’emozione del colore. In questo caso però si apre la strada al disordine ermeneutico, anche perché il significato delle opere è attribuito a posteriori. Se la psicologia della Gestalt è nel giusto, l’errore sta nella libertà di interpretazione delle macchie di colore. Il significato non lo attribuisce l’artista, ma il critico e l’osservatore. Berkeley sosteneva che la realtà fosse interamente “mentale”. Se Berkeley aveva ragione, la produzione dell’arte, nella propria materialità, sarebbe superflua, basterebbe la narrazione dell’opera lasciando che ognuno la completi in base alle propria cultura e capacità creativa.
piergiorgio firinu
Violenza antropomorfica.
Sofocle ha creato un Edipo fortemente caratterizzato, “eroe” dal carattere tutto suo. Se ci si pone la domanda in cosa consista questo carattere, tradizionalmente la risposta è che Edipo è generoso ma impulsivo. L’incesto di Edipo, è solo un aspetto, se pure il più noto, della figura dell’eroe eponimo. In realtà l’aspetto caratteriale che distingue il mitico re di Tebe, è l’ira. Egli iniziò la sua tragica ricerca di verità confrontandosi con la Sfinge, mostro con capo e busto femminei, corpo di leone, coda di serpente, ali di aquila. Chi non sapeva rispondere all’enigma “Qual è l’animale che all’aurora cammina con quattro zampe, al meriggio con due, alla sera con tre?” Chi non sapeva risolverlo veniva strangolato. Dopo avere liberato i tebani dal mostra Edipo fu considerato un eroe. Ma il minimo insuccesso, contrarietà, provocazione facevano perdere al monarca il suo sangue freddo e scatenavano la sua ira. Sotto questo aspetto il personaggio creato da Sofocle, rappresenta il filo sottile che segue la storia umana della quale la mitologia greca anticipa gli stereotipi. Tiresia è accecato per l’Ira della dea provocata dall’invidia. Ermione scatena la sua ira contro Andromaca. L’ira non risparmia i fratelli. Caino assassina Abele. Eterocle e Polinice si odiano. Romolo uccide Remo. Tra Riccardo Cuor di Leone e Giovanni Senza Terra vi è un odio profondo. Tutti i protagonisti occupano le stesse posizioni di fronte all’oggetto della propria ira, ciascuno crede di padroneggiare la violenza ma è la violenza che padroneggia tutti i protagonisti, inserendoli in un gioco al quale credono sempre di poter sfuggire. Le Fonti dicono che fu Aristippo il primo ad usare l’espressione anthropismos, umanità, il termine era declinato in senso positivo, poi l’”evoluzione” umana si è sviluppata tra abissi di ignobiltà, a poco è servito che gli umani abbiano inventato l”eroismo” da usare come schermo, un velo rosato, dietro al quale nascondere e giustificare azioni indegne, atti atroci, compiuti in nome di una causa “superiore”. I vincitori scrivono la storia, esaltando ciò che dovrebbe essere motivo di vergogna. Che cosa induce gli uomini a uccidere i loro simili, non con gesto immorale e inconsulto del barbaro semianimale che segue i suoi istinti senza conoscere altro, ma sotto la spinta cosciente, dopo secoli di cultura dell’umanesimo, lo stesso uomo che crea forme culturali e cerca di rendersi conto della natura ultima del mondo e di trasmetterne la conoscenza alle generazioni future.Il pensiero mitico è radicato in ciò che è accaduto una prima volta. Se l’assassinio di massa, comunque giustificato, ha un posto così grande nello sviluppo delle “civiltà”, se è così radicata la sindrome di Caino, quale futuro avrà la nostra specie.
piergiorgio firinu
Scelte nocive.
La convinzione diffusa che l’essere umano sia un animale intelligente , secondo J.R. Searle, “estremamente intelligente” non è tanto errata quanto imprecisa. Il problema consiste nel fatto che mancano i termini di paragone. Forse sarebbe più corretto affermare che , in base alle nostre attuali conoscenze, sul pianeta terra l’essere umano è probabilmente l’animale più intelligente. Questo nonostante la storia, la cronaca, e la situazione di degrado in cui abbiamo ridotto il pianeta terra sul quale siamo costretti a vivere, argomenti non certo in favore della nostra intelligenza. L’adeguatezza dell’intelligenza dovrebbe avere come riferimento risultati di lungo periodo. La più alta espressione dell’intelligenza non è solo quella di decifrare la realtà e risolvere i problemi, ma anche prevedere le conseguenze dei nostri atti. Se, per contrastare il freddo accendo un fuoco e brucio la casa. Il costo per raggiungere l’obiettivo è tale che il mio gesto non può credo essere considerato intelligente. Non credo possa essere messo in dubbio che l’intero sistema di sviluppo, il nostro stile di vita ci stà portando dritti alla catastrofe. Le nostre città sono invase, assediate, dalle automobili, ciò nonostante, basta che le case automobilistiche riducano la produzione di un X%, subito si crea allarme. Questo significa che siamo costretti a produrre ciò che ci nuoce. Quando si parla d’intelligenza il riferimento corre subito ai geni, cioè alle rare eccezioni. Nella norma ci sono milioni di persone che, dispetto dell’evidenza sulla nocività delle loro scelte, continuavano a fumare, consumare superalcolici, drogarsi, mantenere stili di vita che mettono in forse la loro salute e la loro stessa sopravvivenza. Vengono continuamente esalati i progressi della scienza e della tecnica, la maggior durata della vita, cose che riguardano una minoranza di abitanti del pianeta, mentre sono milioni le vittime della fame e delle malattie. Tutto questo penso dovrebbe indurre una maggiore umiltà, primo passo per vedere nelle giuste proporzioni problemi e limiti della nostra intelligenza.
piergiorgio firinu
La geometria in un gesto.
Secondo un pregiudizio diffuso, quanto non sia nettamente delineato, completo, dettagliato è considerato impreciso. In pittura, un ritratto nettamente delineato di Holbein o di Durer non è più preciso, quanto alla sua forma percettiva, del tessuto di pennellate mediante il quale Frans Hals o Oscar Kokoschka definirono l’espressione umana. In matematica, una definizione topologica o un disegno identificano una relazione spaziale come contenuta o sovrapposta con la massima precisione, sebbene lascino le forme concrete indeterminate. In logica nessuno afferma che la generalità di un concetto determini vaghezza. In quanto esso è privo di dettagli particolareggiati; al contrario, il concentrarsi di pochi elementi essenziali è riconosciuto come mezzo per rendere il concetto preciso. Dovremmo dunque supporre la stessa cosa possa verificarsi nell’immagine mentale. Nell’arte la riduzione della figura umana alla semplice geometria di un gesto o di una posizione espressiva può rendere più netto il significato che l’artista intende attribuire all’opera. Titchener realizzò degli esperimenti con i suoi studenti tentando di indurli a esprimere con gesti le immagini mentali che in quel momento si andavano formando. Un cenno del capo, il corrugarsi della fronte. Senza dubbio una immagine abbozzata, dipinta sulla tela può apparire imprecisa e confusa. Ma tale può figurare anche l’opera dipinta nel modo più preciso e dettagliato. Dipende dal fatto che la struttura dell’immagine sia più o meno organizzata. I quadri compositi della salute, della malattia, della criminalità o della famiglia, che Francis Galton otteneva sovrapponendo ritratti fotografici di più individui, risultavano indistinti e poco illuminati perché privi di forma, e non perché confusi. L’esito di un opera riflette la consapevolezza dell’artista nel realizzarla avendo in mente l’idea. La casualità del progetto si traduce in un risultato confuso e poco significativo.
piergiorgio firinu
L’arte delle origini.
L'essere umano assunse l’aspetto fisico che pressappoco ha oggi più o meno 100.000 anni fa. Era l'unico animale non dotato di mezzi di difesa, artigli, fauci in grado di aggredire. Non aveva agilità sufficiente per sottrarsi i predatori. Unica sua qualità era l’intelligenza superiore a quella degli altri animali. I paleontologi hanno in gran parte documentato la nostra evoluzioni nel corso del tempo. Dalla costruzione di strumenti di difesa ricavati da pietre, alla conoscenza graduale di erbe e frutti con i quali nutrirsi, fino alla organizzazione della caccia in gruppi. Nel corso di mille secoli la nostra evoluzione è avvenuta in parallelo alla crescita della conoscenza. E’ significativo che fin dal paleolitico l’essere umano abbiamo sentito il bisogno di rappresentare in qualche modo ciò che costituiva la sua vita, dare forma estetica alla propria esperienza. In Europa sono molte le tracce lasciate dall’arte dei nostri lontani antenati. In Italia La grotta del genovese nell’isola di Levanzo in Sicilia. Le grotte dell’Arco Bellegra in Lazio. In Francia le grotte di Lussac-les-Châteaux, le grotte di Font de Gaume, le grotte di Chauvet presso Pont d’Arc, Le grotte di Lascaux. In Spagna le grotte di Altamira. Il Pianeta era ricco di fauna e flora che l'uomo imparò a conoscere e utilizzare per nutrirsi, per curarsi. I suoi interessi primari erano simili a tutti gli animali: nutrirsi, riprodursi, costruire un rifugio, una tana. A distanza di 100000 anni cosa è cambiato? Le nostre attività basilari restano le stesse; nutrirci, accoppiarci ,avere una casa. Ovviamente l'evoluzione ha modificato radicalmente le modalità con le quali soddisfiamo le nostre esigenze e anche il modo di giustificare le nostre scelte. Di fatto tutto è sempre condizionato dall’interesse personale e in secondo luogo dall’interesse della specie. In 100.000 anni di evoluzione quanto è cambiato intimamente l’essere umano? Siamo certi che sia migliorato? L’uomo della pietra si accoppiava indiscriminatamente senza guardare troppo per il sottile, preferendo se possibile, il genere femminile. In questo senso oggi siamo in una fase di regressione avendo eliminato, almeno sul piano normativo, le differenze di genere. In mille secoli abbiamo sviluppato il pensiero, scritto milioni di libri, creato religioni, ma abbiamo anche perfezionato il nostro modo di mentire, strumenti di soprafazione. Abbiamo imparato a sfruttare il nostro corpo e quello dei nostri simili, a fare mercimonio della sessualità. E’ mutato il concetto di arte, anche se fino a poco più di un secolo fa, arte significava mimesi, disegno pittura che produceva una narrazione simbolica. Oggi anche l’arte è un prodotto di consumo privo di spiritualità, non ha più nulla di simbolico. Abbiamo distrutto buona parte della fauna e della flora, non ci limitiamo a divorare gli altri animali, ma li sfruttiamo in tutti modi possibili, spesso con crudeltà inutili. In breve dobbiamo ammettere che, a parte gli enormi progressi della scienza e della tecnica, intimamente non solo non siamo migliorati, ma, per certi versi, siamo peggiorati. Le perversioni e la corruzione diffusa nella società contemporanea non esisteva, forse non era neppure possibile, in altre epoche nella quali certo l’uomo compiva azioni di estrema crudeltà, ma senza malizia, come un animale, spesso per paura o perché costretto.
piergiorgio firinu
Società e nazione.
Ben prima di Karl Popper Louis Dumont in “Homo hierarchicus” aveva teorizzato la società aperta senza tener conto che ciò comporta abolizione di filtri con inevitabile accumulo di scorie. Fuor di metafora vediamo cosa accade nella cultura e nell’arte. Per Cochin la borghesia intellettuale è avviata al pauperismo e insieme alla decadenza dei valori, gli stessi valori nati dalla rivoluzione francese dell’89.Durkheim aveva tentato di ristabilire un primato sociale, anche se contestava Taine e la sua interpretazione della Rivoluzione francese dell’89 in chiave psicologica. Un apparente contraddizione che si risolve tenendo a mente le diverse visioni dei due intellettuali. Si tratta di non dare troppa importanza alle intenzioni, ma valutare nel suo attuarsi la prassi sociale. Il problema di fondo è costituito dalla domanda più che mai attuale: Cos’è una nazione? In parallelo nasce la domanda: cos’è la società? Augustin Cochin affronta il tema che, mutatis muitandis, è sempre attuale. Il globalismo, raffazzonato e adattato alle esigenze dei grandi gruppi di potere ha coinvolto in modo pesante la cultura e l’arte. La weltanschauung delle agglomerate della finanzia internazionale non sono certo intralciate da principi etici, i deus ex macchina dei destini del mondo, non hanno certo l’avvallo democratico. I pasdaran del progresso fingono esista una logica in questo circo Barnum che è diventato il mondo occidentale. Anche il know how degli artisti è essenzialmente tecnico, adattato alle richieste del mercato. E’ abolita la società del pensiero. Ciascuno non può, forse non sa, dare una forma autonoma alla propria esistenza. Potrebbe essere di aiuto lo studio di Darwin sulle formiche per aiutare a capire l’influenza che l’ambiente esercita sulla evoluzione fisica. Questo vale a maggior ragione nella società umana nella quale le forme di condizionamento sono ben più efficaci e diffuse. Da dove trae un artista la propria ispirazione? Quale tipo di orientamento potrà trarre dalla società nella quale vive? E’ interessante la distinzione che fa Cochin tra nazione e società. Coloro che si scagliano contro il sovranismo spesso sovrappongono società a nazione, la cultura caratterizzata dalla storia. La confusione, probabilmente usata ad arte, tra nazione e società, lo scopo è tentare di negare che la cultura è tanto più universale quanto più sono profonde le sue radici nel luogo in cui nasce. Il Rinascimento conferma questo assunto perché si sviluppa all’interno delle particolari condizioni della società dell’Italia di quel tempo. Così la rivoluzione industriale non poteva che nascere in Inghilterra e la Rivoluzione francese del ’89 non poteva che avvenire in Francia. Oggi il globalismo vuol cancellare le differenze, annullare la storia, creare le premesse per trasformare le masse di tutti i continenti in semplici consumatori. La politica, per quel poco potere che gli resta, non sa o non vuole opporsi. Tutto questo avrà conseguenze che già si profilano in modo chiaro sol che le si voglia vede.
piergiorgio firinu
Ricaduta sociale dell’ignoranza.
In questi giorni dovrebbe svolgersi a Verona un raduno sulle famiglie e naturalmente l’evento ha scatenato una serie di opposizioni da parte della sinistra la quale sostiene a spada tratta l'associazione Lgbt. E’ legittimo che ognuno abbia le proprie opinioni, sarebbe però utile saperle motivare in termini non apodittici. Viviamo in un'epoca nella quale c'è un’ansia di frettolosa innovazione, atteggiamento che spesso si traduce in approssimazione culturale Una parlamentare della sinistra non ha trovato di meglio che definire il raduno delle famiglie: “ ritorno al medioevo”. Costei è in buona compagnia visto che Micromega, rivista di sinistra con pretese culturali, è sulla stessa linea. Si pone una domanda: costoro sanno cosa è stato il Medioevo? Fare ricorso a luoghi comuni è chiara manifestazione di ignoranza. Il medioevo non è stato un periodo di oscurantismo, come hanno voluto farci credere molti storici, al contrario è stato il periodo, durato oltre 1000 anni, durante il quale sono state gettate le basi della nostra civiltà. Jacques Le Goff, storico francese, sostiene che il Medioevo è durato fino all’avvento della rivoluzione industriale. Ronald G. Witt ha pubblicato un testo “L'eccezione italiana. L’intellettuale laico nel Medioevo e l’origine del Rinascimento. (800-1300)”. Il libro espone una ricca documentazione a conferma che il Medioevo è stato estremamente produttivo sul piano culturale e artistico. Cimabue, Giotto e moltissimi altri artisti hanno gettato le basi di un 'arte propedeutica al fulgore nel Rinascimento. E’ nel Medioevo che l'arte ha superato la piatta figurazione, tipica della modalità ottomana, ed ha iniziato ad assumere una dimensione prospettica che ha trovato sviluppo nelle opere di Piero della Francesca. Non solo nel campo dell’arte il Medioevo è stato un periodo produttivo. Il codice di Giustiniano sorto prima come diritto canonico, poi sviluppato come codice civile. Le società anonime sono nate dal seme gettato nel Medioevo. Per dirimere una questione nata con il testamento di San Francesco nel quale veniva stabilita una regola che impediva ai frati francescani di possedere beni. Fu quindi inventato un escamotage per fare in modo che la proprietà fosse a disposizione di tutti ma non appartenesse a nessuna persona fisica. Principio delle società anomime. Sono moltissime le tematiche affrontate e risolte nel Medioevo. Anche la persecuzione delle streghe, erroneamente attribuita all’età medioevale, in realtà avvenne in pieno Rinascimento con il domenicano spagnolo Torquemada. Le maestose Cattedrali Gotiche la cui imponente bellezza è tutt’ora vanto della nostra civiltà furono costruite dalle Gilde medioevali. Ecco dunque che i pregiudizi culturali, frutto di ignoranza, rischiano di confondere la realtà di quello che è stato un periodo di grande fermento intellettuale, che creò le basi dello sviluppo dell’Europa e dell’intero Occidente.
piergiorgio firinu
Verità del corpo.
E’ frequente per gli artisti il ricorso a citazioni filosofiche, non per chiarire le loro realizzazioni, ma per giustificarle. In “Essere, storia e linguaggio” , Gianni Vattimo scrive, citando Heidegger, “L’opera d’arte non è il prodotto del conflitto, ma è il conflitto stesso in atto, (Bestreitung), uno dei modi fondamentali in cui il conflitto si attua. In questo senso è accadere della verità nella sua natura più profonda”. Dopo aver letto parole così significative e profonde, andiamo a vedere le opere di Jeff Koons nelle quali è ritratta Ilona Staller in atteggiamenti di dozzinale erotismo. Dovrebbe essere difficile tenere insieme due realtà così antitetiche, ma la cosiddetta critica d’arte ci riesce. L.S. Vygotskij in “Psicologia dell’arte” afferma che: “ L’arte è un singolarissimo, prevalentemente emozionale, processo dialettico di approccio alla costruzione della vita”. Nel caso di Koons verrebbe da dire: vita erotica. E’ uscito in questi giorni un libro che forse aiuta a far chiarezza. Paul Bloom “Contro l’empatia. Una difesa della razionalità”. L’arte come la politica usa parole il cui suono può apparire convincente ma il cui significato è difficilmente reperibile, proprio perché vi un uso emozionale della parola, attraverso essa non cerchiamo di stabilire un significato, ma di crearlo. Gli artisti da tempo hanno rinunciato alla narrazione e alla rappresentazione di quel frammento di realtà che dovrebbero essere in grado di percepire. Sul côtè femminile dell’arte vi è un persistente uso del corpo, ma in forma prevalentemente ripetitiva, forse nella speranza di cogliere approfondire l’affermazione di Spinoza: “ Ciò di cui il Corpo è capace, nessuno mai lo ha ancora stabilito”. Se dobbiamo considerare vera questa affermazione i veri grandi artisti sono gli sciamani, i santoni indiani, i fachiri, coloro che davvero riescono a mettere la resistenza del corpo a dura prova, al loro confronto, le timide esibizioni di masochismo di Marina Abramovic sono ben poca cosa.
piergiorgio firinu
Il tempo nel mito e nell’arte.
La pittura rappresenta spesso il tempo nell’immagine di un vecchio con la folta barba bianca con in una mano la falce nell’altra la clessidra. Altra rappresentazione è il serpente che si morde la coda. Le origini di queste rappresentazioni sono piuttosto curiose: in principio la rappresentazione del tempo non possedeva nessuno di questi attributi; furono i greci a dare al tempo il nome di un loro antico dio agricolo, Crono, il quale impugnava la falce che passò nella rappresentazione del tempo. I romani identificarono il tempo con Saturno che usava la gruccia, quindi anche questo oggetto passò nella metaforica rappresentazione del tempo. Il serpente che si mangia la coda, antico simbolo egiziano dell’eternità. I pittori rinascimentali rappresentarono il tempo in maniera molto realistica mentre compie azioni di carattere allegorico con riferimento ai miti greci. Crono, figlio di Gaia, la madre terra, e Urano, il cielo. A Urano era stato profetizzato che uno dei suoi figli lo avrebbe detronizzato, per timore che la profezia si avverasse il dio precipitava agli inferi tutti i figli appena avuti da Gaia. Per questo Gaia indusse suo figlio Crono ad evirare il padre, dal cui sangue caduto in mare nacque Afrodite. Il regno di Crono rappresentava per i greci l’età dell’oro. Siccome Crono divorava i propri figli, Zeus ingoiò Crono. Zeus, il dio che promosse lo sviluppo della ragione e delle Arti. Dal suo capo nacque Atena. Egli creò lo Stato e inculcò la morale e l’autocoscienza negli umani. Lo Stato, creato è mantenuto in vita dalla ragione e dalla morale, era qualcosa che avrebbe potuto persistere e durare nel tempo. La forza propulsiva della ragione sembrava portare il tempo a una comunità morale e razionale. Tuttavia la stessa forza che aveva creato il principio del pensiero, della ragione e della coscienza fu alla fine usurata e distrutta dal Tempo che pose fine alla bella opera d'arte che era stata creata da Zeus il quale, per un certo periodo aveva fermato la forza divoratrice del tempo, dando vita all’Arcadia. Il principio della ragione, che era stata opera del pensiero si dissolse e il pensiero fu nuovamente trascinato nel vortice del tempo allontanando la logica che portava alla conoscenza. L’Arcadia ebbe fine. Il fascino e la complessità del mito colpi la fantasia dei greci, narratori e artisti rappresentarono il mito di Arcadia. L’età dell’oro, la breve stagione che l’umanità non avrebbe mai più conosciuta. Molti pittori hanno rappresentato il tempo. Il Guercino dipinse “Et in Arcadia ego”. Antonio de Pereda, Annibale Carracci crearono opere sul mito del tempo. Francisco Goya rappresentò Crono mentre divora i propri figli. Anche artisti moderni hanno affrontato il tema, De Chirico e Salvador Dalì. L’arte e filosofia sfiorano appena il mistero del tempo, la nostra esistenza ci mette di fronte alla realtà. Non siamo padroni della nostra vita perché non è in nostro potere controllare il tempo.
piergiorgio firinu
Il fallimento del pensiero filosofico.
La città Stato greca poteva essere democratica perché formata da cittadini della polis che condividevano le stesse credenze. Qualsiasi riconoscimento della Libertà individuale comporta la messa in crisi della democrazia, cioè della libertà oggettiva che costituisce il principio comune a cui è sacrificata una parte della libertà individuale. Come scrisse Freud in “Il disagio della civiltà” l’aggregato umano che chiamiamo civiltà pone delle regole per poter sussistere, quindi rende meno libero il singolo individuo .Socrate educando i giovani a dare spazio alla propria individualità minava le basi della democrazia. Kierkegaard esprime la negazione della filosofia come espressione di un razionalismo finalistico. Come sempre la realtà si è rivelata più forte delle teorie dei filosofi . Socrate fu condotto a morte dai suoi stessi pensieri. Hegel in chiusura della filosofia del diritto ammette rassegnato la propria sconfitta. Il razionalismo moderno ebbe la tendenza a considerare la natura come modello sia della vita individuale che della vita sociale. La filosofia meccanicistica di Descartes, il pensiero politico materialista di Hobbes, l’etica matematica di Spinoza e la monadologia di Leibniz. Questi filosofi consideravano il mondo soggetto alle leggi della natura nel momento stesso in cui, con la Rivoluzione industriale, aveva inizio la distruzione dell’ecosistema. Il pensiero di Hegel si frantumò in correnti. La destra, i cui esponenti Michelet, Gὄschel, Jonhann Eduard, Erdmann, Gabler e Rosenkranz ,rimarcò le tendenze conservatrici di Hegel. La corrente di sinistra, David Friedrich Strauss, Edgard e Bruno Bauer, Feuerback e Ciszkowski affrontò gli aspetti sociali che ispirarono anche l’economicismo di Marx. Oggi si tenta di rivalutare Marx. L’impressione è che il suo pensiero sia travisato. Il filosofo di Treviri, sia pure con riferimenti diversi, condivideva con Kierkegaard, la posizione contro la filosofia che considerava un coacervo di astrazioni incapaci di affrontare i problemi reali, condensata nella famosa frase:” Finora i filosofi hanno descritto il mondo, è ora di cambiarlo”. La verità cercata nella filosofia è continuamente smentita dalla realtà. Ragione e natura hanno finito per diventare un alibi per trasformare il mondo in un immenso mercato nel quale anche l’essere umano è un prodotto di scambio. Non sono però state eliminate le profonde disuguaglianze. Il concetto di libertà, che si riferiva al pensiero interiore, è stato cancellato a favore del predominio materiale. Anche la creatività dell’artista, che non sappiamo da cosa scaturisce, è stata fagocitata dalla tecnologia e dal mercato. I fattori culturali e spirituali, sono stati posti in secondo piano, anzi quasi del tutto archiviati. La creatività dell’artista è condizionata da fattori sociali. Karl Marx, Feurback e altri filosofi erano convinti che, liberato dal bisogno materiale l’uomo si sarebbe dedicato alla cultura e all’arte, si è rivelata un’illusione. La filosofia non è mai stata in grado di condizionare l’orientamento delle masse, oggi ha rinunciato al tentativo, disperdendosi in rivoli la cui consistenza culturale è piuttosto effimera, non certo in grado di orientare “le èlite”, tanto meno le masse. Oggi come ieri, viviamo in una civiltà amorale nella quale domina uno spietato darwinismo sociale. Dobbiamo dunque prendere atto che il pensiero filosofico che ipotizzava l’evoluzione positiva dell'uomo, si è arreso alla realtà. La nota affermazione di Hobbes: “omnia contra omnes” è quanto mai attuale. Dobbiamo prendere atto che la civiltà contemporanea conferma il fallimento della filosofia.
piergiorgio firinu
La virtù della coerenza.
Quando si parla di coerenza si tira in ballo il diritto di cambiare idea. Affermazione legittima ma incompleta. Sarebbe utile capire le ragioni profonde per le quali si cambia opinione, o comunque si modifica il proprio atteggiamento. Hegel ammirava Napoleone. Si era espresso a favore della rivoluzione francese del 1789. Divenuto una sorta di depota della filosofia tedesca, odiato profondamente da Schopenhauer, virò di 360 gradi e divenne l’ideologo dello Stato prussiano, non esattamente uno Stato liberale. Qualcosa di simile accadde con Hobbes che all’inizio si caratterizzò come filosofo della borghesia, in quella veste appoggiò Carlo I Stuart. Passò a sostenere la politica dei puritani di Cromwell e finì per appoggiare la restaurazione degli Stuart. Vi è da considerare l’aspetto umano. Il grande filosofo Aristotele subì dal suo discepolo Alessandro Magno un scherzo crudele quando lo fece incontrare con la bella prostituta Fillide la quale convinse il filosofo a farsi cavalcare. Quando Alessandro e suoi amici entrarono nella stanza videro il filosofo a carponi con la prostituta sulla schiena. Situazione che collide con la grande intelligenza di Aristotele pur senza inficiarne la filosofia. Diciamo dunque che la coerenza è virtù rara che include una serie di fattori, la volontà innanzi tutto, il rispetto di sè, l’etica. La storia dell’arte, per venire all’argomento che ci è più prossimo, conta una quantità di artisti che all’inizio ebbero atteggiamenti rivoluzionari, a partire dai Romantici, ma ottenuto il successo e inebriati dalla mondanità divennero semplici borghesi. La volontà è il supporto sul quale l’intelligenza realizza le proprie opere. Ma la volontà è come il coraggio del quale il manzoniano Don Abbondio diceva: se non ce l’hai non te lo puoi dare. Tuttavia, per venire ai tempi nostri, vi è un aspetto molto più inquietante dell’assenza di volontà, l’incoraggiamento ad ogni forma di devianza in nome della libertà. Non è più rispetto della coerenza, siamo oltre, un atteggiamento reazionario che viene spacciato per progressista. Se dobbiamo rispettare il principio di coerenza non possiamo fare a meno di rilevare che il mito della libertà come è oggi diffuso, si traduce in atteggiamento coerente, in quanto ci riporta alla nostra natura animale, ci libera cioè dalle norme che hanno consentito la nascita della civiltà. Linguaggio, sessualità, comportamenti devianti ci avvicinano al regno animale privo di regole. Freud, in “Il disagio della civiltà” sosteneva che non è affatto vero che la civiltà ci rende più liberi, è vero il contrario, regole e norme vincolano e limitano la nostra libertà. Di conseguenza, abolendo le norme si è più liberi ma meno civili. Ovviamente le orde umane che seguono ogni tipo di evento supportato dai mezzi di comunicazione non si pongono il problema, di certo la coerenza non è in cima alle loro priorità.
piergiorgio firinu
La ricerca di coerenza della ragione,
Quando si parla di coerenza si tira in ballo il diritto di cambiare idea. Affermazione legittima ma incompleta. Sarebbe utile capire le ragioni profonde per le quali si cambia opinione, o comunque si modifica il proprio atteggiamento. Hegel ammirava Napoleone. Si era espresso a favore della rivoluzione francese del 1789. Divenuto una sorta di depota della filosofia tedesca, odiato profondamente da Schopenhauer, virò di 360 gradi e divenne l’ideologo dello Stato prussiano, non esattamente uno Stato liberale. Qualcosa di simile accadde con Hobbes che all’inizio si caratterizzò come filosofo della borghesia, in quella veste appoggiò Carlo I Stuart. Passò a sostenere la politica dei puritani di Cromwell e finì per appoggiare la restaurazione degli Stuart. Vi è da considerare l’aspetto umano. Il grande filosofo Aristotele subì dal suo discepolo Alessandro Magno un scherzo crudele quando lo fece incontrare con la bella prostituta Fillide la quale convinse il filosofo a farsi cavalcare. Quando Alessandro e suoi amici entrarono nella stanza videro il filosofo a carponi con la prostituta sulla schiena. Situazione che collide con la grande intelligenza di Aristotele pur senza inficiarne la filosofia. Diciamo dunque che la coerenza è virtù rara che include una serie di fattori, la volontà innanzi tutto, il rispetto di sè, l’etica. La storia dell’arte, per venire all’argomento che ci è più prossimo, conta una quantità di artisti che all’inizio ebbero atteggiamenti rivoluzionari, a partire dai Romantici, ma ottenuto il successo e inebriati dalla mondanità divennero semplici borghesi. La volontà è il supporto sul quale l’intelligenza realizza le proprie opere. Ma la volontà è come il coraggio del quale il manzoniano Don Abbondio diceva: se non ce l’hai non te lo puoi dare. Tuttavia, per venire ai tempi nostri, vi è un aspetto molto più inquietante dell’assenza di volontà, l’incoraggiamento ad ogni forma di devianza in nome della libertà. Non è più rispetto della coerenza, siamo oltre, un atteggiamento reazionario che viene spacciato per progressista. Se dobbiamo rispettare il principio di coerenza non possiamo fare a meno di rilevare che il mito della libertà come è oggi diffuso, si traduce in atteggiamento coerente, in quanto ci riporta alla nostra natura animale, ci libera cioè dalle norme che hanno consentito la nascita della civiltà. Linguaggio, sessualità, comportamenti devianti ci avvicinano al regno animale privo di regole. Freud, in “Il disagio della civiltà” sosteneva che non è affatto vero che la civiltà ci rende più liberi, è vero il contrario, regole e norme vincolano e limitano la nostra libertà. Di conseguenza, abolendo le norme si è più liberi ma meno civili. Ovviamente le orde umane che seguono ogni tipo di evento supportato dai mezzi di comunicazione non si pongono il problema, di certo la coerenza non è in cima alle loro priorità.
piergiorgio firinu
immagine interpretata.
Secondo Platone l’atto è preceduto dall’idea, cioè dal progetto. A partire dal Romanticismo,ha preso piede la bizzarra teoria secondo la quale un individuo, apoditticamente definito “artista”, ha una speciale prerogativa, ovvero una particolarità detta “ispirazione” . In base a questa facoltà si presume l’artista possa produrre opere, non solo sottraendosi ai condizionamenti, come è giusto, ma prescindendo da ogni cultura e conoscenza, possa quindi dare all’arte una propria definizione e forma. In questo modo si creano le premesse per stravolgere le modalità di produzione dell’arte affidata a fantasie senza fondamento. A questo punto gruppi che furono indicati come “avanguardie”, con l’appoggio di critici e filosofi dell’arte, decisero di abolire mimesi, estetica, bellezza. Tutto questo è stato reso possibile da più fattori. Innanzitutto la caduta in verticale del livello culturale generale a cui si affianca la crescita esponenziale del mercato del quale i dominus sono commercianti privi di cultura che hanno come controparte borghesi di pari livello culturale, amanti del kitsch. Tutto questo ha concorso a creare uno stravolgimento della produzione artistica nella quale ha parte preponderante l’invadenza e l’incultura degli Stati Uniti d’America. In Europa gli esponenti del mondo dell’arte hanno avuto una posizione ancipite, un occhio alle ideologie, l’altro al mercato. Sostanzialmente si è preteso di attuare una variazione del tema senza conoscere in modo approfondito il tema. La semplice differenza tra l’immagine reale dell’oggetto e quella teorizzata su fondamenti di negazione privi di riscontri. E’ questa la linea seguita dalla critica e filosofia dell’arte negli ultimi cento anni. In realtà solo l’immagine reale dell’oggetto esprime determinate proprietà. Da un punto di vista psicologico la logica formale può essere deviata dall’impressione senza preoccupazione di rispetto della legge di non contraddizione, ma in questo modo il procedere sillogistico crea una serie di incompatibilità tra predicati e forma. Vi può essere la convinzione di asserire qualcosa con pretesa di verità evitando, nel caso dell’arte, la verifica logica assumendo che l’arte deve essere sottratta a giudizi di merito e di valore. Questa teorizzazione non ha riscontro in nessun altro campo, e con questo espediente si sottrae all’analisi logica e fattuale. Questo stereotipo è stata accettato ed è entrato nell’uso comune.
piergiorgio firinu
Il fallimento della ragione.
Hegel conclude la sua filosofia delle Scienze filosofiche con un paragrafo della metafisica di Aristotele in cui l'autentico essere è inteso come ragione. Non si tratta di un semplice esempio, la filosofia di Hegel è in gran parte una reinterpretazione dell'ontologia di Aristotele liberata da quelle che Hegel considerava le distorsioni della metafisica, intesa nel suo aspetto inattuale, in breve il tentativo di far diventare il mondo ragione realizzata. Non c'è dubbio che questo intento di Hegel si sia tradotto in un fallimento. La differenza tra l'essere, inteso come essere determinato e l'essere come essere in quanto tale è il problema che riguarda tutta la storia della filosofia occidentale da quando si è posta la domanda: che cos'è l'essere? Il quesito che animò la filosofia greca da Parmenide ad Aristotele. Ogni essere intorno a noi è un essere determinato, una pietra, uno strumento, una casa, un animale, un episodio e così via. Tuttavia noi usiamo un predicato. Ognuno di questi esseri diciamo che sono così e così, cioè noi attribuiamo ad essi l'altra forma dell'essere, quella forma dell'essere non consiste in particolari cose esistenti nel mondo ma è comune a tutti i particolari esseri a cui essa può essere attribuita. Ciò significa che ci deve essere un essere come tale diverso da ogni essere determinato particolare tuttavia attribuibile a qualsiasi essere così che esso può venire definito come il vero e unico essere presente in ogni forma particolare degli esseri determinati, l'essere come tale è ciò che tutti gli esseri particolari hanno in comune e ne costituisce il substrato. Era quindi relativamente facile considerare questo essere del tutto come l'essenza di ogni essere e come sostanza divina, come massima realtà e fonderlo così lontano da ogni teologia e ogni tradizione. Nella logica di Hegel il problema è se mai considerare che, avendo annullato ogni forma di religiosità e spiritualità, l'essere finisce per concretizzarsi in un materialismo funzionale, cioè relativo alle azioni del singolo essere, non in quanto essere ma in quanto operante all'interno di una società condizionante che limita l'espansione individuale e spirituale comprimendola nella dimensione della possibilità di realizzarsi all’interno di una dimensione materiale. Non è un caso che Karl Marx sia tra i più convinti seguaci della corrente razionalistica di sinistra hegeliana. Il marxismo rappresenta il più chiaro e lampante fallimento della filosofia di Hegel. I riflessi culturali di un razionalismo programmatico si riflettono in tutta la cultura e nell’arte subordinando e giustificando tutto alla riuscita di un determinato preciso progetto. La società contemporanea, nonostante le argomentazioni speciose della filosofia, segue più o meno consapevolmente la traccia hegeliana che consiste, come abbiamo detto, nella riduzione dell' essere alla pura razionalità. Questo è quanto emerge da un'attenta lettura della filosofia contemporanea. Sul piano formativo, in senso più propriamente sociale, tale filosofia, pensiamo a Marcuse,
Derrida, Rorty, ecc. non approda ad alcuna conclusione convincente. L'essere umano e non è più soggetto del discorso filosofico, ma semplicemente incluso in generiche teorizzazioni che non gli forniscono gli strumenti per la comprensione, tanto meno la capacità di affrontare le situazioni esistenziale che ogni singolo individuo si trova a dover concretamente affrontare.
piergiorgio firinu
Verità e interpretazione.
Quando parliamo di verità ci riferiamo soprattutto al senso di realtà. Verità infatti significa riferimento all’essere reale delle cose. Dunque, un discorso privo di verità è privo di senso perché si riferisce a qualcosa che non esiste. Ovviamente ci sono creazioni artistiche, il teatro ad esempio, nelle quali per convenzione la menzogna è strumento di rappresentazione. In tutti gli altri casi non vero significa semplicemente inesistente. Ovviamente i sofisti inconsapevoli obiettano che, siccome non si può dividere il mondo in bianco e nero, è necessario accettare anche le sfumature di grigio. Questa metafora del colore, spesso adottata, si smentisce da sè, infatti non esclude che tutte le sfumature di grigio esistenti siano cosa diversa dal bianco. Questo significa che esistono gradi diversi dell’essere, ovvero diversi gradi di negazione. Esempio paradigmatico è costituito da critica e filosofia dell’arte che presumono di modificare l’ontologia dell’oggetto attraverso un ermeneutica che si richiama a fattori culturali, sociali, psicologici, emotivi. Questi procedimenti sono soggetti a palese aporia, dando per scontato che la sovrastruttura verbale abbia il potere di modificare l’ente a cui è riferita. Il tentativo di attribuzione di senso versus la realtà della forma è alla base dell’inganno che costituisce giustificazione di buona parte dell’arte contemporanea.
piergiorgio firinu
Dominio del sensibile
Diceva Rimbaud:” noi non siamo al mondo”. Siamo chiusi nei nostri interessi particolari nei ristretti orizzonti della quotidianità. Le città moderne riducono ulteriormente lo spazio della nostra visione limitata a tutto ciò che è artificiale e costituisce la nostra vita. Il mondo vero è quello che riusciamo a ricreare dentro di noi, il resto è consumo e necessità. In un profondo pensiero, Biagio Pascal diceva “sotto un certo rapporto, io comprendo il mondo, sotto un altro rapporto esso mi comprende”. Ma oggi ha ancora fondamento questo pensiero? Scrive Maurice Merleau-Ponty in “Fenomenlogia della percezione” “Ci sono due modi d’essere e due soltanto: l’essere in sé, che è quello degli oggetti dispiegati nello spazio, e l’essere per sé che è quello della coscienza”. Il tempo non agisce sulle cose, le lascia a se stesse, prede della propria essenza. Ciò che chiamiamo “soggettività” è qualcosa di molto ambiguo, perché presuppone la nostra chiarezza del pensiero, cosa che implica il dominio della nostra mente. In realtà i nostri pensieri sono fuori dal nostro controllo, non controlliamo, se non in minima parte le nostre stesse sensazioni e decisioni. Noi siamo il prodotto di una cultura, per quanto modesta essa sia, di esperienze che restano dentro di noi, delle irrefrenabili tendenze del nostro corpo. A ciò, oggi, si aggiungono i potenti e pervasivi mezzi di comunicazione di massa che ci condizionano. Dunque i nostri atti e le nostre scelte sono fuori dal nostro controllo mentale che spesso viene addirittura giudicato negativamente. La questione del libero arbitrio è stata affrontata dalla filosofia scolastica senza giungere a conclusioni convincenti. Gli scienziati dibattono sullo stesso concetto di “coscienza” come di qualcosa che è legato alla percezione e alla consapevolezza. Forse non corrisponde al vero la visione dell’essere umano come individuo libero, sol che lo voglia. Credo che il mito della libertà abbia prodotto guasti sociali enormi. Intanto quando si parla di libertà, soprattutto il femminismo, ci si riferisce sempre e soltanto al corpo. Le insulse espressioni “Devi volerti bene” non sono che una forma idiota di solipsismo che si traduce in negatività. Volersi bene non implica che possesso o soddisfazione, entrambi sempre incompleti e provvisori. E’ piuttosto la capacità di auto dominio che ci consente di attuare scelte libere e consapevoli, viatico a una possibile libertà. Difficilmente riusciamo a dominare i nostri pensieri ma, attivando una volontà consapevole, potremmo forse controllare meglio il nostro corpo dando ad esso la libertà di scegliere la misura in cui vivere. La nostra stessa percezione si acuisce, come quando nel silenzio irrompe un suono. Come la rumorosità diffusa, anche la diffusa suggestione, a sesso, a consumo, sensazioni forti ed estranianti, attutiscono la nostra sensibilità e ci rendono più rozzi e insensibili.
piergiorgio firinu
In forma di parole.
Come per l’arte plastica anche la letteratura si presta a interpretazioni plurime. Il “Trattato sull’origine dei romanzi” , scritto da Pierre-Daniel Huet nel 1670, affronta tema storico e filosofico insieme alla funzione e qualità della narrazione. “La Biblioteca di Babele” di Jorge Luis Borges pubblicato nel 1941, traccia un quadro surreale del mondo dei libri. Quando leggiamo un romanzo il nostro apprezzamento si basa sul contenuto o sulla qualità della scrittura? Per Roland Barthes la letteratura non è che la ricerca della parola giusta. Questa sintesi riduttiva sottovaluta l’aspetto “storico” di ogni romanzo che abbia lasciato il segno. “Papà Goriot”, la “Commedia umana” , entrambi di Honoré de Balzac. “I miserabili” di Victor Hugo. “L’uomo senza qualità” di Robert Musil. “I Buddenbrook” di Thomas Mann. Sono alcuni romanzi che rappresentano altrettante pietre miliari nella storia della letteratura. Rappresentano ciuoè i temi di un epoca, filtrati dalla sensibilità dell’autore. Gregor Samsa resta nell’immaginario di chiunque abbia letto “La metamorfosi”. Come “Madame Bovary” di Gustave Flaubert è rimasta, fino a non molti anni fa, lo stereotipo della adultera. Oggi con il rilassamento dei costumi e la totale perdita di valore tutto si perde nel porto delle nebbie di una uniformità francamente squallida. Se la letteratura si riduce al piacere, o divertimento di leggere senza problemi di forma e contenuto, così come avviene nell’arte plastica, si apre la strada a libri come “Cinquanta sfumature di grigio”, non a caso scritto da una donna Erika Leonardi. Purtroppo non sembra che la letteratura incida molto sul linguaggio e sul costume quotidiano. Si dice che in Italia si leggano pochi libri e giornali, un dato negativo, anche se in paesi in cui si legge di più il livello medio del linguaggio quotidiano non è certo più elevato. La ragione è semplice: abitudini e linguaggio sono influenzati molto di più da cinema e tv di quanto lo siano dalle letteratura che pure è sempre più orientata a stimolare le pruderie piuttosto che alla elaborazione di un pensiero creativo e trasfigurante. Vi è inoltre da prendere atto che nella letteratura come nell’arte plastica è sempre maggiore la presenza femminile che impone i temi tipici del mondo delle donne: intimismo e sesso. Considerato che i giornali lungi dal contrastare le tendenze peggiori le assecondano, quando non le esaltano attraverso articoli e recensioni, il quadro complessivo non è confortante, abbiamo la conferma che la cultura contemporanea non solo non è antidoto al degrado, ma forse lo alimenta.
piergiorgio firinu
In forma di parole.
Come per l’arte plastica anche la letteratura si presta a interpretazioni plurime. Il “Trattato sull’origine dei romanzi” , scritto da Pierre-Daniel Huet nel 1670, affronta tema storico e filosofico insieme alla funzione e qualità della narrazione. “La Biblioteca di Babele” di Jorge Luis Borges pubblicato nel 1941, traccia un quadro surreale del mondo dei libri. Quando leggiamo un romanzo il nostro apprezzamento si basa sul contenuto o sulla qualità della scrittura? Per Roland Barthes la letteratura non è che la ricerca della parola giusta. Questa sintesi riduttiva sottovaluta l’aspetto “storico” di ogni romanzo che abbia lasciato il segno. “Papà Goriot”, la “Commedia umana” , entrambi di Honoré de Balzac. “I miserabili” di Victor Hugo. “L’uomo senza qualità” di Robert Musil. “I Buddenbrook” di Thomas Mann. Sono alcuni romanzi che rappresentano altrettante pietre miliari nella storia della letteratura. Rappresentano ciuoè i temi di un epoca, filtrati dalla sensibilità dell’autore. Gregor Samsa resta nell’immaginario di chiunque abbia letto “La metamorfosi”. Come “Madame Bovary” di Gustave Flaubert è rimasta, fino a non molti anni fa, lo stereotipo della adultera. Oggi con il rilassamento dei costumi e la totale perdita di valore tutto si perde nel porto delle nebbie di una uniformità francamente squallida. Se la letteratura si riduce al piacere, o divertimento di leggere senza problemi di forma e contenuto, così come avviene nell’arte plastica, si apre la strada a libri come “Cinquanta sfumature di grigio”, non a caso scritto da una donna Erika Leonardi. Purtroppo non sembra che la letteratura incida molto sul linguaggio e sul costume quotidiano. Si dice che in Italia si leggano pochi libri e giornali, un dato negativo, anche se in paesi in cui si legge di più il livello medio del linguaggio quotidiano non è certo più elevato. La ragione è semplice: abitudini e linguaggio sono influenzati molto di più da cinema e tv di quanto lo siano dalle letteratura che pure è sempre più orientata a stimolare le pruderie piuttosto che alla elaborazione di un pensiero creativo e trasfigurante. Vi è inoltre da prendere atto che nella letteratura come nell’arte plastica è sempre maggiore la presenza femminile che impone i temi tipici del mondo delle donne: intimismo e sesso. Considerato che i giornali lungi dal contrastare le tendenze peggiori le assecondano, quando non le esaltano attraverso articoli e recensioni, il quadro complessivo non è confortante, abbiamo la conferma che la cultura contemporanea non solo non è antidoto al degrado, ma se forse lo alimenta.
La libertà come mito e inganno.
Secondo Aristotele è corretto chiamare la filosofia “scienza della verità”. Egli attua la distinzione tra filosofia teoretica il cui fine è verità, e la filosofia pratica volta a indirizzare le azioni. Molta filosofia moderna è impegnata a demolire lo stesso concetto di verità, a partire dal pensiero debole, fino a “A cosa serve la verità?” di Pascal Engel e Richard Rorty (2005). Per superare la difficoltà di trovare argomentazioni convincenti sul piano filosofico la scelta è stata tagliare il nodo, negare l’esistenza stessa della verità. Il pensiero debole è andato oltre, ha negato ogni fondamento alle ragione etica che è alla base della verità. L’insipienza della cultura contemporanea, ben salda nella propria dotta ignoranza, si comporta come i pipistrelli i quali vedono meglio nel buio e ogni barlume di luce li disturba. Molti di questi soloni, cantori della libertà, pensano e agiscono pro domo Cicero, usano cioè la filosofia per giustificare le proprie perversione diventano tanto meno esecrabili quando si cancellano ragioni etiche e veritative. I filosofi dovrebbero stabilire cosa costituisce un valore di riferimento sul quale si impernia l’intera struttura di relazioni umane, tanto più utile oggi che l’umanità è avviata a raggiungere i 10 miliardi di persone nell’arco di pochi anni. Il principio elementare di distinzione tra vero e falso inquinato da teorie ancipiti la cui giustificazione sarebbe sottrarsi ai dogmi, mentre in realtà lo scopo è sottrarsi al “dogma” della ragione logica. In questo modo tutte la vacche sono bige, ci si trova liberi nella vasta prateria della libertà. In base a questo arruffato noema si attua un processo di ectesi nel quale la ragione non ha più voce. La libertà è un falso mito e le illusioni che lo nutrono collidono con natura e storia. Gioca a favore dei creatori di questi pleonasmi concettuali, il fatto che la storia ha tempi lunghi, anche se già ora si profilano le prime conseguenze del malinteso mito di libertà, nei tempi lunghi la società umana sarà sempre meno gestibile. Dopo il progressivo abbandono di ogni riferimento alla natura, seguirà una progressiva disumanizzazione sotto specie scientifica come ipotizzato da Susan Greenfield in “Gente di domani” (2003). “Domani, poi domani e domani,/così il tempo striscia via, a piccoli passi, da un giorno all’altro/ fino all’ultima sillaba del ricordo del tempo/ e tutti i nostri ieri hanno rischiarato gli sciocchi/ la vita verso la polvere della morte…” (Monologo di Macbeth di William Shakespeare).
piergiorgio firinu
Ermeneutica della forma
Il rapporto che intercorre tra l’opera di avanguardia e i metodi formali di teoria dell’arte è stato stravolto con l’elusiòne dei tradizionali procedimenti tecnici e uso dei materiali. Ciò tuttavia non ha modificato l’approccio ermenèutico della critica d’arte, provocando una dicotomia tra oggetto e interpretazione con criteri classici, così come viene praticata tuttora da buona parte della critica. Prassi e teoria dell’avanguardia hanno avuto, tra l’altro, l’effetto di diluire l’essenza significante in discipline diverse. Reinhard Brandt nel suo libro “Filosofia nella pittura”, ha analizzato opere di artisti classici con riferimenti filosofici. Appare evidente che le opere dei maestri del passato potevano essere apprezzate, indipendentemente dalla capacità d’interpretazione iconologia. L’arte d’avanguardia, avendo eliminato l’estetico, ha ridotto la forma a citazione concettuale, con la conseguenza che, l’osservatore non in grado di percepire il significato sottointeso, perde ogni possibilità di comprensione e godimento. Senza dubbio, non è ancora emersa con sufficiente chiarezza l’inutilità della critica d’arte oggi. Essa ha un approccio classico a opere che sono la negazione di ogni espressione d’arte, intesa in senso tradizionale. La critica non è in grado di svolgere efficacemente la propria funzione interpretativa, in quanto la lettura dell’opera richiede il ricorso a varie discipline, psico - sociologiche, politiche, filosofiche, quant’altro serve a collocare l’opera nel contesto nel quale è possibile decifrarne il senso. L’analisi dell’opera non può essere attuata scientificamente, come ipotizza, tra gli altri, Peter Burger nel suo saggio “Teoria dell’avanguardia”, anche in ragione anche della voluta casualità di molte opere che si attuano tramite a un gesto gratuito, e/o si affidano a espressioni d’ironia estemporanea. Le forzature ermeneutiche della critica, finiscono per costituire anello di congiunzione con l’arte-arte, in questo modo accreditano una supposta concettualità, che forse era nelle intenzioni dell’artista, ma di cui non c’è traccia nell’opera. A ciò contribuisce il modesto bagaglio culturale degl’artisti, incapaci di adeguare l’apparato concettuale alla sintesi della forma. C’è il rischio concreto di nobilitare la pura dissacrazione a concetto. Condizione necessaria per una possibile sintesi tra procedimenti formali ed ermeneutici è rendersi conto che nell’opera avanguardistica l’emancipazione del singolo elemento non raggiunge mai il distacco completo dalla totalità dell’opera. Anche dove la negazione della sintesi diventa principio strutturale, deve comunque rimanere la possibilità di pensare a una unità, sia pure precaria. Per quanto riguarda la ricezione, ciò significa che anche l’opera di avanguardia deve essere compresa in modo ermeneutico, vale a dire come totalità di senso, quel che cambia è solo il fatto che l’unità ha accolto in sé la contraddizione. Non è più l’armonia delle singole parti a costituire l’unità dell’opera, bensì il rapporto contraddittorio di elementi eterogenei. Per questo, dopo i movimenti di avanguardia non si può pensare né di sostituire semplicemente l’ermeneutica con procedimenti formalistici, né di continuare ad adoperarla come procedimento intuitivo di comprensione; essa dovrebbe adeguarsi alla mutata situazione storica.
piergiorgio firinu
Artisti e no.
All’inizio della Metafisica, Aristotele sottolinea due proprietà: “Vedere” ed “ Esperienza”. Nella convulsa contemporaneità ci si deve porre il problema : Cosa vedere? Cosa costituisce esperienza? Se questi due azioni sono alla base dell’arte, diventa determinante natura e qualità di ciò vediamo e sperimentiamo. Contrariamente al passato, oggi siamo assillati da una vastissima pluralità di condizionamenti dovuti a fatti, oggetti, persone. La nostra esperienza plurale presume una capacità di decifrazione maggiore di quella necessaria in passato. Ciò vale in ogni ambito culturale e sociale. Quando si afferma che “è arte ciò che l’artista considera arte”, non solo si cade in una palese tautologia, ma si trascura di precisare ciò che fa di un individuo un artista. Da cose deriverebbe una maggiore capacità di visione del supposto artista? Chi ha titoli e capacità di stabilire la differenza tra un comune individuo e un “artista”? E ancora, quale tipo di esperienza avrà maturato chi si propone come creatore d’arte? E’ sufficiente ridurre tutto a un percorso scolastico? Se così fosse dovremmo esimerci dall’attribuire all’artista quella che viene definita “intuizione creativa”.In altre parole appare chiaro che l’aurea che circonda l’artista e il suo operato è pura invenzione retorica, priva di fondamento. Dunque, liberato il campo da speciose teorie ermeneutiche, dovremmo essere in grado di osservare le opere nella loro realtà. La civiltà greca, che pure contava artisti del livello di Zeusi, Fidia, Parrassio, considerava gli artisti demiurghi, cioè artigiani. Come scrive Max Weber in “Storia economica e sociale dell’antichità”. Perché dunque è così difficile smitizzare l’artista? Semplicemente perché la miticizzazione è funzionale al mercato dell’arte. Infatti la critica e la filosofia dell’arte sono i megafoni del mercato, sono nati contemporaneamente alla creazione del mercato realizzato dalla borghesia. Attraverso la mitizzazione dell’artista si creano condizioni favorevoli, una sorta di trappola per speculatori, i noti squilionari, sui quali i mercanti d’arte hanno creato le loro fortune.
piergiorgio firinu
Critica e immaginazione.
La critica artistica è concepita come una ricerca dei nessi, forme strutture, come una summa, un sistema, una griglia o un codice di differenze precise e sottili il più possibile, di “sfumature” sempre più delicate. Sebbene non abbia a che vedere con le idee generali, segue la ricerca di differenze, citazioni. Se è vero che l’ispirazione è squisitamente individuale, la cultura che la ispira appartiene al patrimonio collettivo. L’artista, attraverso il linguaggio dell’arte, attraverso e grazie all’ispirazione/intuizione dovrebbe essere in grado di comunicare il significato del frammento di realtà che esplora. Accade invece che critica e artista procedano su percorsi paralleli, indugiando specialmente tra interpretazioni psicologiche e contestualizzazioni estemporanee. Tenuto conto che il maggior sforzo compiuto dagli artisti nell’ultimo secolo è la presa di distanza dalle forme classiche, sembra improbabile trovare un aggancio con la storia dell’arte, se non facendo ampio ricorso alla letteratura, una sorta di copia e incolla che serve forse al tentativo di dare giustificazione ad opere francamente insignificanti, nel senso letterale del termine, ma certo non aiuta ad accrescere la conoscenza della discussa fenomenologia dell’arte contemporanea. Tanto più quando celebrati filosofi dell’arte come A. Danto, il quale si ritiene titolato per definire la Metafisica di Aristotele ciarpame. Dubito che Danto abbia letto i 14 libri che costituiscono il corpo della Metafisica di Aristotele. Se lo avesse fatto avrebbe scoperto che il primo libro è l’archè della storia della filosofia, nell’insieme dei libri è contenuto in nuce il successivo sviluppo del sapere dell’Occidente. E’ preoccupante che a simile personaggio l’Università di Torino abbia conferito la laurea honoris causa, ennesima dimostrazione della prevalenza del potere di suggestione degli USA sulla cultura europea e in particolare italiana.
piergiorgio firinu
La dispersione del sapere.
Quando nel 1918 venne pubblicato: “Il tramonto dell'Occidente” di Oswald Spengler, poteva sembrare una profezia azzardata. In realtà abbiamo assistito, e assistiamo, a una serie di fatti che confermano pienamente quella che era l'idea di Spengler. L'occidente sembra incapace di riprendere un percorso sano di una civiltà che, come la storia dimostra, non si è mai interamente realizzata nella sua modernità, anche se un tempo si immaginava felice. E’ chiaro che in ragione della natura dell’essere umano, non può esistere una civiltà compiutamente equa solidale della quale farneticano, spesso in malafede, i politici. L'argomento al quale vorrei accennare brevemente è la ragione per cui Spengler ha scritto “ Il tramonto dell'Occidente”, in un periodo in cui si percepivano gli scricchiolii sempre più marcati anche nel campo della cultura. Si profilavano le prime avanguardie distruttive. Qualcuno ha sostenuto che i DADA nutrivano una sorta di odio per l'arte. Probabilmente era vero, a mio avviso l’azione delle avanguardie, non solo DADA, è stato soprattutto un atto di presunzione a cui non corrispondeva una cultura adeguata. Einstein aveva, si suppone, un docente, un maestro che l'ha guidato nei primi passi del sapere. Seguendo gli insegnamenti del suo maestro ha poi fatto passi avanti e lo ha di gran lunga superato. Le avanguardie hanno preteso di ignorare i maestri che le avevano precedute. La stessa presunzione di “essere artisti” era tutta da dimostrare. Hanno agito come se si trovassero al grado zero dell'arte. In realtà sono state proprio le avanguardie a portare l’arte al grado zero adottando una serie di espedienti attuabili a prescindere dalle specifiche competenze, che avrebbero dovute essere apprese; non solo le competenze di carattere per così dire tecnico, ma la stessa base culturale indispensabile per la realizzazione di opere che abbiano un significato. Tutto ciò avrebbe dovuto essere appreso. Come scrive Jean Francois Lyotard in “La condizione postmoderna”. “Non si insegna ciò che non si sa” . Più generalmente non si produce nulla senza sapere. Ecco quindi che se ad un certo punto gli artisti hanno supposto di poter fare a meno della conoscenza tecnica e umanistica che era la base della produzione artistica. Gli esiti che oggi constatiamo erano prevedibili.
piergiorgio firinu
L'infinito e sue antinomie.
“C’è un concetto che corrompe e altera tutti gli altri. Non parlo del Male, il cui limitato impero è l’Etica; parlo dell’infinito”, così ha scritto J.L.Borges. E’ impresa ardua provare ripercorrere le vicende di questa temibile categoria. Dalle origini greche sino alla ormai cronica “crisi dei fondamenti” del pensiero scientifico il concetto d’infinito, senza limiti, quale già appare in Anassimandro. Ma l’infinito greco, dai Presocratici alla sistemazione aristotelica, proprio in quanto lo si riteneva un principio “divino, immortale e indistruttibile”, viene maneggiato con estrema cautela nei procedimenti del pensiero discorsivo. E si tratterà sempre, allora, di un infinito potenziale, concepito nel segno della “negazione” e della “privazione” di Aristotele. La contesa tra il finito e l’infinito appariva dunque come una delle forme della contesa ultima fra tutte quella tra l’Uno e il Molteplice. Il numero, sinonimo di misura e armonia, valeva in essa da misterioso punto di mediazione fra il limite e l’illimitato. Dalla Grecia antica a oggi la sequenza delle metamorfosi dell’infinito è stata vertiginosa. Lo svilupparsi della matematica vi si intreccia con radicali mutamenti nel modo di concepire la realtà cosmica e mentale dell’infinito. A poco a poco abbiamo visto delinearsi quella che è la grande attrazione e tentazione del pensiero occidentale: l’infinito attuale, che i Greci avevano evitato è venuto assumendo un ruolo sempre più centrale. Nel bruciante tratto di storia, che va da Leibniz a Bolzano e Cantor, con sempre rinnovati tentativi di “indicare in modo esplicito l’infinito con ‘qualcosa’” , fintanto che questo ‘qualcosa’ si rivelerà “suscettibile per di più di essere manipolato come segno tangibile della meccanica algebrica”. Una soggiogante realtà cosmica si tramuta così in un esile segno sulla carta. Ma una volta giunti, con la teoria cantoriana del transfinito, alla fioritura di una specie inaudita della matematica, cominceranno immediatamente ad aprirsi le falle insidiose dei paradossi e delle antinomie, che metteranno in crisi i fondamenti stessi della scienza. Da questa crisi, in cui siamo ancora immersi, discenderanno le più importanti scoperte epistemologiche del nostro tempo.
piergiorgio firinu
Marx: arte e mito.
Gli strani percorsi dell’influenze culturali sono ricchi di sorprendenti contraddizioni. Karl Max e Wagner furono entrambi allievi di Ludwing Feuerbach, esponente della sinistra Hegeliana, autore tra l’altro di “Principi della filosofia dell’avvenire” che contiene la famosa affermazione: “Dare l’intelletto a chi non l’ha, non rientra nelle possibilità della filosofia”. Si potrebbe aggiungere che l’Accademia non è detto sviluppi sensibilità artistica in chi ne è privo. Non si dovrebbe mai dimenticare che tra i demeriti delle avanguardie, rilevante aver attaccato le Accademie, non per sopprimerle, ma per occuparle. Sorprendente come si siano diversificati percorsi dei due allievi di Feuerbach. Max diede vita a una corrente filosofico - politica che cambiò la concezione della storia e dell’economia. Wagner diventò una sorta d’icona del nazismo. Entrambi ebbero grande interesse per la mitologia greca. La prefazione alla dissertazione di dottorato di Marx del 1841 si conclude con la frase:” Prometeo è il più grande santo martire del calendario filosofico”. Wagner ebbe anche intuizioni profonde sul possibile degrado mercuriale dell’arte, partendo dal mito anticipò la realtà di oggi. In”L’arte e la rivoluzione e altri scritti politici” Egli scrisse: “ Un dio malvagio si è trovato ,/Mercurio, il signore del mondo dei bottegai,/ lui ha ora legato perfino l’arte”.
piergiorgio firinu
Filosofia e arte.
La questione “a cosa serve la filosofia” dovrebbe essere preceduta dall’interrogativo “cos’è la filosofia”. Appena poste le domande, appare evidente la difficoltà di dare risposte esaustive. Il pragmatismo contemporaneo è orientato in modo ansioso ad apprezzare solo ciò che è utile. Fino a non molti anni fa, le grandi multinazionali, nella scelta del personale si orientavano verso persone dotate di specializzazione specifica. In seguito è emerso che la rapidità degli aggiornamenti tecnici rendeva presto obsolete le conoscenze tecniche, inoltre le persone dotate di conoscenze specialistiche spesso non avevano sufficiente elasticità mentale per adeguarsi alle nuove realtà. Così l’orientamento è mutato, oggi vengono scelte preferibilmente persone con studi classici, che sottoposte a test, dimostrino di avere maggiore capacità di adattamento mentale, quindi in grado di affrontare nuove situazioni. Senza indulgere ad eccessive generalizzazioni non c’è dubbio che la propensione a riflettere su argomenti generali predispone a maggiore facilità nell’affrontare i problemi. La filosofia, in quanto ginnastica della mente, è utile, consente di adattarci più facilmente al mutare delle situazioni. La saggezza popolare infatti esprime il concetto nell’adagio “prenderla con filosofia”. Tuttavia vi è il pericolo che la filosofia, predisponendo a capacità dialettica, induca alla tentazione di manipolare fatti e realtà, adottandole alle proprie convenienze. Ciò diventa particolarmente pericoloso se associato al cinismo contemporaneo. Anni fa proposi che nelle accademie fosse introdotto lo studio della filosofia. Ovviamente il mio suggerimento non ebbe seguito. Oggi vediamo gli artisti come tanti produttori di effetti speciali, persi in dettagli di una realtà che non riescono a capire, quindi ad esprimere. L’arte uccisa dalla tecnica della quale diventa una modesta parodia.
piergiorgio firinu
Cultura, immaginazione, memoria.
Raffaello Sanzio da Urbino in una lettera a Baldassare Castiglione scrive:…”io mi servo di certa idea che mi viene in mente. Se questa ha in sé alcuna eccellenza d’arte , io non so: ben mi affatico ad averla”. Con Raffaello si viene delineando un’idea che il Rinascimento aveva coltivato, e poi finito per dirottare nella ricerca di immagini umanistiche della prospettiva ideale. Nella “Scuola di Atene” , Raffaello raffigura Aristotele che con la mano destra indica la Terra , in contrapposizione a Platone che indica il cielo, e nella mano sinistra tiene un volume sul cui dorso spicca la scritta “ETICA”. Era questa la cultura degli artisti del Rinascimento che hanno creato la prospettiva, la quale non era solo una escogitazione geometrica, ma il senso stesso che orientava la pittura nella ricerca di regole espressive che sono alla base dei capolavori che conosciamo. La bellezza emblematica , sostenuta da una forte convinzione tra arte, letteratura e filosofia., Ut pictura poêsis che culminerà nel Seicento, ancora su quell’esempio con Pussin. “Universalia sunt ante rem”. Nel 1506 Zorzi di Castelfranco Veneto, detto il Giorgione dipinse “ I Tre filosofi” , presumibile un richiamo alla tre filosofie teorizzate da Aristotele, anche se l’arcano non è ancora stato risolto dagli studiosi dell’arte. Il tema è affrontato da Gombrich commentando il perfetto simbolismo contenuto nelle opere degli artisti rinascimentali. Anche Wimckelmann nel 1775 affronta l’argomento nei “Pensieri sull’imitazione dell’arte nella pittura e nella scultura”. Va da se che affrontare questi temi relativi all’arte quando costituiva la fusione tra cultura, immaginazione e memoria, paragonare questo vertice di sensibilità artistica a uno dei tanti imbrattatele come il tedesco, Gerhard Richter, il quale, sull’onda del suo successo commerciale, pretende di confrontarsi con Tiziano Vecellio, è qualcosa che intristisce. Soprattutto è difficilmente comprensibile come la cultura artistica italiana abbia abbandonato la propria storia per celebrare in modo acritico una certa idea di contemporaneità.
piergiorgio firinu
Etimologia del sostantivo astrazione.
Quando gli artisti hanno abbandonata la nemesi per avventurarsi in campi diversi dei quali non avevano sufficiente conoscenza , per definire le loro opere sono ricorsi a denominazioni che non corrispondono alla realtà dell’oggetto. L’analisi dettagliata degli anacoluti con i quali sono state descritte le varie espressioni artistiche sarebbe impossibile in questo breve testo. Mi limiterò a brevi cenni sul concetto di astrazione. Il termine “Isagoge” usato da Ammonio, fu tradotto da Boezio in “khòriston” e poi nel termine latino “abstractum”. La scienza usa “motu inabstracta” in quanto considera le forme non separate dalla materia. Tommaso d’Aquino sembra identificare l’astrazione con l’intellezione delle assenze . Identificazione comune anche nei filosofi arabi Avicenna e Averroè. Viene riconosciuto che l’astrazione non è sufficiente a farci conoscere le essenze. Tommaso de Vio, detto Gaetano, ha distinto l’astrazione totale dalla astrazione formale. Astrarre ciò che è formale da ciò che è materiale , per esempio la materia sensibile, è più intellegibile in natura, mentre diventa deviante quando si usa il termine “astrazione” per definire una forma che, per definizione non può essere astratta. Il difetto generale della definizione di astrazione per oggetti materiali e tangibili è di tutta evidenza. Locke considerò l’astrazione utile solo a formare idee astratte. Dello stesso avviso Hume il quale spiego l’uso dei nomi generali come prodotto dell’abitudine, ma devianti dal punto di vista della significazione. Kant non ammetteva il concetto dell’astrazione in quanto i concetti derivano dall’esperienza e non esiste alcuna intuizione intellettuale che possa modificare l’ontologia. Per Hegel il temine astratto assume il significato di parziale, quindi falso contrapposto al concreto, cioè vero. Per Stuart Mill la nozione di astrazione ha un senso puramente psicologico e non può costituire una definizione. Anche Jacques Maritain riprende e fa propria la teoria proposta da Tommaso d’Aquino. Putman si richiama alla forma logica di cui parla Wittgenstein. Opera astratta è una contraddizione in termini per John H. Haldane in quanto un’opera ha una forma e una struttura, entrambe materiali, di conseguenza il temine astrazione diventa un ossimoro. In conclusione l’arte che si allontana dalla mimesi non può essere definita astratta. Le opere migliori di Kandisky possono essere considerate pregevoli costruzione geometriche, come quella di Mondrian, mentre le opere costituite esclusivamente dalla posa di colori su una tela, oltre alla giustificazione ontologica, sono ancora in attesa di una definizione che non contrasti con la semantica alla quale il termine “astratto” si richiama.
piergiorgio firinu
Verità e logica.
Come è noto Hegel considerava Aristotele il più grande filosofo di tutti tempi, anche se muoveva alcune critiche al trattato delle Categorie. Una delle grandi formulazioni filosofiche di Aristotele riguarda la logica, ampliata dai suoi discepoli Teofrasto e Eudemo. Alessandro di Afrodisia commentò tutte le opere logiche di Aristotele nel libro “Analitici primi”. Lo stagirita considerava la logica come strumento per la ricerca della verità. Questo spiega la ragione per la quale oggi la logica è usata prevalentemente con il metodo matematico. La tendenza è iniziata da Boole e sviluppata da Frege che tentò addirittura di creare una nuova forma di linguaggio basato sulla logica. Quando ci accostiamo alla cosiddetta filosofia dell’arte, soprattutto di matrice statunitense ci rendiamo conto, non solo, come espressamente scritto da Danto, che vorrebbe fare piazza pulita della Metafisica, quasi che un tema che ha improntato di se la filosofia per 25 secoli possa essere cancellato da un parvenu della filosofia. E’messa in ombra soprattutto l’ermeneutica logica della quale uno degli ultimi esponenti è stato George Gadamer . Si tenta cioè di archiviare lo strumento mediante il quale è possibile tentare di chiarire l’ontologia dell’arte. In questo modo il reale e l’immaginario giocano a nascondino senza preoccupazioni di senso. Quando, per venire ai giorni nostri, George Bataille, Merleau-Ponty e Lacan tentano di dare un’identità alla visione dell’arte come vettore di senso, sono costretti a elaborare anche una logica della percezione che ha radici nell’antica filosofia. Tuttavia la ricerca di senso arretra di fronte alla forma vuota. Se, come sostiene Aristotele, l’uomo è principio delle sue azioni, non c’è dubbio che in’epoca in cui domina la Idiocracy appare difficile che l’artista trovi le motivazioni per dare un senso al proprio operare. Persona è parola latina, significa travestimento o apparenza esteriore. Il meccanismo si riflette nell’opera la cui assenza di significato, o delimitazione ontologica, deriva dall’approccio privo di retroterra culturale adeguato. Le opere di Merz, Pistoletto, Kounellis, per citare solo alcuni artisti, hanno radici nella velleità di superare ciò che in realtà non fa parte del loro patrimonio culturale . E’ come affidare a un cieco la descrizione di un paesaggio. L’arte si pone fuori dal reale, in un limbo nel quale ha per riferimento se stessa, si sottrae alla natura , una forma metonimica che accampa pretese di rappresentatività simbolica. Unica rappresentazione che l’arte contemporanea attua, suo malgrado, è la realtà di un presente non più illuminato dalla luce della ragione creativamente utopica.
piergiorgio firinu
Tecnologia,verità, etica.
Secondo la legge di Murphy, una cosa che si può fare alla fine viene fatta. Sono stati raggiunti grandi progressi nella ideazione di PC quantistici enormemente più potenti di quelli oggi in commercio. Queste innovazioni rivoluzioneranno il modo di comunicare, di fare scienza e arte. Il problema è capire se l’attuale società è pronta ad usare i nuovi strumenti. Gli algoritmi influenzeranno sempre di più le nostre attività e decideranno delle nostre vite. E’ iniziata l’Era dei Droni con i quali è possibile colpire più obiettivi in modo preciso e con rapidità. Questo sviluppo tecnologico cambia la configurazione del potere, ci stiamo avviando verso la nascita di nuove oligarchie dalle quali dipendono le nostre vite e alle quali è affidata la sorte del pianeta. Già oggi cultura, arte, economia, sono dominate da una ristretta cerchia di persone. Dobbiamo chiederci se, insieme alla conoscenza tecnica, i gruppi che gestiscono un potere così grande hanno una sufficiente consapevolezza etica. Temo che la risposta sia decisamente negativa. Azioni e comportamenti di personaggi come Trump, Macron, e la struttura tecnocratica della UE, dimostrano un marcato cinismo pragmatico. E quindi è cruciale chiederci cosa può accadere in un mondo nel quale alla crescita esponenziale di potenti strumenti tecnologici fa riscontro una caduta verticale dell’Etica. Già oggi gli USA utilizzano droni per compiere massacri indiscriminati nello Yemen nell’indifferenza del mondo occidentale. Certo non aiutano alla crescita di responsabilità etica teorie come il femminismo che sovrappongono il corpo alla spiritualità e si perdono nella perenne contemplazione del proprio ombelico. Quando serve ci si richiama al passato per giustificare il presente con forzature nell’ermeneutica filosofica di Platone interpretato in un’ottica femminista, come nel recente libro “Platone” della femminista Adriana Cavarero una delle fondatrice del collettivo femminista di Verona denominato Diotima. Va da se che la fondamentale importanza della donna nella società, il ruolo che essa ricopre in ambito della famiglia e della scuola, ha il potere di concorrere alla formazione delle future generazioni e influenzare il presente in senso positivo o negativo. Quindi l’acquisizione di consapevolezza da parte del mondo femminile è determinante.
piergiorgio firinu
Prestigiatori di parole.
Quando Armand-Jean du Plessis de Richelieu nel 1635 fondò l’Académie Francaise lo scopo era purgare la lingua dalle impurità contratte dal linguaggio popolare. La democrazia capovolse la funzione, e in ragione del divenire, gradatamente divenne il popolo a dare linfa all’accademia. Il “Corso di linguistica generale” di Ferdinand de Saussure non ebbe gran seguito neppure tra gli intellettuali il cui linguaggio ha due estremi . L’assoluta oscurità di Heidegger che paradossalmente tentò l’impossibile pubblicando un piccolo e ambizioso libro: “ Che cosa significa pensare?” . La modernità si è autolegittimata ed attrezzata per assorbire ogni insegnamento e subito dimenticarlo, omologare ogni tendenza, dare un significato ad ogni pleonasmo. La Francia, seguendo l’impulso dell’opera di Egène Dalacroix: “ La libertà che guida il popolo”, è salita molte volte sulle barricate, tuttavia il popolo è rimasto popolo, le élite continuano a reggere il bastone. L’arma che serve a soggiogare il popolo è custodita nelle casseforti delle Banche. In compenso vi è totale libertà di eccessi e depravazioni, una massa distratta e rincoglionita è più malleabile. Non sarà un caso se la cultura francese ha riesumato Marchese De Sade sull’onda dell’entusiasmo filosofico di Blanchot. I guru della modernità e della post-modernità, non sempre sono sani di mente ma questo è un vantaggio dal punto di vista della comunicazione. Susan Sontang ha dedicato un libro a Antonin Artaud dal titolo “Sotto il segno di Saturno”, colui che non godeva di sanità di mentale e immaginava un corpo senza organi. La Francia ha seguito alla lettera l’indicazione dell’opera di Delacroix,che ha messo in cima alle barricate una donna in deshabillé. Le donne non sono più scese dalle barricate, anche se le loro pretese e i loro gusti nel frattempo sono cambiati, oppure più semplicemente vengono manifestati in totale libertà. Gli accademici di Francia, dotti prestigiatori della parola, Mallarmé, Bataille, Klossowshi, Levi-Strauss, Robert-Grillet, Foucault, per chi ha avuto la pazienza di leggerli ed è stato in grado di capirli, hanno ognuno messo una piccola tegola sulle barricate del popolo. Roland Barthes è stato affascinato da Ignazio di Loyola e dai gesuiti, quelli che Antoine Arnauld definì “boutique de Satan”. Baltasar Graciàn, dopo avere scritto “Oracolo manuale e arte di prudenza” , affermò: “ anche il sapere deve essere alla moda,e,se non è bene accetto, occorre saper essere ignoranti. Il modo di parlare e il gusto cambiano con il tempo: non si deve parlare all’antica, si deve invece parlare alla moderna…”. Che il sig Bergoglio e i populisti abbiano letto Graciàn?
piergiorgio firinu
Mitizzare la violenza.
Forse nessun libro ha descritto la folla come annullamento delle differenze con l’efficacia di Elias Canetti in “Mass und Macht”. In ogni ambito della conoscenza la diffusione del sapere in senso orizzontale ha potenziata la tendenza a dare una interpretazione di comodo al pensiero e alla storia umana a iniziare dal mito. Nietzsche e Rudolf Otto, hanno trasformato il carattere odioso di Dionisio, sottacendone la vera natura fatta di violenza e malvagità. Euripide è indubbiamente estraneo a simile interpretazione. Solo il donchisciottismo masochista del mondo di oggi poteva trovare dilettevole un dio che semina odio e distruzione. Il dio non ha essenza propria al di fuori della violenza. Se, al pari dell’Apollo di Delfi e del mito di Edipo, Dionisio è associato all’ispirazione profetica è soltanto perché nell’ebbrezza dell’abbandono dionisiaco si attua il rito sacrificale. Non vi è nulla nella tradizione dionisiaca antica che si riferisca alla cultura della vite o alla fabbricazione del vino. Tiresia definisce Dionisio il dio dei moti panici, dei terrori collettivi, egli incarna la più abominevole delle violenze, è sorprendente che venga associato, a partire da Nietzsche, alla gioia della festa, sia pure sfrenata delle Baccanti. Sotto il nome di Bromios, il Rumoroso, il fremente, Dionisio provoca un imprecisato numero di disastri. L’analisi dei testi conferma le ipotesi che fanno del culto di Dionisio un invito al sommovimento sociale. L’opera di Erwin Rohde esprime forse la più chiara e completa intuizione sulla vera natura del mito dionisiaco. Gli uomini hanno sempre tentato di porre la violenza al di fuori di se stessi, in una entità separata, sovrana e redentrice, utilizzando una vittima espiatoria. La civiltà di massa ha creato le premesse per dare carattere collettivo alla ricerca del capro espiatorio. I genocidi programmati del secolo breve ne sono testimonianza. L’ispirazione tragica dissolve le differenze fittizie nella violenza. Demistifica l’illusione di una comunità innocente. Abolite le differenze di genere, nelle feste dionisiache era permesso alle donne di bere vino, esse rivelavano una violenza ben più terribile di quella maschile. Sono infatti le donne le principali protagoniste dei baccanali dionisiaci. Euripide avverte tale ambiguità e la sottolinea. Marie Delcourt-Curvers si chiede quale significato abbia inteso dare il poeta allo scatenarsi delle Agave e delle sue compagne. La ripartizione manichea in buoni e cattivi si dissolve nel baccanale e tutto ciò che l’essere umano è nel suo profondo, viene fuori nell’esternazione della più sfrenata violenza. Sul ruolo delle donne nelle società primitive è ritornato Lèvi-Strauss nel suo saggio “Tristes Tropiques”, studiando i villaggi sudamericani dei Bororo. Il dionisiaco contemporaneo si attua anche attraverso la femminilizzazione degli uomini e la virilizzazione delle donne. L’idea accettata che gli uomini si comportino come donne e le donne come uomini provoca un preoccupate scompiglio. L’annullamento graduale delle differenze sessuali marca il regresso di una società confusa che non ha più neppure la capacità di avvalersi del rito per esorcizzare i radicalismi che rendono così effimero lo stesso concetto di civiltà.
piergiorgio firinu
Memoria e riflessione.
Dobbiamo tener presente l’analisi della coscienza nelle determinazione storica dei fenomeni culturali. Ciò significa che, quando un fenomeno artistico è contingente, cioè si situa nel presente, la sua percezione può essere di carattere emotivo ma non assume una vera rilevanza culturale. Sebbene sulla base della percezione sensibile il nostro interesse pratico ed emotivo possa essere risvegliato, si tratta di una sensazione transitoria che non ha rilevanza di carattere gnoseologico e si riduce a pura sensazione. Husserl tenta di risalire all’origine superando la idealizzazione dell’opera che costituisce particolare difficoltà per la soggettività dell’ego dell’artista il quale raramente sembra possedere un filtro critico, ma assume prevalentemente presunte positività trascurando le instantiae negativae. Bacone annovera tra gli idola tribus la tendenza a conservare nella memoria solo il positivo dimenticando le istantiae negativae. Qualcosa di analogo si verifica in rapporto al discrimine linguistico che determina le convenzioni. A partire dal Prometeo di Eschilo. L’ottimismo è un carattere dell’esperienza umana dal punto di vista del significato antropologico. La testimonianza più antica possiamo trovarla in Anassagora tramandateci da Plutarco . Platone attesta tuttavia, allo stesso modo di Aristotele, che si tratta di una tendenza a superare le forme di criticità non attraverso la riflessione, ma piuttosto in forma di superamento affidato alla amnesia. Temistio commenta e illustra questo passaggio richiamandosi alla difficoltà di apprendimento di cui parla anche Aristotele riferendosi ai concetti della scienza. Ecco dunque che quando l’artista produce un’immagine senza risvolti di carattere gnoseologico, sulla base di una epistemologia basata sull’emozione , il suo raccoglierli in serie successive conduce all’unità dell’archè, termine che significa insieme “comando” e “principio”. La negatività può anche avere un senso peculiarmente produttivo. Non può essere semplicemente illusione, riconosciuta come tale, ma una capacità di utilizzare la sensibilità consapevole per arricchire il proprio bagaglio di conoscenza. Su questo principio, analizzato da Hegel, richiama l’attenzione Heidegger , che se ne è sentito insieme attratto e respinto. In nessun caso comunque è stato risolto il difficile problema della lettura produttiva dell’opera d’arte il cui contenuto oggettivo resta di difficile definizione.
piergiorgio firinu
Considerazioni sull'umile candela.
La candela, umile oggetto ormai in disuso anche se amato specie dai seguaci della new age, è stato utilizzato come oggetto di riferimento per dispute filosofiche tra Descartes e Locke che hanno scritto due storie diverse ma complementari della candela: il primo ne ha realizzato uno schema intellettuale espropriato di ogni senso comune: “ Che cosa è dunque, ciò che si conosceva con tanta distinzione in quel pezzo di cera? Certo non può essere niente di quel che vi ho notato per mezzo dei sensi, poiché tutte le cose che cadevano sotto il gusto o l’odorato o la vista o il tatto o l’udito si trovano cambiate, e tuttavia la cera stessa resta….” Locke vede invece l’altra faccia: il grado d’intensità della esperienza ordinaria che è sufficiente per non metterci un dito sopra: “ Poiché, non rispondendo le nostre facoltà alla piena estensione dell’essere, né a una conoscenza perfetta , chiara e comprensiva delle cose , libera da ogni scrupolo e dubbio, bensì soltanto alla conservazione di noi stessi, cui sono date; e rispondendo esse, da come sono costruite, all’uso della vita, servono assai bene al nostro scopo finchè ci danno soltanto notizia certa di quelle cose che sono per noi convenienti o dannose. E infatti, chi veda un candela accesa, e abbia fatto esperienza della forza della fiamma mettendovi sopra un dito, non dubiterà davvero che esiste fuori di lui, che gli fa del male…” La scienza e il senso comune si sostengono reciprocamente; cioè sono aree che si spartiscono compiti e competenze diverse. Il senso comune per Locke finisce per essere tutto ciò che non è scienza; e quindi è odore, sapore, gusto e simili entro nessi di concomitanza empirica che costituiscono guide sicure per l’orientamento pratico. Il salto che a noi pare enorme tra i risultati della scienza di oggi, sono avvenuti con gradualità nell’accettazione comune di quelli che, viste nell’ottica degli antichi, sono scoperte strabilianti.
piergiorgio firinu
Cultura e notorietà.
L’incipit del VIII capitolo dei Promessi sposi. “Carneade! Chi era costui? Ruminava tra se don Abbondio seduto sul seggiolone..”. Il sofista greco Carneade, è così entrato nella storia della letteratura. Ma quanti carneadi hanno dedicato la loro vita a scrivere libri che ben pochi hanno letto. La convinzione che la cultura abbia grande influenza sulla società forse, nell’era di Internet, va rivista. A meno che per cultura s’intenda il trip del momento dei mezzi d’informazione che stranamente si avventano come mosche sempre sulla stessa m…a. La produzione di libri e la pubblicità che li accompagna, non ha, come scopo primario educare il pubblico. Piuttosto la cultura di massa va a traino dei fenomeni estemporanei e segue il gusto del pubblico. Esempio significativo in tal senso: i graffiti. Da espressione spontanea e gratuita di giovani marginali, sono diventati opere da museo pagate a caro prezzo. Radicato principio della democrazia moderna nella quale conta il numero, cioè la quantità, mai la qualità. Nicola Cusano definisce il sapere umano un sapere sempre confrontabile, mai reale. L’abbassamento del livello delle opere produce un effetto domino amplificato dai mezzi di comunicazione di massa. Il sostantivo “cultura” è usato come etichetta per attività e manifestazioni sociali di ogni genere. La “cultura” del cibo, la “cultura” della pipa, la “cultura” della droga. E così di seguito. In compenso la cultura senza aggettivi sembra diventata residuale. La lettura, esercizio solitario, richiede tempi di riflessione. La letteratura di evasione ha maggiore successo perché può essere letta in metropolitana.
piergiorgio firinu
Aporie.
Dopo che i movimenti storici d’avanguardia hanno svelato l’istituzione arte come soluzione dell’enigma dell’effetto, o della mancanza d’effetto, dell’arte, nessuna forma artistica può rivendicare la pretesa di valere per un tempo indefinito, solo per se stessa. La pretesa è stata liquidata definitivamente. Non è stato ancora chiarito il significato dell’avanguardia per la teoria estetica contemporanea, questione a suo tempo affrontata da Adorno. Sull’argomento Burkhardt Lindner ha fornito uno degli spunti più interessanti, egli afferma che nel suo intento di superamento dell’arte nella prassi vivente dell’avanguardia può essere pensata come il più radicale e coerente tentativo di salvaguardare l’universale pretesa di autonomia dell’arte contro tutti gli altri ambiti particolari della società conferendo ad essa un significato pratico. Ovviamente simili giudizi globali andrebbero definiti nelle loro sfumature. Il significato della cesura nella storia dell’arte, provocata dai movimenti storici, non è consistita nella distruzione dell’istituzione arte, ma nella impossibilità di considerare valide le norme estetiche. E’ sfuggito ai movimenti dell’avanguardia, che eliminando il riferimento si rendeva possibile ogni sviluppo dell’aporia. Anche per questo l’avanguardia ha fallito.
piergiorgio firinu
Linguaggio e formazione del concetto.
La formazione naturale del concetto va di pari passo con il linguaggio, ma non segue sempre l'ordine dell'essere, piuttosto forma le parole molto spesso sulla base di accidenti e relazioni, è cosa che trova la sua conferma appena si dà un'occhiata alle diaireseis platoniche o alle definizioni aristoteliche. Ma la preminenza dell'ordine ontologico, che è definito dai concetti di sostanza e accidente, riduce la formazione naturale dei concetti portati mediante il linguaggio al rango di una imperfezione legata alla limitazione della nostra mente. Solo perché noi conosciamo soltanto gli accidenti ci atteniamo ad essi nella formazione dei concetti. Anche se ciò è vero, da tale imperfezione consegue tuttavia un peculiare vantaggio che Tommaso d’Aquino sembra aver giustamente riconosciuto, cioè la libertà di una indefinita formazione di concetti di un sempre ulteriore possibile approfondimento del contenuto del pensiero. Se il processo del pensiero viene visto come processo di esplicazione attraverso la parola, viene in luce una funzione logica del linguaggio che non è possibile concepire chiaramente in base al rapporto con un ordine obiettivo delle cose quale può apparire solo all'occhio di una mente superiore. La subordinazione della formazione naturale dei concetti di cui il linguaggio è tramite, costituisce la struttura obiettiva della logica, che si afferma in Aristotele e anche in Tommaso D'Aquino. Questa modalità logica ha quindi solo una verità relativa. Dovremmo dunque rivolgere la nostra attenzione alla formazione Naturale dei concetti come essa accade nel linguaggio. Le idee diventano possibili solo quando si realizza il rapporto naturale di intima unità tra pensare e parlare. Cusano sviluppa una dottrina della conoscenza , nella quale si incrociano motivi platonici e nominalistici. Egli sostiene che ogni conoscenza umana è pura opinione perché basata su una inevitabile imprecisione dovuta alla parzialità del sapere. Ed è questa la dottrina che anche il linguaggio necessariamente pratica, affidandosi a scelte arbitrarie. Potremmo dire che l’evoluzione del linguaggio è dovuta in pari misura al caso e alla necessità esattamente come il linguaggio dell’arte sul quale si sprecano ermeneutiche e definizioni che in realtà ignorano la motivazione vera dell’agire dell’artista. Forse per l’elementare ragione che una ragione spesso non c’è.
piergiorgio firinu
La coscienza percettiva.
Secondo una linea propria l’analisi riflessiva non ci fa ritornare alla soggettività autentica; essa nasconde il ganglio vitale della coscienza percettiva, in quanto ricerca le condizioni di possibilità dell’essere assolutamente determinato e si lascia tentare dalla pseudo evidenza della teleologia che il nulla non è niente. Tuttavia i filosofi che l’hanno praticata hanno sempre intuito che c’era da cercare al di sotto della coscienza assoluta. Questo si evidenzia nella filosofia di Cartesio, ma sarebbe possibile dimostrarlo con altrettanta pertinenza a proposito di Lagneau, Alain e altri. Una volta condotta a termine l’analisi riflessiva non dovrebbe più lasciar sussistere, dalla parte del soggetto, se non un naturante universale per il quale esiste il sistema dell’esperienza, ivi compresi il mio corpo e il mio io empirico, collegati al mondo dalle leggi della fisica e della psicofisiologia. La sensazione che noi costruiamo come prolungamento “psichico” degli eccitamenti sensoriali non appartiene evidentemente al naturante universale e ogni idea di una genesi dello spirito risulterà spuria, in quanto ricolloca nel tempo lo spirito per il quale il tempo esiste, in quanto confonde i due Io. Tuttavia se noi siamo questo spirito assoluto, senza storia, e se nulla ci separa dal mondo vero, se l’io empirico è costituito dall’io trascendentale e se è dispiegato davanti a esso, dovremmo scoprirne l’opacità, non si vede come sia possibile l’errore, e tanto meno l’illusione, ossia la “percezione anormale” che nessun sapere può far scomparire. Si può ben dire che l’illusione e l’intera percezione sono al di qua della verità come dell’errore. Ma ciò non ci aiuta a risolvere il problema, giacchè si tratta allora di sapere come uno spirito può essere al di qua della verità e dell’errore. Quando sentiamo, noi non appercepiamo la nostra sensazione come un oggetto costituito in una rete di relazioni psicofisiologiche. Noi abbiamo la verità della sensazione. Non siamo di fronte al mondo vero. E’ la stessa cosa dire che noi siamo individui e dire che in questi individui c’è una natura sensibile in cui qualcosa non risulta dall’azione dell’ambiente. Se nella natura sensibile tutto soggiacesse alla necessità, se per noi ci fosse una maniera di sentire che si identificasse con quella vera, se ogni istante la nostra maniera di sentire risultasse dal mondo esterno, allora noi non sentiremmo. Così, il sentire non appartiene all’ordine costituito, non dispiegato di fronte all’Io, ma sfugge al suo sguardo, è come raccolto dietro di esso, vi forma una sorta di spessore o di opacità che rende possibile l’errore, delimita una zona di soggettività o di solitudine, ci rappresenta ciò che è “prima” dello spirito, ne evoca la nascita e sollecita una analisi più profonda che farebbe luce sulla “genealogia della logica”. Lo spirito ha coscienza di sé come “fondato” su Natura. C’è dunque una dialettica del naturato e del naturante, della percezione e del giudizio, nel corso del quale il rapporto si capovolge. Dare forma alla possibilità del sentito/pensato è compito dell’arte, se non vuole essere null’altro che oleografia dell’irresponsabilità semantica. L’opera dell’artista dovrebbe concretizzare in materia visibile sensazioni che ai più sfuggono, dunque aprire la possibilità di una maggiore fruita sensibilità.
piergiorgio firinu
La grande letteratura russa.
Come e forse più che la rivoluzione francese del 1789, la rivoluzione russa fu preparata e seguita dai grandi scrittori. Oggi, quando si parla di cultura, si tende a dare un gran peso all’internazionalismo e al multiculturalismo, soprattutto si tende a negare le radici nazionali della cultura. E’ curioso che la Russia abbia dato vita a una quantità di grandissimi scrittori, alcuni forse sopravalutati, come Leonid Andreev, di cui Piero Gobetti fu grande ammiratore e che citò nel suo libro Il “Paradosso”. Ma non c’è dubbio che l’elenco degli scrittori che hanno lasciato il segno nella storia, non solo nella letteratura, sarebbe davvero lungo. Dostoevskij,Gor’hij, Tolstoj, Pastenak, Puschkin, Turgenev. Vi è un aspetto singolare; a tanti talenti letterari non fanno riscontro filosofi di pari levatura. Quando Lenin si cimentò con la filosofia scrisse: “Empiriocriticismo”. Non certo un tema che possa aspirare a rappresentare il vertice del pensiero filosofico. In compenso molte opere di Dostoevskij sono considerati i veri e propri trattati di psicologia. i Turgenev a sua volta trasse ispirazione dalla filosofia di Schopenhauer . “Padri e figli” è chiaramente ispirato alla filosofia del filosofo tedesco preferito dallo scrittore il quale non apprezzava affatto Hegel. L’interesse per Schopenhauer, anche se non poteva diventare fenomeno di massa, fu assai diffuso nella Russia del tempo di Turgenev. L’altro grande schopenhaueriano della letteratura russa fu Tolstoj.Se confrontiamo la qualità e i temi degli scrittori citati, altri se ne potrebbero aggiungere, e seli paragoniamo alla letteratura contemporanea mediamente considerata non abbiamo motivo di ottimismo. Gli aedi del progresso si affannano a valorizzare il presente, il dubbio è che non conoscano il passato o che non abbiano capito il presente che esaltano.
piergiorgio firinu
Memorie e Riflessioni.
Dobbiamo tener presente l’analisi della coscienza nelle determinazione storica dei fenomeni culturali. Ciò significa che, quando un fenomeno artistico è contingente, cioè si situa nel presente, la sua percezione può essere di carattere emotivo ma non assume una vera rilevanza culturale. Sebbene sulla base della percezione sensibile il nostro interesse pratico ed emotivo possa essere risvegliato, si tratta di una sensazione transitoria che non ha rilevanza di carattere gnoseologico e si riduce a pura sensazione. Husserl tenta di risalire all’origine superando la idealizzazione dell’opera che costituisce particolare difficoltà per la soggettività dell’ego dell’artista il quale raramente sembra possedere un filtro critico, ma assume prevalentemente presunte positività trascurando le instantiae negativae. Bacone annovera tra gli idola tribus la tendenza a conservare nella memoria solo il positivo dimenticando le istantiae negativae. Qualcosa di analogo si verifica in rapporto al discrimine linguistico che determina le convenzioni. A partire dal Prometeo di Eschilo. L’ottimismo è un carattere dell’esperienza umana dal punto di vista del significato antropologico. La testimonianza più antica possiamo trovarla in Anassagora tramandateci da Plutarco . Platone attesta tuttavia, allo stesso modo di Aristotele, che si tratta di una tendenza a superare le forme di criticità non attraverso la riflessione, ma piuttosto in forma di superamento affidato alla amnesia. Temistio commenta e illustra questo passaggio richiamandosi alla difficoltà di apprendimento di cui parla anche Aristotele riferendosi ai concetti della scienza. Ecco dunque che quando l’artista produce un’immagine senza risvolti di carattere gnoseologico, sulla base di una epistemologia basata sull’emozione , il suo raccoglierli in serie successive conduce all’unità dell’archè, termine che significa insieme “comando” e “principio”. La negatività può anche avere un senso peculiarmente produttivo. Non può essere semplicemente illusione, riconosciuta come tale, ma una capacità di utilizzare la sensibilità consapevole per arricchire il proprio bagaglio di conoscenza. Su questo principio, analizzato da Hgel, richiama l’attenzione Heidegger , che se ne è sentito insieme attratto e respinto. In nessun caso comunque è stato risolto il difficile problema della lettura produttiva dell’opera d’arte il cui contenuto oggettivo resta di difficile definizione.
piergiorgio firinu
Il conservatorismo di Heidegger.
Heidegger arriva a rimettere in questione i concetti del mondo e di ente intramondano quali erano configurati nella sua opera principale “Sein und Zeit” .Questa rimessa in discussione avviene quando egli si pone il problema dell’opera d’arte. La riflessione sull’opera d’arte ha molta importanza sullo sviluppo del pensiero del filosofo. Egli tenta di affrontare i problemi che erano rimasti aperti nelle sue precedenti opere. Per Heidegger l’opera d’arte non è il prodotto di un conflitto, ma il conflitto stesso in atto. Uno dei modi in cui il conflitto si attua è l’accadere della verità nella sua natura più profonda. Ci sono vari modi in cui la verità “stabilisce se stessa nella propria apertura”, sono certi eventi decisivi per la storia della verità e dell’essere stesso: l’atto di fondazione di un ordine politico, l’esperienza religiosa, l’esperienza morale, la filosofia. Nel saggio sull’origine dell’opera d’arte, l’operare dell’artista è visto come uno dei modi in cui l’essere realizza il progetto. Qui emerge a chiare lettere tutta l’inattualità delle considerazioni di Heidegger. L’arte contemporanea infatti ha rinunciato ad imprimere un mutamento radicale attraverso una nuova epistemologia, in questo modo ha sottratto all’arte la facoltà di poter configurarsi come documento storico, ma solo espressione contingente della contemporaneità. L’arte ha perso ogni vera autenticità che gli deriva dalla corrispondenza di una riflessione che mal si concilia con i funambolismi delle avanguardie storiche. L’opera, anziché agire come apertura verso un nuovo mondo, si limita a crogiolarsi in una appagante mondanità il cui sostrato è il mercato. Questo vale a chiarire in maniera concreta le ragioni di una deriva dell’arte che ha rifiutato storia ed epistemologia ed ha orientato se stessa esclusivamente verso il soddisfacimento delle richieste del mercato, cioè di una massa di borghesi la cui ricerca di status symbol prescinde dalla conoscenza del loro significato, ammesso che, a questo punto, le opere un significato lo abbiano.
piergiorgio firinu
Ermenenutica o creazione?
Si può definire comprensibile ciò che costituisce veramente un’unità di senso. Quando leggiamo un testo, osserviamo un'opera, automaticamente cerchiamo di anticiparne la completezza e darne una nostra definizione, ovviamente se il presupposto si rivela inadeguato, l'opera non ci lascia capire semplicemente perché noi diamo la nostra interpretazione, dubitiamo delle trasmissioni attraverso l'opera che ci giunge e cerchiamo di escogitare un modo per comprendere le regole che adottiamo per l’accertamento critico. La corretta interpretazione del contenuto non sempre coincide con quanto l'artista si proponeva di rappresentare. A questo punto si apre un interrogativo: è compito dell’artista rendersi comprensibile, oppure è l’osservatore che deve adattare la propria interpretazione al contenuto? Può essere adeguata l’espressione di Ludwing Wittgenstein: “va bene così”. L’immanente unità di senso fornisce una guida all'osservatore nella comprensione se non si affida a ragioni trascendenti, intenzioni di senso da cui dovrebbe nascere un rapporto con la verità di quello che presumiamo essere il contenuto dell'opera. Come il destinatario di una lettera capisce le notizie che riceve nel vedere cose con gli occhi del corrispondente, cioè assume per vero ciò che questi scrive non va invece specificatamente a capire, poniamo, la particolare opinione dell'autore della lettera. Così in generale noi comprendiamo anche le opere della tradizione sulla base di aspettative di senso che derivano dal nostro precedente rapporto con ciò che conosciamo. Quando si interrompe questa catena logica è inevitabile che si debba affrontare una chiarificazione ulteriore. Non basta semplicemente sostenere che una relazione tra L'opera ha il senso che l'autore ristabilisce esista.. Questo non è possibile perché noi ci troviamo sempre di fronte a una realtà la cui conoscenza è demandata a forme incomplete di rappresentazione e quindi di comprensione. L’originario atto produttivo che noi conoscevamo presuppone una epistemologia decifrabile che si riflette nell’ontologia dell’opera. La presunzione dalla critica di capire l’autore meglio di quanto egli capisca se stesso e il proprio operato, costituisce l’equivoco apodittico che è alla base della equivoca posizione dell’arte contemporanea. Tale presunzione ha origine nel principio legato all'estetica del genio. Dobbiamo però ritornarvi in quanto tale principio alla luce delle considerazioni che abbiamo appena svolto acquista un nuovo significato nel momento in cui affrontiamo nel discorso di ermeneutico il problema della comprensione dell'opera senza una traccia che ci guidi. Il susseguirsi nella produzione artistica delle cosiddette “opere di rottura” non fa che frammentare la logica della narrazione con inevitabile perdita di senso. La verità dell'Opera si annida nella più oscura espressione di vita, e tuttavia viene presa sul serio nella sua pretesa verità. Anche questo, anzi proprio questo, si richiama al comprendere. La dimensione del problema ermeneutico è stata screditata dalla coscienza storica ad opera di una svolta psicologica impressa all’ermeneutica. Schleiermacher, ha fatto venire alla luce le aporie dello storicismo. La critica pretende di dare interpretazioni legandole a risvolti sociali, come nella Storia Sociale dell’Arte di Arnold Hauser. Ciò ha finito per spostare il problema estetico sul piano sociologico. Questione affrontata da Decker che ha messo in risalto come, sulla base di una collocazione ontologica priva di basi epistemiche, si rischia di navigare nel vuoto di significati. Si pone anche il problema della estemporaneità. La questione temporale non è secondaria, anche se spesso è soggetta a forzature ideologiche. La creazione dell'autore deve poter mantenere il significato a prescindere dalla distanza temporale. Consapevoli di questo problema alcuni critici hanno ripiegato sulla transitorietà dell’arte di “consumo”, buttando alle ortiche il valore “universale” dell’arte. Questa ermeneutica prêt- à- porter ha spalancato un abisso che si tenta di colmare con artifici dialettici sempre più astrusi. La continuità della tradizione, alla cui luce si mostra tutta la precarietà creativa, si arena in una realtà sempre più alienata.
piergiorgio firinu
Va bene così.
La lettura della critica e della filosofia dell’arte di questi ultimi 50 anni ci mette di fronte al fatto che l’ermeneutica delle opere non è più possibile nella forma oggettiva. Come scrive Gadamer : “ Dove abbiamo a che fare con un ‘opera d’arte , l’intentio è, per così dire, entrata interamente nell’opera e non può più venire cercata dietro o davanti all’opera stessa. Per questo si restringe il valore di tutte le introvedute biografiche e storico-genetiche in riferimento all’opera d’arte……L’opera “sta” qui. Se la sua storia degli effetti è appunto sua, allora quest’ultima non sussiste in ogni uso e abuso che viene fatto ad essa”. In realtà ci troviamo di fronte ad una sorta di camicia di Nesso, la realtà storica del qui e ora, esclude la possibilità di collegare l’opera a un discorso storico o teorico più ampio. L’artista il più delle volte non sa rendere conto del perché abbia realizzato l’opera (dottrina del nescio quid di Leibniz) e tuttavia l’opera è una realtà affidata alla interpretazione degli addetti ai lavori, i quali, a prescindere da scienza e conoscenza, vivono anch’essi nel presente vincolati ad una realtà fenomenologica sulla quale non hanno potere. Pareyson sosteneva che il fare artistico trova le proprie regole in corso d’opera. Nella pretesa di superamento di forma e significato l’artista compie un gesto arbitrario la cui unica giustificazione è data dalla narrazione che a sua volta è strettamente legata al valore economico ed ai risvolti sociali delle opere. Questo è confermato in modo lapalissiano dal fatto che molti sono gli artisti, pochi gli eletti, non sempre, anzi sarebbe più corretto dire raramente, per il reale valore dell’opera stessa. L’immagine dell’azione guidata da una prassi inconsapevole si affida al divenire storico che prescinde dal valore. Come sosteneva Charles Peirce: “ Un segno legge e una legge che è un Segno. Questa legge è fissata dagli uomini. Ogni segno convenzionale è un segno legge”. La presunta complessità dell’arte, la creatività dell’artista, in realtà si riducono al va bene così di Wittgenstein. Offrono pretesto per narrazioni infinite alla ricerca di un significato assente, com’è assente il contenuto estetico, dovuto alla rinuncia degli artisti contemporanei a misurarsi con l’arte nelle modalità epistemologiche sue proprie.
piergiorgio firinu
La cultura della classe al potere.
Se si ha la capacità di resistere alla depressione, può essere interessante considerare i comportamenti di taluni mostri sacri della cultura tutt’oggi celebrati. Massimo Gorky inneggiava ai Gulag comunisti. Nel 1943 Simone de Beauvoir viene cacciata dal ministero dell’educazione nazionale per aver trattenuto rapporti sessuali con una sua allieva. Con lungimiranza Rousseau, Schopenhauer, Nietzsche, Marinetti e molti atri intellettuali esprimono apertamente il disprezzo per la donna. Il 25 Giugno 1984 l’omosessuale Foucault muore di Aids. Nel 1972 Andy Warhol dipinge ritratti cartellonisti, secondo il suo stile, di Lenin e Mao. Cartier Bresson inaugura una serie di foto: “Godo per strada” “Godete qui e ora” . E’ in auge il motto:“vietato vietare”. Questi gli slogan dei “rivoluzionari” degli anni ’70 del secolo scorso. Alla Sorbona, tempio del sapere, circolano indicazioni del genere: “ Non dire più sig. professore, ma crepa stronzo”. Il sesso nelle aule universitarie e nelle scuole è prassi ordinaria. Non sapendo scrivere si ricorre all’affermazione:“L’ortografia è un mandarino”. E’ in atto un crescendo di parossismo “libertario”. La crema della cultura parigina firma una petizione da mandare in parlamento con la richiesta di abrogare la legge che vieta la pedofilia. I firmatari sono: Althuser (che assassinerà la moglie e finirà in manicomio), Aragon, Barthes, Beauvoir, Chatelet, Chèreau, Bory, Cuny, Deleuze, Derrida, Dolto, Jean Pierre Faye, Gavi, Gluckmann, Guattari, Daniel Guérin, Guyotat, Jacques Henric, Hocquenghem, Kouchner, Jack Lang, Lapassade, Leiris, Lyotard, Mascolo, Matzneff, Catherine Millet, Ponge, Olivier Revault, d’Allonnes, Robbe Grillet, Christiane Rochefort, Daniel Sallenave, Sarte, Schérer, Sollers…..Chi lo desidera può cercare le opere dei singoli autori. Ovviamente è solo l’elenco di intellettuali francesi che non sono dissimili dagli intellettuali del resto del mondo. Il manifesto citato è uno dei tanti “manifesti rivoluzionari” in auge negli anni ’60- ’70 che tutt’ora sono uno strumento di diseducazione di massa usato abitualmente dalla sinistra. Gli intellettuali elencati sono considerati grandi maitre a pense, i loro testi hanno “educato” le generazioni che oggi sono al potere, e continuano tutt’ora a influenzare le giovani generazioni. Nessuno ha più il diritto di stupirsi di ciò che accade. Il tramonto dell’occidente vaticinato da Oswald Spengler è pressoché compiuto.
piergiorgio firinu
Utopia capovolta.
L’essere umano, fin dai primordi, è sempre stato spinto alla ricerca dell’oltre, quello che Platone ha descritto nella “Repubblica”, Tommaso Campanella ne “La città del sole” Tommaso Moro in “Utopia” . Afflati spenti dalla pressione della necessità e dei condizionamenti dell’io, del corpo e suoi stimoli. Vi è inoltre la tendenza alla frammentazione di pensieri e attività, in parte dovuta alla necessità e all’abitudine. Biagio Pascal (Pensieri) pur attribuendo all’essere umano una superiorità sulla natura, quando scrive: “L’uomo non è che un giunco, il più debole della natura; ma è un giunco pensante”. Abbandonarsi alla eudaimonistica finisce per emarginare il pensiero e lasciar prevalere l’animale. La decadenza umana è in larga parte occultata dal progresso tecnico. Nessun animale va sulla luna, Nessun animale crea strumenti di produzioni sofisticata e di comunicazioni come quelli creati dell’uomo. E’ esattamente questo il grande inganno. L’enorme sviluppo della tecnica ha insuperbito l’essere umano, lo ha indotto a ritenere superflue le basi etiche della propria natura. L’arte, la cultura, la società in generale si sentono esonerati dal rispetto delle norme che hanno permesso la nascita della civiltà. Shaftesbury usa la metafora del mendicante che attribuisce titoli onorifici a chiunque per ottenere un obolo, pensando che ognuno potrebbe essere un uomo di potere. Trascurando le basi culturali il potere perde la capacità di percepire i moti sociali. Non vi è più alcun residuo di umiltà. La cultura e l’arte contemporanea sono null’altro che frammenti di pensieri autorefenziali, divagazioni sul nulla. E’ aberrante che il potere definisca leggi di civiltà, dovere morale, la omologazione delle peggiori depravazioni. Utopia capovolta. L’arte contemporanea ha totalmente fallito nella pretesa rivoluzionare epistemologia. Lo svilimento del linguaggio formale del’arte, la rozza rappresentazione della realtà costituiscono un impoverimento culturale e sociale che si farà fatica a superare.
piergiorgio firinu
Arte e secrezioni.
Forse dovremmo renderci conto che i nostri limiti non sono solo e sempre determinati da fattori esterni, essi nascono dentro di noi. Droysen definisce il rapporto tra libertà e necessità come capacità o assenza volitiva di controllo. Nel Saggio sull’intelletto umano Locke costruisce la sua antropologia accettando due soli principi naturali innati, il desiderio della felicità, cioè il piacere, l’avversione per il dolore. Egli non sembra rendersi conto che ridurre l’essere umano a questi due principi, a parte l’ovvietà della preposizione, lo riducono simile a tutti gli altri animali, ma privato dell’istinto. Locke non fa altro che confermare i capisaldi della antropologia hobbesiana , egli pone le basi di ciò che sarebbe seguito: trionfo del materialismo economicistico, fino a pervenire alle teorie del pensiero debole. Del tutto trascurato il messaggio che guida gli uomini nella ricerca di motivazioni della propria esistenza, ovvero stabilire se davvero l’esistenza si riduce a pura animalità. Parlare di disagio dello spirito, come alcuni filosofi ancora si azzardano a fare, diventa del tutto pleonastico, domina l’impulso del desiderio, che diventa disagio psichico quando il desiderio non è appagato. Non c’è dubbio che riducendo ogni cosa al desiderio, al cinico pragmatismo, si spalanca una porta aperta, si da spazio e credito alle premesse dei movimenti di pensiero sostanzialmente distruttivi . Economicismo e femminismo, entrambi nati da una costola del capitalismo, tendono a trasformare le masse in orde di consumatori compulsivi, quelli, per intenderci, che passano la notte fuori dei magazzini in occasione di saldi. Il femminismo fa di peggio. Sostenendo la parità uomo donna, principio ineccepibile, in realtà quando scrive libertà si legge sesso. L’arte contemporanea, tra le altre sciagure, ha subito l’onda d’urto della corporalità femminista che ha posto il sesso, il corpo, al centro dell’idea di arte, con aggiunta degli effetti collaterali, secrezioni, evacuazioni, sperma e quant’altro. Ecco dunque Hobbes e Locke hanno ottenuto successo al di là delle loro intenzioni.
piergiorgio firinu
Pandora. La fine della storia.
Heidegger formula riflessioni sul tema della fine della storia 75 anni prima di Francis Fukuyama. Anche Alexandre Kojève trasse dai suoi studi hegeliani la conclusione che la storia fosse giunta di fatto a una conclusione. Kojève condivideva con Dostoevskij la prospettiva antropologica secondo cui l’esistenza umana si presenta come una serie di lotte derivanti dal desiderio di appagamento. Quanto più il livello dell’umanità si avvicina al regno animale, tanto più la natura dell’appagamento si riduce al soddisfacimento di bisogni elementari. Lo psicodramma spirituale della storia del mondo che ha indotto a creare religioni e stimolata la riflessione filosofica, si disperde nella materialità sessuale e consumistica. La padronanza del proprio corpo, estranea alla natura femminile, determina i comportamenti e le scelte. Letteratura, arte, e finanche la filosofia non sono volte alla ricerca di soluzioni esistenziali possibili, per quanto difficili, ma piuttosto a mettere al centro esigenze fisiche e materiali. Partendo da un ipotetico originario confronto, prima tra individui poi tra classi, siamo arrivati al conflitto di genere. La coscienza infelice di un’antropologia non risolta, riesuma la primordiale battaglia per la sola esistenza. Secondo il mito greco, il primo essere umano di sesso femminile creato dagli dei fu Padora da cui ebbero inizio i vizi del mondo. E’ significativo che tutte le religioni videro la donna come fonte di corruzione. Fino all’era moderna ciò poteva apparire un pregiudizio. Oggi è una realtà che coincide con arte, cultura, filosofia. Le astratte formulazioni di Hegel, Heidegger, Kojève sono oggi realtà quotidiana esibita sui media nella letteratura e nell’arte. Che l’idea faccia agire le passioni a suo vantaggio, quella che Hegel chiamava: “l’astuzia della ragione”, si è dimostrata fallace. La prevalenza dell’animale umano è ben dissimulata dalla tecnologia che conferisce una sorta di delirio d’onnipotenza. Il contenuto del vaso di Pandora è così capillarmente diffuso da essere pressoché invisibile. Intanto una vittima di pedofilia femminile governa la Francia, un tycoon ignorante è a capo degli USA, una donna con evidenti problemi di equilibrio è a capo dell’Inghilterra. L’arte si defila interessata più che altro alle quotazioni dei singoli beniamini del mercato. Abbiamo un magnifico futuro dietro alla spalle.
piergiorgio firinu
Il se.
Ci sono due modi d’essere e due soltanto: l’essere in sé, che è quello degli oggetti dispiegati nello spazio, e l’essere per se che è quello della coscienza. Il sovrapporsi e confondersi dei due modi di essere è malattia mentale. L’altro starebbe di fronte a me come un in sé e tuttavia esiste per sé, per distinguerlo devo situarlo nel mondo degli oggetti e al tempo stesso pensarlo come coscienza. Nel pensiero oggettivo non c’è posto per l’altro e per la pluralità delle coscienze che non sono oggettivabili. E’ questa una delle ragioni per cui la diffusione dell’oggettività funzionale della tecnica, modifica gradatamente l’ essenza del rapporto tra persone. Il cinema compie il prodigio di stabilire un rapporto simpatetico con robot e personaggi di cartoni animati, quasi equiparandoli a esseri umani. Nelle rappresentazioni scientifiche del mondo e del corpo abbiamo perso il contatto tra oggettività e coscienza, per questo hanno largo seguito filosofie che, attraverso l’apparente valorizzazione dell’individuo, di fatto creano una vuoto nichilista e predispongono alla sostituzione della realtà con l’apparenza. Il mio corpo e il mondo non sono più soggetti i cui rapporti sono determinati da stati di sensibilità naturali e interiori, ma oggetti il cui meccanismo di reazione è provocato da stimoli esterni attraverso i quali si produce artificialmente emozione, desiderio sessuale, dolore. Il sistema dell’esperienza nella quale si sedimenta la razionalità sensibile, diventa pressoché superflua. Quando mi volgo verso la mia naturale percezione del reale, quando passo dalla percezione diretta al pensiero di questa percezione, io la ri-effetuo, ritrovo un pensiero vissuto che opera nei mie organi percettivi nei quali l’esperienza ha lasciata traccia. Nulla di simile accade allorché subisco un impulso artificiale, meccanico che non lascia traccia nella memoria del corpo perché non è vissuto ma semplicemente subito. L’altro non è più un essere dotato di coscienza e come tale complesso nella sua multiforme sensibilità. Egli viene colto con evidenza apodittica come puro oggetto di relazione funzionale. In particolare il soggetto culturale non ha più un centro di azione “umana”, culturale che applicherà nella percezione dell’altro, perché privo della possibilità di disporre del linguaggio dell’esperienza che costituisce la base del dialogo tra persone, tale contributo non è più utile tra due oggettività funzionali. E’ noto che una delle più difficili applicazione dell’intelligenza artificiale ai robot è l’umorismo. Questo perché l’umorismo è privo di necessità, estemporaneo, cosi come altre forme di sensibilità creativa. Di tutto questo abbiamo ampio riscontro nell’algida concretezza dell’arte contemporanea che non allude ma mostra, non crea ma produce.
piergiorgio firinu
La cultura ridotta a tautologia.
La cultura sembra ridursi a una continua tautologia,Roman Jakobson esprime quella che considera una parafrasi di Bertran Russel: “ tra i cani che si chiamano Fido non hanno in comune nessun attributo di “fidità”. La proposizione corrisponde tale e quale alla affermazione di Antistene quando, interpellando Platone afferma: “ Il cavallo lo vedo ma la cavallinità non la vedo”. Come dovremmo interpretare e definire questa citazione di Jakobson? L’impressione è che la cultura si riduca spesso alla ripetizione del già detto, ovvero alla sopraopposizione di segni. Secondo Carnap ogni interpretazione volta chiarire parole e frasi, costituisce un messaggio che rinvia a un codice. Ma quale codice? Il codice originario, Antistene, ovvero il codice reinterpretato Russell? Secondo Peirce il segno semiologico indica l’oggetto, il segno linguistico indica altri segni. La gran parte dei testi di critica e filosofia dell’arte sono volti a chiarire il significato dei segni pittorici, o più genericamente dell’arte. Questo, in buona sostanza significa che il linguaggio dell’arte non possiede una propria autonomia. L’ermeneutica ontologica non è mai neutra, essa porta inevitabilmente con se le scorie di un pregiudizio. La illeggibilità del messaggio artistico comporta quindi un’ulteriore deviazione di significato che si attua nel percorso ermeneutico. Gadamer afferma: “ Dove abbiamo a che fare con un’opera d’arte, l’intentio è, per così dire, entrata interamente nell‘opera e non può più venire cercata dietro o davanti all’opera stessa. Per questo si restringe il valore di tutte le introvedute di riferimento dell’opera d’arte, resta comunque la possibilità di un abuso ermeneutico”. Ed è esattamente sull’abuso ermeneutico ciò a cui l’arte contemporanea si affida per giustificare la propria insignificanza.
piergiorgio firinu
Ontologia dell'arte.
Secondo Bertrand Russel , “ nessuno può comprendere la parola formaggio, se prima non ha un’esperienza non linguistica del formaggio”. Roman Jakobson contesta l’assunto, a mio avviso con giuste argomentazioni, basate sulle distinzioni, non solo tra le varie lingue, ma anche nella definizione del genere. Qui non è possibile esporre le argomentazioni di Jakobson, basti dire che uno dei limiti della critica e filosofia dell’arte è riscontrabile nelle generalizzazioni linguistiche. Se ogni opera d’arte ha una propria definita ontologia, non è possibile un’ermeneutica critica che non si basi sulla singola opera. Spesso il riferimento della critica è ai generi, arte astratta, figurativa, Pop Art ecc. In moltissimi casi, con una sinèddoche , ci si sofferma sull’artista, ovvero sulla corrente a cui appartiene, anziché esaminare l’opera o le opere di cui ci si sta occupando. Questi espedienti narrativi sono utili per creare il mito del personaggio-artista ed esimersi dall’affrontare l’ontologia dell’opera. La narrazione si avvale spesso di riferimenti impropri, per esempio le neuro scienze, o attuando una sorta di copia incolla di etimologie filosofiche che stridono con l’evidenza che l’osservatore ha di fronte. Pratica e teoria dell’arte devono affrontare problemi complessi che spesso sono stati creati in un’ansia ermeneutica che nasce dalla necessità di creare una ragione di ricerca. Alla fine si sceglie di tagliare il nodo gordiano, elevando a norma l’impossibilità di una reale lettura dell’opera d’arte nelle forme in cui si realizza nella contemporaneità. Nel mettere in evidenza la complementarietà del linguaggio, oggetto e meta- linguaggio, Niels Bohr assumendo che: “..esiste una relazione complementare fra l’uso pratico di ogni parola e il tentativo di darne una definizione precisa”. L’ermeneutica dell’arte si affida esclusivamente alla narrazione, finendo per essere decettiva, senza chiarire il significato ontologico dell’opera ma accreditandolo come assioma.
piergiorgio firinu
Aporia
Dopo che i movimenti storici d’avanguardia hanno svelato l’istituzione arte come soluzione dell’enigma dell’effetto, o della mancanza d’effetto, dell’arte, nessuna forma artistica può rivendicare la pretesa di valere per un tempo indefinito, solo per se stessa. La pretesa è stata liquidata definitivamente. Non è stato ancora chiarito il significato dell’avanguardia per la teoria estetica contemporanea, questione a suo tempo affrontata da Adorno. Sull’argomento Burkhardt Lindner ha fornito uno degli spunti più interessanti, egli afferma che nel suo intento di superamento dell’arte nella prassi vivente dell’avanguardia può essere pensata come il più radicale e coerente tentativo di salvaguardare l’universale pretesa di autonomia dell’arte contro tutti gli altri ambiti particolari della società conferendo ad essa un significato pratico. Ovviamente simili giudizi globali andrebbero definiti nelle loro sfumature. Il significato della cesura nella storia dell’arte, provocata dai movimenti storici, non è consistita nella distruzione dell’istituzione arte, ma nella impossibilità di considerare valide le norme estetiche. E’ sfuggito ai movimenti dell’avanguardia, che eliminando il riferimento si rendeva possibile ogni sviluppo dell’aporia. Anche per questo l’avanguardia ha fallito.
piergiorgio firinu
Tecnica e vilipendio della natura.
L’essere umano è l’animale più indifeso del pianeta. Non ha fauci forti, non ha artigli, non emette veleni, è privo di aculei, non possiede capacità di mimetizzarsi. In ragione di questi limiti di difesa fisica, egli ha sviluppato l’intelligenza, vale a dire la capacità di costruire abitat e strumenti di protezione contro l’aggressività di altri animali e più in generale contro le insidie della natura. Il percorso di conoscenza per individuare le modalità di sopravvivenza viene definito progresso. Fin qui siamo all’interno di un meccanismo naturale che include anche manifestazioni non funzionali alla sopravivenza. E’ il caso delle pitture rupestri risalenti all’era paleolitica scoperte in Francia nelle grotte di Lascaux, in Sicilia nell’isola di Levanzo, in Francia nella grotta de La Marche, nell’area di Lussac-les-Chàteaux , nelle grotte di Altamira in Spagna. L’essere umano ha la capacità di pensiero che gli consente ciò che agli altri animali sono interdette. Il Cogito ergo sum” di Cartesio. “L’uomo come una canna che pensa” di Biagio Pascal, hanno conferito all’essere umano una considerazione di se che ha finito per tracimare nel velleitarismo. La vertigine del potere ha finito per far dimenticare che anche l’essere umano resta un animale, anche se la sua propensione ad aggredire i propri simili si avvale di strumenti sempre più sofisticati. Egli compie uno spreco enorme di energie mentali e fisiche, oltre che imponenti risorse materiali che potrebbero essere destinate a migliore la vita di milioni dei suoi simili, evitare che si creino divisioni e disuguaglianze. Abbiamo maturato competenza senza comprenderne l’uso corretto. Anche l’arte è stata ridotta a tecnica perdendo quella che Pareyson definiva: “formatività”. L’immagine dell’azione umana come prassi inconscia che diviene consapevole grazie al divenire storico come esplicano le filosofie da Vico a Hegel. Il percorso di evoluzione umana ha finito per soccombere all’aspetto meno nobile. L’essere umano, ormai sicuro di poter dominare la natura, ha preteso di modificarla, privilegiando soprattutto aspetti economici- funzionali. Il potere e la vittoria sulla natura che la tecnica favorisce, ha finito per i tradursi in enfasi di libertà che ignora le regole e consente lo scatenamento di aberrazioni delle quali la guerra è la peggiore. Il non riconoscere i limiti che la natura ha posto a salvaguardia di noi stessi è fonte dei disastri ecologici e sociali a cui stiamo assistendo.
piergiorgio firinu
Informazione corrotta.
Ventitre anni prima che Marshal Macluhan pubblicasse il noto saggio “Gli strumenti del comunicare”, che conteneva la nota affermazione: “Il mezzo è il messaggio”, Orson Wells realizzò quasi in solitudine il film “Quarto potere”. Era il 1941. Sotto lo pseudonimo di Citizen Kane. Wells narrava le gesta di William Randolph Hearst, magnate statunitense della stampa. Come sempre accade , per ignoranza e corta memoria, i problemi sollevati da Orson Wells sono stati archiviati. E’ rimasto il problema dei mezzi di comunicazione che si presentano come il baluardo della democrazia, quando il realtà rappresentano la forma peggiore della cattiva coscienza della società, oggi come ieri. Nel giornalismo vi è stata una crescita esponenziale della presenza femminile. Non vengono comunicate notizie, ma create. I giornalisti come pappagalli ripetono ciò che chiunque può vedere, ma spesso deformano la realtà a vantaggio di una parte politica. In Italia la RAI si presenta come servizio pubblico, pretesto per imporre un canone anche a chi, forse la maggioranza, non guarda i programmi rai. I media hanno interesse a raccontare ciò che si presume il pubblico voglio sentirsi dire, non perdendo di vista la propria posizione politica. La conferma la troviamo nelle rubriche “lettere al giornale”. Rubrica che, in teoria, dovrebbe ospitare le opinioni dei lettori, ma la selezione delle lettere in base alla “linea editoriale”. Gli argomenti che costituiscono il mainstream del pensiero unico: donne (femminismo), immigrati, omosessuali. Provarte a scrivere una lettera avanzare critiche su tali argomenti , verrà sicuramente cestinata. Il pensiero critico non è incompatibile con l’universo mediatico; sono in gioco ragioni di mercato e di potere. Dopo i fatti dell’11 settembre a New York, Jacques Derrida e Jurgen Habermas discussero su ciò che era accaduto. Il dibattito ebbe grande risonanza, ma le tesi dei due filosofi ebbero una connotazione diverse a secondo la linea politica dei singoli media. I giornali occidentali non hanno mai messo in risalto l’atroce azione criminale di George Busch , l’aggressione all’Iraq giustificata con l’esibizione all’ONU di notizie false, puntualmente avvallate dai media. I mezzi di informazione definiscono se stessi “baluardo della democrazia” , in realtà sono cassa di risonanza del potere e dei gruppi sociali organizzati, a favore dei quali fabbricano notizie false e propinano fatti in forma decettiva. spesso ignobile. La politica dell’occidente è costituita da una serie infinità di sopraffazioni . Ovviamente anche la cultura, genericamente intesa, fa la sua parte. Si consideri che è stato assegnato il Nobel per la pace a Barack Obama, l’uomo che affiancò il francese Sarkozy e il britannico Blair nella aggressione alla Libia, ha finanziato e addestrato gruppi islamici armati per combattere il Governo siriano. Il gruppo si trasformerà nell’ISIS che ha scatenato guerre e massacri che durano tuttora. Sull’origine di questo disastro la stampa occidentale tacque e continua a tacere.
piergiorgio firinu
Informazione corrotta.
Ventitre anni prima che Marshal Macluhan pubblicasse il noto saggio “Gli strumenti del comunicare”, che conteneva la nota affermazione: “Il mezzo è il messaggio”, Orson Wells realizzò quasi in solitudine il film “Quarto potere”. Era il 1941. Sotto lo pseudonimo di Citizen Kane. Wells narrava le gesta di William Randolph Hearst, magnate statunitense della stampa. Come sempre accade , per ignoranza e corta memoria, i problemi sollevati da Orson Wells sono stati archiviati. E’ rimasto il problema dei mezzi di comunicazione che si presentano come il baluardo della democrazia, quando il realtà rappresentano la forma peggiore della cattiva coscienza della società, oggi come ieri. Nel giornalismo vi è stata una crescita esponenziale della presenza femminile. Non vengono comunicate notizie, ma create. I giornalisti come pappagalli ripetono ciò che chiunque può vedere, ma spesso deformano la realtà a vantaggio di una parte politica. In Italia la RAI si presenta come servizio pubblico, pretesto per imporre un canone anche a chi, forse la maggioranza, non guarda i programmi rai. I media hanno interesse a raccontare ciò che si presume il pubblico voglio sentirsi dire, non perdendo di vista la propria posizione politica. La conferma la troviamo nelle rubriche “lettere al giornale”. Rubrica che, in teoria, dovrebbe ospitare le opinioni dei lettori, ma la selezione delle lettere in base alla “linea editoriale”. Gli argomenti che costituiscono il mainstream del pensiero unico: donne (femminismo), immigrati, omosessuali. Provarte a scrivere una lettera avanzare critiche su tali argomenti , verrà sicuramente cestinata. Il pensiero critico non è incompatibile con l’universo mediatico; sono in gioco ragioni di mercato e di potere. Dopo i fatti dell’11 settembre a New York, Jacques Derrida e Jurgen Habermas discussero su ciò che era accaduto. Il dibattito ebbe grande risonanza, ma le tesi dei due filosofi ebbero una connotazione diverse a secondo la linea politica dei singoli media. I giornali occidentali non hanno mai messo in risalto l’atroce azione criminale di George Busch , l’aggressione all’Iraq giustificata con l’esibizione all’ONU di notizie false, puntualmente avvallate dai media. I mezzi di informazione definiscono se stessi “baluardo della democrazia” , in realtà sono cassa di risonanza del potere e dei gruppi sociali organizzati, a favore dei quali fabbricano notizie false e propinano fatti in forma decettiva. spesso ignobile. La politica dell’occidente è costituita da una serie infinità di sopraffazioni . Ovviamente anche la cultura, genericamente intesa, fa la sua parte. Si consideri che è stato assegnato il Nobel per la pace a Barack Obama, l’uomo che affiancò il francese Sarkozy e il britannico Blair nella aggressione alla Libia, ha finanziato e addestrato gruppi islamici armati per combattere il Governo siriano. Il gruppo si trasformerà nell’ISIS che ha scatenato guerre e massacri che durano tuttora. Sull’origine di questo disastro la stampa occidentale tacque e continua a tacere.
Il mito e la parola.
Si racconta che quando il padre di Platone condusse il figlio da Socrate perché lo educasse. Socrate rivolgendosi a Platone disse: “Parla, così ti vedo” . Secondo la mitologia greca Zeus concepì un figlia con Metis, dea dell’intelligenza. Dato che gli aruspici previdero che la nascitura sarebbe stata pari a lui per sapienza, Zeus divorò la madre gravida. La conseguenza fu una faticosa gravidanza nel cervello a cui pose fine Efesto che con una scure divise il cranio di Zeus dalla cui testa uscì Atena. Zeus si rassegnò ad avere una figlia tanto intelligente, tuttavia, ogni volta che Atena interveniva durante il il raduno degli dei esprimendo le proprie opinioni, si limitava a dirle: figlia mia quali parole ti sono uscite dalla chiostra dei denti. La tendenza logofanica costituisce l’essenza dell’uomo. Quando Odisseo, a seguito del naufragio della sua zattera, approda sulla spiaggia dei Feaci, si addormenta in un cespuglio. Il giorno dopo, al risveglio, viene sorpreso da Nausicaa, la figlia del re Alcinoo, egli nudo, coperto di salsedine non è un bello spettacolo. Le ancelle della principessa fuggono spaventate, Nausicaa resta di fronte allo straniero nudo. Omero descrive la reazione di Odisseo che si rivolge alla fanciulla. (VI,vv149-87). Il significato delle parole di Odisseo è illustrato da Isocrate, principe degli oratori forensi dell’Ellade, con il suo famigerato studio “Elogio di Elena”, volto a dimostrare che un buon avvocato poteva vincere qualunque processo solo con l’uso della parola. Anche il sofista siciliano Gorgia vantava la capacità di parlare su ogni possibile argomento. Nel teatro di Atene lanciò una sfida: proponetemi qualunque tema ed io sarò in grado di rispondere. Questi brevi cenni per affermare l’importanza della cultura e della parola che venne espressa in una arguta considerazione da un saggista austriaco,Egon Friedell, secondo il quale “La cultura è dovizia di problemi , e noi troviamo che un epoca è tanto più illuminata quanti più enigmi essa riesce a svelare”. Mentre una quantità di linguisti è assorta nel definire i dettagli del linguaggio, la comunità civile contemporanea non è in grado di formulare con sufficiente chiarezza il proprio pensiero. Le parole sono contratte in abbreviazioni , o al contrario diluiti in logorroiche divagazioni nelle quali è difficile scoprire il senso. I Gorgia di oggi sono, ad esempio, i filosofi dell’arte che hanno la presunzione di modificare l’ontologia dell’arte attraverso spurie argomentazioni. La logofania contemporanea è priva di costrutto logico ed è quindi assimilabile a ciò che Zeus affermava di Atena, tradotto in un proverbio siciliano. “Parlano per dare aria ai denti”.
piergiorgio firinu
Analisi riflessiva.
Secondo una linea propria l’analisi riflessiva non ci fa ritornare alla soggettività autentica; essa nasconde il ganglio vitale della coscienza percettiva, in quanto ricerca le condizioni di possibilità dell’essere assolutamente determinato e si lascia tentare dalla pseudo evidenza della teleologia che il nulla non è niente. Tuttavia i filosofi che l’hanno praticata hanno sempre intuito che c’era da cercare al di sotto della coscienza assoluta. Questo si evidenzia nella filosofia di Cartesio, ma sarebbe possibile dimostrarlo con altrettanta pertinenza a proposito di Lagneau, Alain e altri. Una volta condotta a termine l’analisi riflessiva non dovrebbe più lasciar sussistere, dalla parte del soggetto, se non un naturante universale per il quale esiste il sistema dell’esperienza, ivi compresi il mio corpo e il mio io empirico, collegati al mondo dalle leggi della fisica e della psicofisiologia. La sensazione che noi costruiamo come prolungamento “psichico” degli eccitamenti sensoriali non appartiene evidentemente al naturante universale e ogni idea di una genesi dello spirito risulterà spuria, in quanto ricolloca nel tempo lo spirito per il quale il tempo esiste, in quanto confonde i due Io. Tuttavia se noi siamo questo spirito assoluto, senza storia, e se nulla ci separa dal mondo vero, se l’io empirico è costituito dall’io trascendentale e se è dispiegato davanti a esso, dovremmo scoprirne l’opacità, non si vede come sia possibile l’errore, e tanto meno l’illusione, ossia la “percezione anormale” che nessun sapere può far scomparire. Si può ben dire che l’illusione e l’intera percezione sono al di qua della verità come dell’errore. Ma ciò non ci aiuta a risolvere il problema, giacchè si tratta allora di sapere come uno spirito può essere al di qua della verità e dell’errore. Quando sentiamo, noi non appercepiamo la nostra sensazione come un oggetto costituito in una rete di relazioni psicofisiologiche. Noi abbiamo la verità della sensazione. Non siamo di fronte al mondo vero. E’ la stessa cosa dire che noi siamo individui e dire che in questi individui c’è una natura sensibile in cui qualcosa non risulta dall’azione dell’ambiente. Se nella natura sensibile tutto soggiacesse alla necessità, se per noi ci fosse una maniera di sentire che si identificasse con quella vera, se ogni istante la nostra maniera di sentire risultasse dal mondo esterno, allora noi non sentiremmo. Così, il sentire non appartiene all’ordine costituito, non dispiegato di fronte all’Io, ma sfugge al suo sguardo, è come raccolto dietro di esso, vi forma una sorta di spessore o di opacità che rende possibile l’errore, delimita una zona di soggettività o di solitudine, ci rappresenta ciò che è “prima” dello spirito, ne evoca la nascita e sollecita una analisi più profonda che farebbe luce sulla “genealogia della logica”. Lo spirito ha coscienza di sé come “fondato” su Natura. C’è dunque una dialettica del naturato e del naturante, della percezione e del giudizio, nel corso del quale il rapporto si capovolge. Dare forma alla possibilità del sentito/pensato è compito dell’arte, se non vuole essere null’altro che oleografia dell’irresponsabilità semantica. L’opera dell’artista dovrebbe concretizzare in materia visibile sensazioni che ai più sfuggono, dunque aprire la possibilità di una maggiore fruita sensibilità.
piergiorgio firinu
Democrazia e pedagogia.
Non pare che la cultura riesca a elaborare temi particolarmente innovativi. C’è un continuo ripescaggio di temi trattati in passato, una grande quantità di testi che riprendono i fili di un discorso interrotto e mai finito. Argomenti come rivoluzione, democrazia, giustizia sono affrontati in ottiche diverse, in astrazioni che alla fin fine risultano inconcludenti. Dopo attenta riflessione ci rendiamo conto che le teorizzazioni trascurano il punto centrale, lo snodo che è la radice del problema: pedagogia. Da qualche tempo è stata messa la sordina la tema della “società civile”, ci si è resi conto che in realtà la società civile non è migliore della politica, di tutto lo snodo nel quale si articola il potere, i cui rappresentanti provengono dalla società. Quando parliamo di società civile quale società ci riferiamo? Esistono due civiltà? Una civile e un'altra incivile? Basta porre la questione perché appaia chiara l’incongruenza di tematiche la cui astrazione non aiuta a risolvere i problemi di una società alla deriva. Quando assistiamo al penoso spettacolo di studenti che insieme agli antagonisti, sono sempre in prima fila in cortei vandalici, incuranti del fatto che sono oggettivamente parassitari della società che permette loro di seguire corsi di studio al termine del quale si aspetta di essere ripagata. La sinistra sostiene quasi sempre che le manifestazioni di piazza sostenendo che sono democratiche, salvo quando scendono in campo organizzazioni di destra. Ipotizzare che la democrazia è il migliore dei sistemi politici, si dice qualcosa di parzialmente vero. Democrazia significa una testa un voto. Ma cosa c’è dentro quelle teste? Sarà il caso di porci il problema? Non è necessario far ricorso a complicanti studi o indagini statistiche per sapere che intelligenza e cultura media sono piuttosto modeste, basta assistere a un programma tv di quiz. Persone che si dichiarano laureate, con parlantina sciolta, non sanno rispondere a domande su questioni elementari, non conoscono il significato delle parole che usano. Questo è il vero nocciolo del problema. L’ignoranza occulta che si nutre di luoghi comuni. Le stesse persone sono informatissime su attori, cantanti, protagonisti della vita mondana. Abbiamo una ministra dell’Università che presenta una laurea falsa e resta al suo posto, che si batte a favore della promiscuità dei generi, mentre non pare avere la stessa preoccupazione per il livello scolastico e soprattutto educativo della scuola. Nessuno si pone il problema del linguaggio, dell’abbigliamento, delle abitudini dei giovani. Le statistiche ci dicono che una gran maggioranza di studenti fa uso di stupefacenti, un gran numero non sa scrivere in modo decente. I giovani vengono istruiti male e non educati. Il mantra : dobbiamo ascoltare i giovani. In realtà dovremmo semplicemente educarli. Certo, non è impresa facile, specie per una generazione genitoriale che ha fatto della trasgressione un norma. Il femminismo si è battuto e si batte per la libertà sessuale senza chiedersi il senso e i fini di una promiscuità che pure difende a prescindere. L’arte è sulla stessa linea. Pittura cartellonistica, trovarobato, imitazioni spacciate per citazionismo. Il problema è che una società collassa quando prevalgono egoismi individuali e si incoraggia la stupidità collettiva. Si continua a blaterale di democrazia, libertà, arte, mentre intorno a noi prosegue il degrado, l’insicurezza, la nefandezza socio politica. L’arte dovrebbe lasciare la cartellonistica ai pubblicitari e orientarsi alla sostanzialità semantica del segno. Ma forse pensare che questo sia possibile significa peccare di ottimismo.
piergiorgio firinu
Intuizione e conoscenza.
Il dono naturale dell'arte così detta bella, deve comunque avere una regola. Di che genere potrebbe essere? Sappiamo che l'artista vive, oggi più di ieri, immerso nella realtà del mondo, egli apprende la propria arte, percepisce i propri stimoli dalla realtà che vive. Le idee dell'artista non nascono nel vuoto, l’arte è uno dei mezzi tramite i quali trasmettere alla posterità la nostra storia. L'arte contemporanea è realizzata da artisti totalmente immersi in un sistema che condiziona il loro operare,non solo dal punto di vista tecnico, anche dal tipo di frequentazioni mondane che inducono gli artisti a seguire il mainstream, cioè una forma d'arte che piace a coloro che possono essere artefici del successo sul mercato, deus ex macchina, dell’arte contemporanea. L'artista non è più colui che crea e che produce delle idee, ma piuttosto un produttore che soddisfa le richieste del mercato. il genio per fornire una materia dalla propria creatività dovrebbe forse sottrarsi alle cessioni condizionamenti dovrebbe dedicarsi a una ricerca personale oltre che è un perfezionamento tecnico tecnico nel senso che l'arte deve comunque essere prodotta mediante un'azione materiale citrato di scultura di pittura o di qualsiasi altra cosa ora l'artista sembra ignorare questi percorsi c'è la prossima Diva cultura che gli viene trasmessa nelle accademie diventa semplicemente un indirizzo di carattere generale Fermo restando che nelle accademie e vengono come dire celebrati artisti della modernità Cioè credo che coloro i quali il primo anno è l'indirizzo artistico generale siano i soliti americani Warhol Eccesso di condizionamenti che va di pari passo con la modesta preparazione culturale. Ebbi occasione di scrivere che l'artista oggi dovrebbe essere filosofo, non nel senso di pretendere di concretizzare in forma determinati concetti questo non solo fuori luogo ma avrebbe risultati negativi. In primo luogo fossilizzare un'idea. Eidos è per definizione estremamente mobili quindi si si modifica cambia. La pretesa di formalizzare un concetto che rimarrà stabile. L'artista e filosofo dovrebbe essere filosofo in quanto aspirazione in quanto a conoscenza in quanto riflessione che sia oltre la funzionalità della materia che lavora, ma nello stesso tempo non può, non dovrebbe dimenticare gli aspetti concreti del proprio mestiere. Ci troviamo in una situazione paradossale. C'è una sorta di sclerotizzazione sul tema dell’antropocentrismo, l'uomo al centro di tutto. Ma poi vediamo la realtà contemporanea nelle nostre vite e scopriamo il prevale di un cinismo edonistico, lo sfruttamento, anche nella sessualità. Procediamo per espedienti retorici. Nel Iibro “Decadenza” Michel Onfray sottolinea come le forme di depravazione e devianza, le unioni omosessuali, siano diventate una forma di riferimento civile. Si vuole capovolgere la realtà. Dopo un secolo di “avanguardie” restano presenti e attive le Accademia di Belle Arti, solo che le belle arti non ci sono più, non si insegnano più.
piergiorgio firinu
Ermeneuti e critica.
La critica d’arte è spesso criptica, abusa della tautologica. Tipica l’affermazione “è arte ciò che viene considerata arte”. Espressione densa di ambiguità. Assente l’esame dell’oggetto considerato, la critica diventa letteratura, s’infittisce di rimandi che sono altrettanti truismi, non entra nel vivo del tema. Scrivere: “Morandi è alla base della moderna civiltà dell’arte”. Cosa significa? Morandi ha vissuto e dipinto, il tempo di Henri Bergson, il tempo dell’élan vital, della corrente fonte dell’arte del primo ‘900. In realtà quel tempo ha coinciso con la definitiva attuazione dell’affermazione di Hegel sulla morte dell’arte. Non vi è nulla di sublime nello slancio distruttivo delle avanguardie. I Dada, hanno introdotto il principio della casualità, a iniziare dalla stessa definizione della corrente, quando al Cabaret Voltaire di Zurigo, aperto un dizionario, è stato posto il dito a caso, la parola sulla quale il dito si fermò fu “Dada”. Se fosse stata “pene”, “latrina”, qualunque altra parola simile, la corrente avrebbe assunta quella denominazione? Presumere di far coincidere casualità e creatività è temerario, prodromo a ciò che è seguito, e continua. Il segno accettato, si tratti dei Dada, delle geometrie di Piet Mondrian, delle provocazioni di Duchiamp, diventa base storica per successive evoluzioni che in realtà, prima o poi verrà chiarito, sono altrettante involuzioni, punto di appoggio per un linguaggio artistico che, più che astratto, è privo di senso, sul quale la critica si perde in effimere affabulazioni, le quali possono al più creare emozioni che purtroppo finiscono per costituire il filtro, la cifra, attraverso cui, a partire dalla quale ogni percorso artistico è legittimato a ignorare i significati. I precedenti delle avanguardie costituiscono la traccia che porta verso l’oscura casualità, un procedere auto- referenziale le cui conseguenze sembrano non finire.
piergiorgio firinu
Lavoro, arte trasformazione.
Vorrei tornare sul tema della lettura dell'arte fatta attraverso le neuroscienze. L’impressione è che sia un'operazione di marketing, intellettualmente poco corretta. Per tentare di definire questa mia convinzione vorrei prendere a riferimento il libro di Heidegger: “ Concetti fondamentali della filosofia aristotelica”. Scrive Heidegger:”..cos'è dunque un ente? Deve essere definito a partire da ciò che è movimento”. Cosa intendiamo per movimento? Esattamente il lavoro che realizza l’Ente e ne determina l’ontologia. Ciò avviene, non quando recuperiamo qualcosa, ma solo quando costruiamo qualcosa. Quando l’oggetto costruito ha pretese di ontologia artistica, deve contenere gli elementi che comunicano la sua natura. Un oggetto, che ha una propria ontologia, non lo possiamo trasformare tramite la narrazione. Movimento, nel senso inteso da Heidegger, significa anche trasformazione di qualcosa, aggiungendo valore. Non basta l’intenzione tanto meno la determinazione a posteriori. Il tema è importante perchè sgombera il campo da argomentazioni apodittiche. Mettere a confronto il ragionamento filosofico di Heidegger con la approssimazione logica che si affida ad espressioni enfatiche contenute nel libro di Eric R. Kandel: “Arte e neuroscienze”. La definizione dell'arte, nei termini adottati da Kandel, non porta da nessuna parte. Il mondo circostante e la forzatura dell' articolazione categoriale non contribuisce a comprensione della realtà del visibile. Se attraverso l’arte il mondo circostante non viene espressamente e genuinamente messo in tema. Qualcosa è visibile in quanto costituisce un’entità circoscritta, questo non è quell'altro, il logicamente fenomenologico è la parte terminale di un processo epistemologico. Ovvero attraverso conoscenza e lavoro siamo in grado di produrre un qualcosa che assume una propria ontologia. Un pezzo di legno è potenzialmente molte cose, giace davanti a noi inutilizzato. Il lavoro lo trasforma in qualcosa che ha una diversa figura e quindi muta carattere. Un cofanetto di legno, non è più solo legno, ma un oggetto che ha una propria ontologia. Il ricorso ai ready-made, non prevede trasformazione,solo ricupero, operazione alla quale si tenta di attribuire significato attraverso la narrazione. Nella bottega entra un pezzo di legno ed esce un oggetto con precise connotazioni semantiche. Quando diciamo che un oggetto è artistico? Quando la capacità e la fantasia di chi lo ha realizzato ne aumenta il valore estetico, in qualche caso funzionale. Utilizzabilità e determinazioni possono essere viste come fenomeno, il presente si concentra in quanto essere davanti a me nel luogo dove io mi trovo. Quindi quando io vedo un oggetto,reale, visibile, ne riconosco l’autonomia, esso mi comunica il proprio significato autonomo, la etimologia definibile in se stesso senza bisogno di sovrapposizioni letterarie. Un ready-made esiste a prescindere dall’uso. L’attribuzione di un significato che contraddica l’ontologia dell’oggetto è azione priva di giustificazione logica, un arbitrio, una forzatura volta a uno scopo extra artistico. La narrazione sull'oggetto è decettiva perchè riferita a qualcosa che in realtà non esiste, non è presente, non è parte dell’ontologia dell'oggetto. Tutto si riduce a farneticazione intellettualistica del critico o del filosofo. Quello che vediamo è diverso da ciò che ci viene narrato, con questo equipaggiamento ci si occupa della definizione del movimento di Aristotele che afferma che il movimento non è realtà ma possibilità, realtà in sé stessa è non realtà fino a che non giunge al termine. Sono al compimento dell’azione l’antinomia dialettica si scioglie nel significato e nella riflessione che provoca. La mancanza di senso, vanifica il percorso di realizzazione e mette in evidenza la mancanza di responsabilità. Il ragionamento di Heidegger interpreta la concettualità di Aristotele mentre Eric Kandel usa la sua conoscenza medica per estrapolare considerazioni su opere alle quali in realtà non è in grado di attribuire un senso.
piergiorgio firinu
Indagine sulla forma.
La famosa proposizione di Korzybski “la mappa non è il territorio” scaturì da una profonda riflessione filosofica, che risale alla Grecia e percorre la storia del pensiero europeo degli ultimi duemila anni. Nella questione è insita una specie di grossolana dicotomia sulla quale ci sono state molte profonde controversie, violente ostilità che hanno portato addirittura a spargimento di sangue. Tutto comincia con l’atteggiamento assunto dai pitagorici verso i loro predecessori. La controversia fu formulata in questo modo: “Chiedi di cosa sei fatto ? Se di terra, fuoco, acqua o altro? Oppure chiedi: Qual è la sua forma?”. Pitagora era per l’indagine sulla forma più che per l’indagine sulla sostanza. Collingwood ha fornito una lucida esposizione delle idee pitagoriche in The idea of Nature. Questa controversia si è protratta nel tempo, e il partito pitagorico è stato nel complesso perdente fino ai tempi recenti. Gli gnostici seguirono ai pitagorici, e gli alchimisti seguirono gli gnostici, e così via. La disputa raggiunse l’acme alla fine del Settecento, quando fu edificata e poi confutata una teoria evoluzionistica di sapore pitagorico, una teoria che implicava la Mente. La teoria evoluzionistica della fine del Settecento, la teoria di Lamarck, che fu la prima organica teoria trasformista dell’evoluzione, fu costruita in base a una curiosa tradizione storica che è stata descritta da Lovejooy, The Great Chain of Being: prima di Lamarck si riteneva che il mondo organico, il mondo vivente, possedesse una struttura gerarchica, con la mente al vertice. La catena, o scala, scendeva attraverso gli angeli gli uomini, le scimmie, giù giù fino agli infusori o protozoi, e ancora più in basso alla piante e alle pietre. Ciò che Lamarck fece fu di capovolgere la catena. Egli osservò che sotto la pressione dell’ambiente gli animali cambiavano. Queste osservazione ebbero il difetto di fermarsi all’apparenza formale dell’evoluzione trascurando gli aspetti che, per non essere materiali, sono difficilmente indagabili. Dove nasce il bisogno dell’uomo di dare una dimensione spirituale alla propria esistenza. Perché tutte le civiltà, nessuna esclusa, insieme all’ordinamento sociale hanno credenze religiose. A questi interrogativi la scienza non è in grado di dare risposte per cui si limita ad accantonarli. Così facendo lascia un vuoto che viene colmato in modo insoddisfacente dalle soddisfazioni materiali che finiscono per soffocare anche le ispirazioni più alte presenti negli esseri umani. Ci sarà una ragione se nella misura in cui cresce il benessere, l’arte e tutta la cultura non funzionale, assumono forme rozze e sgradevoli. Ridurre l’uomo alla sua sostanza animale, che pure fa parte della sua natura, non sembra costituire un progresso. Coloro che per un malinteso laicismo, esaltano la libertà assoluta, fine a se stessa, non rendono un buon servizio all’umanità. In nome della libertà vengono soppressi valori e spiritualità, visti come limiti, vincoli. Senza una tensione verso l’oltre anche l’arte si riduce a povera cosa, lo dimostra ciò che vediamo. E’ sbagliato usare l’alibi dei fondamentalismi religiosi per giustificare volgarità e consumismo.
piergiorgio firinu
Il percezione del razionale.
La ragione pratica, ci viene detto, consiste nel ragionare sul che fare, mentre la ragione teorica è il ragionare su cosa credere. Se le cose stanno davvero così, dovrebbe sembrarci un vero e proprio rompicapo il fatto che non disponiamo di una spiegazione accettata della struttura logica deduttiva della ragione pratica, come invece sembriamo avere della ragione teorica. Di fatto i processi mediante i quali pensiamo al modo migliore per raggiungere i nostri obiettivi sembrano essere processi razionali almeno quanto lo sono i processi attraverso i quali pensiamo alla applicazione delle nostre credenze, perché dovremmo possedere una logica così potente per un tipo di ragione e non per l’altro. Quando per esempio un artista si accinge a realizzare un opera, quale tipo di razionalità attiva? L’arte detta “concettuale” , contraddice il significato stesso del sostantivo “arte”, com’è noto deriva dal greco, significa fare, attua una contraddizione in termini. Ad Aristotele dobbiamo non solo il sillogismo teorico, ma anche, sebbene sia stato meno influente, il sillogismo pratico. Perché dunque, non c’è una teoria accettata del sillogismo pratico come ci sono invece teorie accettate del sillogismo teorico e una teoria della logica deduttiva generale? Per capire qual’è il problema, proviamo a esaminare in che modo il suo analogo è stato apparentemente risolto per la ragione teorica. E’ necessario innanzi tutto distinguere le questioni di relazioni logiche dalle questioni di psicologia filosofica. Grandi progressi sono stati fatti in logica deduttiva da quando, nell’Ottocento, Gottlob Frege ha separato l’ambito della psicologia filosofica, ovvero le leggi del pensiero, da quello delle relazioni logiche. Dopo Frege si è pensato che si fossero interpretate in maniera corretta le relazioni logiche, la psicologia filosofica avrebbe dovuto essere relativamente semplice. In realtà, quando il criterio razionale si affida alla mediazione del linguaggio il problema si fa intricato. Per linguaggio s’intende non solo verbale e scritto, ma tutte le forme di comunicazione e in particolare l’arte. I morfemi non si sviluppano sulla base della razionalità ma delle convenzioni. Dire “un cerchio e quadrato” è privo di senso soltanto perché si è convenuto che cerchio definisce una figura diversa dal quadrato. Non vi è una intrinseca razionalità nelle convenzioni come Frege ha ampiamente dimostrato nel suo tentativo di creare un linguaggio assolutamente logico. Se il discorso ha un senso, quando sosteniamo che l’arte “d’avanguardia” rompe le convenzioni, diciamo in buona sostanza che è priva di senso, attraverso questo passaggio, come sostiene Alexandre Lojève, cancelliamo il senso e facciamo emergere il simbolo. E qui ci ritroviamo all’interno delle circolarità del linguaggio, in quanto il simbolo ci riporta al concetto che, se privo di senso, non giustifica se stesso. Non c’è nulla di intrinsecamente sbagliato nella circolarità di argomenti e definizioni. Negel Warburton, in “La questione dell’arte” fa l’esempio di un dizionario: ogni parola in esso definita sarà descritta con parole che sono a loro volta definite dal dizionario, e dunque a qualche livello l’intero dizionario è circolare. Per questo il simbolismo dell’arte non può prescindere da un valore semantico auto-referenziale che però dovrebbe essere definito e intelligibile. Dunque ci ritroviamo nel circolo.
piergiorgio firinu
Illusione antropocentrica.
Secondo Aristotele si dice finito un Ente al di fuori del quale non può essere trovata neppure una sola parte che possa contribuire a completare l’Ente in questione. Ciò contrasta palesemente con quanto sostenuto da Umberto Eco nel libro “Opera aperta”. Vale piuttosto l’affermazione di Wittgenstein che nel “Trattato logico-filosophicus” si arrende all’incompletezza ripiegando sul “va bene così”. L’analisi di un’opera d’arte è spesso pretesto per critici e filosofi, una forma di paratissimo intellettuale che costruisce una narrazione densa di significati che hanno per riferimento l’atto “gratuito” dell’artista il quale non ha, non può avere, una reale consapevolezza delle determinazioni della sua opera. L’artista è spesso un sicofante, un millantatore, un suonatore di flauto a cui il mercato assicura un claque. Bisognerebbe dunque andar cauti con il concetto di teleologia, il collegamento tra pensiero- azione – significato espresso dall’opera. Nell’affidarci alla “metafisica” della creazione, siamo sottoposti un forte condizionamento antropocentrico che ci porta a sopravalutare tutto ciò che riguarda l’uomo. Se l’artista realizza una propria idea di arte, non per questo un marziano resterebbe affascinato dall’opera creata. Questo per dire che il condizionamento antropologico è totale, tanto che la trasposizione metaforica di un’opera d’arte avviene all’interno di un contesto precostituito, diventato più vago da quando l’arte ha abbandonato la mimesi. Parlare di metafora significa dare per scontato che segno, colore, oggetto, trovino collocazione all’interno di un sintassi definita. Così non è. Vi sono passaggi predeterminati, materiali e strumenti che collocati in una certa forma acquistano un significato diverso. Il colore diventa albero, figura, interno di una casa. Ci sottoponiamo alla suggestione della forma condizionati da un sapere che si fa emozione. Salvo arrenderci al completamente finito , ad un linguaggio esaurito, logoro dalla ripetitività. L’ontologia dell’oggetto arte, al quale abbiamo attribuito una pluralità di significati, ad un tratto ci appare quello che è. Ed è a questo punto che scatta un meccanismo di compensazione. L’oggetto è collocato nel percosso esistenziale collettivo, la storia è la traccia che ci consente di usare il passato, per tentare il riscatto del presente. Sempre più spesso gli artisti realizzano l’esposizione delle loro opere in musei di arte classica e in siti archeologici. In contrasto con Democrito ,Aristotele commenta che anche il cadavere di un uomo ha sempre lo stesso aspetto e la stessa figura, e non di meno non un uomo. Così è per tutto ciò che costituisce le finzione a cui ricorriamo per dare significato alla nostra precarietà. L’arte è il maggiore inganno della visione antropocentrica. Ci sforziamo di trasformare la materia in realtà mentale. L’arte contemporanea, avendo attuato troppe forzature, ha messo in luce l’inganno. Affidarci alle illusioni è sempre più difficile.
piergiorgio firinu
Etica Nicomachea.
L'Etica Nicomachea è tutt'altro che l'etica della mediocrità del vivere convenzionale. Si dovrebbe far chiarezza sulla sindrome del progresso, la reale necessità della continua rincorsa alle novità. Aristotele discute questa difficoltà nel libro secondo capitolo quinto dell’Etica Nicomachea, la risolve facendo riferimento a diversi rapporti impliciti che comportano l’affrontare nel modo giusto le situazioni. Egli cita il mestiere del calzolaio il quale costruisce una scarpa. Non è necessario valutare la natura etica del calzolaio perché è il prodotto che gli realizza è svincolato da ogni rapporto sociale se non per l'utilità. Altra cosa e invece la forzatura che distingue etica privata e pubblica. Il fatto che il problema sia stato trattato da Aristotele dimostra quanto antica sia l’ipocrisia di chi manipola anche l’Etica secondo la propria convenienza. Tempo fa, la tv italiana, esibiva uno spot pubblicitario del Governo, quindi pagato con pubblico denaro, nel quale si poneva un quesito: “quanto importano le tendenze e gusti di natura sessuale del chirurgo che opera?”. Conta la sua capacità di portare a buon fine l'operazione chirurgica. In astratto ragionamento ineccepibile. Nella realtà lo spot si è rivelato decettivo quando si sono verificati casi di violenza sessuale nei confronti di pazienti mentre si trovavano sotto l’effetto della anestesia. In altri casi medici, con infermiere loro amanti, hanno compiuti omicidi di pazienti affidati alle loro cure. Fortunatamente questi episodi sono emersi, quindi l'autorità giudiziaria ha potuto intervenire, non è detto che questo accada sempre. Inoltre ci sono situazioni in cui è difficile dividere il grano dall'Oglio perché le decisioni possono essere ispirate dalle opinioni di chi decide. I magistrati applicano la legge avendo ampi margini di arbitrarietà non contestabili in base alle leggi vigenti, salvo, per chi se lo può permettere, affrontare le spese di tre gradi di giudizio senza la certezza di poter far valere le proprie ragioni. Già Francois Rabelais affrontava il tema in “Gargatua e Pantagruele”. Shakespeare nel monologo di Amleto cita:”….della legge gli indugi, le offese e i torti che la virtù subisce conculcata dai tristi…”. Oggi è forse più attuale Donatien-Alphonse-Francoise de Sade, con le sue invettive contro la virtù. Anche Leopold von Sacher-Masoch è attuale più che mai. Le tendenze sociali influiscono irrimediabilmente anche sulla mentalità dei magistrati, come di tutte le istituzioni sociali che determinano comportamenti e decisioni in ambiti vitali per la vita della società. Come ho più volte scritto, l’arte non anticipa i tempi ma li segue zoppicando. Ragioni e modalità che determinano il successo o fallimento sono legate all’accettazione del mainstream corrente. Vi sono ragioni sottili, praticamente imponderabili. La cultura e l’informazione concorrono a formare la pubblica opinione. Il tema è stato trattato da Jurgen Habermas in due volumi. “Agire comunicativo e logica delle scienze sociali” del 1967 e ancora in “ Storia e critica dell’opinione pubblica” del 1977. In entrambi i testi il problema basilare dell’etica non è affrontato, anche se a mio avviso, non è un aspetto secondario della società perché rende permeabili le persone a forme di persuasione in cui la cultura direttamente e indirettamente è complice. Ci troviamo di fronte a una realtà in cui i valori sono sovvertiti. Si presta più attenzione al criminale che alla vittima. Si è incapaci, o manca la volontà, di capire come non sia concepibile una generalizzata schizofrenia in base alla quale si omologano i comportamenti devianti, salvo fingere stupore sugli effetti che le deviazioni provocano. Si inneggia alla libertà ma poi non si accettano le conseguenze. La verità è che viviamo in una democrazia virtuale, intossicata dalla accettazione generalizzata di perversioni e devianze, omologate a termini di legge. Non vi è rispetto per la sensibilità di chi dissente e vorrebbe sottrarsi alla violenza comportamentale, verbale, estetica, morale.
piergiorgio firinu
Comunicare il nulla
Quando nel 1964 Marshall McLuhan pubblicò Understanding Media, uscito in Italia nel 1967 con il titolo Gli strumenti del comunicare, il libro ebbe grande successo, in breve tempo divenne un must per tutti coloro che si occupavano di comunicazione. Oggi resta una lettura stimolante anche se superata in alcune parti. Questo non solo perché non c’è, ne poteva esserci, alcun cenno a Internet al di là da venire, ma soprattutto perché non vi è accenno alla natura intrinseca della comunicazione. Negli stessi anni da Jurgen Habermas pubblicò due testi importanti. Agire comunicativo e logica delle scienze sociali. E Storia e critica dell’opinione pubblica. Nessuno di questi studi previde che il prevalere delle formazioni tecniche, funzionali alle ragioni dello sviluppo, avrebbe finito per mettere in un canto la cultura umanistica. E’ vero che, per esempio in Italia, le facoltà umanistiche sono ancora scelte dalla maggioranza dei giovani, ma questo avviene perché, per un insieme di ragioni che qui non è possibile affrontare, la struttura socio-politica dell’Italia offre ampie possibilità a chi consegue la laurea in giurisprudenza, scienze politiche, e simili. Tuttavia si tratta di preparazione tecniche che solo per consuetudine vengono definite umanistiche. Il clima generale, non solo in Italia, è senz’altro ostico a tutto ciò che non è funzionale al sistema di produzione e consumo. Il tema delle due culture, aggetto di saggi e infiniti dibattiti tra gli anni ’60 – ’70 dello scorso secolo, è oggi superato nei fatti dalla pervasività della tecnica. “Gli strumenti del comunicare” oggi sono oggettivamente comodi, peccato che la comunicazione abbia contenuti nella maggior parte dei casi, assolutamente effimeri. Non solo telefoni cellulari e Internet, ma anche buona parte dei libri pubblicati.
piergiorgio firinu
Funzione gnoseologica dell’arte.
Percepire il mondo significa avere la capacità di decifrarlo “In principio era il verbo”.La parola come strumento di possesso della realtà. Dare il nome alle cose significa farle proprie. L'espressione ampliare gli orizzonti, non significa accumulare esperienza, ma piuttosto capire le esperienze che si vivono. La preparazione culturale è propedeutica a ogni scelta, la sequela di scelte esperenziali fa di noi quello che siamo. L'abbassamento del livello culturale non consiste solo nella limitazione del sapere, ma piuttosto nella scelta e natura del sapere, e della comprensione che abbiamo. Il disturbato mentale che impara a memoria i nomi di una guida telefonica non sa nulla delle persone di cui conosce i nomi. Questa è l'estremizzazione di un finto, inutile, sapere, ecco dunque che la funzione gnoseologica dell'arte non può consistere nel porre il colore su una tela, nel frammentare la realtà raffigurando oggetti e persone, o semplicemente mettere insieme colori. Il linguaggio dell'arte ha funzione di conoscenza, non di solo piacere, di riflessione, non di pura emozione. Quando i manieristi realizzarono le loro opere, per altro splendide sotto il profilo formale, veniva loro imputato di affidarsi alla maniera, di privilegiare il mestiere rispetto all’invenzione. Appare dunque un paradosso sostenere che la caduta casuale dei colori sulla tela costituisca una raffinata tecnica pittorica. C’è chi addirittura arriva a sostenere che Pollock sapeva indirizzare la caduta del colore in modo millimetrico. Affermazione falsa ed anche contraddittoria. Il linguaggio dell’arte, come quello verbale, ha una sua grammatica, non può ridursi a un borbottio, a gergalità, ciò costituisce regressione. Anche gli animali emettono suoni, versi, comunicano tra loro guidati dall’istinto non certo da regole grammaticali. L’immaginazione è prerogativa esclusiva dell’uomo, almeno alla stadio attuale delle nostre conoscenze. Quando l’artista si accinge a realizzare un’opera si suppone abbia in mente un’idea, un progetto. L’opera è già, per così dire, nella sua testa. Tecnica e immaginazione sono gli strumenti con i quali egli realizza il suo lavoro,attua una comunicazione attraverso la forma. L’opera è riuscita quando la comunicazione riproduce una realtà possibile, o una realtà semplicemente immaginata. Il dato gnoseologico si attua nella riuscita della comunicazione visiva. La forma è il messaggio
piergiorgio firinu
Arte e neuroscienze.
Si dice che Umberto Eco avesse una parte della propria biblioteca, una specie di sgabuzzino, nel quale metteva i libri che egli giudicava espressione del “pensiero coglione”. Non so se questa cosa risponde a verità ma certo se così fosse lo sgabuzzino doveva essere stracolmo. Il “pensiero coglione” non consiste, a mio parere, nell’esprimere concetti o idee sbagliate, ognuno ha il proprio limite di conoscenza e intelligenza, quanto piuttosto di voler teorizzare come fondate idee e concetti assolutamente privi di significato logico, spacciandoli come verità assodate. Questa lunga premessa per parlare di un libro, uscito recentemente, scritto da un neurologo che insegna all'Università Columbia University di New York. A costui è stato assegnato il premio Nobel per la medicina. Si tratta sicuramente di una egregia persona la quale scrive di qualcosa che esula dalla propria professione: l'arte. Egli ritiene di collegare la neurologia all'arte. Per far questo si affida a truismi ed anacoluti. Leggo alcuni brani. “il mio scopo In questo volume quello di illustrare un modo per fare arte concentrandomi su un punto, quello di illustrare le due culture, la scientifica la cultura umanistica, il modo in cui possono incontrarsi e influenzarsi a vicenda nell'arte contemporanea e nelle neuroscienze. Si tratta di porre in modo diretto e coinvolgente domande e obiettivi che sono centrali per il pensiero umanistico in questa ricerca convivono in misura davvero sorprendente alcune metodologie”. Considero questo brano un concentrato di insensatezze. Kandel non si riferisce a un singolo artista, per il quale il discorso potrebbe avere un senso, egli si riferisce in modo generico a tutti coloro che realizzano arte astratta. Prosegue: “ il processo artistico e spesso rappresentato come pura espressione della fantasia umana, io mostro che gli artisti si sono posti obiettivi ricorrendo a metodologie simili a quelle usate dagli scienziati. Gli espressionisti astratti della scuola di New York negli anni 40 e 50 del secolo scorso sono un esempio di un gruppo che ha assodato i limiti dell'esperienza visiva estendendo notevolmente la definizione stessa di arte visiva” Di fronte a simili argomentazioni resto senza parole, è difficile anche contestare simili madornali sciocchezze, queste tesi apodittiche. Egli sostiene che l’arte occidentale ha realizzato un nuovo modo di rappresentare il mondo, in una prospettiva che non è più tridimensionale, immagini riconoscibili in modo familiare, l'arte astratta ha rotto questa tradizione per mostrarci il mondo in modo decisamente insolito esplorando il rapporto reciproco tra forma spazi e colori. Questo nuovo approccio ha messo profondamente in discussione le nostre aspettative relativamente all'arte. “Per realizzare i loro obiettivi i pittori della scuola di New York hanno spesso assunto nel loro lavoro un approccio investigativo sperimentale hanno esplorato la natura della rappresentazione visiva riducendo le immagine ai loro elementi essenziali di forma linea colore luce io esamino le somiglianze tra loro approccio riduzionistico che gli scienziati usano concentrandomi su questi artisti in particolare sull' opera del primo pittore riduzionista Piet Mondrian e dei pittori della scuola di New York Willem de kooning Jackson Pollock e Morris Louis nel loro passaggio dall'arte figurativa all'arte astratta”. Io trovo queste argomentazioni prive di una base logica. Difficile opporre argomentazioni critiche. Personalmente ho conosciuto decine, centinaia di artisti astratti e figurativi, non ho mai costatato che seguissero un metodo precostituito. Quando l’artista si pone di fronte a una tela inventa, crea. Se il suo lavoro seguisse un metodo programmato, contraddirebbe il principio fondamentale dell'arte: la non codificazione. Assimilare una opera astratta a un procedimento scientifico è una forzatura paradossale. Questo scienziato si propone di esaminare attraverso l’arte attraverso la conoscenza neurologia. Se applicasse lo stesso metodo agli artisti di cui tratta il Vasari ne Le Vite, andrebbe incontro a uno spiazzamento totale. L'arte è impulso,intuizione, ciò che nasce da una sensibilità e cultura radicata.
piergiorgio firinu
Il mondo che verrà
Le tecnologie che attualmente stanno maturando non scompariranno tanto presto. Eppure le opzioni che offrono sono decisamente sconsolanti, alimentano le peggiori paure dei Tecnofobi. Cinici e Tecnofili deridono le previsioni pessimistiche, le definiscono allarmismi sensazionalistici, senza alcun fondamento nella realtà. Atteggiamento che non tiene conto dei fatti. Sembra che costoro dimentichino che esiste una vasta maggioranza che abita in luoghi dove si potrebbero apprezzare con facilità le nostre fiorenti tecnologie. Nonostante il grido dall’allarme lanciato da Frantz Fanon fin dal 1961 quando pubblicò, con la prefazione di Jean Paul Sartre “I dannati della terra”, nulla è cambiato nei confronti dei paesi che hanno minori risorse e quindi maggiore difficoltà a dotarsi delle tecniche in grado di aiutarli ad ottenere uno sviluppo sufficiente a consentire un’autonoma sopravvivenza. A partire dagl’anni ’80 c’è stato un incremento di più del 50% della popolazione nell’Africa sub-Saariana. La metà della popolazione è costituita da giovani al di sotto dei 25 anni. E’ previsto che per la metà di questo secolo, il 90% di tutti i neonati nasceranno in paesi in via di sviluppo. In un breve arco di tempo i paesi industrializzati conteranno meno di un miliardo di persone. Nel 2050, gli africani saranno tre volte più numerosi degl’europei. Il problema non è solo di numeri, Attualmente un miliardo e trecentomila persone vivono con un reddito inferiore a un dollaro al giorno.Quattro miliardi e ottocentomila persone non dispongono di nessuna tutela sanitaria, un terzo di loro non ha accesso all’acqua potabile.Oltre un miliardo di persone sul pianeta è completamente analfabeta. Tutto questo mentre in questi stessi paesi il prodotto interno lordo è in calo, per via del predominio delle multinazionali delle sementi e delle forniture industriali e prezzi inaccessibili per i paesi poveri. I danni all’eco sistema si assommano all’effetto serra provocando danni ecologici irreversibili. In Brasile un quinto della foresta pluviale amazzonica è già stato distrutto. Aumenta la quantità e la dimensione dei centri urbani. Il numero delle città con più di un milione di abitanti ammontava a 163 nel 1990, si prevede che saranno 368 entro il 2010. Nel 1960 soltanto Tokyo e New York contavano più di dieci milioni di abitanti; entro il 2015 ci saranno 26 “megacittà”, 22 delle quali nelle regioni meno sviluppate. Proprio in queste aree si verificherà la più rapida proliferazione di esseri umani. A tutto questo si aggiunge all’incuria ecologica che dura tutt’ora, ai guasti del mercato globalizzato. I politici più avvertiti, pochi per la verità, avvertono l’incombente disastro. Bob Carr, già primo ministro del Nuovo Galles del Sud, in Australia ha dichiarato che nel corso di una vista nei paesi del Nord-Est asiatico, ho potuto constatare il futuro che ci aspetta.
piergiorgio firinu
Cautele superflue.
“La situazione emotiva è esistenzialmente connessa un’aprente remissione al mondo in cui possiamo incontrare ciò che ci procura affezioni”. Queste scrive Heidegger in Essere e Tempo, una chiave di lettura per capire i comportamenti delle masse. Dobbiamo constatare che la scoperta, e accettazione del mondo è affidata alla emotività sulla quale fanno perno tutte le forme di persuasione. Vi è una strano paradosso nel supporre che attraverso l’emozione, si percepisca di più e meglio la realtà. Più di cento anni fa Charles Darwin espose la teoria secondo la quale le emozioni sono universali, e quindi senza dubbio sono una parte di quello che possiamo definire “natura umana”. Ogni interpretazione si dovrebbe fondare sulla comprensione. Il senso è ciò che viene articolato e motivato. Chi ha definito la ragione “la principale caratteristica umana”, evidentemente si riferiva a una umanità estinta. Quando Pascal argomenta che l’uomo è “una canna che pensa” e la sua superiorità deriva dalla consapevolezza, immaginava un essere umano che se mai è esistito, è estinto da tempo. Qui non si tratta di teorie millenaristiche, si tratta semplicemente di prendere atto della realtà La visione ambientale quotidiana non è fatta di contemplazione teoretica, ma è appiattita anticipatamente su una conoscenza parziale, distorta, del mondo. Senza supporre l’irraggiungibile ideale della conoscenza assoluta, di fatto irrealizzabile, ma neppure di rassegnarci all’opposto. E’ proprio di una visione instabile, emotivamente frammentata, porta a scelte indotte, per compiere le quali non vi è riflessione, solo valutazioni di convenienza e/o di piacere. Il grande potere di adattamento dell’essere umano si è ritorto contro se stesso. La visione del mondo contemporaneo è la prova più evidente che l’Illuminismo ha fallito. Le biblioteche sono cimiteri di “ismi”, leve con le quali alcuni ottimisti hanno tentato di sollevare l’uomo all’altezza delle sue potenzialità. Non è stato mai sufficientemente sottolineato l’alto contenuto simbolico della debolezza di Adamo che perde tutto per una mela. Atto di disubbidienza, volontà di accedere all’albero della conoscenza. Fetonte è, insieme ad Adamo, la metafora dell’uomo che non riesce a mettersi all’altezza delle proprie aspirazioni, per ambizione, viltà, improntitudine.
piergiorgio firinu
Produzione di differenza.
Che cosa è una differenza? Differenza è un concetto molto peculiare e oscuro. Non è una cosa, un evento. E’ una sensazione soggettiva. Se cominciamo a porci le domande sulla natura delle differenze abbiamo difficoltà a definirle. Una differenza che si produce nel corso del tempo viene definita “cambiamento”. Nelle scienze fisiche gli effetti delle differenze costituiscono condizioni concrete. Un nero è diverso da un bianco, un pezzo di legno è diverso da un pezzo di carta. Ma quando si entra nel campo della comunicazione, dell’organizzazione, gli effetti non sono più così evidenti. Quando io guardo carta e legno, percepisco la differenza in quanto conosco a priori le caratteristiche della carta e quelle del legno. In caso contrario non potrei rilevare la differenza, potrei constatare soltanto che le due materie hanno caratteristiche diverse. La differenza tra legno e carta viene rilevata dalla retina ed elaborata dal cervello. L’elaborazione è possibile in base alle mie conoscenze. Nelle mia mente il nulla, ciò che non esiste, non può essere elaborato. Il cervello funziona solo in base alla captazione di dati sensibili o in base a esperienze pregresse. Nelle scienze fisiche noi ricerchiamo le cause, partendo dal presupposto siano reali. Ma, esistono effetti che la nostra conoscenza-esperienza da per scontati. Chi mai ha visto l” energia” eppure sappiamo che esiste una forza che convenzionalmente viene definita “energia”. Si dice anche “energia dello spirito”. Buona parte di ciò che crediamo di sapere in realtà consiste in un atto di fede su fenomeni e materia che non siamo in grado di verificare e spesso neppure di capire interamente. Le analogie dalle scienze fisiche sono prese a prestito come base concettuale per costruire teorie psicologiche e del comportamento. Questa struttura alla Procuste è spesso insensata, sbagliata. La parola “idea” , nella sua eccezione più elementare , è sinonimo di differenza. Nella critica del Giudizio, Kant afferma che l’atto estetico più elementare è la scelta di un fatto; egli sostiene che in un pezzo di gesso c’è un numero infinito di fatti potenziali. La Ding an sich, il pezzo di gesso, non può mai entrare nella comunicazione o nel processo mentale proprio a causa di queste infinite potenzialità. I ricettori sensoriali non possono intercettarle; le eliminano. Tra l’infinito numero di differenze ne scegliamo un numero limitatissimo, che diviene informazione. In effetti ciò che intendiamo per informazione , per unità elementare d’informazione, è una differenza che produce differenza. Se noi valutiamo sotto il profilo informativo un’opera d’arte, scopriamo che quello che ci viene comunicato non è informazione, se non in rari casi, ma piuttosto conferma di una visione stereotipata di una porzione di realtà-conoscenza. Un’opera che riproduce frutti o sottobosco in materiale plastico quale tipo d’informazione veicola? Una riproduzione seriale di una icona della modernità quanta informazione contiene? Siamo in presenza di espedienti elementari che fanno perno sul fenomeno di semplificazione psicologica basata sul riconoscimento, sul déjà vu. L’arte contemporanea, contrariamente a quanto presume, è essenzialmente coazione visiva, immersa com’è nel contingente mondano. La stessa serialità, se non è dovuta a una tendenza alla diplopia, è dimostrazione evidente della difficoltà degli artisti contemporanei di sottrarsi ai limiti della loro modesta cultura, ricorrendo modesti artifizi. Ogni opera degli antichi maestri, e dei migliori artisti moderni, fa storia a se, illustra stimola, propone, allude. Caratteristica dei pasdaran dell’avanguardia, è la cifra ripetuta all’infinito. E’ ciò che il mercato richiede, l’immediata univoca identificazione, stereotipi ripetuti, logo immediatamente identificabile.
piergiorgio firinu
Cos'è la cultura?
Tra le tante domande inevase, una ricopre importanza particolare perché basica: Che cos'è la cultura? Per alcuni una professione; scrittori, filosofi, docenti, forse anche artisti. Tutti costoro esprimono le loro opinioni, scrivono per divulgarle. Capita che queste opinioni abbiano successo. In tal caso si arenano in una accettazione rassegnata. Realizzare una certa opera, scrivere un libro è semplicemente mestiere. Nella migliore delle ipotesi, per i più ottimisti o più ingenui, è un tentativo di concorrere a modificare il mondo, arricchire la realtà sociale attraverso nuovi pensieri. Se vediamo in questa ottica la cultura dovremmo scartare molta parte di essa, tutta quella che forse modifica il mondo, ma in peggio. Il narcisismo ha una parte importante nello stimolare chi crede di aver capito più degli altri. Non si tratta solo di guadagnarsi il pane, ma di nutrire la vanità. Ho sempre considerato una sciocchezza coloro che si considerano tanto importanti da sentire il bisogno di scrivere la propria autobiografia. Si interessa della vita degli altri soprattutto chi non è soddisfatto della propria, cioè la maggioranza di noi. Questa la ragione per cui le autobiografie hanno successo. Soprattutto se scritte da degenerati/te. Le donne parlano di sè, qualunque cosa scrivano. Nei libri parlano di sesso e di vittimismo. Nelle opere d’arte spesso rappresentano se stesse tout court. Tanto maggiore è il senso di inadeguatezza tanto più necessario il consenso degli altri. Dite a una donna che è bella e intelligente,ve ne sarà grata. Vi crederà anche se è davanti a uno specchio che la smentisce o sta leggendo un libro che non capisce. La presunzione dei maschi li rende meno sensibili alle lusinghe. Il femminismo pensa di liberare le donne dai loro complessi, in realtà le colma d’illusioni, prodrome di futuri disastri. Diceva il grande dandy Oscar Wilde: “ Le donne non sono fatte per essere capite ma amate”. Ma oggi molte hanno baypassato il problema: si amano tra loro. Scienza e tecnologia sono sempre più nelle nostre vite, servono anche a mascherare il qualunquismo culturale che dilaga. Sull’inserto culturale di un quotidiano ho letto un articolo. Titolo: “Quando la sovversione diventa classica”. Chi ha stabilito questa cosa? Quando si fanno simili affermazioni bisognerebbe anche spiegare ciò che la filosofia di un tempo indicava come “principio di ragion sufficiente”. Il ’68 non ha modificato i canoni estetici, semplicemente li ha ignorati. D’altra parte dopo DADA, Fluxus, Pop, Body e Trash, parlare di canoni dell’arte non ha senso. Aleggia il brutto, il kitsch che piace tanto alle borghesotte che affollano i saloni in cui si esibiscono modelle o artisti; senza differenze di rilievo. Vagine, tampax, merda in scatola, hanno da tempo cancellato ogni illusione sul riscatto dell’arte. Gli intellettuali da rotocalco ritengono di dare una veste plausibile a fenomeni di una realtà che ci sfugge di mano. Pollock è diventato un classico, Warhol un’icona. Non so se ci sono ancora scalini da scendere o ci si debba buttare direttamente nel vuoto. Come nelle opere di Pollock la ricaduta casuale di parole si stratifica. Si formano cumuli di opinioni, pensieri, teorie. Noi chiamiamo tutto questo cultura. Privi di capacità critica, non esaminiamo i fenomeni, li accettiamo. La cultura contemporanea è una continua celebrazione del presente, elegia tutto ciò che accade. Progresso è la nuova idolatria.
piergiorgio firinu
Combattimento per un immagine.
Non c'è dubbio che l'arte contemporanea si è trovata di fronte a una grave difficoltà. O confrontarsi con l'arte del passato, quindi con una grandissima esperienza tecnica ed immaginativa, oppure affrontare in altro modo e creare condizioni particolari in cui fosse possibile esplicare in modo diverso un sistema dell'arte che fosse originale. Purtroppo così facendo ha buttato, come si suol dire, il bambino con l'acqua sporca; nel senso che rovesciando il tavolo ha fatto cadere anche un riferimento di originalità artistica. L'immaginazione non è altro che l'unione del molteplice nell'intuizione, l'intelletto per l'unità del concetto che interpreta la rappresentazione. Tale facoltà matura attraverso L'esperienza è la conoscenza raggiunta con l’umiltà di affrontare in modo semplice la realizzazione delle opere d'arte, per esempio con la manualità. Non manualità tecnica, facendo ricorso ad effetti speciali e/o tutta una serie di attività che non hanno nulla a che vedere con la tecnica e l'esperienza legata all'arte. Benjamin sottolineava come nel tempo della riproducibilità tecnica l'arte ha perso buona parte della propria aurea. Aurea Intesa nel senso di trasmettere qualcosa che abbia un significato simbolico e rifletta una gradevolezza estetica. A parte lodevoli eccezioni, è chiaro che l'arte contemporanea è molto lontano da queste forme espressive. Creare situazioni di gradevolezza estetica, non è che un aspetto della produzione dell'arte perché questa può essere creata anche con una forma elaborata dalla tecnica come in effetti avviene. Noi assistiamo a manifestazioni che vengono definite artistiche e francamente non sono che ridicoli stereotipi. Le luci d'artista che date proposte dall'assessore l'allora assessore Alfieri a Torino, poi adottate da altre città. Cosa significa “luci d’artista”? Una scritta posta di traverso sulla strada, il colore di un lampione?. Tutte operazioni realizzate da un operaio elettricista che dovrebbe allora essere considerato il vero artista, non semplicemente un tecnico. L’operaio che realizza le “opere”, con tutto il rispetto, realizza qualcosa di assolutamente ordinario. Potrebbe essere l’insegna di un esercizio commerciale, di un Supermarket. Queste queste forme di degradazione dell'arte hanno conseguenze estremamente spiacevoli, perché confermano l’idea che arte sia tutto, secondo la tesi del famigerato George Dickie. Tali forme di “arte” vengono poi imitate dai giovani artisti,cooptate dalle accademie. Una bellezza naturale, diceva Kant, è una cosa bella, la bellezza in arte e la rappresentazione di una cosa bella Vedere una cosa bella in luce colarata, signfica che si dovrebbe andare in visibilio passeggiando nelle vie di una città in cui ci sono insegne al neon di molti colori. L'artista contemporaneo deve combattere con il profluvio di immagini che affollano tv, giornali, cinema, ogni aspetto della realtà quotidiana è ricco d’immagini, ciò rende sicuramente più difficile il proprio mestiere dell’artista, ma proprio per questo, non vi sono soluzioni facili. Si dovrebbe affrontare il problema con gli strumenti propri dell'arte. Nei fatti è stato abbandonato ogni tentativo di dare un senso a quello che viene generalmente definito arte spesso, si procede per successive improvvisazioni.
piergiorgio firinu
Akrasia.
Secondo David Hume la ragione dovrebbe essere schiava delle passioni. L’accettazione di questo principio, congiuntamente alla diffusa akrasia, renderebbe il nostro mondo ancora più confuso di quanto già non sia. Non c’è dubbio che la psicologia dell’inconscio spesso vanifica l’esperienza cosciente della libertà Hume diceva anche: “non è contrario ai dettami della ragione che io preferisca la distruzione del mondo intero allo scorticarsi del mio dito mignolo”. Ciò spiega perché la filosofia possa essere usata per giustificare le peggiori propensioni umane e arrivare all’attuale relativismo morale. Se questo vale per ragioni fondamentali come la stessa distruzione del mondo possiamo immaginare quanto di più possa valere per molteplici debolezze umane. Combattuto tra illusioni e debolezze siamo alla ricerca di qualcosa che alimenti le prime e giustifichi le seconde. L’illusione ci è compagna creando spiragli di possibilità. Vi è una teoria secondo la quale il /colore è un’illusione. Un’illusione che non possiamo fare a meno di avere. Molto più facile invece rinunciare a ogni credenza se, come sostiene J.R. Searle: “La credenza è un impegno nei confronti della verità”, quindi ci impegna verso le consequenzialità logiche che derivano, limitando per ciò stesso le possibilità della ragione a servire la passione. Sia la ragione pratica sia quella teorica sono soggette a vincoli razionali, ma la verità è impersonale. La verità è una ragione per credere per tutti. Per questo è bene sbarazzarcene rendendola soggettiva, quindi relativa, quindi inutile. La laicità del sapere può usare la ragione per annullarla. Per Platone e Aristotele, la conoscenza tende al possesso assoluto della verità in un percorso senza fine, perché senza fine sono le domande che l’essere si pone. La stessa domanda del “Cos’è”, al centro del dialogo socratico, indica un percorso infinito nel il cinismo è un pesante quanto inutile bagaglio. . Pare che l’uomo contemporaneo, con la sua “piccola scienza” creda di avere trovato tutte le risposte. Come un sordo che confonde la sua impossibilità di udire, con l’esistenza oggettiva del silenzio intorno a se.
piergiorgio firinu
Arte povera arte.
E’ in corso una mostra a Genova con la quale Germano Celant celebra se stesso. Nel sottotitolo dell’articolo che recensisce la mostra è scritto: “ Mezzo secolo fa un movimento rivoluziona l’Estetica. ≤ creare diventa un lavoro in cui ci si sporca le mani≥”. Intanto l’arte povera non rivoluziona nulla, semplicemente segue la scia di Dada e Fluxus , inoltre non vi è affatto l’utilizzo delle mani, sia perché abbondano i ready made e la fotografia, sia perché molte delle opere si avvalgono dell’ apporto di specialisti che non sono artisti, pensiamo all’uso abbondante di neon. L’arte povera quindi si limita a riprodurre le cifre dell’arte che hanno accompagnato la produzione artistica dell’ultimo secolo. L’arte contemporanea si riduce a produrre un dettaglio, ricorre al riciclo sotto specie di ready made. Esaminiamo le opere che illustrano l’articolo su citato. Opera di Jannis Kounellis, senza titolo, del 1960, costituita da una tela con segni indecifrabili e numeri. L’opera di Pino Pascali, titolo “coda di delfino” 1966, rappresenta una sagoma di pesce abbozzata. Giovanni Anselmo, titolo “Torsione” 1968, appare una croce rovesciata, simili a un piccone. Michelangelo Pistoletto,titolo “lui e lei” 1968, rappresenta un uomo e una donna di fronte che si guardano negli occhi. Di Mario Merz è presente il ben noto igloo con luci al neon, titolo “Object rache” 1968-1977. Luciano Fabro esibisce la classica immagine dell’Italia, titolo “Nazione Italica” 1969. Segue Pier Paolo Calzolari che espone un’opera in cui è raffigurata una sedia sovrastata da una scritta al neon,anno1970. Giulio Paolini presenta un nudo di donna in gesso, reperibile in qualunque gipsoteca, su di un cubo, titolo “1 e 2 come gli orienti sono due” 1970. Alighiero Boetti presenta una carta geografica, titolo “Mappa” 1989. Infine Giuseppe Penone, la cui opera raffigura quello che appare un albero secco con rami, titolo “Pelle di foglie” 2005. Mi sono dilungato nella descrizione, spero
sufficientemente precisa, delle opere nell’impossibilità di presentare le immagini. Mi astengo dall’indicare le quotazione che sono indicate in calce alle opere stesse, il costo non costituisce una eccezionalità, tanto più dopo la quotazione esorbitante dello squalo in formaldeide di Damien Hirst, la rana crocifissa di Martin Kippenberger , il lampadario costruito con tampax di Joana Vasconcelos. Non mi pare oggi esistono più spazi per le provocazioni, anche se resta insuperato Piero Manzone con i suoi barattoli di merda quotati 20000,00€. Non resta che prendere atto che l’arte si è arenata in un cul-de-sac del non senso. Avendo puntato tutto sulla provocazione, l’arcinoto “épater le bourgeois” , in realtà non ha provocato nessuno, tutte le opere sono state prontamente assorbite dal mercato. All’arte non è rimasto spazio per ulteriori azzardi. In questi ultimi anni, a parte l’arte femminista che persiste nell’usare il corpo, la gran parte degli artisti, abbandonati gli schemi Dada, Fluxus, Arte Povera, si è rifugiata nel ludico tecnologico, nel citazionismo digitale. La lunga agonia dell’arte prosegue, tenuta in vita, per ragioni di lucro, dall’accanimento terapeutico del mercato.
piergiorgio firinu
Fantasia e razionalità
Sembra che i matematici, e ancora più gli studiosi di logica, per l’eccessiva concentrazione della mente su sfumature del pensiero finiscano spesso per perdere il controllo e nel loro comportamento lascino emergere stranezze di ogni genere fino al punto di arrivare al suicidio. Godel si lasciò morire di fame. Church si comportava in modo strano, parlava da solo ad alta voce. Post veniva sottoposto periodicamente all’elettroshock. Nel film Beautiful Mind viene rappresentata la vita travagliata di John Nash, in bilico tra genio e pazzia. Forse è da questa instabilità mentale dei geni che nasce l’affermazione “l’arte inizia dove la scienza(razionalità) finisce”. Anche se l’affermazione va presa con cautela, tuttavia è vero che voler raggiungere l’essenza logica del pensiero affidandosi alla pura razionalità, in molti casi ci si perde. L’arte segue il metodo opposto. L’artista, crea una realtà alle quale fa partecipare tutti noi, così che, in un certo senso, siamo noi a perderci. Le costruzioni fantastiche più riuscite entrano a far parte del nostro immaginario, diventano punto di riferimento delle nostre fantasie, metro di paragone con la realtà. A volte l’arte appare volutamente irrazionale, apre spiragli sul possibile, su inesplorati angoli della nostra mente, attraverso linguaggio e immagini. Kafka con le sua fantasia ci porta al limite dell’assurdo a cui può giungere la nostra esistenza. Kafkiano è termine di paragone per gli aspetti della realtà chew ci sfuggono. Così come le opere di Ionesco e Beckett, i mondi fantastici creati dai surrealisti. La morale che se ne può trarre, è parzialmente in contraddizione con il titolo della celebre opera di Goya “Il sonno della ragione genera mostri”. In molti casi il sonno della ragione ci mette di fronte ai limiti della nostra capacità di capire, induce a riposare la mente, permette di mantenere o riacquistare il senso della misura, l’equilibrio di cui abbiamo bisogno per affrontare la realtà quotidiana,
piergiorgio firinu
Il Nobel e altri disastri.
George Bernard Shaw, che in quanto a boutade non era da meno di Oscar Wilde, una volta disse: “si può perdonare ad Alfred Nobel di avere inventato la dinamite, ma non di aver creato il premio che porta il suo nome”. Con la scienza del poi, più che una boutade quell’affermazione appare una premonizione. E’ noto che la Svezia, come quasi tutti paesi del nord Europa, è sempre stati all’avanguardia nell’omologare ogni forma di perversione, non a caso il potere femminile è prevalente da decenni. Questo finisce per costituire giustificazione ed alibi per altri paesi, anche quando hanno tradizioni culturali e antropologiche agli antipodi dei paesi nordici. Perché questa digressione? Perché ci aiuta a capire le ragioni per le quali è stato dato il premio Nobel per la pace a Barak Obama prima ancora che salendo al potere dimostrasse di essere un uomo di pace; infatti, anche grazie alla pressione e ai suggerimenti di Hillary Clinton, Obama ha scatenato guerra alla Libia e alla Siria, finanziato l’ISIS che poi è diventata fucina di terroristi con i quali l’Europa deve fare i conti. Qualcosa di analogo è accaduto con Aung San Suu Kyi, diventata un’eroina sotto la pressione delle potenti lobby femministe e liberal, una volta raggiunto il potere “l’eroina”non ha trovato di meglio che compiere una strage prendendo a colpi di mortaio il popolo Rohingya, minoranza etnica di religione islamica. Infine il brian trust di Stoccolma, ha pensato bene di assegnare il premio per la letteratura allo statunitense Bob Dylan, un cantante country . Simile decisione non costituisce certo incoraggiamento alla cultura, ma piuttosto sprone alle case discografiche che presto organizzeranno lobby per far ottenere il premio ai loro autori. Last but not least, c’è da tener conto degli effetti collaterali. Un autore a cui venga assegnato il Nobel, a prescindere dalla qualità del suo lavoro, vedrà aumentare le vendite. Gli editori raschieranno, come si dice, il fondo del barile per pubblicare tutto ciò che ha scritto, anche nei periodi di obnubilamento creativo che colpisce ogni autore. In conclusione affidare a un gruppo di vecchietti di non specchiata virtù il compito di indirizzare le masse verso un autore, è effettivamente un atto abominevole che solo all’inventore di uno strumento di distruzione di massa poteva venire in mente.
piergiorgio firinu
Economia e arte.
A ogni disciplina corrisponde inevitabilmente una storia che ne racconta gli sviluppi. Quella che definiamo genericamente storia della filosofia ha lo scopo di stabilire uno schema dialettico, una gerarchia di valori fra filosofi che la tradizione si trova unanime nel riconoscere come degni di questo nome. Per quanto riguarda la storia dell’arte, la cesura della contemporaneità, l’ha di fatto annullata. Non solo perché l’arte ha subito un processo di involuzione, anziché di evoluzione, ma soprattutto perché i riferimenti dell’arte non sono più in ambito culturale ma di mercato. L’arte come fenomeno mondano è esentato da riprodurre valori, proseguire un processo gnoseologico di rappresentazione e insieme d’interpretazione del mondo. La storia della filosofia conta oltre 30 secoli, la storia dell’arte è nata contestualmente al mercato. Nel momento in cui l’arte è stata considerata un valore di scambio, si è fatta merce tra le merci, da quel momento l’arte in quanto tale, nella sua oggettività, è retrocessa, in primo piano è balzato si è posto il produttore, come personaggio mondano, la cui esibite stranezze, lo rendono un buffone della borghesia, cioè dei suoi clienti. Detto in altri termini, alla degenerazione del prodotto “arte” si è accompagnata la valorizzazione dell’artista come personaggio. Poco importa che la sua cultura sia modesta, se non inesistente, egli è un produttore. Tutto ciò è coerente con i principi economici illustrati nella dottrina di Marx, Riccardo, Adam Smith.. Non solo le opere prodotte per il mercato, ma anche le opere a carattere religioso sono diventate oggetto di scambio, valori, merce. Oggi che anche i giornali finanziari si occupano con ampiezza del prodotto artistico, la storia dell’arte diventa irrilevante, se ancora resiste, è perché serve a “nobilitare” prodotti che altrimenti, come valore intrinseco, non varrebbero quanto un sacco di legumi.
piergiorgio firinu
Dada
Fa una strana impressione leggere la sequela di banalità scritte da Jean Arp, tratte dal catalogo della sua mostra a Venezia, e confrontarle con la dotta esegesi della poetica Dada scritta da Massimo Cacciari. “Dadaisti sono mossi da un duplice sentimento di disgusto e di rivolta: disgusto verso tutte le forme di civilizzazione moderna e rivolta contro convinzioni e convenzioni imperanti in ordine a concetti e principi come l’Onore, la Patria, la Famiglia, l’Arte, la Religione, la Libertà. Il movimento nasce da una profonda esigenza morale, da una volontà implacabile di attingere a un assoluto morale e di guardare il mondo con occhi “nuovi”………” ci vuole davvero molta ma molta fantasia per scorgere una “volontà implacabile” nelle scelte casuali dei Dada, ancora di più per vedere nelle loro azioni l’intenzione di attingere a un “assoluto morale”. Già Karl Marx aveva scritto “ fin’ora i filosofi si sono limitati a descrivere il mondo. E’ ora di cambiarlo”. Sappiamo com’è finita. La razionalità dell’azione, la sua efficacia e utilità deriva innanzi tutto dalla chiarezza dei concetti su cosa si vuole modificare e quali strumenti sono più adatti per ottenere il risultato voluto. Ora sarà difficile sostenere, al di la della retorica di chi si esalta al suono della sue stesse parole, sostenere che dopo i Dada e grazie ai Dada il mondo è migliore, anche minimamente migliore. Più facile sostenere il contrario, soprattutto se limitiamo l’attenzione al solo campo dell’arte dove i nipotini di Duchamp dilagano. L’Istituzione Arte non è stata minimamente toccata dalle azioni dei dadaisti il cui fallimento è certificato dal fatto che le loro opere sono diffuse nei musei e istituzioni d’arte, hanno quotazioni altissime, sono entrate nella storia dell’arte, hanno offerto pretesto e giustificazione a tutte le brutture che gli artisti hanno prodotto dopo di loro.
piergiorgio firinu
Religione e arte.
Nessun altra religione ha avuto tanto amore per l’arte come la chiesa Cattolica di Roma. Spesso si tende e dimenticare che l’immenso patrimonio d’arte dell’Italia, lo si deve alla curia romana. Per nostra fortuna nel conflitto contro gli iconoclasti, vinse la Chiesa di Roma, grazie a questa vittoria fu possibile il Rinascimento e lo sviluppo dell’arte che conosciamo. Quasi tutti i Papi furono grandi collezionisti, anche se non tutti amarono la pittura con la stessa intensità di Sisto V e Giulio II. . Paolo III a esempio nutriva un interesse per gli scavi che rasentava il fanatismo. Dai giardini di Cesare e dalle terme di Diocleziano e Caracalla furono portati via i pezzi principali che oggi arricchiscono il museo archeologico di Napoli. Logorio affermò che il numero dei capolavori asportati supera ogni fantastica previsione. Paolo III lascio tutte le sue collezioni al nipote, il cardinale Alessandro Farnese. Molte delle opere sottratte agli scavi servirono in qualche modo ad abbellire Roma. Furono anche usati per eseguire lavori per la trionfale accoglienza che la città riservo alla visita dell’imperatore Carlo V al suo arrivò a Roma il primo aprile del 1536. Alessandro VI aveva già concesso al Farnese, quando ancora era cardinale, pieni diritti sulle rovine, degli edifici e le fortificazioni intorno a san Lorenzo fuori le Mura. Il cardinale li usò come cava di materiali da costruzione con i quali costruì Palazzo Farnese. Le rovine residue degli edifici dal secolo VIII al XII, furono ammassate e servirono come barricate improvvisate contro le invasioni dei Saraceni e dei Teutonici. Le collezioni Farnese, fu lasciata da Paolo III al nipote, da quest’ultimo donate alla città con un testamento del 1587. A voler essere maliziosi, si potrebbe mettere in relazione il declino del papato, con il declino dell’arte, come è stato ipotizzato, estendendolo alla nobiltà. Con l’avvento della borghesia, la nascita del mercato, l’arte è diventata una merce come un'altra.
piergiorgio firinu
Beuys
Nessuno può dubitare che Beuys appartenga alla tradizione dei movimenti d’avanguardia. Nel suo discorso in occasione del conferimento del premio Lehmbruck lo ha dichiarato egli stesso. Egli tuttavia è stato consapevole che i movimenti d’avanguardia hanno fallito non essendo riusciti a realizzare i loro progetti relativi ai rapporti arte-società. Il giudizio rimane all’interno della logica dell’aut-aut. Il fallimento avviene, come ha chiaramente scritto Ernst Bloch quando una promessa di cambiamento non viene mantenuta. Si può indagare sulle cause, ma la sostanza non muta. Il dadaismo e il primo surrealismo erano sostenuti dalla speranza che liberare la fantasia, delegittimare le accademie, fosse sufficiente a distruggere l’istituzione autonoma dell’arte. Di tutto questo in Beuys rimane ben poco. Egli sposta il concetto di arte avvicinandolo a quello di scienza; questo a sua volta viene poi differenziato dal concetto di scienza dominante e assimilato a quello di apprendimento di metodo. Nel 1943 Joseph Beuys precipita in Crimea con il suo aereo da guerra. Dopo molti giorni in cui rimane privo di conoscenza viene trovato nella neve da alcuni tartari, che lo strofinano con del grasso e lo avvolgono nel feltro, cosi lentamente egli si rianima e riacquista colore corporeo. Questi due materiali, grasso e feltro, restano legati per sempre all’esperienza della rinascita dalla morte per assideramento grazie alle proprietà calorifere del grasso e a quelle isolanti del feltro. Eccò perché i due materiali diventano simbolo di una mitologia individuale. Beuys sulla base dei materiali si crea una sorta di alfabeto, che però non consiste in fenomeni ma in concetti complessi. Così l’opera “L’angolo del grasso” esposta al Guggenheim Museum , non consiste soltanto in un oggetto percepibile, nel grasso spalmato nell’angolo di una stanza, ma anche nell’auto-interpretazione e nel commento del catalogo. Quanto i due livelli di significato possano divergere tra loro lo si vede ancor meglio nell’opera gestuale “Come spiegare dei quadri a una lepre morta”. Beuys siede su uno sgabello che ha una gamba avvolta nel feltro; sopra la testa si è versato del miele; al piede destro ha fissato una suola di ferro, il piede sinistro sta sopra una suola di feltro di pari grandezza; in grembo tiene una lepre morta; la mano destra è sollevata in gesto di ammonimento; alle pareti sono riconoscibili dei disegni. Una foto di Ute Klophaus coglie il momento dell’azione. Ogni particolare ha per l’artista un preciso significato allegorico. L’allegoria della scena mostra lo spostamento semantico che Beuys espone nelle dichiarazioni che esprimono la la sua problematica dell’arte . Ma quali sono gli elementi che permettono all’osservatore di interpretare l’opera in coerenza con le intenzioni dell’autore? Le teoria è eteronoma sia rispetto all’esperienza della ricezione sia ai singoli elementi che costituiscono la scena. Che l’allegoria si realizzi nel senso voluto dall’artista, liberando in tal modo se stessa nel significato simbolico voluto, non lo si può stabilire con una anticipazione teoretica. Senza dubbio Beuys ha fatto molto affidamento sui media. Anche chi è estraneo all’arte avanguardistica non avrà mancato di notare l’uomo dal cappello di feltro. I suoi lavori però restano esoterici, inaccessibili anche per chi cerca di attenersi ai suggerimenti del suo stesso autore.
piergiorgio firinu
Razionalità è libertà?
Vi è ampio consenso alla tesi secondo cui la razionalità è presupposto della libertà. Le azioni sono considerate positivamente se, e solo se, compiute liberamente. In astratto è un corretto principio di democrazia. Se però prestiamo attenzione alla manifestazione di libertà, qualche dubbio affiora. Intanto bisognerebbe supporre un livello intellettuale minimo, in caso contrario la capacità di decisione e scelta viene meno. Inoltre accade, che individui più dotati, o pou astuti e spregiudicati, ottengono la supremazia. Libertà quindi implica equilibrio sociale ed un livello abbastanza omogeneo di capacità intellettive. Le scelte presuppongono la coscenza di oggetti e/o situazioni sui quali si esercita. La persona il cui atto è determinato da credenze e desideri, nel modo teorizzato dal Modello Classico, agisce in maniera costrittiva al di fuori dell’ambito complessivo della razionalità, quindi non agisce liberamente. Nella vita pratica siamo soggetti a una serie di condizionamenti. La pubblicità ha come unico scopo suscitare desiderio, quindi motivazioni ad agire acquistando la cosa desiderata. La politica spesso ha carattere decettivo, attua falsi ideologici facendo credere qualcosa di non vero. Sia la pubblicità che la politica fanno perno su quello che i sociologi definiscono “istinto del gregge”. Per gli animali, non umani, l’azione ha ragioni immediate. Il linguaggio è la condizione per creare ragioni indipendenti dai desideri. E’ l’uso corretto del linguaggio la fonte della libertà. Allo stesso tempo il linguaggio è lo strumento per la falsificazione. Per poter organizzare il tempo su base sociale sono necessari meccanismi idonei a giustificare aspettative ragionevoli facendo riferimento anche al comportamento degli altri membri della società. Il futuro ha anche carattere sociale. Sappiamo che in ogni situazione della vita reale vi sono un gran numero di ragioni in contrasto tra loro, quando giunge il momento di decidere, se ci affidiamo all’istinto animale, decidiamo ciò che in quel momento sembra più utile a noi. Non è detto sia la scelta giusta. Per questo la caratteristica dell’egoismo è la miopia, se non altro perché non tiene conto della reciprocità. Qualcuno ha detto che “la bontà è la forma suprema dell’intelligenza”. Non è una frase campata in aria. Agire razionalmente presuppone l’abilità di riconoscere e operare con coerenza. Bernard Williams sostiene che non esistono ragioni esterne per agire, tesi che risulta tautologicamente vera. Il problema consiste nel valutare ciò che siamo riusciti a mettere dentro di noi. Sarà più lungimirante l’agire di Madre Teresa di Calcutta, o quello del drogato totalmente concentrato sull’effimero piacere del momento. Quali “libere” decisioni avranno condotto ad esiti tanto diversi. I neo-utilitaristi e liberisti ad oltranza dimenticano che in origine l’essere umano era totalmente libero. Rinunciò a una parte della sua libertà aggregandosi con suoi simili dando inizio a quella che definiamo “civiltà” la quale non vive senza norme. Le regole sono sempre a vantaggio dei più deboli. La libertà è una condizione dell’Essere. Acquista significato e concretezza quando si creano le condizioni perché possa essere esercitata. Un essere umano lasciato libero in un deserto o in una landa desolata ha come unica libertà quella di morire di fame o essere dilaniato da animali. Ciò che avviene a livello individuale si riflette ovviamente nella collettività. L’arte, la cultura in generale, ispirata da solipsismo, condizionata dal trend, potrà avere successo immediato quanto effimero, ma certo non concorre ad arricchire il sentimento di libertà quando esalta le forme più abiette della condizione umana.
piergiorgio firinu
Idee sommerse.
Critica e filosofia dell’arte si prodigano nel giustificazionismo dell’esistente ed assumono come riferimento la storia dell’arte del recente passato. Nel far questo producono teorie ancipiti, e incorrono in omissioni. Per esempio è trascurato il percorso epistemologico che conferisce all’artista, ovvero al critico, la facoltà di attribuire valore estetico e/o artistico ad un determinato oggetto. Inoltre non viene affrontato il problema del ripudio dell’estetica da parte di alcune correnti artistiche. Quale riferimento resta all’arte che rifiuta l’estetica? Non restano più riferimenti, soltanto molteplicità o varietà di scelte arbitrarie e variamente motivate. La nozione di unità del senso sembra estranea all’arte contemporanea. La presa di potere dell’insignificanza semantica è la cifra della modernità: l’arte si accoda. Chi agisce non parla. L’artista lascia al critico l’attribuzione di senso alle sue opere, a lui basta il riconoscimento del mercato. La molteplicità delle voci non è un contradditorio, ma un coro salmodiante al potere di chi decide davvero. E’ interesse del capitale voler ottenere la globalizzazione. Un’unica massa di consumatori, il mercato planetario è il sogno del capitalismo. La frammentazione disturba quando non può essere inglobata all’interno di un meccanismo di controllo. Per questo il potere inventa la definizione di “minoranze” finte, manipolabili e prontamente omologate. Andranno ad ingrossare la massa di consumatori, ovvero, quando sono “minoranze intellettuali” a valenza socio-politica, serviranno a far apparire tollerante il potere. L’omologazione della depravazione non disturba il mercato, anzi, crea nuove opportunità di consumo, altri prodotti. La pornografia, per indicare un esempio, è un ricco e fiorente mercato, film, giornali, locali. La disgregazione della società, la dissoluzione dei vincoli familiari rende più agevole l’omologazione degli individui in una massa indistinta, resa più manovrabile da vizi e perversioni. Anche i libri, un tempo minuscoli meccanismi del pensiero,oggi tracimano nel mainstream, seguono il filo della mediocrità che finge di opporsi a se stessa, visto che da tempo la mediocrità ha conquistato il potere. Il libro classico, pensiamo a Marcel Proust, esprimeva un bella interiorità, un’esistenza alla ricerca di se stessa. La legge del libro era quella della riflessione. Nell’era dell’affannosa ricerca di “originalità”, le idee residuali sono sommerse, cancellate dal conformismo. La cultura ha perduto il suo asse, al soggetto pensante non è più possibile alcuna dicotomia, si perde nell’ambiguità, nella ambivalenza. Gli stati emotivi, la tremula vacillante volontà, sono definite sensibilità. Le aperture verso il possibile si perdono nell’inconoscibile.
piergiorgio firinu
Le intuizioni di Kafka,
Vorrei ritornare sul libro di Ulrich Beck “La metamorfosi del mondo” . Quando si parla di metamorfosi, il pensiero corre al Franz Kafka e al personaggio di Gregor Samsa. In quel caso la metamorfosi era visibile, oggi il mondo si trasforma radicalmente assumendo che si tratta di un passo verso un maggiore livello di civiltà. Inganno colossale. Beck mette l’accento sulla mutata condizione genitoriale radicalmente mutata. Mettere al mondo un figlio raramente è un atto d’amore, più spesso è un evento casuale, oppure un procedimento effettuato in laboratorio, inseminazione artificiale, uteri in affitto e quant’altro. Va da sè che questo stato di cose è strettamente connesso, per così dire, a un effetto collaterale, la liberalizzazione sessuale femminile. Il femminismo è uno degli aspetti, forse più deteriori del mainstream dominante. La logica è ignorata. Quando si dice che la matematica è la base della musica si dice una cosa vera, se si escluse il jazz che segue percorsi emozionali. Allo stesso modo la nostra società è ha predominio femminile ed i limiti e condizionamenti che la natura impone sono ignorati e/o mal sopportati. Le femministe d’antan sostenevano che la natura è fascista. Siccome il fascismo è il riferimento negativo del passato come del presente, ne consegue che il rispetto dei ritmi e delle norme che la natura impone vanno ignorate o superate. L’arte femminista esibisce la contro natura come una conquista. Nel secondo dopoguerra si raggiunse l’apice del fulgore marxista, una quantità di docenti universitari, scrittori, folte le schiere di filosofi, inneggiarono al comunismo, Fleischer, Altthusser, Mannheim, Mandel, Galvano della Volpe, Sartre, Korch e moltissimi altri. L’egemonia della sinistra rendeva praticamente impossibile il contradditorio. E’ quanto avviene oggi con il femminismo. E’ mai stato pubblicato un libro che contesta le teorie femministe? Quindi la situazione è peggiorata, non è più solo una teoria politica a dettare le regole sociali, il femminismo coinvolge la maggioranza della società. L’inquinamento socio culturale del femminismo ha raggiunto livelli che potranno difficilmente essere contenuti. Come accadeva con il periodo di fulgore del marxismo, le teorizzazioni femministe, non poggiano sulla logica, ma in base a rivendicazioni e apodismi che deformano realtà e ragione. Forse tra cinquant’anni avverrà una resipiscenza che sarà sicuramente onerosa per l’intera società. In attesa che questo avvenga cultura, arte, società, saranno soggette a questa forma di devianza psico-culturale che ha già prodotto non pochi danni.
piergiorgio firinu
Parodia dell’Arte.
Non è più vera l’affermazione di Ippocrate, riportata da Seneca e citata da Shakespeare in re Lear: “ La vita è breve, l’arte è lunga”. L’idea che l’arte possa essere affidata all’improvvisazione emotiva ha preso piede da quando anche nell’arte ha prevalso la dominanza femminile. In realtà il sentimento è l’opposto della ragione. Come dice Spinoza, una pietra lanciata in aria, se avesse coscienza, crederebbe di volare. Così per fare arte non basta presumere di dar forma alla propria sensibilità. Per Kant, spazio, tempo e causalità con tutte le loro leggi esistono nella nostra coscienza. Compito dell’intelletto è ordinarle, il lavoro dell’artista consiste nel dar loro forma. L’intelligenza non basta se non è guidata dalla volontà, ecco dunque che l’impegno che l’artista pone nel perfezionale i propri strumenti ed affinare il proprio pensiero, costituisce la differenza visibile nel risultato. Poco importa il grado di apprezzamento dei contemporanei, o forse dovremmo dire poco importava, perché l’artista contemporaneo agisce nel presente, sul presente ed è ansioso di raccogliere rapidamente i frutti del proprio lavoro. Siamo alla parodia dell’arte. Si manifesta stridente il contrasto tra l’oggetto della intuizione e quello del pensiero, quest’ultimo si basa essenzialmente su due principi, quello del terzo escluso e della ragion sufficiente. Entrambi i principi, per essere percepiti, richiedono una presa di distanza dalla soggettività. Pensare significa racimolare le sensazioni e confrontarle con le possibilità, per questo il concetto di pensiero autonomo è non senso. E’ invenzione dei romantici la cosiddetta “intuizione” , quasi che un arcano potere conferisse la virtù della creazione lontana dalla ragione e dalla conoscenza, quando in realtà, parafrasando Eistein, il risultato di un opera è il 95% duro lavoro e conoscenza, il 5% è intuizione.
piergiorgio firinu
Il problema è il linguaggio.
Forse il problema nasce dal linguaggio. Usiamo sostantivi che non sono più adeguati ad esprimere le realtà sottostante. Arte, filosofia, sociologia, politica, democrazia, cosa significano oggi? A prescindere dall’ analisi di dettaglio, esiste una sovrapposizione semantica che finisce per incidere anche sulla epistemologia. La frammentazione del sapere produce disorientamento cognitivo e lascia spazio a pregiudizi , leggende metropolitane, posizione settarie e configurazioni neologiche che nascondono altrettanti pregiudizi devianti. Il pluralismo confuso, non dà contributo alla ragione, ma rappresenta piuttosto una sorta di abdicazione dell’intelligenza. Sopravvive solo chi si mette in scena meglio. La menzogna come strumento di successo sociale e politico. Vittima di questa falsificante rappresentazione è anche l’arte, nella sua forma più vera. Peter Sloterdijk .segnala la corrispondenza tra cimitero e museo. La folla che affluisce ai musei, perché indotta dalla pubblicità è la stessa che si accalca nei concerti rock e nelle partite di calcio. Il difficile smaltimento culturale delle pulsioni indotte e rese difficile dal fatto che la montagna dei rifiuti cresce più rapidamente della montagna del sapere. Il museo contribuisce a smaltire le presunzioni di sensibilità. Scriveva Nietzsche: “ L’uomo è un cavo teso tra la bestia e il superuomo, un cavo sopra l’abisso”. La cifra dell’arte contemporanea è l’arbitrio estetico che ha lo scopo di approssimarsi al valore più alto. Per questo nelle Fiere, Biennali e manifestazioni varie, la mondanità prevale sulla cultura. La cultura va capita, la mondanità è solo vissuta. “Le opere vengono esposte come azioni alla borsa estetica” (Sloterdijk) In questo bailamme mondano commerciale quale posto occupa la filosofia dell’arte? Quale potere ha di riesumare valori ormai cancellati dall’irruenza del mercato? Per quale ostinata ignoranza continuare ad utilizzare il sostantivo arte per manufatti dall’oscura semantica? Non sarà un caso se, alla Biennale d’Arte di Venezia del 2017 ai seminari sull’arte sono state sostituite le cene con artisti, per lo più artiste?
piergiorgio firinu
Le uova del cuculo.
E’ stato ripetuto spesso che la peggiore recensione si ha quando il critico non si concentra sul libro o sull’opera che ha davanti, ma su quello che, a suo parere, si sarebbe dovuto scrivere o dipingere. Questo per dire che la critica ha origine innanzi tutto dalla cultura e dalla sensibilità di chi scrive. Detta così sembra cosa ovvia, in realtà chi è condannato alla sterilità sensibile tende ad individuare le forme espressive “forti”, a prescindere dalla connettività del segno con il significato. La formula, così espressa, appare abbastanza innocua. Anche se in realtà il critico che comunica attraverso un media, finisce per trascinare nel vicolo cieco del senso uno stuolo abbastanza ampio di persone. Non si tratta tanto di accettare o respingere un giudizio sulle idee astratte dell’artista, quanto sulla sua capacità di attuarle. Fra gli artisti più sensibili e colti dell’Ottocento molti disapprovavano fortemente il sistema sociale in cui vivevano, ma, anche con la migliore volontà del mondo , è impossibile affermare che il Radicalismo abbia dato origine ad un’arte di grande coerenza , valore o significato. Si trattava comunque di artisti dotati di cultura e di specifica conoscenza tecnica, o per dirla in modo più filosofico, di una ricca epistemologia in grado di permettere un uso corretto degli strumenti e nutrire la sensibilità creativa. E’ possibile attribuire alla quasi generalità degli artisti contemporanei lo stesso bagaglio di conoscenza? E’ vero che pittura e scultura, almeno negli ultimi 150 anni, sono sempre dipese da qualche forma di patronato, ma è appunto anche la qualità dei mecenati, o più semplicemente dei “collezionisti” che costituisce stimolo in una direzione o nell’altra. Vi sono state vistose eccezioni di artisti che di loro iniziativa, espressero le loro opinioni politiche attraverso le loro opere. E’ il caso di: “La Libertà sulle barricate” di Delacroix, dipinta per celebrare la cacciata dei Borboni nel 1830, dovette essere nascosta perché, per il governo di Luigi Filippo, era sovversiva. Proviamo a soffermarci sugli artisti moderni, a partire dall’inizio del secolo scorso; da qualunque prospettiva si guardi il loro lavoro, riesce estremamente difficile scorgere segni di abilità tecnica e motivazioni culturali. Le cosiddette “avanguardie” ,termine di origine militare deprecato da Roland Barthes, esprimevano esattamente gusti e livello culturale dei ricchi squilionari e dei critici che le esaltarono e servirono ad aprire la strada all’invasione delle opere degli artisti USA che in termini di ignoranza e cattivo gusto emergevano nel confronto con le correnti artistiche europee.
piergiorgio firinu
Lo strumento libro.
Chi parla, chi agisce. L’intellettuale è solitamente un essere pensante dalla debole volontà. Questa debolezza si riflette nelle sue opere. Quando si tratta di pensieri contemporanei il rapporto teoria pratica si fa ancora più flebile. Filosofia e fiction s’incrociano in una recita farsesca della realtà. La scrittura ricopre il campo di quella che si chiamava letteratura e oggi è un mélange non troppo attento alla forma. La letteratura un tempo era pensata sul modello della filosofia , cioè presumeva di esprimere un significato, il cosiddetto “messaggio”. Oggi anche la filosofia si frammenta in forme psicogorroiche, un turbinio di assiomi il cui senso , quando non si perde nell’at trito con la realtà, resta argomento per specialisti, non utilizzabile per i non addetti ai lavori. Il libro ideale dovrebbe esporre avvenimenti che abbiamo l’apparenza del vissuto, un vissuto mentale, una traccia verso significati possibili, non solo, come avviene nella pullulante letteratura femminile con valenza intimistica e richiami alle sensazioni del corpo, stati emotivi per lo più simulati. Kleist inventò una scrittura di questo tipo, con variabili, trasformazioni, precipitazioni. Spesso le emozioni sono come i formicai, la maggior parte può essere distrutta, e tuttavia tornano a ricostruirsi se non si elimina il rizoma che sta alla base. Quando fu chiesto a Michel Foucault cosa rappresentava un libro per lui, rispose: “ E’ una scatola di arnesi”. Per Proust il libro era “un paio di occhiali” ,” dovete provarli, se vi vanno bene riuscirete a percepire ciò che non avete potuto cogliere altrimenti; diversamente lasciate perdere quel libro e cercatene altri più adatti a voi”.
piergiorgio firinu
Canoni del disgusto.
Esistono ancora artisti o ci sono solo più geni? Quando l’insieme dei saperi si arena in un solipsismo cinico, la ricerca di miti diventa una sorta di virus mentale, una via di fuga dalla razionalità pensante. L’annuncio di una mostra di Maurizio Cattelan, rigorosamente in inglese “Be right back” , la locandina pubblicitaria precisa: “il Genio che ha rivoluzionato l’arte contemporanea”. Sorge spontanea la domanda: quanti sono i “geni” che hanno rivoluzionato l’arte contemporanea? A partire dai Futuristi, Dada, Fluxus, Pop Art, Arte Povera, Transavanguardia, Punk Art. Tutti geni? Tutti rivoluzionari? La mia opinione è che si tratti per lo più di mediocri soggetti esaltati dalla critica e sostenuti dalla propensione al kitsch delle masse contemporanee. Basta fotografare clochard ed esporli in mostra per riscuotere il plauso della critica. L’arte non dovrebbe essere sociologia, ma rappresentare, in forma metaforica, aspetti della realtà. Si resta perplessi nel leggere su quotidiani nazionali, di proprietà di capitalisti, con redazioni di giornalisti garantiti e lautamente retribuiti, che nella presentazione di una mostra al PAC di Milano scrivono: “ ..c’è sempre qualcosa di dignitoso in queste persone (accattoni) che non riescono ad essere funzionali all’interno di un sistema corrotto e sfruttatore..”. Così il capitale e suoi accoliti recitano due parti in commedia, mentre i veri derelitti, che non sono solo gli accattoni, ma molte vittime di un potere che, si autodefinisce democratico, favorisce, anzi impone, forme di disordine e disgregazione sociale. Siamo di fronte a saperi negati senza che siano stati davvero compresi nella loro complessità socio-etica. Abbandono spurie teorie e semplificazioni ideologiche che pretendono di attuare un’ermeneutica della realtà. Chi parla, chi agisce, chi risolve; chi paga il prezzo delle semplificazioni teoriche o, nel caso dell’arte, dell’ossequio al mercato. L’arte costituisce anch’essa un piccolo tassello di una molteplicità sociale che agisce nel profondo delle coscienze, qualsiasi cosa si intenda con “coscienza”. Come scrivevano Deleuze e Guattari in Rizoma, il libro è una piccola macchina da guerra. Il problema è che gli intellettuali non la sanno usare e sparano a casaccio. I libri di oggi in generale non descrivono né informano, non nutrono la coscienza collettiva. L’arte ha cessato da tempo di imitare la natura, la scrittura ha cessato di occuparsi della realtà, per quella che è, non vista attraverso l’immaginazione di bolsi soloni al riparo dalla conseguenze del loro teorizzazioni. L’elenco delle correnti artistiche, elencate sopra, è in parallelo con le mode, gonne lunghe, gonne corte, voile o jeans. La massa,suggestionata dai media, seguirà passivamente. Conformismo rassegnazione e disgusto sono le cifre della modernità.
Verbo circolare.
Non ho mai del tutto compreso la presunzione dei filosofi e la loro pretesa di dimostrare con le parole la verità, la cui definizione resta del tutto oscura. Per chi crede, trova nel Vangelo la dichiarazione: “In verità in verità vi dico…”. Nell’etica di Spinoza, ogni preposizione è seguita dall’acronimo: “C.d.d.”. (Come dovevasi dimostrare). In realtà Spinoza non dimostra nulla, tanto è vero che le sue affermazione sono state contestate da molti altri filosofi con argomenti altrettanto plausibili. Friedrich Nietzsche pretende di risalire alla “Nascita della tragedia” e dare una propria interpretazione che non può che partire dalla scrittura, vale a dire quando l’umanità aveva già percorso un lungo tratto di strada verso una possibile civilizzazione. Ed è curioso immaginare che, mutatis mutandis, ciò che non è scritto passa senza lasciare traccia, in coerenza con la tesi di Maurizio Ferraris sulla documentabilità. Ma anche quando ritroviamo le tracce del passato, l’interpretazione avviene con gli strumenti e la mentalità del presente. Carlo Magno, sapeva leggere, ma non scrivere, egli volle introdurre e codificare la categoria dei notai, cioè coloro che annotano, documentano contratti e atti giudiziari. La negatività di Hegel, secondo Heidegger, non avrebbe capito il Sofista di Platone, il tratto essenziale del sapere assoluto lontano dalla apparente verità dell’arte che esprime una sorta di tautologia della realtà, non priva di devianze intimistiche. L’uomo non è mai stato “storico”. Ha avuto ed ha una storia, un tracciato del quale si è perso il segno per i primi milioni di anni, quando ancora non vi era coscienza del tempo che solo la civiltà ha costruito, impendendo, da allora, all’uomo di perdersi nell’immensità di un pensiero “inutile” . L’esistenza è costituita da molti “sentieri”, alcuni portano all’abisso, altri, forse la maggioranza, sono circolari. Ben lo aveva intuito Eraclito quando affermava: “Entriamo e non entriamo nello stesso fiume.” Il fiume, come metafora del tempo. Scrive Verulanio, il fiume trasporta ciò che è leggero e lascia affondare ciò che è pesante. La leggerezza dell’essere non è una scelta, ma destino. Quando Heidegger tenta di risalire all’origine dell’opera d’arte, in realtà confabula con se stesso senza approdare ad alcuna convincente definizione che non sia tautologica. Nell’affrontare il tema dell’arte dovremmo rassegnarci ad accettare l’incompletezza e considerare che sul tema“ nullum est iam dictum quod non sit dictum prius”.
Il Nobel e altri misfatti.
Vi è un aspetto per così dire antropologico della nostra società che riguarda in larga misura anche il mondo dell’arte. Consiste nella tendenza a creare personaggi, icone. Può darsi che in parte dipenda anche dalla progressiva femminilizzazione della società che include anche i mezzi di informazione. Resta il fatto che quando giornali e tv esaltano un personaggio non è mai uno scienziato vero, o un personaggio che ha compiuto qualcosa d’importante per la società. Si tratta sempre di attori, cantanti rock, personaggi della tv, gentucola di poco conto che però i media collocano tra i VIP. Non è un aspetto secondario del degrado sociale, soprattutto se consideriamo che di questi soggetti viene messo in risalto come “valore” soprattutto l’aspetto trasgressivo. Viene da sorridere quando si legge che uno di questi individui “ha rotto i tabù”. Ma di quale tabù farneticano? Se, a fronte di questo stato di cose pensiamo ai veri grandi personaggi, pietre miliari della scienza come Isaac Newton che di sè scrisse:” Se ho visto più lontano, è perché stavo sulle spalle di giganti”. Se scorriamo la biografia di molti geni, scopriamo che le loro principali scoperte li hanno compiute in un’età in cui i giovani oggi sono considerati bravi se superano a male pena l’esame di maturità. La sindacalista che regge il ministero della Cultura senza neppure avere una laurea, vuole rendere gli esami ancora più facili, incurante del fatto che già ora i laureati che non sanno scrivere non sono pochi. Ormai in tarda età Newton scrisse:” Non so come il mondo potrà giudicarmi, a me sembra soltanto di essere un bambino che gioca sulla spiaggia , e di essermi divertito a trovare ogni tanto un sasso o una conchiglia più bella del solito, mentre l’oceano della verità giaceva inesplorato davanti a me”. Se Newton vivesse oggi probabilmente verrebbe ignorato, come verrebbe ignorato Shakespeare, visto che il Nobel per la letteratura, per quello che vale, viene assegnato un cantante country americano, una delle tante icone di latta di questo nostro tempo disastrato. George Bernard Shaw, dopo aver rifiutato il Nobel per la letteratura disse:” Posso perdonare Alfred Nobel per avere inventato la dinamite , ma solo un demone in sembianze umane può aver inventato il premio Nobel”. Come sempre la lungimiranza degli artisti (di un tempo!) aveva colto nel segno se pensiamo che è stato assegnato il Nobel per la pace a un soggetto come Barak Obama che durante la sua presidenza, anche sotto la spinta della Clinton, ha scatenato più guerre del criminale guerrafondaio George Bush. Questa è la “civiltà” in cui ci tocca vivere.
piergiorgio firinu
Significato e bellezza.
Le esperienze sensoriali sono improntate ad un alto grado di soggettività. Le generalizzazioni rischiano di essere arbitrarie. Definire bello un brano musicale è espressione impropria. La bellezza implica una valutazione estetica. La bellezza non è la sola, nemmeno la principale caratteristica dell’arte. Lo studio dei meccanismi neurali coinvolti nell’esperienza estetica dimostrano una varietà di reazioni agli stessi stimoli. Le filosofie dell’estetica e della storia dell’arte si basano su intuizioni personali non verificate e non verificabili. E’ la ragione per cui l’enorme letteratura sull’arte, non solo non ha una coerenza logica, ma non è mai giunta alla definizione logica del linguaggio artistico assumendo che l’arte è sottratta a giudizi di valore. L’esperienza della bellezza non è legata a fattori ermeneutici, ma sensoriali. D’altra parte l’artista non crea un’opera esclusivamente per ragioni di “sentimento” nella sua eccezione letterale, legata ai sensi. Se così fosse l’arte non avrebbe risvolti di simbolismo storico culturale. Il corpo umano è da sempre uno dei riferimenti dell’arte, ma non sempre per l’aspetto estetico. Pensiamo alle deformazioni morfologiche attuate nella pittura di Francis Bacon. Il cervello deve stabilizzare i segnali che provengono dal mondo esterno attraverso un processo di identificazione e valutazione. E’ in questo snodo che si situa l’educazione, o maleducazione, estetica, soggetta a progressivo adattamento normativo. L’avversione di Platone nei confronti dell’arte era motivata dalla possibilità di illusione che l’arte offre. Ma oggi siamo ben oltre quel rischio. L’inganno consiste in una mistificazione epistemologica, la pretesa dell’arte di farsi scienza e filosofia la lasciano a mezza strada, privandola di bellezza e di significato.
piergiorgio firinu
Arte impura.
Sempre meno ci si stupisce del degrado dell’Europa, dell’Italia in particolare. Tra le ragioni della decadenza, che tra l’altro ha aperto la strada alla invasione di immigrati, c’è sicuramente l’infimo livello culturale. Filosofia, letteratura, arte, hanno da tempo iniziato un percorso involutivo del quale non si vede la fine, anche grazie al dilagare dell’ideologia femministoide, una cultura nettamente contraria alle donne, volta più che altro a dare importanza agli aspetti più retrivi della sessualità e dell’apparenza femminile. Siamo al punto che fa notizia il fatto che un candidato all’Eliseo, faccia ricorso a una citazione colta. Forse è il prezzo che paghiamo alla democrazia, versione XXI secolo. Oggi vi è un profluvio di pubblicazioni di libri il cui contenuto è spesso alimento all’ ignoranza e alla devianza. Vi era un tempo in cui i libri avevano valore, ed esprimevano valore culturale. Dopo tre anni dalla salita al trono di Enrico II, nel 1550, erano deceduti Marot, Rabelais,il medioevo si avviava alla fine anche nella Francia tardo Gotica. Nel breve spazio di una sola generazione furono pubblicati libri che segnarono un’epoca. I saggi e i diari di Michel de Montaigne. davano il quadro della mentalità del tempo favorevole ai bibliofili sulla scia della tradizione dei primi Valois, soprattutto Luigi XII, ma anche Diana di Poitiers, Caterina de Medici, Margherita, regina di Navarra. Donne di potere ma anche appassionate alla conoscenza che non ha, o non dovrebbe avere, distinzioni di genere, se questa non viene sottolineata ed enfatizzata per coprire gravi lacune culturali. Gli artisti ebbero stimolo e sostegno. Le opere del Rinascimento francese andarono ad arricchire le Wunderkammern in Francia e in Germania. Con il senno di poi abbiamo constatato quanto fu errata la speranza espressa da Ludwig Feuerbach in “Principi della filosofia dell’avvenire” , testo nel quale Feuerbach ipotizzava che gli esseri umani, liberati dalla fame, avrebbero dedicato il loro tempo e le loro energie allo studio, all’arte, alla poesia. Forse mai come in questo nostro tempo il conformismo di massa ha carattere degenerativo. Droga,alcolismo,pornografia, promiscuità,sodomia, lesbismo sono perfettamente omologati e rubricati sotto la voce “diritti individuali”, nel quadro delle “libertà democratiche”. Sarebbe ridicolo, se non fosse drammatico il consumo di carta e inchiostro consumati per giustificare le perversioni . Come recita l’Ecclesiaste: “dio toglie la ragione a coloro che vuole perdere”. Non ho titolo, ne propensioni al moralismo, ma ho occhi ed orecchie e quindi: “quando vedo quello che vedo, penso quello che penso”(Virginia Woolf).
piergiorgio firinu
Le vere Avanguardie risalgono a 30000 anni fà
La storia, l’archeologia, l’astronomia confermano che l’arte è parte importante fin dai primordi dell’umanità, a partire dal Paleolitico superiore, intorno a 30.000 anni fa. Fin dagli albori della civiltà, gli uomini di Cro-Magnon ebbero propensione per la creatività artistica. Le grotte di Lascaux, prima che fossero chiuse al pubblico nel 2008, hanno dimostrato l’istinto artistico dei primitivi. Pablo Picasso, con una delle sue boutade, affermò che gli artisti rupestri avevano lasciato poco spazio alla creatività dei posteri. L’epoca dei Cro –Magnon è durata venticinquemila anni, le loro pitture, non solo sono pregevoli per il segno grafico, ma contengono una quantità di richiami astronomici estremamente precisi. Sul soffitto della sala dei Tori, in una delle grotte dei complesso di Lascaux, campeggia una grande figura di uro, magistralmente disegnato. Accanto vi sono sei punti. Michael Rappenglùck dell’Università di Monaco di Baviera, ha sostenuto che i sei punti corrispondono alla rappresentazione delle Pleiadi. In epoca più vicina a noi, altri fenomeni certificano la creatività artistica associata a credenze religiose. Pensiamo alla colossale costruzione del sito di Stonehenge nelle pianure di Salisbury, nell’Inghilterra meridionale. Enormi massi quadrati, monoliti di peso di decine di tonnellate, disposti in cerchio con architravi posti fino all’altezza di 8 metri. La mancanza di reperti scritti o figurativi rende quasi impossibile risalire alle motivazioni di quella mastodontica realizzazione, di certo non era casuale, ma realizzata in base a precisi riferimenti astronomici. Stonehenge non è un caso isolato. Sono numerose le costruzioni megalitiche sparpagliate in un’ampia zona che comprende il Nord-Ovest dell’Africa e la sponda atlantica del Portogallo e della Spagna. Di fronte a queste certificazioni storiche, con i profondi significati che esse contengono diventano francamente risibili certi conati artistici. L’avanguardia artistica, nata ancor prima delle rappresentazioni nelle grotte di Lascaux dimostra che la perdita di aurea dell’arte, non è tanto conseguenza della sua riproducibilità, come sosteneva Walter Benjamin, quanto piuttosto della perdita di sensibilità spirituale, il che non significa necessariamente religiosa. L’etica è estetica. Troviamo conferma nella scurrile volgarità della nostra era nella quale, in assenza di creatività, si tenta di rimediare con il massiccio ricorso alla tecnica.
piergiorgio firinu
Conoscenza e creazione.
Il processo di astrazione che porta alla costruzione di un’ontologia immaginaria risale ai primordi della filosofia ed assume particolare sviluppo nel ‘700, secolo dei Lumi. Du Marsais affronta il tema in molti suoi testi. Egli sostiene che attraverso l’astrazione vengono forgiati Enti immaginari, privi di esistenza reale, per questo propone un’ontologia, per così dire, riduzionistica. Il suo suggerimento non ha, evidentemente trovato ascolto dalla critica e filosofia dell’arte. Vi è anzi una sorta di oscurantismo culturale che tende ad utilizzare argomenti apodittici per cancellare riferimenti culturali di grande spessore critico. Come abbiamo più volte rilevato, l’ansia di “nuovo” lascia poco spazio a riflessione e conoscenza. I testi del passato non sono sottoposti a lettura critica, più semplicemente sono ignorati. E’ possibile immaginare che i due volumi di estetica pubblicati da Gyὄrgy Lukàcs nel 1963 non abbiamo più nulla da dire alle nuove generazioni? Gli artisti contemporanei si dichiarano antagonisti, ma avranno dato un’occhiata alla “Storia sociale dell’Arte” di Arnold Hauser pubblicata nel 1955? La domanda è: quale livello di conoscenza hanno gli innovatori tecnologici? Che l’ontologia del Geist abbia anche nel XXI secolo ragioni di sopravvivenza in forme differenti, è comprensibile. La fenomenologia, specificatamente nei lavori di Heidegger, Husserl, Merleau-Ponty ha ancora molto da dire sulla epistemologia e ontologia dell’arte, forse in modo più convincente e profondo dei libercoli che vengono sfornati con eccessiva frequenza. L’illusione, la figura, la menzogna, hanno un linguaggio comune con la verità. Secondo Fréret, la storia del pensiero non è che la continua e quasi circolare ripetizione di alcune idee fondamentali che hanno radice negli antichi filosofi. Il pensiero, attraverso la filosofia, approfondisce la nostra capacità di decifrare il continuo scorrere del reale. Quando guardiamo un’ immagine, tentiamo l’ermeneutica di una opera, la nostra mente non nutrita dalla conoscenza sensibile, perde la neutralità, percepisce soltanto nei limiti nei quali è predisposta a ricevere. Lento e faticoso è il processo di sviluppo della nostra capacità intellettiva. Critica e filosofia dell’arte, essendo al servizio del mercato, non si pongono problemi di comprensione, si limitano ad usare stilemi dalla parvenza colta per dare senso al nulla. Le opere finiscono per essere un pretesto per una esibizione narcisistica.
piergiorgio firinu
Esiste la morale laica?
Nel dibattito su religione e laicismo, una delle questioni dirimenti sostenuta dai laici è che l’etica non ha nulla a che vedere con la religione, nel senso che il rispetto dell’etica era anche prerogativa dei laici. Oggi credo che la tesi sia smentita dalla società e dalla storia. Appare di solare evidenza che, nella misura in cui contro il sentimento religioso, prima ancora dell’appartenenza , si sono manifestati atteggiamenti volti a rimuovere il richiamo alla radice di ogni principio etico. Pur tralasciando la cosiddetta filosofia denominata genericamente “pensiero debole” , le pretese di capovolgimento, sottolineo non modifica, ma vero capovolgimento, dei valori morali, ha avuto la meglio, complice una certa idea di progresso. Il dibattito che nel sei/settecento ha coinvolto Cudworth, Locke, Clake, Berkeley, Voltaire, Boulainviller, Melier, Toland, Fréret, d’Holbach, è stato da tempo archiviato. Spinoza avviava un discorso in chiave panteistica mai rinunciando ai principi etici, tanto che uno dei suoi libri più importanti è intitolato “Etica”. Così Bayle teorizzava un ateismo virtuoso, citando come esempio paradigmatico Kant. Come già per gli antichi cultori dei Veda e Pitagora, anche Spinoza si augurava che il suo Tractatus non cadesse in mano al volgo. Spinoza immaginava l’animale uomo dominato dalla passione, dalla paura, da sentimenti che portano a compiere azioni i cui esiti non si possono provvedere. Egli sosteneva nel Tractatus che solo le leggi possono tentare di tenere a bada l’aggressività reciproca. In questo concordava con Hobbes, specie quando afferma che lo Stato non sarebbe necessario se gli esseri umani avessero senso etico. Hobbes era ateo, anche se non dichiarato. I Libertini del ‘600 non erano certo virtuosi, la differenza con la contemporaneità è che sapevano di compiere azioni trasgressive. Oggi basta collegarsi a un sito web, anche non pornografico, per vedere di tutto di più. Come aveva previsto Spinoza, e con lui un gran numero di filosofi, la natura antropologica del popolo ignorante, negando i principi etici e religiosi finirà per dare la stura ai peggiori istinti dell’essere umano. Cartesio,Malebranche e Spinoza hanno posto la questione di piena coerenza logica sui limiti oggettivi della libertà. Nell’Appendice della Parte I dell’Ethica, Spinoza affronta il tema dell’origine psicologica e antropologica che ha portato gli esseri umani ad elaborare le nozioni di bene/male, merito/peccato, lode/biasimo, ordine/confusione, bellezza /bruttezza. Il fatalismo,l’ignoranza, e la tendenza ad assecondare le proprie pulsioni finiscono per rimuove le differenze tra l’essere umano e le bestie. Concludendo, la tesi che esista una morale laica si è dimostrata infondata. La società del XXI secolo è priva di principi e l’obbedienza alla leggi è imposta in modo lasso ed è in larga parte disattesa.
piergiorgio firinu
Obbedienza
L’etimologia della parola obbedienza deriva dal prefisso latino ob, significa dinnanzi, e il verbo audere, ascoltare. Non ubbidire significa innanzi tutto non ascoltare. Scrive Spinoza: “ l’uomo non è quasi mai un essere razionale, ma quasi sempre un animale dominato dalla passione e dalla paura che lo portano a compiere azioni che lo danneggiano. Occorre dunque che si stabilisca un potere terreno in grado di dominare le passioni degli esseri umani attraverso prescrizioni che ne limitino l’aggressività reciproca”. E’ questa la ragione per cui nel Tractatus , usa spesso il concetto chiave di obbedienza. Nulla di diverso sosteneva Hobbes quando affermava la necessità dello Stato. Zabarella e Hobbes avevano ravvisato alla base degli enunciati logici messi in evidenza da Occam la necessità di disciplinare i comportamenti sociali. Declinare in senso positivo l’espressione “trasgressione” , denota innanzi tutto assenza di razionalità, la capacità di valutare atti e fini. Quando parliamo di trasgressione ci riferiamo innanzi tutta alla nostra libera scelta, non valutiamo con la necessaria chiarezza razionale le conseguenze che anche noi potremmo subire per comportamenti devianti altrui. Fatti di cronaca, subito dimenticati, dovrebbero far riflettere, essi costituiscono sintomi di una società nella quale prevale il miope interesse individuale. Antigone sembra essere oggi il modello sociale. Hobbes sottolinea la circostanza che la verità e la falsità sono proprietà del discorso, non delle cose. Mal interpretata questa affermazione potrebbe avere la conseguenza che la menzogna rischia di diventare stabilmente parte della epistemologia sociale, portando con sè un graduale adattamento a comportamenti privi di equità.
piergiorgio firinu
Ubbidienza.
L’etimologia della parola obbedienza deriva dal prefisso latino ob, significa dinnanzi, e il verbo audere, ascoltare. Non ubbidire significa innanzi tutto non ascoltare. Scrive Spinoza: “ l’uomo non è quasi mai un essere razionale, ma quasi sempre un animale dominato dalla passione e dalla paura che lo portano a compiere azioni che lo danneggiano. Occorre dunque che si stabilisca un potere terreno in grado di dominare le passioni degli esseri umani attraverso prescrizioni che ne limitino l’aggressività reciproca”. E’ questa la ragione per cui nel Tractatus , usa spesso il concetto chiave di obbedienza. Nulla di diverso sosteneva Hobbes quando affermava la necessità dello Stato. Zabarella e Hobbes avevano ravvisato alla base degli enunciati logici messi in evidenza da Occam la necessità di disciplinare i comportamenti sociali. Declinare in senso positivo l’espressione “trasgressione” , denota innanzi tutto assenza di razionalità, la capacità di valutare atti e fini. Quando parliamo di trasgressione ci riferiamo innanzi tutta alla nostra libera scelta, non valutiamo con la necessaria chiarezza razionale le conseguenze che anche noi potremmo subire per comportamenti devianti altrui. Fatti di cronaca, subito dimenticati, dovrebbero far riflettere, essi costituiscono sintomi di una società nella quale prevale il miope interesse individuale. Antigone sembra essere oggi il modello sociale. Hobbes sottolinea la circostanza che la verità e la falsità sono proprietà del discorso, non delle cose. Mal interpretata questa affermazione potrebbe avere la conseguenza che la menzogna rischia di diventare stabilmente parte della epistemologia sociale, portando con sè un graduale adattamento a comportamenti privi di equità.
Tramandare la memoria.
Kandinsky, elogiato dal nipote Kojève, apre suo malgrado uno spazio vuoto nella memoria dell’arte, quando assume l’irrappresentabilità del reale, una sorta di oggettiva negazione del percorso della scrittura visiva. L’artista, con umili strumenti, pennello e colore, crea una realtà separata nella quale, il fascino del segno stimola lo sguardo. L’assenza di futuro ha reso cieco l’artista che si rifugia nel seriale e raccoglie il plauso dei produttori di parole. Imbratta i muri dando sfogo all’ira che nasce dall’impotenza creativa. La filosofia si è occupata della cecità dell’artista. Scrive Derrida: “L’occhio del disegnatore,irrigidito nella ricerca del proprio sguardo, rinviato dallo specchio, somiglia all’occhio di un cieco”. Quando si sovrappongono lessico e pittura, è il verbale che inquina la pittura. L’epistemologia dell’arte subisce il condizionamento della parola. Le avanguardie del XX secolo sono frutto della parola, di un discorso dissestato. L’artista si trasforma in fabbro, trovarobe, raccoglitore di rifiuti, tecnico delle luci, giardiniere di frutti artificiali, attore in happening con pretese di concettualità . Attraverso questi passaggi le avanguardie hanno rinunciato alla metafora esibendo la crudezza del reale non mediato. L’artista non rappresenta più, “mostra”. Fermare la memoria per cercare una rassicurazione in una civiltà sempre in bilico. Troppi artisti hanno volto le spalle alla storia, impauriti. Consapevoli della loro incapacità di tradurre la scrittura visiva in lessico contemporaneo. Parafrasando ciò che Shakespeare fa dire a Prospero,in “La Tempesta”: siamo fatti della stessa sostanza dei nostri pensieri. Per la creazione, la cecità dell’occhio è meno letale della cecità del pensiero. L’artista non raffigura ciò che vede, ma ciò che pensa. E’ tema trattato da Merleau-Ponty ”Il visibile e l’invisibile”. L’io creativo si perde nel vuoto mascherato da spontaneità apparente. Spontaneo rispetto a cosa? Il paradosso della civiltà dell’apparenza priva d’immaginazione, della consapevolezza che ogni materia ogni forma è necessariamente “apparenza”, soggetta all’usura del tempo, alla macerazione. L’affermazione che l’arte contemporanea è destinata a non durare, è una banalità tautologica. L’artista aveva la funzione di tramandare la memoria, per quanto possibile. Per questo, ancora oggi, ammiriamo i reperti dell’arte dell’antica Grecia che avevano suscitato l’ammirazione di Marx.
piergiorgio firinu
Metafisica del presente
L’invisibilità del pensiero non ci rende sufficientemente consapevoli della sua forza vitale. Quando una persona sta male diciamo che “perde conoscenza”. Diciamo anche che una persona è “grave”, che significa anche pesante, gravido, pieno. Il senso di morte che si diffonde in una società allo sbando, deriva anche dalla incapacità e/o assenza di pensiero. La narrazione della realtà costituisce uno sguardo sul presente. Ma cosa intendiamo per presente? Siamo consapevoli che nella contemporaneità il presente non esiste? L’Ulisse di Joyce è paradigma letterario della modernità. L’edizione dei Meridiani Mondadori pubblicata nel 1960, conta 1048 pagine, contengono il racconto di una sola giornata di Stephen Dedalus. Il tempo compresso,non in pensieri, ma in azioni di assoluta banalità. I romanzi di fine ‘800, quando la modernità non era ancora tracimata nel nichilismo, romanzi come “Papa Goriot” di Honoré de Balzac. “Madame Bovary” di Gustave Flauber . Narrazioni di una borghesia che crescendo andava degenerando, i cui figli avrebbero declinato un nichilismo attivo che trova sfogo nell’arte. “Tenera è la notte”, “Belli e dannati” di Francis Scott Fitzgerald, il canto del cigno di un’epoca che marcava il tramonto della vita intesa come avventura possibile. Una civiltà, che come l’arte, è stata soggiogata da parole prive di sentimento. Nascono avventurieri dell’arte come Picasso, tutta la genia di affabulatori che all’ombra dell’ideologia perseguono i loro fini. L’arte si allontana da se stessa sulla strada della mondanità. E dunque anche i sentimenti sono incerti, si pone la necessità di interrogarci. “Di cosa parliamo quando parliamo d’amore” si chiede Raymond Carver in un suo libro pubblicato nel 1981. La guerra tra generi, la cosiddetta “rivoluzione sessuale femminile”, ha prodotto un cimitero di sentimenti e feti, sacrificati all’egoismo individuale senza controllo. La metafisica del presente è un esame di residualità. L’incontenibile pesantezza del vivere cerca vie di fuga nell’artificiale chimico o si rifugia nella realtà virtuale. Il filosofo scozzese David Hume sosteneva: che domani sorga il sole è una mera ipotesi. L’arte rispondeva con ottimismo non rinunciando ad una progettualità utopica. “Il sole sorgerà ancora”, il primo romanzo di Ernest Hemingway, un’apertura di credito verso il futuro destinato ad arenarsi in una confusa modernità.
piergiorgio firinu
Eidos e parola.
Nei testi relativi all’arte c’è sempre un generico riferimento al “mondo dell’arte” che in realtà è un’iperbole. Il mondo dell’arte è costituito da una oligarchia che Tom Wolfe ha valutato in non più di diecimila persone. Sarà utile chiarire che l’oligarchia in questione non si forma su basi di merito e conoscenza, la maggior parte degli esponenti del mondo dell’arte sono soprattutto persone spregiudicate, non particolarmente colte; d'altronde, per il commerciante, la cultura non è requisito fondamentale. Dunque, il cosiddetto mondo dell’arte, nel quale vanno incluse certe riviste create e usate per fare commercio d’arte più che informare, si presta a giochi speculativi che in qualche caso potrebbero assumere gli aspetti che rasentano l’usura in versione XX e XXI secolo. In un interessante libro “La borsa e la vita”, Jacques Le Golf afferma che, dopo Dante, nessuno meglio di Ezra Pound è riuscito nella difficile distinzione tra usura e interesse. Nei Cantos una quartina descrive questo tema. Vista la situazione è naturale che si moltiplichino filosofi e critici da mercato. Tiziana Andina in “Ontologia sociale”, che nei fatti è, tra l’altro, l’ennesima celebrazione di Warhol scrive: “…Andy Warhol amava il denaro e amava fare arte..”. Io credo, forse ingenuamente, che amare l’arte significhi dedicarsi ad essa fuori da ogni secondo fine. Cosa avviene nel momento in cui ci si mette a scrivere a proposito dell’arte? Se da un lato sono le stesse opere a provocare quella presa di parola che è sempre sul punto di fagocitarle, occorre che la scrittura abbia il necessario distacco, non cada nel vizio della esaltazione per fini estranei all’opera stessa. I filosofi dell’arte hanno voluto prendere le distanze dall’analisi del bello attuata da Kant, troppo vincolante ad una logica estetica e all’eidos. Il ricorso a divagazioni apodittiche, il proliferare di neologismi privi di costrutto, la retorica del commento senza alcun riferimento all’opera, costituiscono spesso la narrazione di critica e filosofia dell’arte. Vi è un’assioma assolutamente inamovibile che la filosofia conosce fin dai suoi inizi, basti pensare al paragone del sole con il bene nella Repubblica di Platone,(VI 507d -508c). La visibilità che si costruisce con un disegno o con la pittura è riducibile al visibile? Non sono necessarie particolari ermeneutiche “ricostruttive”. Il disegno ha origine da due grandi logiche dell’invisibile. Quella trascendentale e quella sacrificale, firmate rispettivamente da Kant e Baudelaire, riprese da altri filosofi per dar vita a una complessa irruzione nella memoria. L’atto di disegnare riesce a restituire la forma di una percezione interiore, personale, eppure condivisibile . L’arte, anzi le arti, sono una nozione complessa, non possono essere studiate come un tutt’uno. Questo vizio eziologico ha reso possibile e giustificato lo sviluppo dell’arte come prodotto seriale. L’oggettiva violenza della critica è fondata sul privilegio del logos.
piergiorgio firinu
Collezionismo: motivazioni.
Il significato etimologico della parola “Collezione” è raccolta. Collezionista è colui che raccoglie, non colui che acquista. Dovremmo dunque chiederci quale è la motivazione del collezionista che non raccoglie ma acquista, spesso a caro prezzo, opere che in molti casi finiscono nei caveau privati o di Banche. L’acquisto di un’opera d’arte, o presunta tale, non è un investimento produttivo, ma speculativo. Tra le ragioni dell’acquisto di opere c’è sicuramente la vanità, la volontà di cercare conferma al proprio status sociale, ma allo stesso tempo la ricerca di rassicurazione. Procrastinare il vantaggio che deriva dal possesso si traduce in una sorta di rito propiziatorio. Cras, in latino,significa “domani”. La parola possedeva una sua elasticità semantica, e si riferiva ad un vago “più tardi”. Procrastinare il godimento estetico o/e economico di un’opera d’arte è un atteggiamento venuto alla luce con l’avvento della modernità. Il suo nuovo significato a valenza etica deriva dal presupposto valore che prescinde dall’uso o godimento immediato. Questo atteggiamento, generalizzandosi, è all’origine della costituzione di musei e istituzioni artistiche, una sorta di dossologia dell’arte con molteplici fini. La procrastinazione ha un’insita tendenza a spezzare in anticipo qualsiasi limite temporale. Assegnare un valore che dura nel tempo alle opere d’arte è il fine ultimo della procrastinazione, in aperta contraddizione con la fragilità transeunte di molte opere contemporanee. Come ci ha spiegato Max Weber, la modernità si sforza di conciliare fretta e conservazione. Paradossalmente, la negazione dell’immediatezza si traduce in elevazione e nobilitazione. D’altra parte, come afferma Georges Steiner, noi viviamo in una “cultura da casinò”. Il denaro sembra essere obiettivo e interesse principale della società contemporanea. E tuttavia vi è l’incontenibile pulsione al consumo esibito. L’unica qualità delle cose e delle azioni che conta è l’immediata gratificazione, atteggiamento che mal si concilia con la procrastinazione del godimento delle opere e la loro museificazione. Sono contraddizioni solo apparenti. In realtà è il tentativo di conciliare aspetti diversi di una società che, come dice Derrida, è governata dall’estetica del consumo da cui si ricava gratificazione, una sorta di pharmakon che è contempo medicina e veleno. La cultura che muove guerra alla procrastinazione è una novità assoluta nella storia moderna, secondo Heidegger è la modalità dell’essere, così come noi lo conosciamo, in sovrapposizione con l’avere. E’ in questo coacervo, per definizione destrutturato, di modalità e fini diversi, che l’arte assume più funzioni. Speculazione, esibizione, mentre l’appagamento estetico è residuale. A venir meno è soprattutto l’essenzialità propria dell’arte, modalità di produzione si adeguano al mercato.
Il lamento dei Chierici.
Viviamo in un’epoca di scarsa creatività, non solo nel campo dell’arte, ma della letteratura e della scienza. In parte ciò è dovuto alla sempre più complessa realtà a cui fa riscontro una cultura enciclopedica, nel senso deteriore del termine, complice la rete, che lascia supporre sia superfluo l’esercizio della memoria. Vi è uno sperimentato metodo di divulgazione adottato in larga misura non solo sugli inserti culturali di giornali, ma anche nei libri; consiste nel proporre le proprie “verità” immergendole in un mare di citazioni dotte, ovviamente scelte ad hoc. La realtà diventa una creazione della parola. Riesumando il motto degli strutturalisti: non esistono fatti solo opinioni. Indulgendo in sinèddoche per proporre una propria weltanschauung immaginifica. Diceva Weber: “ Chi cerca visioni del mondo vada al cinema” E’ particolarmente irritante leggere sui media ed ascoltare in tv i cahier des dolèances di coloro che sono sulla scena politica e culturale da decenni. La sinossi della realtà trascura sistematicamente l’eziologia. Coloro che occupano le redazioni dei giornali, le cattedre universitarie, la magistratura, la politica, sono stati protagonisti, o comunque partecipi, di movimenti ed eventi storici. Anche l’arte, nonostante la demagogia corrente, è accessibile a pochi. Salvo, ovviamente, una visione momentanea in musei e gallerie d’arte. Il mondo della produzione del commercio dell’arte presenta una visione non proprio esaltante. Il know how non pare essere bagaglio essenziale per gli artisti.
piergiorgio firinu
Sensi e intelletto.
Searle ha elaborato la teoria dell’imposizione di funzione, creando un gap linguistico. Funzione è per definizione esercizio pratico di una facoltà. La forzatura semantica trova applicazione soprattutto nella critica e filosofia dell’arte. Prendiamo ad esempio l’opera di Joseph Kosuth: “One and Three Charirs”. Si presume apoditticamente che l’oggetto creato per una precisa funzione, in ragione dell’intenzionalità collettiva, possa mutare la propria ontologia, da sedia, destinata ad uso pratico funzionale, a opera d’arte. Teoria supportata da inverificabile ipotesi. Il rischio è che il procedimento mentale si riduca a processo eidetico. Vi è un’oggettiva difficoltà nel decidere, sic et simpliciter, la mutazione ontologica. A quale tipo di facoltà dovremmo far ricorso? Il problema maggiore consiste nell’oggettiva imposizione dell’esito finale di una operazione mentale difficilmente condivisa e condivisibile. Detto in altre parole, il fruitore dell’opera dovrebbe, in ipotesi, ripercorrere il processo mentale che ha portato alla mutazione ontologica. Qui si dovrebbe iniziare con porci la domanda sull’origine dell’opera d’arte. Ci troveremmo a dover stabilire una definizione atemporale dell’essenza dell’opera d’arte. La domanda è intimamente connessa con la possibilità di una teoria estetica e di ciò che può rappresentare oggettivamente. Il superamento dell’estetica, è determinata dalla concezione dell’ente come ciò che può rappresentare oggettivamente. Il superamento dell’estetica risulta dal confronto storico con la metafisica. La distruzione dell’essenzialità ontologica dell’arte, presume una radicale riconsiderazione epistemologica. Il titolo di un libro di John R. Searle: “Vedere le cose come sono” , sembra presumere l’inessenzialità del processo ermeneutico che accompagna, spesso “crea”, l’oggetto artistico. Il procedimento può trovare un riferimento nella tesi che Platone attribuisce a Socrate. Nel Fedone si parla caratteristicamente della cecità, del “perdere l’occhio della propria mente”. Socrate quando ammonisce dal pericolo di fidarsi dei sensi. Si rinuncia a un tipo di percezione per salvarne un altro. Se osserviamo con sguardo disincantato la realtà dell’arte contemporanea dobbiamo constatare che, la modificazione epistemologica, è avvenuta solo in parte mentre la lettura ontologica è stata soggetta a forzatura filologicamente deviante.
piergiorgio firinu
Liberi e infelici
La tesi secondo cui la filosofia pone domande e non dà risposte si è tradotta in luogo comune e pretesto. In realtà quando Socrate dialoga con Alcibiade attua la maieutica, provoca cioè risposte dal suo allievo. La filosofia contemporanea è parcellizzata in specializzazioni alcune delle quali richiamano i dibattiti sul sesso degli angeli dei teologi bizantini. Anche quando il tema è la società contemporanea vi è quasi esclusivamente attenzione alla fenomenologia del presente, poco sull’eziologia. I fenomeni sociali non possono essere considerati epifanie casuali. Come è avvenuto l’imborghesimento e insieme le accresciute differenze sociali? Fenomeni discordanti derivanti dalla sostituzione dell’essere con l’avere, tema trattato nel libro “Avere o essere” pubblicato da Erich Fromm nel 1976. A poco serve creare il mito della libertà, che può essere acquisita in opposizione alla società o, come avviene oggi, con il consenso generale e con l’appoggio del potere. La libertà si affianca all’ansia del nuovo. Il cambiamento considerato positivo a prescindere. Richard Sennett ricorda la vecchia controversia tra Adam Smith e Denis Diderot. Smith metteva in guarda contro i degradanti e invalidanti effetti della routine lavorativa, mentre Diderot non pensava che la routine lavorativa fosse degradante. Una sorta di scambio delle parti tra il maggior esponente dell’economia moderna e un filosofo dei lumi. Anthony Giddens ha provato a riesumare l’intuizione di Diderot tentando di dimostrare l’importantissimo valore dell’abitudine sia nell’espletamento delle attività sociali che per la comprensione di sè. Uno tra i molti esempi di elogio della ripetizione. Anche i marxisti residuali hanno preso atto della mutata antropologia sociale indotta da una società in perenne fibrillazione. Alain Touraine dichiara in “European of Social Theory” , la fine dell’essere umano come essere sociale. Ciò che non va nella società in cui viviamo, ha scritto Cornelius Castoriadis, è che abbiamo smesso di metterci in discussione. La nostra è una società che non riesce ad immaginare nessuna alternativa. Come ha ammonito Leo Strauss, la nostra società che permette una libertà senza limiti conduce a un’impotenza senza precedenti. Le ottimistiche previsioni di Ludwig Feuerbach in “Principi della filosofia dell’avvenire” , si sono rivelate totalmente errate.
piergiorgio firinu
La grammatica del senso.
L’alfabeto della lingua italiana è composto da 21 lettere. Qualsiasi argomento deve essere esposto disponendo in vario modo queste 21 lettere. In qualche caso, libri di argomento scientifico o storico, si avvalgono di grafici e/o disegni per chiarire meglio un concetto. Anche la linguistica paradossalmente si avvale di grafici e disegni per illustrare concetti e il significato di percorsi teorici. L’immagine serve a visualizzare ciò che non sempre è facile descrivere. Ecco quindi che alla luce di questa realtà diventa difficile accettare l’idea che sia necessario che la critica e la filosofia dell’arte abbiano necessità di far ricorso alla narrazione adottando una sorta di epochè semantica che conferisca senso mancanza di credibilità alla incapacità espressiva dell’arte. L’arte si rifrange ogni volta in una molteplicità lontanissima dall’essere omogenea, ma proprio l’eristica della critica si traduce in tautologia. L’opacità del pensiero critico affidato per lo più a teorie ancipiti apre enormi varchi al non senso. L’esperienza eidetica dell’arte viene messa in sottordine rispetto alla narrazione critica. Il procedimento è spesso giustificato dall’intelligibilità delle opere, non per oggettiva difficoltà ermeneutica, ma per assenza di significato. Questa incapacità espressiva dell’arte è esaltata da filosofi come Danto perché offre loro il pretesto di ricami verbali il cui significato si affida a una logorroica verbosità che a tratti può apparire plausibile. Sia nell’arte che nella narrazione la fantasia non ci esime dal dare senso alle parole che usiamo. Il valore di un opera consiste nel significato la cui comprensione non necessità di una improbabile ermeneutica. Se l’opera d’arte non “parla” a poco servono le protesi critiche. Dovremmo resistere alla suggestione di testi critici, sforzarci di veder le cose come sono, come recita un libro di John R. Searle. Invece ci arrampichiamo su una catasta di parole, per aspera ad astra.
piergiorgio firinu
Carne,sangue,arte.
Ci troviamo a fare i conti con una società femminilizzata, ebbra di libertà che non sa utilizzare. L’arte ha abbandonato l’uso della metafora, si esprime con parodie sempre più deprimenti. Tentativo di rispetto della natura, a partire da Pitagora, vi è il rifiuto della cruenta uccisione di animali, Ovidio nel XV libro delle metamorfosi accenna all’astinenza di Porfirio. In entrambi i casi si tratta di una presa di distanza dalla nostra natura animale di predatori carnivori. Il consumo di carne secondo Pitagora: “fecit iter sceleri”. Lucrezio si esprime in modo netto contro il sacrificio di animali. Nell’Iliade vi è la descrizione dello sfacelo che si compiva sui guerrieri achei e troiani. La civiltà, da un lato, con abituale ipocrisia, elimina dalla vista il macello degli animali, le cui parti sono esposte nei supermercati in modo ascetico. Dall’altra, compie massacri di esseri umani. La storia contemporanea di questi ultimi decenni vede massacri in Iraq, Afganistan, Libia, Siria. La modernità ha consistito nel porre grande distanza tra gli assassini e le loro vittime. Non più la spada, il corpo a corpo, gli assassini sono legalizzati dalle convenzioni internazionali. Chi uccide non vede la vittima; basta premere un bottone su aerei in alto nei cieli. A volte si verificano errori. Vengono massacrate persone mentre celebrano matrimoni. Ma questi sono “effetti collaterali” .Televisioni e giornali ne danno notizia en passant, pronti a mettere l’accento su atti di terrorismo in cui muoiono una o due persone. In Iraq , il criminale Bush, ha sulla coscienza 200.000 persone massacrate dalle truppe statunitensi. Quale è la posizione dell’arte in questa disastrosa ipocrita carneficina? Alla criminalità politica l’arte risponde con l’esibizione oscena di animali e sangue. L’”artista” austriaco Hermann Nitsch esibisce il sangue come oggetto artistico, così fa Marc Quin. Piero Manzoni si limita ad elevare le feci a oggetto d’ arte, Maurizio Cattellan esibisce un cavallo infisso in una parete, Damien Hirst espone uno squalo in formaldeide. Vi è dunque, anche in questo caso, perfetta contiguità tra arte, società, potere. L’artista ha cessato da tempo di operare in contrapposizione a ciò che rende triste e sgradevole la società, al contrario concorre alla celebrazione dei tristi riti della modernità. Abbandonata la ricerca di un’ esaltante utopia progettuale capace di aprire uno spazio virtuale “exit in immensum” prevale il rifiuto del sacro, la presa di distanza dallo spirituale, tutto ciò che ci lascia in balìa della nostra ferina animalità. Abbiamo perso la capacità, e forse la volontà, di elevarci oltre la materia. Crediamo di procedere verso il futuro mentre in realtà andiamo a ritroso omnium contra omnes. La tecnica è solo un paravento.
L'arte e il mito.
Mito, religione, storia; queste erano fino a ieri le principali fonti di ispirazione della letteratura e dell’arte.”Et in Arcadia ego” opera di Nicolas Poussin, attribuita in un primo tempo al Guercino. “La Zattera della Medusa” 1818-19 di Théodore Géricault. Sono due tra i moltissimi esempi di rappresentazioni storico mitologica. La coscienza della propria connessione con lo scorrere della realtà è condizione primaria per una creazione artistica. Quale sarebbe lo stato della mente che precede l’elaborazione formale? Rudolf Carnap raccontò che Einstein, suo collega a Princeton , diceva di essere molto tormentato dal problema del presente. Il problema dell’identità che precede l’atto della creatività artistica oggi è obnubilato dal rumore di una società che si agita senza scopo. L’arte come la scienza, a partire da Descartes, hanno seguito un percorso omettendo di indagare il grande problema della psiche. Si è scritto, si scrive molto sulla neurofisiologia nella presunzione che capire lo strumento renda possibile interpretarne il funzionamento. Il tentativo di Freud si è arenato in astratte teorizzazioni. La scienza ha finito per condizionare l’arte, in questo modo limitandola, perché essa stessa si trova davanti a un continente ignoto: la corrispondenza tra mente e mondo. Per uscire dal pantano delle teorie della conoscenza Colin McGinn ha avanzato un ipotesi:”Vi sono aspetti specifici della coscienza e aspetti specifici dell’intelligenza umana i quali fanno si che quest’ultima sia mal equipaggiata per percepire la prima”. Ed è questo il nodo che tiene la realtà ancorata ai propri disconosciuti limiti. E’ come se la nostra conoscenza ci aiutasse a capire tortuosi meccanismi , senza permetterci di conoscerne la genesi. Comprendiamo il come, raramente il perché. Gli antichi greci tentarono di superare il limite inventando l’arte e la mitologia. La fantasia poetica che immaginò lo sbarco nell’isola di Eea, l’isola di Circe, per seppellire Odisseo, colui che era stato amante di Circe, marito di Penelope padre di Telemaco e di Telegono, figlio avuto da Circe. La perversa Atena intervenne, impose che Telegono si unisse a Penelope, mentre Telemaco avrebbe dovuto unirsi a Circe. Da Circe e Telemaco nacque Latino, dal quale prese il nome la lingua, mentre da Telegono e Penelope nacque Italo che dette il nome all’Italia. Ecco dunque il modo in cui il mito creava le basi di un immaginifico passato la cui traccia nel presente venne seguita dall’arte.Ovidio traccia una metamorfosi senza ritorno. L’arte ha rappresentato molte immagini appartenenti al mito, fino a quando è prevalsa la tendenza , sarebbe forse dire la presunzione, di usare l’arte come una sorta di formalismo filosofico che gradatamente ha perso il filo della rappresentazione. A quel punto l’arte ha cambiato natura. L’artista è un tecnico che produce oggetti richiesti dal mercato se riesce a superare l’accanita, sleale, concorrenza.
piergiorgio firinu
Anime sterili.
Diamo forma alle nostre idee con consunte parole aggrappati alla speranza che i nostri modesti tentativi colgano nel segno. Purtroppo ciò che vediamo non è confortante. Diceva Democrito: “ Gli uomini si sono forgiato l’idolo del caso come una scusa per la propria mancanza di senno”. Non possiamo scegliere i nostri sogni, tanto meno il nostro destino. Se è vera la tesi che Jacques Monod espone nel libro “Il caso e la necessità” , come riusciremo mai a dare senso alle nostre vite. Tra tutti gli idoli creati dalla percezione dei sensi l’idolo del caso è uno dei più pericolosi; esso infatti minaccia di tenerci per sempre fermi all’ignoranza. Solo il pensiero riesce a tenere a bada questo limite, forse non riusciremo a superarlo, ma quando meno pensare ci aiuta a vedere che quanto esiste è frutto di una necessità logica che noi dovremmo sforzarci di capire. Purtroppo la cultura dell’ultimo secolo, soprattutto la cultura artistica, è andata in direzione diametralmente opposta. Diceva Eraclito: “Occhi e orecchie sono cattivi testimoni per uomini che hanno anime barbare”. Vi è questo oscuro riferimento all’intuizione che è impossibile indagare. I cinque corpi platonici in cui Platone fa consistere ogni essere fisico, non sono cose fisiche, ma pure forme stereometriche: alla terra corrisponde il cubo, al fuoco corrisponde il tetraedro regolare, all’aria l’ottaedro, all’acqua l’icosaedro. (Timeo 55 D). Se questa fisica platonica per così dire priva di corpo, nella quale tutto l’esserci e tutte le differenze della materia si risolvono e dissolvono in determinazioni geometriche puramente ideali: Può allora apparire paradossale , in proposito è bene ricordare che questa fisica non solo è stata ripresa , in linea di principio, da Descartes all’inizio della filosofia moderna, ma il suo concetto metodico fondamentale sembra aver trovato una sorprendente applicazione nella fisica moderna. Dunque le forme del pensiero sono appannaggio della sola filosofia essendo l’arte immersa in forme espressive che, in buona sostanza, trovano alibi nell’intuizione per sottrarsi al più impegnativo percorso del pensiero senza comodi ricorsi alla scorciatoia della provocazione come appunto è avvenuto negli ultimi cento. Il ripudio dell’estetica significa in buona sostanza la rinuncia all’espressività della forma a vantaggio di un non chiaro sviluppo di astratta improvvisazione. All’ingresso dell’Accademia di Platone un cartello recitava “non varchi questo cancello chi ignora la geometria”. Oggi le accademie accolgono tutti. Potremmo definire “la democrazia dell’ignoranza” la realtà di oggi si rifugia nella tecnica che si propaga in modo esponenziale non solo nel mondo dell’arte. La tecnica è l’alibi a cui ricorre chi non sa pensare. E’ stata costruita una barriera di silicio dietro la quale, manterremo sterile la nostra ormai inutile anima.
piergiorgio firinu
La grammatica dell’arte.
Può apparire paradossale confrontare il livello democratico dell’arte plastica, o figurativa che dir si voglia, e le altre arti, letteratura, teatro, poesia. In realtà, ad una attenta riflessione, appare evidente che, anche grazie alla dominanza mercantile dell’arte plastica, la differenze esiste in misura rilevante. Rilevante la paradossale contraddizione tra le enunciazioni degli artisti che in gran parte accampano motivazioni sociali e politiche caratterizzate da un pensiero di sinistra, mentre poi le loro opere sono quasi di esclusivo appannaggio di capitalisti borghesi . Dunque la maggior parte delle persone può vedere le opere sono nelle gallerie e nei musei, spesso pagando un biglietto il cui costo equivale al costo di un libro. Ma tralasciando queste contraddizioni evidenti il mondo dell’arte nell’ultimo secolo ha assunto aspetti francamente poco eclatanti. Si fa spesso ricorso a iperboli per descrivere supposti capolavori che consistono in opere insignificanti se non accompagnate da una ermeneutica che li giustifichi. Possiamo supporre che vi sia stato uno sviluppo lineare? Oppure vi sono stati cambiamenti che non siamo in grado di determinare perché casuali? Quando visitiamo biennali e fiere dell’arte vediamo sequenze di opere di diverso significato e natura. Dobbiamo dare per scontata un affinità di specie, la stessa che viene negata dalla critica? L’accumulo di oggetti difformi il cui unico legame è la loro commercializzazione. Si potrebbe obiettare che anche in una libreria o in una fiera libraria sono esposti libri che trattano temi diversi. Ma il contenuto dei libri, a differenze delle opere d’arte, non è immediatamente visibile. Vengono scelti per argomenti e la loro lettura richiede l’impegno della lettura. Nulla del genere nella sequenza visibile delle opere poste in sequenza la cui visibilità è istantanea, Ciò costituisce uno svilimento reso necessario da ragioni squisitamente mercantili. Alla luce di tutto questo appare chiaro che molto di ciò che viene scritto sull’arte è pura e semplice vacuità per giustificare il costo esorbitante delle opere. Nulla di tutto questo avviene nella buona letteratura. L’esempio è l’amico Italo Calvino, ispiratore e la guida di molti giovani della mia generazione. “Gli amori difficili” Pubblicato da Einaudi nel 1958 con il costo di copertina di £. 700. “Le città invisibili” dello stesso editore pubblicato nel 1972 costo di copertina £ 800. “Lezioni americane” pubblicato sempre da Garzanti nel 1988 prezzo di copertina £. 20.000. (Copiato dal copertina e incomprensibile). Immaginiamo il costo di una qualsiasi opera d’arte nello stesso periodo e il diverso segno che lascia nella nostra memoria. Senza disquisire sulla narrativa che tenta di dare ordine al mondo, tracciare segni di vite parallele coinvolgendoci in un pensiero dinamico che accompagna la nostra crescita umana, possiamo fare un accostamento sulle opere viste dei “grandi” dell’arte contemporanea cosa ci è rimasto dentro ben poco.
piergiorgio firinu
L'età della ragione.
Sempre più spesso si parla del futuro dei giovani, delle loro difficoltà nel trovare sbocchi professionali ed esistenziali. Hanno senso queste riflessioni? Vanno ascritte alla progressiva femminilizzazione della società? Se scorriamo la storia della scienza e dell’arte, constatiamo che sono stati centinaia i giovani, spesso giovanissimi, che hanno realizzato capolavori memorabili, fatto scoperte che hanno segnato il progresso della nostra civiltà, in una età in cui i giovani di oggi non hanno ancora preso una laurea, Biagio Pascal, morì a 39 anni dopo avere lasciato una traccia indelebile nella storia della cultura e della scienza. Raffaello Sanzio morì a 37 anni, Caravaggio a 39 e l’elenco potrebbe continuare. L’assenza di un processo educativo, l’eccesso dei consumi, la sessualità precoce, l’incapacità educativa di madri rese ansiose dai sensi di colpa che derivano anche dalle loro pregresse esperienze di vita non edificanti, (è noto che i padri , anche quando esistono, sono esautorati) tutto questo contribuisce ad allentare le capacità e volontà d’impegno dei giovani. Se a questo si aggiunge la totale mancanza di etica, si ha un quadro non rassicurante della società del nostro tempo e la spiegazione delle carenze di responsabilità individuale e collettiva. Nei media dilaga l’espressione “populismo” , termine del quale ognuno dà la propria definizione. Aderire alla volontà popolare ha assunto una connotazione negativa. La scuola di Francoforte, Adorno, Horkheimer, in “ Dialettica dell’Illuminismo” , avevano già affrontato il problema in chiave marxista. I tempi erano diversi, l’evoluzione, o involuzione, sociale ha seguito altri percorsi. Il mito della libertà si è espresso in forme irresponsabili contribuendo a consegnare il potere nelle mani di personaggi privi di cultura e di etica. Viene assegnato il Nobel per la pace a Obama che ha scatenato due guerre, spinto anche dalla “liberal” Hillary Clinton. Il Nobel della letteratura è attribuito a un cantante il cui merito dichiarato è di essersi espresso contro il potere, quasi che l’Accademia Reale di Stoccolma costituisca un contropotere. Il sonno della ragione genera democrazie deformi nelle quali prevale l’apparenza della democrazia. L’arte, la cultura mai come oggi sono ancelle del potere, la trasgressione si esprime quasi esclusivamente in eccessi sessuali, uso di stupefacenti, eccesso di alcol. La vertigine della libertà funziona da narcotico delle coscienze.
piergiorgio firinu
Un mondo di libertà.
Trump e Clinton espressioni dell’America contemporanea. Visti in prospettiva le differenze tra i due sfumano. Entrambi utilizzano molteplici filtri narrativi, per evitare che trapeli la verità. La Clinton ha sostituito alla rappresentanza di classe la battaglia per la prevalenza di genere. Come Obama, i due contendenti, sono interessati soprattutto alla potenza americana . Pochi cenni alla giustizia sociale. Nessun accenno alla cultura. Andy Warhol, degno rappresentante americano, come Madonna e i cantanti rock, affermò: “ Ogni artista è innanzi tutto un uomo d’affari”. E’ quindi naturale, per la legge dei contrari, che un uomo d’affari sia un artista. Trump è un artista, usa il linguaggio che le masse percepiscono. Poco importa che egli sia miliardario. Clinton afferma di battersi per le donne nel momento in cui è finanziata per la sua campagna elettorale dall’Arabia Saudita, paese in cui le donne non hanno neppure il permesso di guidare l’automobile. Due figure icastiche, non solo degli USA, ma dell’Occidente del tempo. Conferma plateale di ciò che vado scrivendo da tempo; cultura e arte forgiano i costumi il modo di (non) pensare alla realtà, creano l’humus da cui nascono i fiori della politica: Clinton e Trump. L’Europa, prona ai voleri degli USA, per interesse e similitudine, accetta il pensiero unico planetario forgiato dai persuasori occulti di Hollywood, Sodoma e Gomorra del III° millennio. Dietro la foglia di fico del multiculturalismo, la nostra cultura, i nostri costumi, si annullano. Abbiamo superato la Francia per numero di immigrati. La Francia è un paese ex coloniale, molto più grande e ricca dell’Italia. Paradossalmente la mancanza di cultura rende più agevole l’integrazione degli immigrati che rapidamente assimilano i nostri difetti e sfruttano i nostri vizi. Gli intellettuali, in larga parte fortemente ideologizzati e/o cattolici, operano alacremente contro il paese nella prospettiva di “alti ideali”. Così poveri e anziani diventano capri sacrificali, combustibili per tenere alta la fiamma degli ideali. Anche l’arte si associa e celebra con immagini il nuovo mondo di libertà, come illustra l’opera allegata alla news, realizzata da Karol Radziszewski, un polacco di 36 anni diplomato all’Accademia di Belle Arti di Varsavia. Servono commenti? Ignoranza, cinismo edonismo, tenuti insieme da un esasperato solipsismo, la miscela che farà implodere l’occidente, in primis l’Italia governata da giullari bugiardi. E’ molto probabile che il risveglio delle coscienze avverrà quando avremo superato il punto di non ritorno al quale siamo prossimi.
piergiorgio firinu
La retorica della diversità
Herman Melville fa dire a Qeequeg, uno dei personaggi di Moby Dicke: “ Vivere è questione di volontà”. Evidentemente non tutti siamo dotati della stessa volontà, oppure semplicemente dell’interesse alla vita, manca l’Elan Vital di cui tratta la filosofia di Henri Bergson. Nell’inserto culturale di un quotidiano vi è un’intera pagina che recensisce la mostra di Jean- Michel Basquiat in corso a Milano. Concordo quasi in nulla su ciò che i due critici scrivono a proposito dell’artista newyorchese. More solito, la narrazione critica non ha riscontro nella vita e nell’opera del giovane artista nero. Si legge che Basquiat realizzava: pittura drammatica che affonda le radici nella cultura degli afro-americani e del loro disagio. Tesi fantasiosa. Intanto l’artista non ha mai avuto alcun rapporto con l’Africa. Figlio di madre portoricana e padre Haitiano, dotato di scarsa cultura (non ha terminato il liceo che frequentava) , adottato molto giovane dalla ricca comunità omosessuale di New York, Basquiat ha frequentato l’eterogeneo mondo di una città crudele e corrotta che lo ha portato a morire di overdose all’età di 27 anni. I modelli di comportamento che il giovane nero ha assimilato, erano lontani anni luce dalla cultura afro- americana creata, raccontata, vissuta da personaggi come Angela Davis, Eldridge Cleaver, George Jackson, Malcolm Little, meglio noto come Malcolm X. Basquiat ha trascorso la sua breve vita sfruttato e usato, tra orge e disordine. Temo avrà avuto ben poche occasioni di leggere un libro, o semplicemente meditare sulle ragioni del proprio agire. La sedimentazione di esperienze negative egli le esprimeva anche con un’esuberanza fisica e sessuale che attirava parassiti della sua vitalità. In buona parte sono gli stessi che tutt’ora speculano sulle sue opere. E’ loro interesse fare del povero ragazzo nero un personaggio, un mito. E’ un vecchio espediente, già attuato con altri artisti, per valorizzare le loro opere. A farne le spese è sempre l’arte, ovvero le forme dell’espressività sensibile alla base delle quali c’è qualcosa di più che pura energia fisica e sessuale. Questo mio controcanto non avrà certo molti echi sulla mentalità di coloro che presumono di conoscere Basquiat. Si può star certi che presto leggeremo su giornali e riviste d’arte, le strepitose quotazioni d’asta a cui sono giunte le opere di Basquiat.E’ di Blake la massima secondo cui “Il genio è sempre al di sopra del suo tempo” . Non è certo il caso di Basquiat, come della maggior parte degli artisti contemporanei immersi totalmente nel mainstream e vittime del loro stesso successo mondano.
piergiorgio firinu
Il canone Bloom.
Qual è la funzione della critica? Una chiave di lettura dell’opera? In questo caso c’è il rischio che l’osservatore o il lettore subiscano un condizionamento e vedano cioè l’opera con gli occhi del critico. Non c’è dubbio che la critica è parassitaria, vive dell’opera e sull’opera. Oscar Wilde sosteneva il contrario. Nella raccolta “Intentions” , inizialmente intitolata “ La vera Funzione e il vero valore della critica”, Wilde sostiene che la critica è più creativa della creazione. Ciò è smentito dal fatto che i critici sono per lo più artisti mancati e scrittori mancati. Ma non è questo il pericolo maggiore costituito dalla critica. Cesare Pavese dette impulso alla pubblicazione della narrativa americana. A 16 anni, passavo interi pomeriggi alla biblioteca USIS di Piazza San Carlo a Torino (ora nello stesso posto c’è un negozio di scarpe. Segno dei tempi!). Divoravo romanzi di John Steinbeck, Erskine Caldwell, William Carlos Williams, Ernest Hemingway, Francis Scott Fitzgerald, William Faulker, Thomas S Eliot. Harold Bloom, con prosopopea tipicamente americana, nel 2002 pubblicò un libro dal titolo: “Il genio” nel quale elencava 100 autori che, a suo avviso, erano i geni che avevano marcato la storia della letteratura e in parte della filosofia. Presumere di poter stabilire quali siano i geni che hanno creato le opere migliori è espressione di sconfinata presunzione. Tuttavia tale impulso di megalomania può essere accettato considerandola una scelta personale,per quanto discutibile . Ma, come recita il detto: “errare humanum est, perseverare autem diabolicum”, diventa meno accettabile il contenuto del libro pubblicato nel 2016; “Il Canone americano”. Qui ci troviamo di fronte a una esibizione di cultura e senescenza, un incrocio tra le proprie nevrosi e propensioni personali verso la letteratura. Bloom, che evidentemente ha il complesso delle statistiche, seleziona 12 autori. Cos’è che disturba in questo libro? I giudizi tranchant innanzi tutto, poi l’ossessione omoerotica che trasferisce su quasi tutti gli autori. Soprattutto la ridondanza culturale, un’esibizione di sapere che in un certo senso prevarica gli autori di cui scrive, finisce per esaltare soprattutto se stesso. Ogni opera letteraria deve essere giudicata dalla scrittura. Come recita l’affermazione di Roland Barthes : la letteratura è ricerca della parola giusta. In un saggio di critica, chi scrive, dovrebbe, per cosi dire, farsi da parte, soffermarsi sull’opera dell’autore che esamina, senza prevaricarlo. E’ inoltre discutibile la scelta di stabilire classifiche seguendo l’ideologia del buon ebreo americano, proteso ad esaltare lo spirito della grande Madre America, che non si fa scrupolo d’ignorare uno dei più grandi poeti del secolo scorso, Ezra Pound e il poema “The Cantos” . Harold Bloom ritiene di poter stabilire “Il Canone Americano” , inglobando,bontà sua, anche Thomas S. Eliot che americano è solo di nascita, non certo per cultura.
piergiorgio firinu
Il peso delle parole.
La leggerezza della poesia è appesantita dalla critica. Un impalpabile stato d’animo deve necessariamente essere tradotto in parole per essere condiviso, creando una prima zavorra a cui si aggiunge l’intervento del pensiero terzo che sempre appesantisce e spesso deforma. Sarebbe magnifico se ognuno potesse creare i suoi sogni poetici, un nirvana della mente, una riemersione di sentimenti profondi. Ma il mondo esige che tutto sia condiviso e monetizzato, celebrato e riconosciuto. Nessuno è tanto forte da vivere per se stesso. La critica letteraria, come la critica d’arte, ha necessità di creare miti alla cui ombra adagiarsi in una ricreazione dell’anima ed un profittevole mestiere. Il parassitismo di chi ha pensieri brevi e un’anima pesante. L’ermeneutica è uno strumento di appropriazione. L’arte è inquinata dall’ansia di successo. Come avviene con la peste non si salvano i migliori. Il critico è l’untore che fa balenare il successo. Necessità e caso governano il mondo. Alter ego di Melville, il capitano Achab è destinato a fallire per quanti sforzi compia il suo creatore. Così Santiago avrà solo la carcassa del pesce che gli è costata tanta fatica catturare. Hemingway quando ha capito di non riuscire ad abitare la realtà che creava ha scelto di abbandonare il mondo a modo suo. Anche nel suo caso l’aggressiva stupidità del mondo ha vinto.
piergiorgio firinu
I canoni della forma.
Da tempo si è rinunciato ad affrontare il tema dell’ontologia dell’arte. Le teorizzazioni che si sono susseguite in oltre un secolo, non hanno trovato accordo tra gli studiosi. L’influenza preponderante del mercato è tale, visto anche il volume di denaro che gravita intorno alle opere d’arte, da impedire sereni giudizi. Le varie tesi sull’arte o si contraddicono oppure sono incomplete. La fenomenologia dell’arte non si richiama più a valori culturali che includono prassi e credenze. Una conferma della prevalenza degli aspetti mondano- mercantili è data anche dalla presenza femminile nel mondo dell’arte che si avvia a diventare preponderante. Questo significa imprimere un’impronta ideologica di carattere femminista. Da notare inoltre il peso delle Case di Moda che hanno preso possesso di istituzioni dell’arte e creato nuovi luoghi espositivi. Anche in questo caso l’attivismo dei produttori di abbigliamento non è senza conseguenze ed è di tali dimensioni da condizionare in qualche misura la stessa produzione artistica. A questo punto verrebbe da chiederci quale è la posizione degli artisti: hanno una propria intenzionalità in rapporto ai prodotti che realizzano? John R. Searle, quando ha affrontato il tema del’intenzionalità, dopo avere bocciato in blocco la filosofia degli ultimi 400 anni, Locke, Berkeley, Hume, Cartesio, ha tentato la formulazione di una propria teoria arrivando ad avanzare ipotesi sulle intenzioni degli artisti che hanno prodotto capolavori. I filosofi su citati riconobbero che la conoscenza empirica espressa linguisticamente debba avere il proprio fondamento nella percezione. L’arte è una forma di comunicazione pre- linguistica che tuttavia, fino a ieri, si realizzava all’interno di canoni il cui fine non era imporre limiti, quanto piuttosto determinare una grammatica della forma per una decifrazione del significato. E’ noto che nella scienza viene riconosciuta una scoperta quando la formula che la descrive può permettere ad ogni scienziato di pervenire allo stesso esito. E’ chiaro che in arte il problema si pone in modo diverso, l’obiettivo non è il percorso per raggiungere risultati predefiniti, ipotesi impraticabile, semplicemente permettere la comprensione. A questo punto si profila una contraddizione; l’opera prescinde da riferimenti culturali, il suo riconoscimento è affidato quasi esclusivamente al mercato. Tuttavia continua a rientrare nell’alveo della cultura, tanto che è materia scolastica. Tempo fa l’allora direttore dell’Accademia d’Arte di Torino, Accademia Albertina, prof. Curto, confermò la mia opinione che gli artisti avrebbero dovuto studiare filosofia. Il problema è che se i filosofi propugnano tesi come quelle di Arthur C. Danto e George Dickie credo che la confusione, e quindi la deriva dell’arte, invece di un freno avrebbero ulteriore impulso.
piergiorgio firinu
Impariamo dagli animali.
Scrive Michel Foucault: “ ..scopo della procreazione è quello di rimediare alla scomparsa degli esseri viventi e dare alla specie nel suo complesso ,l’eternità che non può essere accordata ad ogni singolo individuo” . Nicolas Chamfort asseriva che: “ in ogni specie animale la degenerazione comincia sempre dalla parte femminile”. Come la procreazione tramanda la specie, la cultura trasmette la situazione sociale dell’epoca nella quale viviamo. Accade che l’accresciuta sterilità di donne e uomini, si aggiunga alla tendenza alla unione tra persone dello stesso sesso. Anche se unite in matrimonio, in un simulacro di ritualità, non si risolve il problema della sterilità che limita la riproduzione della specie. L’ansia di libertà ci rende estranei alla natura. Pensiamo agli elefanti che non cambiano la compagna che si è scelto. Quando si accoppiano lo fanno in modo discreto, lontano dal gruppo. L’accoppiamento avvale ogni tre anni e dura cinque giorni. Nessuno ha mai visto l’atto sessuale tra elefanti. Passati i cinque giorni, prima di riunirsi al gruppo la coppia si lava accuratamente in uno specchio d’acqua. Un confronto con noi esseri civili è improponibile. In parallelo al degrado sessuale, assistiamo a una crescente sterilità culturale, in parte contenuta e mascherata dalla tecnica. Una società materialista, femminilizzata, priva di etica, produce inevitabilmente un’arte e una cultura priva di regole e di spiritualità. La sessualità è ridotta a vizio, una sorta di coazione a ripetere. Scriveva Platone: “l’atto sessuale assicura all’individuo un germoglio di se stesso”.Diotima nel Simposio azzarda la similitudine tra umani ed animali. Come abbiamo visto con gli elefanti, ad uscirne meglio sono gli animali. Ogni giorno si eseguono migliaia di aborti, nonostante la quantità di metodi contraccettivi. Sempre più spesso le madri buttano i figli nella spazzatura. Di tutto questo la “cultura” femminista non parla, se non per esaltare in scritti e opere il proprio corpo. Ogni riferimento al genere è per lo più in chiave di recriminazione. Non ci si rende contro della contraddizione. Chi è capace di determinazione non è indotto a far ricorso a giustificazioni di carattere sociale e psichiatrico. E’ il tempo della sessualità, esibita, nel tentativo di esorcizzare l’insensibilità e l’impotenza a cui si è soggetti. La stessa impotenza trova riflesso nella cultura e nell’arte e più in generale nei comportamenti sociali. Tutto questo lascerà una traccia nell’evolversi della civiltà. Siamo fieri dell’impronta che stiamo dando alla società in cui viviamo? Consideriamo più importante soddisfare le nostre voglie, senza preoccuparci di quale sarà il futuro delle generazioni che verranno? Lasceremo come testimonianza dell’arte del nostro tempo, orinatoi, barattoli di merda, fotografie di vagine. Le opere che si affidano alla tecnica sono destinate a scomparire, ovvero essere superate dai progressi che seguiranno. Di sicuro ciò che caratterizza l’attuale società è un esasperato solipsismo, un grande vuoto ed una altrettanto grande miopia.
piergiorgio firinu
Etica e competenza.
La nostra società tende a rifiutare l’etica che associa alla religione. Gli intellettuali si richiamano spesso alla “morale laica” che è un po’ come “l’araba Fenice, che vi sia ciascun lo dice, dove sia nessun lo sa”. Vi è un totale rifiuto di ciò che i greci definivano askềsis. All’interiorità di una riflessione religiosa si contrappone l’esibizionismo della modernità. Non esiste neppure più il “conflitto spirituale” perchè non vi è più traccia di spiritualità nella moderna civiltà dei consumi. Tutto questo non può che riflettersi nella cultura e nell’arte. Senofonte designava la temperanza che con la pietà, la saggezza,il coraggio e la giustizia faceva parte delle cinque virtù. Socrate considera successivamente le quattro virtù fondamentali , saggezza, coraggio, giustizia e temperanza. Basta enumerarle per capire che stiamo parlando di qualcosa di assolutamente estraneo alla odierna società. Sono molti i filosofi dell’antica Grecia a considerare, ben prima di Seneca che sosterrà le stessa tesi, che il principale ostacolo verso la libertà è la mancanza di controllo di noi stessi. Per Aristotele la nostra facoltà di desiderare deve confrontarsi con la ragione. Socrate insegnava che non basta che l’uomo abbia appreso cosa significa essere giusto, egli deve continuare ad esercitare la sua volontà perchè il corpo esercita la pressione dei desideri. Platone evocherà questo principio socratico dell’askềsis e l’insegnamento di Socrate ad Alcibiade e Callicle che pretendevano di occuparsi della città e guidare gli altri senza prima aver appreso tutto ciò che è necessario per esercitare con equità e giustizia il potere. Penso all’Italia di oggi dove il potere viene distribuito a caso per diritto generazionale o di genere. In linea generale tutto ciò che serve all’educazione politica dell’uomo in quanto cittadino, servirà anche alla sua moralità. La società è composta da persone che svolgono varie attività e coprono diversi ruoli, quindi la società e variegata per attività e competenze. Tuttavia non può esistere la stessa varietà morale, ovvero una morale che guidi l’esercizio della competenza. Quando, come nella nostra società contemporanea, questo si verifica, l’arte diventa laida, la corruzione dilaga, la giustizia è assente, l’equità non esiste più. A poco serve dunque manifestare stupore o indignazione quando avvengono fatti deplorevoli. Abolita l’etica non basta la forza pubblica a tenere la società negli argini di norme minime di convivenza.
Quantità e qualità.
Possono convivere quantità e qualità? La risposta a questa domanda ci metterebbe in condizione di capire l’evolversi, o l’involversi,della cultura contemporanea. Sarebbe interessante conoscere il numero di scrittori, filosofi, artisti, attivi nel mondo contemporaneo. Sappiamo che quasi ogni città del pianeta conta una propria Università. Quasi tutte le Università tendono a moltiplicare cattedre e discipline. Spesso vengono rese pubbliche notizie di questo tenore relative a ricerche condotte da Università: ” Gli uomini con gli occhi azzurri tendono a guidare peggio l’automobile”. “ Le donne che praticano il sesso precoce sono più intelligenti” . “ Chi dorme sul lato destro risulta più conservatore”. Tempo fa venne dato ampio spazio a una notizia resa pubblica da uno “scienziato” francese il quale sosteneva che l’acqua conservasse la memoria. Buona parte di queste comunicazioni vengono rapidamente dimenticate, ma questo non ci esime dal porci la domanda: a cosa si dedicano i docenti nelle Università? Per scrivere romanzi non è necessario acquisire una laurea, lo hanno scoperto anche le donne. Infatti pullulano romanzi intimistici e pornografici che vanno, ovviamente per la maggiore. C’è chi avanza la pretesa di attuare un’ermeneutica della natura umana, operazione di fatto non riuscita a Freud, o addirittura stabilire qual’è la causa che può giustificare l’uccisione di una persona. A questo tema si è dedicato il filosofo prof. Jeff Macmahan. Tutti questi “ricercatori” hanno quasi sempre ricchi curriculum. C’è poi la versione letteraria e filosofica delle fiere dell’arte; sono i Festival. Eventi culturali ai quali vengono invitati insigni letterati e filosofi che trattano temi epocali con assoluta leggerezza, non senza profluvi di citazioni. Non so quante volte in questi ultimi mesi ho letto la citazione di Archiloco: “ La volpe sa molte cose, il riccio una sola“. Non importa che questo citatissimo brano, contenuto in un libro di Isaiah Berlin con lo stesso titolo “Il Riccio e la volpe”, pubblicato da Adelphi nel 1978. Prima l’opera fu pubblicata nel 1948 -1951 – 1953 – 1955 – 1956 – 1960 – 1961 – 1972 - . Cito tutte queste date perché sia chiaro quante volte è stata fritta l’aria che Roberta de Monicelli ha scelto di trattare al Festival filosofia di Moderna, Carpi, Sassuolo. Dovrebbe essere chiaro che questo modo di rimasticare la cultura denota quanto meno povertà creativa, oltre alla pretesa di farsi grandi salendo sulle spalle di giganti. Ritornando alla domanda che ci siamo posti all’inizio: possono convivere quantità e qualità? Di sicuro c’è un vantaggio economico. I giornali hanno argomenti per riempire pagine. Gli editori sperano di vendere qualche copia in più. Questa ragione è sufficiente?
piergiorgio firinu
Percezione.
Osserviamo un involucro con la scritta “fragile”. Dalla forma che traspare immaginiamo essere un bicchiere. Un parallelepipedo di cartone contiene all’interno dei fogli di carta. Supponiamo sia un libro. Quattro linee, due poste in verticale collegate con due in orizzontale, vediamo un quadrato, non le singole linee. La visione di oggetti avviene tramite l’occhio, ma è letta con la mente a cui l’occhio invia le immagini. Se non sapessimo cos’è un bicchiere, un quadrato, un libro, non vedremmo null’altro che ciò che appare. Berkeley negava che esistano oggetti al di là delle idee della mente. Una posizione piuttosto radicale. Sulla questione della percezione sono stati scritti molti libri. Maurice Merleau-Ponty nel 1945 scrisse un voluminoso libro “Fenomenologia della percezione” nel quale liquidava ogni equivoco idealistico a cui,secondo lui, dava adito la fenomenologia di Husserl. Mentre i filosofi tentavano una definizione della percezione, l’arte contemporanea scivolava nel ready made che solo un’ermeneutica sofistica poteva collegare alla percezione. L’arte, nell’ansia di sottrarsi all’accusa di creare illusioni, ha scelto di affidarsi al “concettuale”, con la pretesa di filosofeggiare sulla forma. Purtroppo è accaduto l’inevitabile tracimazione nella più piatta materialità. L’illusione, di creare una realtà parallela, sembra essere una necessità per l’essere umano. Sigmund Freud, pur dichiarando apertamente il proprio agnosticismo, riconosce che la religione è illusione necessaria, anche perché tiene a bada le pulsioni asociali ed egoistiche che covano in ciascuno di noi. L’arte, al pari della religione, in forme e modalità diverse, era creatrice di illusioni, una lettura per immagini di una realtà sognata e mai vissuta . Nel 1618/1622 Nicolas Poussin dipinse “Les bergers d’Arcadie”. Negli stessi anni Giovanni Francesco Barbieri, detto il Guercino, dipinse “Et in Arcadia ego” . Questo accadeva quando l’arte era nutrita di cultura e illusioni, prima che la banalità del nostro tempo la travolgesse. Ci sono rimaste le “Banane” di Andy Warhol e la versione “artistica dei nani da giardino” delle opere di Jeff Koons. Forse il suicidio dell’arte è uno dei prezzi che la “civiltà” paga al progresso.
piergiorgio firinu
Rileggere Sigmund Freud
La nevrastenia,secondo Binswanger, è una malattia prettamente moderna. Dobbiamo a Beard, la prima esauriente descrizione di essa; egli era convinto che tale malattia si sia sviluppata particolarmente negli USA. Di certo, anche a una superficiale analisi della vita contemporanea, emergono tali e tante contraddizioni e paradossi, bel oltre “I cinque paradossi della modernità” descritti da Antoine Compagnon in un libro pubblicato nel 1990. Ciò che lascia sgomenti è l’assoluta indifferenza alla regressione in atto da oltre un secolo. Vediamo cosa ascriveva Sigmund Freud in “Il disagio della Civiltà” ,pubblicato tra il 1908 e il 1915. “ La vita nella grandi città diventa sempre più inquieta. I nervi esausti cercano ristoro in stimoli più intensi, in piaceri piccanti. La letteratura moderna si occupa prevalentemente dei problemi scabrosi, che sommuovono le passioni, incoraggiano la sessualità e la sete di godimento, il disprezzo di tutti i principi etici e di tutti gli ideali: essa presenta allo spirito del lettore figure patologiche, problemi di psicopatologia sessuale e d’altro genere. Le nostre orecchie sono stimolate e sovraeccitate dalla musica invadente e chiassosa, somministrata in grandi dosi; i teatri tengono avvinti tutti sensi con spettacoli provocanti; anche le arti figurative si rivolgono di preferenza al ripugnante, al deforme e all’eccitante e non esitano a metterci sotto gli occhi, con rivoltante verismo, anche gli aspetti più mostruosi offerti della realtà” ( il brano è tratto dalla edizione dell’editore Paolo Boringhieri del 1977 pagine 13 – 14). Se consideriamo Freud uno scienziato capace di valutare la realtà, dovremmo tener conto di ciò che scrive, in caso contrario significa che uno stuolo di studiosi ha seguito gli insegnamenti di un farneticante reazionario. Cosa è successo negli oltre 100 anni che ci separano da quello scritto? Sono stati elevati alla dignità dell’arte orinatoi, barattoli di merda, rane crocifisse, atti sessuali e molto altro. E’ successo che con Internet la pornografia dilaga. Che la musica dei tempi di Freud è sepolta, è nata la musica rock seguita da masse entusiaste. E’ successo che la filosofia ha in buona parte archiviato il concetto stesso di spirito, valore, verità. Che non solo la sessualità, ma finanche il matrimonio tra persone dello stesso sesso, è stato omologato, inclusa la possibilità di adottare bambini. L’elenco di turpitudini è tale che certo non possono essere elencati in questo breve scritto. Dobbiamo pensare che questi “progressi” abbiano resa migliore, più civile la società? Temo che in molti sosterrebbero questa tesi, posto che i filosofi dell’arte non trovano nessun imbarazzo a scrivere elegie di opere che al tempo di Freud sarebbero semplicemente state impensabili. Viviamo beati nelle nostre putrescenti società come le mosche nelle feci. Sarà difficile ripristinare la decenza, più facile convincere le mosche a cibarsi solo di fiori.
piergiorgio firinu
Imposizioni democratiche.
Qualche intellettuale comincia a rabbrividire rendendosi conto della discrepanza tra progresso tecnico e morale. I nuovi strumenti tecnici ci hanno reso più potenti ma per nulla migliori. Goethe ha espresso ciò con semplici parole: “ nulla distrugge l’essere umano quando l’aumento del suo potere sia disgiunto dalla sua bontà”. Lenin immaginava un mondo unito dalla elettrificazione, in realtà il mondo è uniformato dalla corruzione, orami nemmeno più considerata tale, se non quando riguarda questioni economiche e monetarie. Ma non è solo il crollo del senso etico (ed estetico) , ma i colossali errori delle politiche sociali. Negli anni ’60 del secolo scorso sembrava che il problema più grave fosse quello demografico. In occidente si scatenarono furiose battaglie perché le donne non mettessero al mondo figli. In Africa e Asia continuarono a nascere figli mentre in Europa, Italia in particolare, vi fu un crollo della demografia. Gli stessi che ingigantirono il problema demografico, oggi si battono per l’arrivo di immigrati assumendo che è necessario colmare il gap tra nascite e morti. Tutto ciò non è privo di conseguenze. Il welfare dei paesi europei, introdotto da Bismarck, con l’arrivo di milioni di immigrati, molti con una quantità di figli, trova molte difficoltà ad essere applicato, oltre a costi enormi. Anche i proclami degli illuministi dopo la rivoluzione dell’89 “ Libertè, Egalitè, Fraternitè” , mai davvero applicati, oggi sono sempre più disattesi. I governi “democratici”, si trovano a dover imporre a cittadini riluttanti la convivenza e la spartizione delle risorse con i nuovi arrivati in nome di astratti principi socio-religiosi e di solidarietà universale. In compenso, ciò che non hanno potuto le dottrine politiche in Cina, Africa e Asia lo ha imposto il mercato che ha uniformato usi e consumi, con grande gaudio delle multinazionali, in primis quelle statunitensi. L’arte, more solito, segue pedissequamente lo spirito dei tempi, produce oggetti richiesti dal mercato. Non è cosa nuova. Dopo la rivoluzione borghese dell’89, seguita dal terrore e un bagno di sangue, emerse la figura di Napoleone Bonaparte, il quale, in spregio degli altisonanti principi di uguaglianza degli illuministi, si fece incoronare imperatore dei francesi. Il pittore Jacque-Louis David rappresentò le scene di gloria del Bonaparte, come anche lo scultore italiano Antonio. Canova. Oggi, epoca di democrazia apparente in nome della globalizzazione vengono imposte mutazioni antropologiche, cancellate le tradizioni locali, deturpati i linguaggi nazionali con neologismi anglosassoni. L’arte, da sempre flessibile alle mode e soggetta al potere si adegua alla globalizzazione adottando uno stile uniforme, uguale in ogni angolo del pianeta.
piergiorgio firinu
Le opere e i giorni.
Abbiamo in più occasioni affrontato la materia delle ragioni relative all’agire umano. Gli animali agiscono per istinto in vista di un fine. Le azioni degli esseri umani hanno ragioni molto più complesse, spesso semplicemente agiscono senza una ragione. La scelta pone di fronte alla responsabilità che però può essere ignorata. Pensiamo agli etilisti, tossicodipendenti, pedofili. Dopo avere dibattuto per secoli sul determinismo, e sul valore dell’etica, abbiamo optato per il cinico pragmatismo la cui foglia di fico è il mito della libertà. La concezione standard sulle azioni, ha come riferimento a due termini: desiderio e credenza. Ma cosa accade quando non vi è alcuna credenza? Tutta la cultura contemporanea è orientata a giustificare il soddisfacimento del desiderio. Vi è un carpe diem permanente, quello che per il poeta Orazio costituiva l’attimo, la locuzione significa “cogli il giorno”, è diventata la cifra della modernità priva di etica. L’arte contemporanea costituisce anch’essa un momento privo di storia e di futuro. Opening , installazioni provvisorie, opere con materiali deperibili, sembrano esprimere la rassegnazione e l’inutilità dell’arte insieme all’ idea del transeunte
piergiorgio firinu
La fantasia logica
Quando si affronta il tema dell’arte, ci si trova immersi in un bailamme di sproloqui di vario genere, quasi che l’arte sia null’atro che un diversivo ludico la cui storia è solo una sequenza di modalità di esecuzione. Quando, intorno all’anno mille il matematico arabo Alhazen affrontò il tema della prospettiva, aveva in mente un’idea della rappresentazione riferita a canoni scientifici ben precisi. La realtà dei fenomeni ha natura oggettiva, dunque l’artista, quale che sia il fenomeno che intende rappresentare, dovrebbe collegarsi al significato, nel senso descritto da Platone. L’arte dovrebbe costituire un ponte tra il sapere e l’esistenza empirica. Ogni sapere è nella sua forma e nella sua essenza volto alla determinazione. Se l’arte si abbandona all’indeterminatezza, per ciò stesso viene meno alla sua funzione. Va da sè che, anche una motivazione priva di costrutto logico è nulla. Secondo Goethe ogni oggetto, rettamente considerato, rivela in noi un nuovo organo della visione. La ricchezza dell’arte consiste nella possibilità, sottolineata da Hilbert, che la grande quantità di relazioni possibili vengano raccolte in un singolo oggetto e rappresentate in virtù di quell’’oggetto. I giudizi sull’arte si pronunciano spesso intorno a possibilità che non trovano riscontro nella rappresentazione. Ovvero, la rappresentazione si traduce in pura tautologia. Un esempio è l’opera di Mario Merz che si richiama al matematico Leonardo Pisano, detto il Fibonacci, e la sua sequenza dei numeri. Che significato può avere la riproposizione visiva dei numeri se non il senso della nota derivazione di Dedekind.Già in Bacone l’obiezione essenziale che viene mossa contro ogni pensiero concettuale, è che esso si ferma all’immagine, ovvero ad una realtà già sperimentata e non è in grado, particolarmente nella forma artistica, di esprimerla se non trasformandola,e in questa trasformazione, la falsifica. In tal modo la pretestuosità dell’arte che vuol farsi concetto , si traduce in puro arbitrio privo di ragione. Il concetto, comunque espresso, non può porre né produrre alcun nuovo contenuto della conoscenza ; esso può solo spostare in diverse maniere, unire e separare a piacere idee semplici che gli vengono offerte dalla sensazione. I modi sui quali si sofferma Locke, nascono dall’intelletto quando la percezione interna resta inespressa, priva di connessioni esterne in grado di rappresentarla in modo appropriato. Anche Berkeley condanna i concetti che, o si traducono in tautologia, come abbiamo visto sopra, oppure restano articolazioni indeterminate e, come si esprime Berkeley: “ Non rendono lo spirito più acuto, bensì più ottuso nel cogliere l’unica vera realtà, che ci è data dalla percezione”. L’arte, più in generale la cultura contemporanea, ha risolto il problema rifiutando la stessa concezione di spirito, di verità, di sensazione intelligente. Quello che resta è ciò che vediamo nelle fiere dell’arte.
piergiorgio firinu
Mani e Narciso
La nostra è l’era dell’apparenza e dell’ignoranza. Un binomio pericolossimo che concorre in misura rilevante a capovolger il senso delle cose. Siamo dominati dalla religione fondata da Mani nel 250 d.c. Il manicheismo era allora manifesto e dichiarato, oggi è subdolo, si maschera da tollerante progressismo, condito di rassegnazione. Il gemello parlò a Mani da un riflesso sull’acqua. E’ riesumato il mito greco di Narciso,associandolo alla fatuità di un riflesso. Nihil novi sub sole,la nostra “cultura” è costituita in prevalenza di immagini supportate da parole che non tengono in alcun conto la verità. Che si tratti di costruire episodi di razzismo per incrinare la compattezza di una nazione, o si tratti di costruire effimere icone dell’arte, il processo che viene messo in moto ad hoc non tiene in alcun conto i fatti che devono essere adattati alla narrazione di una weltanschauung di una inesistente democrazia. Quando Hegel, nella sua lezione di psicologia afferma che la madre è il genio del bambino, descrive il necessario punto di partenza dell’educazione e presume che i trascorsi della madre la rendano adatta a dare un imprinting positivo al figlio. E’ ben chiaro che oggi le madri, le donne in generale, pretendono soprattutto una libertà totale, come non manca di ripetere la signora Boldrini presidente pro tempore della Camera dei Deputati. E’ fin troppo ovvio che ciascuno di noi prima di essere un artista, un operaio, un politico, è stato un figlio. Se la condizione di figlio è improntata in modo errato, crescerà un essere umano sbagliato, non ci sarà modo di modificare o annullare l’imprinting ricevuto. I paralogismi della contemporaneità saltano sempre la prima parte della storia e la teleologia delle azioni. E’ del tutto ovvio che la libertà implica innanzi tutto liberarsi dalle responsabilità. Una “libertà” consapevole è una libertà che si autolimita. Per considerare il cavallo di battaglia del femminismo, la libertà sessuale, mal si concilia con la famiglia, con i figli. Infatti la famiglia nelle società occidentali è solo più una provvisoria finzione. I figli, molto spesso senza padre, o con un padre diverso da quello biologico, vivono una frustrante solitudine. Non a caso vi è una crescita esponenziale in questi ultimi anni di tossicodipendenti, alcolisti, prostituti/te, criminali, in giovanissima età. La fatuità rumorosa della modernità impedisce il silenzio della riflessione, si autogiustifica con la segmentazione dei fatti. Ogni singolo fenomeno sembra scaturire dal nulla. Le donne lamentano di essere oggetto di violenza, ma non considerano che i violenti sono figli di donne, hanno avuto l’imprinting da donne. L’arte nasce in questo contesto sociale. Gli artisti non hanno una propria visione del mondo. Come scrive Friedrich Nietzsche in “Così parlò Zarathustra”: “ Nessun pastore e un sol gregge! Tutti vogliono le stesse cose, tutti sono uguali: chi sente diversamente va da sè in manicomio”. Dostoevskij e Nietzsche hanno introdotto la nozione di idiota, sulla base dell’evidenza della modernità che si andava profilando. Le opere e i giorni sono legati dalla follia di un mondo senza futuro, dove le donne affittano anche l’utero e l’arte si bea del proprio nulla che giustifica adducendo “l’essenzialità del segno”.
piergiorgio firinu
Femminismo,arte, denaro.
La storia dell’arte registra gli eventi dando ad essi una cronologia e un filo conduttore che fanno apparire le varie sequenze come un’evoluzione logica. Nei fatti, fino ad una certa epoca, la storia dell’arte ha avuto un senso. Nel ‘700 l’Italia era un faro per l’Europa. Nel 1748 il sovraintendente de Marigny, fratello di Madame de Pompadour, intraprese, con Soufflot e Cochin, un viaggio di studio in Italia, dando inizio all’usanza dei pellegrinaggi nel nostro paese. Con Winckelmann comincia la ricerca archeologica sistematica, per opera di Mengs. Dunque l’arte aveva una forte caratura culturale e storica, senza risvolti ideologici o pretese concettuali. Nel momento in cui la borghesia prende il soppravvento anche l’arte diventa oggetto di mercato. Il carattere culturale si attenua, prevale l’aspetto commerciale. Tuttavia i tempi della storia non sono brevissimi, l’evoluzione dell’arte diventata merce, inizia gradatamente ad evolversi in senso peggiorativo, aumenta contemporaneamente il supporto dei critici alle varie forme d’arte. Tutto avviene con una certa gradualità. Fino a quando alle esigenze mercantili si contrappongono posizioni ideologiche. Le prime avvisaglie erano apparse nel romanticismo. Per quanto possa apparire strano oggi, il romanticismo nacque come corrente d’avanguardia. La deflagrazione nel mondo dell’arte, avvenne tra la fine del ‘800 e l’inizio del ‘900. Futurismo, Dada, Surrealismo furono i movimenti artistici che diedero il via alla deriva dell’arte. Mentre il surrealismo, conservava ancora interesse per la pittura e una traccia delle forme d’arte “convenzionali” , come in parte anche il futurismo, al di là di manifesti e proclami,la corrente Dada nasce come forza d’urto distruttiva, volta a demolire ogni forma di arte com’era stata fino ad allora. Un gruppo di artisti e intellettuali si riunisce nei locali del Caffè Voltaire a Zurigo, e, scegliendo a caso una parola sul dizionario, si autodefinisce Dada. La sua patria di adozione diventa presto New York, dove vi era molta ricchezza e scarsa cultura artistica. Agli artisti americani non parve vero di aver trovato uno strumento per intaccare il predominio culturale dell’Europa. E’ questa la ragione per la quale il rumeno Tristan Tzara, il maggior teorico e strenuo difensore della corrente, trovo entusiastica accoglienza a New York dove già allora il mondo dell’arte vedeva una grande preponderanza femminile. Come scrive Aline B. Saarinen in “I grandi collezionisti americani” tra i quali spicca Katherine Sophie Dreier, la ricca ereditiera che finanziò l’altro noto protagonista del gruppo, Marcel Duchamp. La Dreier era una convinta femminista, partecipò come delegata all’incontro femminista internazionale che si svolse a Stoccolma nel 1911. Fin d’allora femminismo e arte s’incrociano, con due risultati. Il primo spostare gradatamente l’asse del sistema dell’arte dall’Europa a New York, il resto degli Usa rimasero ancora a lungo lontani dal mondo dell’arte. Come conseguenza creare le premesse, con l’ausilio dei ricchi mercanti e collezionisti americani, che John G. Johnson aveva definito “squilionari”, per ottenere il predominio americano nel sistema dell’arte che iniziò con astrattismo e culminò con la Pop Art. Ciò che stupisce in tutto questo gioco di potere e denaro, è l’assoluta passività dell’Europa, anche tenuto conto che fin dall’allora la Gran Bretagna era la testa di ponte degli Stati Uniti nel vecchio continente.
piergiorgio firinu
Cosa sappiamo della realtà?
L’ontologia riguarda la realtà, la cui essenza è del tutto indipendente da noi. L’epistemologia riguarda invece ciò che sappiamo della realtà. Consideriamo che la più importante rivendicazione dell’illuminismo riguarda l’autonomia, cioè la libertà di pensare individualmente, la cui inevitabile estensione retorica sottolinea la necessità di sottrarci ai dettami dell’autorità in ogni campo, ci troviamo di fronte ai semi di un’anarchia che fa perno sulla supposizione che le persone sono agenti autonomi ed hanno coscienza della responsabilità delle loro decisioni. Quali sono le conseguenze di questi presupposti? Intanto la nostra conoscenza è quasi sempre settoriale e approssimativa. Dipendiamo da esperti la cui competenza non siamo in gradi di valutare. Cosa succede nel caso, non infrequente, in cui il sistema di valutazione degli esperti sia corrotto, ovvero indirizzato a interessi di parte? Esempio emblematico le perizie giudiziarie. Ognuna delle parti si avvale di un perito le cui conclusioni, guarda caso, sono favorevoli a chi l’ha assoldato. Da quando è stata abolita la pittura nessuno, nel settore dell’arte, è più in grado di valutare il valore di un’opera. La presunzione che un individuo sappia e voglia decidere secondo giustizia, non secondo convenienza, è francamente apodittica. Si è diffusa la tesi “sodomia e lesbismo uguale libertà e civiltà”. La stessa tesi non è mai stata così rimarcata per gli etero. Quando la lesbica o il sodomita si accingono a compiere atti sessuali, hanno in mente di compiere un gesto di libertà? Di ribellione? O cos’altro? Per essere davvero realisti dovremmo innanzi tutto chiamare le cose con il loro nome e cercare di capire le motivazioni dell’agire. Sicuramente ci troveremmo in notevole difficoltà. Per secoli si è dibattuto sull’esistenza del libero arbitrio, ma non pare che i filosofi siano giunti a conclusioni condivise. Molti filosofi considerano un grande errore la negazione che il mondo esista solo perché lo percepiamo. Questa tesi, in forma diversa, è stata sostenuta da Bacone, Cartesio, Hume, Kant, Leibniz, Locke, Spinoza. Nessuna di queste teorie ha inciso più di tanto sui concreti comportamenti umani. Le femministe, appropriatesi del sapere filosofico, hanno deviato l’attenzione sui problemi di genere, arrivando a mettere in discussione la stessa distinzione naturale tra maschi e femmine. Se dalle teorie filosofiche passiamo alle considerazioni politiche, ci rendiamo conto che sia nell’ambito della sinistra come della destra, l’intellighenzia s’inginocchia di fronte al volere delle masse, la cultura contemporanea non guida ma segue. Le teorie del neo-realismo portate avanti da Maurizio Ferraris, devono fare i conti con il crescente imperio del virtuale. E’ in corso una mutazione nel vissuto, nello stesso concetto di realtà. Se a questo aggiungiamo la rimozione di ogni principio etico, ci troviamo sotto in un vuoto nel quale fatica il proseguimento del pensiero. La competizione per sempre maggiori margini di libertà, non può far altro che adottare le varianti ontologiche della pornografia per guardare in modo più profondo le viscere della realtà libera da norme etiche. Se prevale il pragmatismo opportunistico non c’è dubbio che si amplia lo spazio per crimini e misfatti che producono reddito senza pastoie ideologiche. Siamo avviati alla dissoluzione della civiltà, così come è stata creata in 6000 anni di storia.
piergiorgio firinu
Qual è l’oggetto della sociologia?
Ogni scienza ha un oggetto, qual’è l’oggetto della sociologia? Durheim, nel libro “Le regole del metodo sociologico” , sostiene che la sociologia non ha oggetto. Stuart Mill pone come condizione per una scienza sociologica la semplice esistenza del determinismo, per il quale ciascuno stato delle cose, in ciascun istante risulta semplicemente dallo stato anteriore. Se questo è vero la storia sociale dell’arte di Arnold Hauser è la trattazione analitica di un reperto, autopsia di corpo morto. Questo perché la sociologia è una sorta di biologia della società, possiamo rappresentacela come Esprit des lois. Ma cosa succede quando le norme sociali vengono disattese o addirittura sovvertite? La società è costituita da raggruppamenti sociali che seguono norme e riti. “L’Uomo savio” di Baltasar Gracian è una sociologia scritta da Machiavelli. Secondo Parson la sociologia è un insieme di categorie descrittive. Kant considerava la natura un’opera d’arte eseguita secondo fini. La cultura contemporanea nega l’idea di natura. In breve la sociologia è una parola a cui si attribuiscono vari significati. Riscrivere la storia della sociologia da Comte, Durkheim, Weber, Parson Lazarsfeld, significherebbe non scrivere la storia di una disciplina, ma di una parola che non ha un percorso lineare. Cosa resta della sociologia tedesca da Tὄnnies al nazismo? La questione vera è che si inizia a giocare con le parole e si finisce per travolgere l’insieme dei comportamenti sociali. Negli anni ’60 del secolo scorso il Gruppo di Roma lanciò martellanti campagne in tutto l’occidente, in Italia in particolare, denunciando il rischio di un boom demografico. Venivano colpevolizzate le donne che partorivano figli. La campagna stampa, supportata dall’ideologia femminista, ha avuto successo. Oggi, giugno 2016, l’Italia è il paese in occidente in cui nascono meno figli. C’è stata qualche ammissione di colpa? Assolutamente no. La soluzione che viene proposta è di far arrivare in Italia trecentomila immigrati all’anno.
piergiorgio firinu
I mezzi e i fini.
Oggi la situazione dell’arte è tale per cui ognuno può improvvisarsi artista, anche quando è privo di cultura. Per cultura intendo cultura tecnica, come è richiesto per l’esercizio di ogni mestiere, e cultura umanistica che nutre e ispira, o dovrebbe ispirare, la creazione artistica. La percezione individuale, l’arricchimento della visione hanno per condizione che si sappia agire in modo adeguato. Una critica d’arte culturalmente attrezzata, di fronte a un’opera, si pone molte più domande e vede molte più cose di quante ne veda l’uomo della strada. La ricchezza di visione di Burckhardt che contempla il Rinascimento italiano, gli permette di aiutarci a capire molto di più di quanto la nostra visione ci consentirebbe Per l’artista, un vissuto privo di profondità rende povera la sua opera. Vi è una ragion d’essere nella educazione secolare alla visione. Il valore non si trova in ciò che l’artista dice, ma in ciò che produce. Frege diceva che due espressioni possono avere lo stesso significato, ma un diverso senso. Questo vale a maggior ragione nell’espressione formale. Ludwig Wittgenstein nella preposizione 6.421 del Tractatus logico-philosophicus scrive: “Etica ed estetica son uno”. Richiamarsi alla “passione” per giustificare la scelta, è per lo più un truismo. Per Foucault le passioni non appaiono mai alla stato selvaggio (puro), ma sempre abbigliate con il costume dell’epoca. Infatti non è l’intelletto che decide la passione. L’arte, come la scienza, è organizzazione dei mezzi, entrambe sono normative e descrittive, così che i fini di per se non c’insegnano nulla, se non sono riscontrabili nell’opera compiuta.
piergiorgio firinu
Sapere al neon.
Se il compito della scienza consiste nell’articolare in linguaggio verbale o matematico i fenomeni della natura dai quali trarre le leggi che consentono interventi pratici, l’arte non svela nulla, non compie indagini,si limita a creare forme simboliche. Se la scienza scopre, l’arte si trova ai confini tra significati ontologici e significati che appartengono alle teorie della comunicazione, essa costituisce l’orizzonte mobile di proposte delle possibilità della forma tra il reale e l’immaginario. La materia dell’arte assume senso in base all’utopia progettuale. L’arte migliore adotta l’azione espressa dal verbo greco “proballein, che significa gettare avanti. Le opere parlano dell’intelligenza dell’artista, delle soluzioni che egli apre alla partecipazione. Se il mondo è quello che c’è, quello che c’è è riproposto e riprogettato dalla sapienza del segno. La metafora dell’arte non è codificabile , essa dispiega, explica, in significati multipli le possibilità della materia. La ricerca della verità dell’artista, non può essere un percorso di pura evasione. Heidegger esaminò questa prospettiva, partendo dal termine greco per indicare la verità “Aletheia” egli tradusse in disvelamento basato sull’analisi del termine composto da “lete” , svelamento, nascondimento,oblio, e il prefisso negativo “a”. Il concetto si basa sull’idea che è “vero” o, meglio, che accede all’ambito della verità, ciò che emerge dalla creazione formale dell’artista. L’immagine è la rappresentazione di una verità la cui essenza, proprio perché non codificabile, la rende preziosa. Dal punto di vista concettuale la presentazione della verità formale, si contrappone alla metafisica inaugurata dalla dogmatica di Platone e di altri presocratici. L’arte riscatta cosalità mute, prive di senso, lontane dai segni. Nelle tecnologie moderne, secondo Heidegger i concetti sono eccessivamente riduzionisti per ragioni funzionali. E’ questa la ragione per la quale quando l’arte si avvale della tecnologia snatura se stessa e cade nella cosalità priva di valore. Un sapere manipolabile, “ciò che è dato” alla percezione senza comprensione. Un sapere al neon, com’è definito da Sloterdijk. Si dà il caso che il neon sia molto usato da artisti contemporanei.
piergiorgio firinu
Stratagemmi convenzionalistici.
Il dibattito epistemologico sulla socializzazione dell’arte è stato obliterato dallo sviluppo del mercato. L’inverificabilità delle teorie sull’arte apre il campo ad ogni anomalia che possa essere suffragata da stratagemmi convenzionalistici, esemplificati nella nota affermazione “è arte ciò che è considerato arte”. Intorno a questa tautologia si è sviluppato un dibattito surreale il cui obiettivo non è, un apporto di verità, per quanto possibile, ma il confluire della retorica in grado di contrabbandare come atto di libertà espressioni di ignoranza. In ogni caso, anche cambiando i principi dell’arte, ciò non esenterebbe l’artista dalla necessità di determinare un rapporto con i fenomeni che rappresenta al di là della pura raffigurazione, pena cadere nella pittura cartellonistica, tipica di buona parte della Pop Art. Il sistema del’arte, come sta sviluppandosi, si sottrae alle prassi artistiche tramandate nei tempo, senza tuttavia trovare forme espressive che abbiano una precisa connotazione ontologica, quella che un tempo era definita “corrispondenza con la realtà” . Popper cercò di superare la difficoltà con l’interessante distinzione tra logica e psicologia. Anche ammesso che l’arte possa prescindere dalle idee, la giustificazione del segno non può avere una natura nebulosa, non basta far ricorso a rivendicazioni di libertà che spesso coincidono con il non senso. I metodi usati da una possibile verifica, possono interessare una questione di fatto – il “quid facti?” Di Kant – o questioni di giustificazione o validità - “il quid juris? “Di Kant-. Certo la soluzione peggiore è far ricorso a elementi arbitrari nei quali confluiscono casualità e personalizzazioni. Queste ultime possono costituire la spinta ad operare, non la giustificazione dell’opera. Anche nell’arte, l’epistemologia dovrebbe essere in grado di concretizzare principi normativi, che possono essere innovativi fin che si vuole, ma non possono essere sostituiti da intimismo, una sorta di omeostasi, un soggettivismo che si scontra con le ragioni stesse della comunicazione. Se questo avviene il linguaggio dell’arte è ridotto a soliloquio. Come sosteneva Von Neumann, il linguaggio è un fatto storico, esso può assumere varie forme, ma il senso deriva dall’intelligibilità che non può prescindere da una base empirica, all’interno di una logica normativa, che può essere frutto di libera scelta, non di puro arbitrio. La critica d’arte trascura abitualmente la correlazione, vale dire il nesso che esiste tra giustificazione e teoria. In questi ultimi decenni i modi di vita sono mutati più rapidamente delle riflessioni che li riguardano. La scelta peggiore è lasciarci trascinare dalla corrente dimenticando che la corrente scende sempre verso il basso. Di certo non c’è stato soccorso da parte della letteratura divulgativa corrente, i “divulgatori” sembrano pensare che il futuro si avveri nominandolo. L’artista dovrebbe essere come gli storioni che risalgono la corrente per depositare a monte il frutto del loro lavoro, non correre il rischio che, trascinati dalla corrente, finiscano, come purtroppo è già accaduto a molti, nella fogna del qualunquismo assumendo che la sopportazione del fetore è il prezzo che si deve pagare per il consenso.
piergiorgio firinu
Il linguaggio è la coscienza reale.
La consapevolezza che vi sono vari progetti possibili di trasformazione della realtà, in particolare della natura, vi è sempre stata. Secondo Aristotele: “ la natura si presenta come un ideale che è compito dell’arte realizzare o ristabilire, come norma della quale l’arte, per raggiungere i suoi scopi, deve seguire precetti e indicazioni”. Coloro che vogliono imporre una cesura tra i diversi periodi artistici, o addirittura negare la consequenzialità nella narrazione dell’arte, il meno che si possa dire è che peccano di presunzione. E’ innegabile che possano esserci più visioni del mondo, questa è la ragione per la quale non hanno senso apriorismi definitori, in senso negativo o positivo. Scrive R.K. Merton:” Con l’aggravarsi dei conflitti sociali, le differenze di valori, di atteggiamenti e di processi mentali fra gruppi si accentuano fino a che gli orientamenti che i gruppi avevano in comune vengono oscurati”. Non solo si sviluppano differenti opinioni, ma l’esistenza stessa di ciascun gruppo trova la propria ragion d’essere nel negare legittimità agli altri. La coesistenza all’interno di una medesima società diventa problematica, il confronto tra opinioni impossibile. Siamo ben oltre le dotte argomentazioni di Karl Marx, il quale oltre ad ammirare l’arte dell’antica Grecia, nei suoi scritti citava spesso lo “spirito”. Egli scriveva: “ fin dall’inizio lo spirito portò con se la maledizione di essere infetto dalla materia che si presenta come strati d’aria agitata da suoni: il linguaggio..” Il linguaggio è antico come la coscienza, anzi il linguaggio è la coscienza reale , pratica, in comune con i gruppi sociali senza distinzione di classe, salvo sfumature per i diversi gradi di cultura. A determinare la differenza è il grado di consapevolezza che distingue le singole azioni, l’agire umano in generale. E’ noto il brano del Capitale nel quale, Marx si richiama alla nota definizione di Biagio Pascal: “l’uomo come canna che pensa”. L’autore del Capitale scrive : “Il ragno compie operazioni che assomigliano a quelle del tessitore, l’ape fa vergognare l’architetto con la costruzione delle sue cellette di cera. Ma ciò che fin da principio distingue il peggiore architetto dall’ape migliore è il fatto che egli ha costruito la celletta nella sua testa prima di costruirla in cera”. Dunque ciò che distingue l’attività umana è l’aspetto progettuale, l’idea che precede il progetto. Ecco dove si colloca il principio di responsabilità. Le rozze generalizzazioni della cultura contemporanea, la preminenza dell’aspetto emozionale, che porta ad esempio ad esibire il corpo umano come una sorta di ready –made certificano la rinuncia alla razionalità creativa. Sono state le avanguardie del secolo scorso che, in nome della libertà dell’arte, hanno preteso di azzerare valori e modalità tecniche della produzione artistica. La pretesa di innovazione radicale portava a un’insanabile cesura. Oggi comincia a profilarsi una maggiore consapevolezza, che però è condizionata dal fattore economico, visti i grandi interessi in gioco e il vuoto culturale che nel frattempo si è creato.
piergiorgio firinu
Retorica e decezione.
La retorica è lo strumento attraverso il quale si manifesta un pensiero, come tutti gli strumenti è neutra, caratterizzata dalla natura del pensiero che promuove. L’eccellenza linguistica dovrebbe corrispondere ai valori che esprime. Siamo subissati da libri e discorsi che sono altrettante finzioni. Di cosa parliamo quando ci appelliamo al “sentire comune”. Il sentire comune non ha nulla di spontaneo, è costruito dalla lettura di libri e dai media. Roberta Martina Zagarella nel saggio:” La dimensione personale dell’argomentazione”, sviluppa la tesi secondo cui la retorica è questione emotiva e personale. La retorica collegata alla fisicità di chi argomenta. Se questo è vero, si rendono necessari anticorpi per conseguire condizioni di obiettività legata alla dimensione razionale. Arthur Schopenhauer quando scrisse “L’arte di ottenere ragione”, indicò una serie di artifizi verbali fatti propri dagli intellettuali. Lo snodo consiste nel chiederci se, nella argomentazione retorica si miri all’efficacia, ovvero si abbia come fine la verità. Siamo circondati da affabulatori le cui argomentazione sono tanto convincenti quanto decettive. Nel “Trattato dell’argomentazione” Chaim Perelman e Lucie Olbrechts-Tyteca, viene messo in luce come l’articolazione retorica sia tanto più efficace quanto più va incontro e interpreta, opinioni e desideri di coloro a cui è rivolta. Quindi efficacia e verità sono antitetiche. L’avvocato che sviluppa una tesi difensiva, non ha alcuna preoccupazione per la verità. Certi testi del femminismo sembrano adombrare la lettura di Ludwig Feuerbach in chiave intimistica. Le teoriche del femminismo hanno dato ampio spazio all’emotività a scapito della razionalità. Partendo da una base di verità, sono state sviluppate teorie che, oltre ad essere zoppicanti dal punto di vista logico, spesso collidono con natura e antropologia. Gli aggregati umani sono andati articolandosi nel corso dei secoli in base al principio di necessità, non attraverso la soprafazione come sostengono alcune teorie femministe, che entrano in conflitto anche con l’idea di natura. Tanto che le femministe francesi hanno definito fascista la stessa natura. Ogni discorso retorico dovrebbe muovere all’interno di un confronto. Aristotele definiva questa prassi “sinestesia” , ovvero sentire comune. Ma il “sentire comune” ai tempi dello stagirita non era inquinato da media e dall’insinuante propaganda femminista nelle scuole e in ogni sede di comunicazione. Pensiamo, ad esempio, al martellamento costante di film e telefilm Made in Hollywood, Sodoma contemporanea. Quali forme di difesa può attivare il comune fruitore di questi messaggi espliciti e/o sublimali, recepiti anche da adolescenti. Ecco dunque che la retorica uscita dall’alveo di un confronto culturale, entra nell’ambito della manipolazione di massa i cui comportamenti finiscono per rispecchiare i modelli divulgati dai media, che, a loro volta, sono condizionati dal mainstream. Si crea un cortocircuito che esclude razionalità ed etica. Purtroppo ogni confronto è impossibile. Il tentativo di modificare la mentalità diffusa si scontra con enormi difficoltà. Viene in mente il protagonista dell’aneddoto narrato da Agostino. Il bambino che pretendeva di travasare in una buca fatta nella sabbia tutta l’acqua del mare. Per quanto riguarda il sistema dell’arte, dietro all’astratto discorso retorico si nascondono sconfinati interessi di mercato. Alla famigerata industria culturale degli anni ’50 si sono aggiunti interessi del cinema di consumo, e spettacoli tv di una volgarità stupefacente; protagoniste di primo piano le donne che continuano ad esibire il corpo come Ready –Made.
piergiorgio firinu
L’arte e la pretesa di autoreferenzialità.
L’idea che l’arte abbia una totale autoreferenzialità è ingenua. Si confondono le posizioni soggettive dell’artista con la funzione sociale dell’arte, separata dalla consapevolezza dei singoli. Se i filoni costitutivi della maturazione dell’artista sono deviati da un’eccessiva sottomissione al mercato, si alimenta il feticismo. L’uomo, come produttore e consumatore, è sempre più dominato dalle cose, a prescindere che siano dotate di proprietà culturali o sociali, questo significa essere preda del feticcio della merce in cui è inclusa la produzione artistica. Sia chiaro, non stiamo formulando ipotesi teoriche, registriamo semplicemente ciò che è in atto, questione che rientra in una controversia che dura da almeno cento anni. La contraddizione sul concetto di valore e di costo, affrontata in altri ambiti da Sraffa, è esattamente ciò che produce ed alimenta la propensione feticistica che trova spazio nel vuoto dell’irrisolto. Il processo che conduce alla consapevolezza non può avvenire mediante ciò che usiamo definire “intuizione”. Al contrario, l”intuizione” è sbocco finale di un processo di conoscenza meditato. Troppo tardi H.Marcuse è pervenuto alla consapevolezza che lo spontaneismo, di cui era promotore, costituiva il grimaldello con cui l’anticultura, e conseguente mercificazione dell’arte, è un generico richiamo alla “libertà d’espressione”. Oggi la cultura accademica condivide lo spontaneismo espresso all’inizio dalla filosofia di Marcuse. La rivoluzione dell’arte è naufragata nel mercato. L’unica possibilità di risalire la china, consiste nel tentativo di riesumare i valori umani diversi dalla compravendita. E’ grave la responsabilità di chi, facendo leva sulle debolezze e sul carattere misticheggiante di critici irrazionalisti, ha posto il falso dilemma tra progressisti e oscurantisti. Falsa e dannosa l’idea che l’epistemologia non abbia rilevanza. Capire valore,significato e funzione sociale dell’arte è la premessa necessaria per una possibile riacquisizione di senso. Non è possibile restituire valore sociale all’arte, senza prima darne una definizione adeguata. L’atto produttivo dell’artista, non può essere disgiunto dalle ragioni che lo motivano.
piergiorgio firinu
Percezione.
Alla fine della seconda guerra mondiale due intellettuali francesi assunsero posizioni opposte nei confronti del marxismo. Maurice Merleau-Ponty era contro i processi montati a Mosca da Stalin. Jean-Paul Sartre era invece favorevole. Va da sè che, di tutto il dibattito che ne è seguito, non è rimasto nulla. Le riflessioni e le opere di entrambi gli intellettuali furono rubricate come esistenzialiste. Entrambi avevano posizioni diverse anche sull’arte in generale. Oggi non sono più possibili confronti accesi sull’arte. Domina il nichilismo. Essere radicali significa prendere le cose alla radice e per l’uomo “La radice è l’uomo medesimo” (Marx). Nell’ansia globalizzante l’io non è stato mondializzato. Diceva Nietzsche:” tutta la bellezza, tutto il sublime che abbiamo attribuito alle cose reali o immaginarie, voglio rivendicarlo come la proprietà e il prodotto dell’uomo….” . Scegliendo dei titoli incongrui per i capitoli di “Ecce Homo” Nietzsche finisce per dimostrare l’inizio della sua fuga verso la pazzia, unico punto di approdo per chi possiede una lucida visione del mondo. L’essere si definisce in molteplici modi, sottolineava Aristotele, l’essere dell’uomo e delle cose, delle cose in rapporto all’uomo. La fertilità del pensiero nasce dall’ingenuità di credere come possibile la verità. E’ ben poca cosa una cultura che si affida a una ginnastica dialettica nella quale il linguaggio resta incrostato di tutte le ambiguità. Quando affermo l’albero è verde, l’albero è definito come soggetto della mia preposizione e il verde con cui qualifico l’albero è il predicato. In autunno l’albero non sarà più verde, dunque il verde è solo un accidente primaverile. Anche il porro e l’erba sono verdi dunque il verde non appartiene all’albero. Questa difficoltà di definizione delle cose è fatta propria dalla pittura quando Chagall dipinge con colori e in posizioni improbabile i suoi personaggi, esprime una possibilità, per quanto remota. Merleau-Ponty in “Fenomenologia della percezione” affronta questo tema che esattamente come i suoi dibattiti con Sartre sul marxismo, è stato archiviato senza essere risolto nel senso di un significato ontologico, oltre che gnoseologico dell’arte in quanto linguaggio della sensibilità formale. Il mondo “è unità che ha in sè tutte le opposizioni” . Compito dell’arte è la narrazione della possibilità estetica. L’arte espresse i principi primi della conoscenza umana, “cattolica”, parola che deriva dalla lingua greca, significa orientato verso la totalità degli esseri verso le cose come sono. Nelle Grotte di Altamira e di Lascaux l’uomo tracciava segni per evocazione magica ed esercizio di conoscenza e ricordo. La simbologia dell’immagine si è persa in un mare d’ indifferenza. Quando Sandro Botticelli dipinse “La nascita di Venere” nel 1477-1478 era ancora viva la conoscenza della lingua greca. Afrodite, anche nota come Venere, deriva dal greco aphros, schiuma, ed esprime la fragilità della bellezza che come schiuma si forma e si dissolve nel pensiero creativo, è l’essenza dell’arte. Oggi sono arte le sculture di Richard Serra,pesanti parallelepipedi di acciaio di fattura industriale. Gli artisti americani giocano spesso sul gigantismo, sulla pesantezza, o all’opposto su lacerti consumisti della Pop Art.
piergiorgio firinu
Linguaggio e segno
La negatività del soggettivismo delle “avanguardie” consiste nella presunzione di poter azzerare la storia adattandola alla propria visione del mondo e/o “farsi piacere la costruzione del gusto” come recita il titolo recente di Emanuele Arielli. E’ significativo che, a partire dall’inizio del secolo scorso, tutti i movimenti artistici si sono fregiati (o sfregiati) della definizione di avanguardia. Quando Giuseppe Penone, in una recente intervista a un quotidiano sostiene che: “….Se vado a New York mi è impossibile continuare lo stesso tipo di lavoro, sono costretto a lavorare con i mezzi tecnici, le logiche e la cultura di New York , perdo la mia identità, E cosa è più importante nell’arte se non le identità?”. Assunto che rispecchia interamente la tesi di cui sono intessuti tutti i miei scritti e filmati. Peccato che, voltando la pagina dello stesso quotidiano che riporta l’intervista, si legga la segnalazione di una mostra di Botto & Bruno dal titolo: “ Society you’re a crazy beed”.Qualunque sia il tema della mostra, non credo possano esserci dubbi sul fatto che, se l’arte ha radici nel luogo in cui nasce, a maggior ragione il linguaggio è la caratteristica distintiva di un popolo. Cos’è se non provincialismo dare un titolo inglese a una mostra che si svolge a Torino? A meno che non nasca come prodotto di esportazione e richieda una etichetta nel linguaggio dominante. Il problema, sit venia verbis, è l’ignoranza che si ammanta di attualità. Il difficile compito dell’artista è dare significato all’apparenza. Non si conosce il mare guardandone la superficie. La china che da tempo trascina l’arte, consiste nei processi di contestazione, immaginata semplicemente in nome di un altro ordine. Si dovrebbero avere basi solide e idee chiare. Così non è. Non esiste contestazione senza fini. Come la filosofia che non è esercitata come ai tempi dei Greci, l’arte privata ha un’esistenza pubblica che riguarda la collettività. L’arte non può essere ridotta a cosa di assessori e intrallazzatori di sottogoverno che finanziano Fondazioni e Musei, vedi il Maxxi di Roma, per ragioni partitiche. E’ improprio fare appello alla socratica ignoranza appellandosi all’emozione. Il mito, scrostato dal tempo, ha reso evidente che l’oracolo di Delfi mentiva. Socrate non era forse il più sapiente degli uomini, ma qualcosa sapeva, anche se non ha mancato di creare imbarazzo ai suoi interlocutori attraverso quell’irriducibile aporia che tutt’ora è usata da molti. Aristofane facendo suo “so di non sapere” , ha, dopo secoli, stimolato la risposta di Kierkegaard il quale si è sottratto al soffocante hegelianismo. Come Socrate, apparentemente l’ironista del “non so niente” , dissimulava la sua autentica arte, la “maieutica” . La capacità maieutica dell’artista consiste nel far emergere sensibilità ed emozione, questo non avviene con cavalli infissi nei muri, scarabocchi su tela, reperti di recenti di strutture industriali.
piergiorgio firinu
La logica della creazione
Vi è una parola Akrasia, ovvero debolezza della volontà, che in molti casi caratterizza i comportamenti . Vi sono gli astuti imprenditori del disagio sociale, come il sig. Ciotti, il quale ha istituito addirittura corsi contro la pulsione consumistica. Secondo le teorie di John R. Searle, la soggettività produce uno squilibrio che porta al solipsismo esasperato. In buona sostanza la frammentazione degli stati di coscienza, conseguenza della perdita di controllo, e comportamenti non ortodossi, producono squilibrio, di fatto l’abbandono del comportamento razionale. La psicologia dell’inconscio probabilmente vanifica l’esperienza cosciente della libertà. Le cause psicologiche possono determinare le nostre azioni, ma non ci consentono di chiarirne le ragioni. L’arte galleggia in questo stato di indeterminatezza. Paul Valery ha scritto:” non si finisce mai una poesia , la si abbandona per disperazione”. Affermazione che trova la conferma di Ludwing Wittgenstein, il quale sosteneva che a un certo punto del processo creativo, l’artista si rassegna ad un “va bene così”. Frege sosteneva che un’espressione può avere lo stesso significato ma un diverso senso. E’ in questa complessità epistemologica che trovano spazio le forme d’arte la cui indecifrabilità non è data dalla complessità, ma dall’assenza di significato. Wittgenstein rivela come vi sia un parallelo tra logica e misticismo . La cifra comune è forse la ricerca dell’essenza, un tentativo di presa di distanza per meglio vedere; il soggetto non appartiene al mondo, è un limite al mondo”. Le azioni volontarie, intenzionali, richiedono un agente cosciente che agisce in piena consapevolezza. Diversamente l’azione sarebbe soltanto l’accadere di un evento. Questo contrasta con quelle che definiamo intuizioni, ispirazioni, creazioni. Vi è quindi una situazione psicologica pregressa nutrita dal sapere che conduce alla motivazione dalla quale deriva l’azione. Una credenza è un impegno nei confronti della verità. Quando ho una credenza, sono impegnato nei confronti di tutte le conseguenze logiche. Se esaminiamo alla luce di queste considerazioni il metodo di produzione artistica contemporanea, appaiono evidenti incongruenze, a giustificare le quali non basta il richiamo alla libertà creativa dell’artista.
piergiorgio firinu
La tecnologia sovrasta l’arte.
Il tema della manualità nell’arte non è una semplice scelta di metodo ma include implicazioni più ampie, anche di carattere esoterico in quanto la mano è stata per così dire celebrata ancor prima del sorgere della civiltà. Nelle pitture rupestri ritrovate nelle grotte di Altamira e Lascaux, le mani sono ritratte in varie posizioni. Riti magici e religiosi prevedono l’imposizione delle mani e si richiamo a poteri occulti. Ad Amarna in Egitto è stato scoperto un bassorilievo risalente al XIV secolo a.C. in cui appare il disco del sole che invia i suoi raggi che terminano nelle mani di uomini. Anche in medicina la mano ha una funzione essenziale, non solo per l’ovvio utilizzo pratico, pensiamo ad esempio alla chirurgia, il significato etimologico del termine chirurgo deriva dal greco keirourgos, che opera con le proprie mani. La parola è composta da keir, che significa mano ed ergon,che significa opera. Nel 1965 Leroi-Gourhan ha pubblicato un trattato in due volume dal titolo “Il gesto e la parola” in cui illustra la progressiva liberazione della specie umana attraverso l’apprendimento dell’uso delle mani. Nella nostra era il dominio della telecrazia sembra condizionare anche la concretezza operativa delle mani come strumento di lavoro ed anche di comunicazione com’era nelle forme primitive del linguaggio dei segni. La progressiva disumanizzazione, in corso da almeno due secoli, dall’avvento della rivoluzione industriale che ha introdotto l’uso delle macchine, relegando sempre più la mano ad aspetti marginali. Anche l’arte, che era per definizione abilità manuale, si è arresa alla tecnica. La simbologia della mano è ignorata dalla cultura contemporanea. L’ importanza simbolica di un semplice gesto. Michelangiolo Buonarroti ha ritratto nella Cappella Sistina il gesto delle mani tese al contatto dell’uomo con Dio. Pensiamo alla semplicità del gesto che si esprime prevalentemente con il contatto manuale, la carezza del volto di un bambino o della persona amata. Seguire la gradevole sinuosità di una scultura, il contatto della mano sembra ravvivare la materia inerte con la quale è costituita. Qualunque cosa si possa dire sull’arte contemporanea è difficile negare che la manualità ha perso il primato, la propria “necessità” . L’essenza e il fenomeno. L’arte contemporanea trascura l’essenza e rappresenta il fenomeno, cioè l’apparenza, mentre la manualità contribuisce alla ricerca della forma vissuta attraverso il tatto sensoriale.
piergiorgio firinu
Le complicazioni della modernità.
La natura di Homo sapiens sembra renderlo incapace di districarsi dalle complicazioni della modernità che egli stesso ha creata. Friedrich Nietzsche è stato il creatore di scomode profezie che si stanno avverando. Vivere nel deserto etico della modernità è possibile solo a idioti e ai cinici. Ciò che Heidegger ha definito “essere per la morte”, designa non tanto gli individui, singolarmente ignari delle ragioni dello loro azioni, quanto la massa, afflitta da una sorta di agorafobia che si trasforma in ossessione per assembramenti numerosi. In aperta contraddizione, la filosofia dell’intimità diventa morfologia politica, tracima in forme d’arte che sono altrettante estasi di solipsismo, elevate poiesi dimezzate. Una tale contradictio in adiecto riflette il dilemma formale dell’attuale situazione del mondo, nella quale, attraverso i mercati e i media globali, infuria una virulenta guerra delle forme di vita , delle merci, delle informazioni. L’arma usata è la menzogna sistematica, organizzata in forme socio- politiche- culturali. Ciò che oggi si celebra in modo enfatico in tutti media, è la globalizzazione, non di pensieri o di atti umanamente postivi, ma di merci, tutte le merci. Gli esseri umani hanno il doppio valore; come merce e come consumatori, vendono se stessi in forme metaforiche, improvvisando elegie al potere, e reali. Corpi usati come strumenti sessuali, donatori di organi, soldati per la democrazia. E’ tipico delle culture di massa essere tenute a bada con la creazione di continue emergenze, mai affrontate e risolte, sempre usate come pretesti. La distruzione di nazioni, Somalia,Iraq, Afganistan, Libia, Siria hanno arricchito i produttori di armi, consentito scoop ai media, giustificato l’instaurazione di democrazie dimezzate. Il contrario avrebbe voluto dire paesi in pace, sia pure governati in modo non conforme alla astratta idea di democrazia propria dell’occidente. In assenza di guerre ci sarebbe stata la disponibilità di miliardi di euro-dollari da destinare ai paesi da cui provengono i disperati che perdono la vita in mare. Troppo semplice. Il venir meno delle emergenze mette il potere sotto la pressione di richieste che esigono risposte. L’entropia mentale precede l’entropia sociale, anzi la crea. Guardiamo i personaggi che sono ai vertici della democrazia USA, il “paese guida dell’occidente”. Sono in competizione per la presidenza, una donna, la stessa che, come segretario di Stato ha fatto pressione su Obama per scatenare la guerra in Libia, l’ennesima guerra in meno di un quarto di secolo. La controparte è un razzista arricchito che odia tutto ciò che non è americano; ama ciò che è tipo degli USA, vale a dire, un uomo bianco con pistola. Una femminista multisex. Malcon X, George Jackson, Eldridge Cleaver, avevano capito la vera natura degli USA, per questo sono stati assassinati o chiusi in carcere. Obama ha dovuto scolorirsi l’anima ed adottare i metodi della star system per approdare al vertice del potere, dove si è dimostrato inadeguato e impotente. Il resto è affidato alla storia che verrà e certo presenterà il conto.
piergiorgio firinu
Mondanismo.
Prima dell’avvento delle avanguardie storiche , gli artisti erano straordinari interpreti del clima delle proprie culture. I raffinati impressionisti francesi si distinguevano nettamente dalle forme grossolane e pesanti degli espressionisti tedeschi. L’arte americana seguiva la lezione che proveniva dalla vecchia Europa, prima di ribaltare il tavolo e mettere sul bancone hamburger e zuppe pronte. Centinaia di anni di cultura spazzati via da un’isteria progressista. Gli individui moderni non sono in grado di dire cosa vogliono quando dichiarano di volere la libertà. George Simmel nel suo saggio sulla cornice scrive: la funzione della cornice è quella di attestare la rottura ontologica tra l’opera e l’ambiente. Per fare dell’opera un’isola autoreferenziale , la cornice dovrebbe provocare intorno all’immagine “uno scorrere che si chiude in se stesso”, ed escluderla dal suo milieu. Lo scudo di Achille, come è descritto da Omero nell’Iliade, si presenta come la prima opera d’arte che erige un mondo aggregandolo in un piccolo spazio. Le antiche culture si esprimevano in forme elementari dotate di pregnanza simbolica. I Mandala buddisti utilizzavano contemporaneamente il cerchio e il quadrato. Il quadrato indica lo spazio, mentre il cerchio rappresenta il tempo. La cultura contemporanea, in affanno di rappresentazioni, ha rinnegato le tradizioni filosofiche, artistiche, religiose, procedendo per successive metamorfosi la cui materialità ha cancellato il simbolo. Il dualismo tra pensiero e materia è trattato ampiamente nella Upanisad. La metafisica dell’immanenza di Platone è esposta nello schema gnostico fondamentale. La rinuncia alle tradizioni ha finito per tradursi in una rinuncia alla cultura tout court, tanto che anche il “materialista” Max Weber finì per denunciare la prigionia della vita negli “involucri duri come l’acciaio” e si scagliò contro il mondanismo, la grande complessiva formula che costituisce l’icastica manifestazione del vuoto della società contemporanea.
Quantità, qualità, signficato.
Chi è filosofo? Una persona che insegna filosofia, oppure chi realizza un sistema teorico portando un tassello alla crescita della conoscenza? Temo che ognuno abbia una propria idea in proposito, specie se è coinvolto direttamente nel problema. La domanda me la sono posta leggendo un articolo di Maurizio Ferraris pubblicato su un quotidiano. Titolo, insensato ma accattivante: “Picasso, i dieci tetrapak di Tavernello e l’eterna lotta tra quantità e qualità”. Mi auguro che il titolo non l’abbia suggerito Ferraris perché più sciocco non avrebbe potuto essere. I 60 anni di Ferraris sono stati celebrati anche su Ilsole24ore, in occasione della segnalazione di un libro sul professore, dal titolo impegnativo, scritto da due sue allieve. Non conosco Carola Barbero. Di Tiziana Andina ho letto”Filosofie dell’arte”. Definirlo insignificante è un eufemismo. Ferraris viene considerato il caposcuola del “realismo”. Tema che coinvolge i filosofi da oltre 800 anni. Duns Scoto (1266-1308) negava che il discorso filosofico potesse ricondurre tutto a una dimensione naturale. La critica a questo principio diventa radicale con Ockham la cui riflessione rileva un’esigenza logica della tradizione nominalistica: ogni conoscenza ci perviene dai sensi; soltanto la conoscenza immediata, intuitiva, ci consente di percepire il reale, l’esistente; la conoscenza teoretica, fondata sulle parole e sui concetti, non ci rivela che il necessario, ma tale necessità è soltanto quella costituita dalle stesse regole del discorso, ed è in realtà, sul piano ontologico, assolutamente confusa e incerta. L’epistemologia di Ockham sfocia nell’empirismo, anticipando di 5 secoli Locke, Hume. Berkeley e altri empiristi inglesi. Al di là delle realtà individuali, le sole accessibili al nostro intelletto, noi non vediamo che il contingente, istituti, regole, determinismo. Quando questi sono soltanto vane costruzioni della mente. Eccoci arrivati a Ferraris e alla sue volenterose allieve. La distinzione non è tra quantità e qualità come sostiene Ferraris, ma include il significato. La citazione di Ferraris di Willard Van Orman Quine, circa l’abitudine del filosofo di registrare tutti posti che visitava, è pleonastica. Quine non è certo noto per quella sua abitudine. Altrettanto improprio è il riferimento a Picasso che, a detta di Ferraris, se avesse dipinto un solo quadro non sarebbe stato Picasso. Ciò implica che sia il mercato e la quantità a fare l’artista, non la qualità a prescindere dalla quantità. Alexandre Kojève scrisse: “Picasso riesce a fare un quadro una volta su cento in cui mette dei colori su una tela”. Il realismo della documentazione sostento da Ferraris costituisce una sorta di minimalismo epistemologico. Indirettamente finisce per giustificare la situazione dell’arte descritta da Mario Perniola in “L’arte Espansa”.. In questa sede non è possibile approfondire il tema dei riflessi del pragmatismo su cultura e arte. Basti dire che documenti ed etichette si possono falsificare, le lauree acquistare, la conoscenza non si può millantare. Il reale pretende qualcosa di più di una documentazione cartacea. Socrate non aveva conseguita la laurea.
piergiorgio firinu
Il mercato dello sguardo.
Viviamo in un’epoca nella quale le immagini prevalgono sulla parola. Vi sono vari modi di definire l’attenzione visiva: sguardo, visione, osservazione .Assistiamo a una deriva tanto da un preteso spirito laico, quando da una filosofia inconsciamente occamista dello sguardo. A volte un’immagine stimola la riflessione, genera visioni fantastiche. Una parte importante nell’universo della immagini è occupata dal corpo femminile. Per la ben nota teoria platonica, guardare non significa solamente essere toccati da impressione, ma trasferire sull’oggetto del nostro sguardo un impulso della nostra sensibilità. Lo sguardo è partecipazione. I costumi contemporanei femminili hanno cancellato la misteriosa curiosità che nei secoli ha circondato il corpo delle donne. Scrostato da ogni alone romantico, il rapporto tra i sessi, è ridotto a disinvolte prestazioni di piacere reciproco. Tuttavia qualcosa di morboso resta, se continua ad avere ampio mercato la pornografia, il mercato dello sguardo. La realtà virtuale ha surclassato l’immaginazione. Alle masse solitarie, l’arte offre sinopsi di vite possibili. Slanci creativi appesantiti dall’eccesso, da una realtà che fagocita, oscura ogni punto di fuga. Ci si rifugia in convenzioni che hanno l’apparenza di provocazioni, ma sono trasgressioni consuetudinarie. La natura ci soccorre. Un deltaplano che volteggia sullo sfondo dell’aurora boreale è un’immagine bellissima, ma non è creazione dell’uomo. Secondo Platone la vista del bello provoca un shock che nasce dalla reminiscenza. Se consideriamo l’arte alla stregua di documentazione del reale, non abbiamo che l’imbarazzo della scelta. Un Paolo Uccello redivivo farebbe l’operatore TV. L’arte non solo ha ripudiato la bellezza, ma anche la sua stessa essenza, vale a dire l’uso metaforico dell’immagine. Cosa c’è di metaforico nelle immagini di sesso di Jeff Koons? Il sole prodotto da Olafur Elaisson è un effetto speciale, un prodotto della tecnica, non dell’arte. O dobbiamo pensare che tra le due discipline non esista differenza? Certo, le patetiche operazioni nostalgia di Bill Viola, oltre ad essere parassitarie di opere del passato, sono di grande effetto. Avviene la stessa cosa nei film di Tom Cruise. Una società che è un pot-pourri di molte cose, la fantasia, come il pensiero sono esclusi, richiedono troppo tempo e una solitudine a cui i moderni non sono più avvezzi. Dunque basta la tecnica. La rana crocifissa appartiene a un altro genere di perversione artistica. Costituisce un atto che sembra sospendere, o retrocedere, l’antropogenesi. Johann Caspar Lavater sarebbe stato sicuramente interessato a studiare, non l’opera, ma l’artista. Forse trarrebbe sconfortanti conclusioni e si vedrebbe costretto a dar ragione a Giovanni Battista della Porta che sostenne la tesi dell’analogia tra animali e umani. Nè allora nè oggi gli animali ebbero modo di sollevare proteste. In compenso i contemporanei di della Porta lo hanno giudicato infame. Ma eravamo nel 1586, la modernità era solo all’orizzonte.
piergiorgio firinu
Cataloghi.
Ho seguito una trasmissione su rai3 arte in cui Michelangelo Pistoletto affermava che l’arte è alla base di tutto, e altre considerazione di un intollerabile narcisismo culturale. Sembra che la cultura, anche quella che un tempo era considerata di “sinistra” abbia smarrito il senso della storia. Agli immigrati si richiede l’adesione senza riserve agli usi e costumi del paese ospitante. E’ giusto? Che ne è del multiculturalismo? Focillon in “Arte dell’occidente” descrive i debiti culturali che l’occidente cristiano ha nei confronti dei popoli mediorientali. Tuttavia solo in occidente esiste la storia dell’arte. Le altre arti trovano citazioni più o meno ampie nella storia dei singoli paesi. Così come le “avanguardie artistiche” esistono solo in occidente. Roland Barthes ridicolizzò il termine “avanguardia” facendo notare che era tratto dal lessico militare. Tutto si spiega con il materialismo pragmatico che ha permesso all’occidente lo sviluppo che conosciamo. Pare che si avvicini il momento della resa dei conti. Robert Fossier in “Il tempo della crisi”, documenta come a partire dalla seconda metà del XII secolo il denaro sia diventato, per così dire, il punto di riferimento dell’intera società europea. Come scrive Peter Sloterdijk, il denaro è la terza persona della trinità. L’emergere della borghesia come classe, accentua questo dato di fatto. Sono sortii e distrutti imperi, ideologie, Stati, il denaro è rimasto riferimento immutato. Anche la scuola si pretende sia sempre più al servizio della produzione, questo perché, al di là della fumosa retorica sui valori umani, nessuno è disposto a rinunciare al proprio benessere. Non solo, ma la nostra società ha raggiunto un tale livello di degradazione e di cinismo che le peggiori perversioni sono ascritte sotto la voce “civiltà & progresso” ovvero diritti individuali. I paesi che non si adeguano sono tout court considerati barbari. Quando poco prima del X secolo in Europa si vendeva carne umana al mercato, le città della Mesopotamia erano al massimo del loro fulgore. La storia scritta dall’occidente è tutta un’elegia alla nostra civiltà, tanto che consideriamo normali le grandi differenze tra i popoli. A chi interessa capire le ragioni dell’ingiustizia distributiva? Un serio esame del problema porterebbe alla luce i disastri provocati dal colonialismo. L’Inghilterra, considerata patria della democrazia, ha compiuto massacri per colonizzare popoli, sulla scia della Spagna quando approdò sul continente americano con la benedizione della Chiesa di Roma. Francia, Belgio e altri paesi hanno seguito l’esempio. Questi brevi riferimenti storici gettano un po’ di luce sulle ragioni del mio totale dissenso da certe affermazioni apodittiche che sembrano ignorare l’attuale disordine planetario, frutto dell’arroganza dell’occidente, che la “cultura” sembra alimentare, forse anche inconsapevolmente. Violenza e venalità sono fili conduttori della nostra storia. La materialità ha travolto anche arte, letteratura, e ogni forma di spettacolo e di cultura. La lungimiranza di Benjamin trova conferma. Le opere d’arte, come il prezzo del petrolio e delle azioni, hanno come riferimento grafici che indicano le quotazioni. Alla qualità scadente di merci e opere si supplisce con la pubblicità, diretta e redazionale. Ci sono cataloghi per ogni tipo di merce,inclusi i corpi umani offerti per uso ludico. Tutto è merce, tutto è in vendita. Va da sè che i cataloghi contengono figure accompagnate da scritti che decantano la qualità della merce in vendita, per l’arte il compito è affidato alla critica.
piergiorgio firinu
Estraniazione dell’arte.
Una delle differenze più marcate tra gli artisti dei secoli passati e i contemporanei, consiste anche nell’idea che l’artista aveva di se stesso e della propria arte. Gli artisti di un tempo avevano atteggiamenti dimessi, maggiore applicazione nel loro lavoro, erano di fatto consapevoli demiurghi. Con l’esplosione del mercato e conseguenti bolle speculative che ne sono conseguenza, l’artista da un lato è indotto alla produzione continua, quasi industriale, e nel contempo si sente esentato nell’impegno nello specifico del suo lavoro in termini di unicità e qualità. Così amplia il suo orizzonte fino ad assumere atteggiamenti da intellettuale, anche quando in realtà non ha una sufficiente preparazione culturale. Non attribuisce importanza al lavoro ben fatto, si affida all’improvvisazione, conta sulla provocazione. Quando l’artista pretende di sostituirsi al filosofo rischia di far male entrambi i mestieri. La concettualizzazione finisce di snaturare il lavoro, l’artista si convince di poter attribuire significato e valore universale alle proprie paranoie, in questo è incoraggiato e sostenuto da critici e filosofi, ansiosi di realizzare monadi di sapere in grado di illuminare le strade del progresso. Tutto questo avviene mentre si aggrava l’entropia socio- culturale e il pianeta è sempre più degradato. L’arte è ormai un fenomeno estraneo ed estraniante.
piergiorgio firinu
L’arte sommersa.
Nella sezione quarta della logica trascendentale Kant scrive: “ Voler risolvere tutti i problemi e rispondere a tutte le domande sarebbe una invereconda millanteria, e un’arroganza così stravagante da far perdere perciò sena’altro ogni fiducia” . Oggi anche Kant, secondo taluni filosofi contemporanei, è finito nel deposito degli strumenti inservibili. Con estrema iattanza, un modesto filosofo, Maurizio Ferraris, ha scritto un libricino di 149 pagine dal significativo titolo: “ Goodbye Kant!” . Significativo per sostanza e forma a cominciare dal titolo sulla scia della dominanza linguistica anglosassone, addio Kant sarebbe stato troppo semplice. Parafrasando Cesare Pavese potremmo dire: pensare stanca. Soprattutto elaborare un pensiero che non segua mode e vezzi correnti. E’ chiaro che allo stato dell’arte ogni discorso risulta quanto meno pleonastico, tuttavia, dato che questo è il nostro mestiere, cerchiamo di svolgerlo al meglio consapevoli della modestia del nostro sapere e della difficoltà di deviare verso un principio di ragione il pensiero corrente che non nasce per le strade ma nelle Università. Archiviato Kant, seppellita l’estetica, continua la decettiva narrazione dell’arte. Alcune francamente prive di costrutto, ad esempio “ Filosofie dell’arte” di Tiziana Andina della Università di Torino. Altri con infarinature di verità è un contenuto apodittico come “Dopo la morte dell’arte” di Federico Vercellone, docente di estetica all’Università di Torino. A pagina 97 del suo libro Vercellone afferma: “ ….l’arte tende a oltrepassare i confini che gli sono stati assegnati…” . Assegnati da chi? Nigel Warburton, Senior Lecturer presso il dipartimento di Filosofia dell’Open University in Inghilterra, affronta il tema in “La questione dell’arte” mettendo insieme una serie di considerazioni che non trovano una chiara conclusione critica, tanto meno una presa di posizione, ovvero contrapposizione teorica, alla serie di anacoluti concettuali contenuti nei testi di due dei più attivi filosofi statunitensi, Danto e Dickie, ampiamente citati, sicuramente tra i protagonisti della deriva dell’arte contemporanea. A Danto è stata assegnata la Laurea onoris causa dalla Università di Torino, che sembra essere il covo dei predatori del senso perduto. Il gioco linguistico della critica e filosofia dell’arte si coagula spesso in una fraseologia opaca. Il problema dell’arte è essenzialmente la dislocazione di senso avvenuta quando la filosofia ha preteso di definire il contenuto del sostantivo con l’implicita convinzione che il linguaggio dell’arte non abbia una propria autonomia lessicale. Nel solco di questa convinzione si è attribuito lo status artistico ad ogni genere di provocazioni intellettuali. L’artista sembra essere una sorta di giocoliere del senso. L’affermazione di Kant citata all’inizio si riferisce soprattutto a tali atteggiamenti. Basterebbe tornare a Max Weber, al suo libro “Storia economica e sociale dell’antichità” , per trovare, espresse in modo chiaro, le idee sull’arte e sulla sua reale natura e funzione.
piergiorgio firinu
Pleonasmi formali.
L’infinita diatriba sul significato dell’arte non arriva mai a una definizione condivisa per una serie di ragioni non solo teoriche, ma pratiche. Trattasi dell’enorme influenza del mercato e dell’aspetto per così dire mondano dell’arte. In entrambi i casi molto semplicemente prevalgono ragioni estranee all’arte. Se così non fosse lo studio dovrebbe avere come oggetto il linguaggio dell’arte nelle sue multiformi espressioni. Rudolf Carnap nega l’antica credenza di molti filosofi secondo cui il libro della natura sarebbe scritto in linguaggio matematico. Gli artisti che usano il linguaggio dell’arte, dovrebbero avvertire la differenza tra gli enunciati formali che sono si frutto di quella che con termine quanto mai approssimativo viene definita “creazione” , e rispondono, se non a norme, quanto meno ai fini. Se il significato del linguaggio deriva da una convenzione linguistica, anche il linguaggio dell’arte sottostà, necessariamente a quel tanto di convenzionale che lo rende intellegibile. Seguendo le regole generali della semantica, diventa naturale usare il concetto di sovrapposizione per rappresentare pensieri e creare forme artistiche come oggetti ideali che eludono in modo ambiguo una pluralità di idee coesistenti all’approccio creativo. Per rendere ciò che sta tra l’immaginazione e la realtà Aristotele, in “De Anima”, inventa l’espressione “phantasia”, ripresa da Proclo che la colloca come una sorta di facoltà che sta fra pensiero e sensibilità. Il punto dunque non consiste nel sottrarre l’arte alla convenzione, ma più semplicemente mutare il riferimento convenzionale. L’arte femminista, per fare un esempio d’attualità, pretende di utilizzare i riferimenti al proprio corpo e attribuire loro un significato simbolico collegato alle problematiche femminili. Dunque non di libertà e tanto meno di “phantasia” si tratta, ma di un linguaggio al servizio di una precisa ideologia. Il rischio consiste nell’attribuire ai risvolti ideologici un tale peso semantico da porre in secondo piano il più neutro significato del linguaggio artistico, ove sia sottratto ad apriorismi. Hempel ha tracciato un memorabile quadro della struttura di una teoria che abbia lo scopo di chiarire il significato oggettivo di un processo normativo. Ipotesi e definizioni sono necessarie e cogenti per qualsiasi epistemologia, sempre che si abbia come scopo l’attribuzione di un significato. Ma il significato non può in nessun caso essere sovrapposto con procedimento verbale a posteriori. Negli ultimi anni il concetto di teoria, nel senso in cui usiamo questo termine – postulati teorici con regole di corrispondenza che collegano i termini teorici e osservativi- è caduto in disuso. Ci troviamo oggi in piena entropia concettuale che è la strada maestra per ogni espressione di materialismo formale privo di riferimento estetico e/o logico.
piergiorgio firinu
Simulacri
Jean Baudrillard scrisse un quarto di secolo fa un testo sul simulacro della modernità. Egli sosteneva che, venuta meno ogni fede, valore, credenza, la contemporaneità si riduceva all’apparenza, alla finzione. Nel suo testo “Della seduzione” rimarcò in forma diversa lo stesso concetto. “La sessualità – egli scrisse –è oggi soltanto un simulacro”. Correva l’anno 1979. Oggi,settembre 2015, constatiamo più che mai la verità di quanto Baudrillard aveva teorizzato. Anche ciò che nella nostra società risulta più “sacro”, il denaro, è ridotto a realtà virtuale. Ogni aspetto della vita contemporanea sembra una parodia. Si fa un gran parlare di regali, feste, viaggi. cose effimere, virtuali. Che senso ha fare migliaia di km per alloggiare in alberghi simili a quelli sotto casa, consumare cibi peggiori di quelli della trattoria all’angolo, andare in discoteche dove arredi e musica sono pressoché identici ai locali frequentati abitualmente. I cosiddetti paesi esotici, un tempo luoghi di avventura e di magia, sono ormai molto simili alle città dell’occidente, nella foggia delle case e degli stili di vita, solo più pericolosi. Unico punto di differenza: la più diffusa povertà, che dovrebbe farci riflettere. Un tempo vi erano uomini, e donne, capaci di vivere fino in fondo le loro passioni. Quando nell’800 l’Europa “scoprì” l’Africa, la visse come un mondo di magia e d’avventura. Nel 1956 una giovane e bella donna olandese, Tinne Alexandrine, si recò in Egitto, spinta da un desiderio di avventura. Voleva esplorare le sorgenti del Nilo, vivere con coerenza e determinazione le sue passioni. Al Cairo viveva in una vecchia casa egizia, semi-diroccata, circondata da arabi e africani, avvolta in abiti orientali, fermamente decisa a non far più ritorno in Europa. Infatti morì durante un viaggio ai margini del Sahara assassinata da un Tuareg che era stato sconvolto dalla passione per la giovane donna. Per vivere ci vuole coraggio. Il cinismo di oggi non lascia spazio alle passioni. Siamo simulacri, viviamo di simulacri.
L’estetica negata.
L’assioma secondo cui l’arte non è codificabile è ancora vero? La produzione seriale, l’uso della tecnologia, l’utilizzo di ready made, procedimenti che si basano sull’illusione che la realtà sia costituita dalla visione di oggetti dei quali non riusciremmo ad andare oltre la superficie. L’attribuzione di significati attraverso paralogismi, come quello attribuito a Duchamp seconda il quale un oggetto, terminato l’uso per il quale è stato costruito, possa essere visto nella sua valenza estetica. In realtà L’oggetto che si situi fuori da conoscenza ed utilizzo empirico, diventa un pretesto per cervellotici apodismi. L’invisibile passaggio tra pensiero soggettivo e oggetto, necessità di una maggiore sostanzialità empirica senza la quale si resta nel campo di possibilità non realizzate. La pretesa di portare l’intelletto al di là di un significato di esperienza materica, in ciò che definiamo impropriamente “creatività” è spesso una velleità possibile solo in presenza di grande sensibilità, e solo quando non vi sia pensiero in potenza, ma in atto. Se anche i concetti non hanno mai un’assoluta purezza, essi originano sempre e comunque dalla ragione. Essi sono determinati da cause naturali. Infatti i fenomeni nascono dall’accadere contingente, devono essere filtrati da un processo mentale dal quale scaturisce l’idea che è necessariamente frutto della ragione in quanto è la ragione che ha la facoltà di ricavare il particolare dall’universale. L’arte è in sostanza un processo di sineddoche nel quale il dettaglio esprime il significato complessivo. Vi è un principio logico nel significato che il pensiero comprime nel particolare. La ragione presuppone conoscenze dell’intelletto legate innanzitutto all’esperienza. ripudio dell’estetica e della manualità hanno snaturato i concetti legati al significato del sostantivo arte e permesso una dilatazione impropria di significati o peggio dichiaratamente privi di significato.
piergiorgio firinu
Agire comunicativo.
I processi di apprendimento svolgono un ruolo insostituibile nel definire il principio di organizzazione produttiva dell’arte. Rickert ha per primo dato vita a un tentativo di fissare da un punto di vista strettamente metodologico il dualismo di scienza della natura e scienza della cultura. Egli ha ristretto le esigenze della critica della ragione kantiana al solo campo delle scienze nomologiche, per far posto alle scienze dello spirito che Dilthey aveva elevato a livello di conoscenza critica. In quale posizione si trova l’arte tra queste due derivazioni epistemologiche? Identità è il principio che costituisce la soggettività e l’oggettività ponendole in rapporto l’una con l’altra. Ma tale rapporto ha senso solo se la forma che esprime comunica un significato tramite un linguaggio formale concettualmente intellegibile in quanto autonomo. Questo percorso è stato seguito dall’arte classica, nei limiti della mimesi e della testimonianza storica, ed è stato espresso, in forma verbale dalla grande filosofia europea che ha proceduto alla messa a fuoco concettuale di una ricerca che però ha finito per arenarsi in ancipiti astrazioni ideologiche o frammentazioni analitiche delle quali anche l’arte ha subito le conseguenze fino ad approdare ad una discrasia tra soggetto e oggetto. Si è creata una sorta di dispersione che ha tracimato nel più vieto e volgare materialismo, non senza ricadute in venature intimistiche. L’individualità critica ipotizzata da Adorno ha perso ogni significato antropologico, e finito per galleggiare sul ludico e sul non senso. L’ottimistica supposizione che si possa dedurre a priori una creatività istintuale, si scontra con un sistema di valori la cui transitorietà finisce per essere legata a un contenuto estemporaneo, mondano, trascurando del tutto un’escatologia ontologia. Il linguaggio dell’arte contemporanea corrisponde a stereotipi lessicali riduttivi. Come sostiene Chomsky, l’arte ha la funzione di dilatare il significato senza cadere in distorsioni di senso che, obliterando l’intelligibilità del segno, renderebbero la forma artistica priva di possibilità comunicative.
piergiorgio firinu
L’arte impura.
Nella produzione di opere d’arte il concetto di creazione appare piuttosto contradditorio. L’abbandono dell’estetica e l’eccessiva inclinazione ludica nella “creatività” si traduce in una modifica lessicale e porta a rifluire nella definizione di ri- creazione. L’abbandono della mimesi, deprecata da Platone nella Repubblica, l’accoglimento del ready made, ha condotto alla pura e semplice imitation. L’artista racconta, fa l’inventario di ciò che esiste assumendo di possedere il dono della trasformazione iconica. L’artista tiene uno specchio davanti al mondo. Forse l’arte si riduce all’incapacità di vedere il mondo così com’è, un rifiuto a volte patologico a volte infantile del “principio di realtà”, Freud insegna. E’ come se l’artista fosse colto da affanno, nel tentativo di ordinare la materia seguendo il filo del proprio pensiero che non è puro, ma inquinato dall’esperienza, così non vuole, o forse non sa, riprodurre, condizioni di realtà. Nessun pittore ha mai inventato un nuovo colore. Persino il più anarchico, parola che significa “non- incominciato”, tra artefatti e recuperi si arrabatta con la materia che vorrebbe gestire. Nessuna forma artistica nasce dal niente. Il contemporaneo sembra la manifestazione della esasperazione per uscire dal vicolo cieco in cui si sono cacciati gli artisti. Spinti dalla presunzione di cambiare il mondo, hanno perso la capacità di descriverlo. Ezra Pound spronava poeti e artisti “Make it new”, non poteva immaginare la deriva in cui l’arte sarebbe finita. Gli astrofisici contemporanei concordano nell’ipotisi di una pluralità di universi. Ciò è per alcuni fonte di speranza, per altri di angoscia, ma per tutti dovrebbe essere chiara la necessità di ridimensionare le nostre ambizioni di dominio. Se ascoltiamo le tematiche e vediamo le opere di buona parte degli artisti contemporanei, dobbiamo rassegnarci al fatto che l’arte non è più metafora di nulla, ma solo parodia.
piergiorgio firinu
Oggetto e significato.
Da quasi mezzo secolo la critica, per giustificare certe forme d’arte adotta l’insistente richiamo alla esperienza quotidiana. Sull’argomento ho scritto un libro nel 1975 “La logica del quotidiano”, nel quale sostenevo la tesi totalmente contraria. E’ mia convinzione che, l’insistita valorizzazione degli oggetti comuni, finisce per eliminare la funzione metaforica propria dell’arte riducendo l’arte stessa a parodia. Il richiamo ai filosofi analitici anglosassoni, a Husserl, Dewey, non è altro che l’ammissione che il lessico dell’arte è insufficiente a giustificare il gesto dell’ l’artista, la forma che egli crea. L’utilizzo di oggetti non è atto creativo, ma semplice deviazione di senso la cui finalità resta tutta nella mente dell’artista. Chi ricorda il plauso di molta critica italiana alla presentazione alla Biennale di Venezia del 1964 della Pop Art statunitense, rileggere oggi i testi pubblicati allora, non solo appaiono datati, ma dimostrano un’ingiustificata enfasi, prodromo all’invasione in Europa, in Italia in particolare, dell’arte americana già prima che Warhol salisse agli onori della critica. Dunque” La trasfigurazione del banale” pubblicato da Arthur C. Danto nel 1981, s’inseriva nel solco tracciato dai vari Barilli, Pignotti,.Calvesi ecc. Il materialismo americano ha trovato i propri celebranti negli artisti Pop. Macchine da scrivere, tubetti di dentifricio usati, scope, telefoni, venivano esaltati come la prova che”l’umanità si è liberata dal mondano” .Cosa questo significhi non è mai stato reso comprensibile, forse perché in realtà non sarebbe stato possibile l’attribuzione di un senso. A volte si ha l’impressione che, anche in considerazione dell’epoca, si parla della metà degli anni ’60, i critici scrivessero sotto l’effetto di stupefacenti. Come interpretare espressioni come:”…dalla nuda carne umana esibita da Fautrier, da Wols da De Kooning”, il riferimento è a tre artisti astratti, o, come allora certi critici preferivano definirli, “informali”. Viviamo in un secolo che si è fatto un punto d’onore nel ridimensionare ogni concetto di umanesimo, di diminuire progressivamente la stessa nozione di uomo. Lo ha fatto procedendo a tappe forzate nella omologazione di massa che nell’arte si esprime nella bizzarra teoria “tutto è arte” e nel riuscito tentativo di produrre un’arte a-finalistica. L’aspetto speculare e definitivo della omologazione, che a mio parere incide pesantemente sulle dinamiche mentali ed è stimolo a forme devianti di “creazione” d’arte, consiste nell’imporre la teoria gender, vale a dire l’abolizione dei generi maschio/femmina. L’aspetto agghiacciante non è la proposizione di simili aberrazioni, di squilibrati è sempre stato pieno il mono, ma che queste incongruenze vengano diffuse da cattedre universitarie statunitensi occupate da donne, e accolte con plauso o indifferenza da larghi strati di popolazione, in primis il ceto intellettuale.
piergiorgio firinu
La sconfitta della ragione.
Viviamo in tempi difficili. Vengono a galla i nodi dello sprovveduto ottimismo per un progresso fatto di consumo e possesso. L’edificio filosofico della speranza e quello della razionalità cartesiana, confliggono. Vediamo che il teologico, prodotto di scarto di un pensiero metafisico che ritenevano ormai archiviato, torna alla ribalta con una dilagante violenza. Il nostro tempo vede l’ottimismo di Leibniz e la moralità kantiana ridotti a orpelli culturali. Il migliorismo animava l’impresa filosofica ed etica del Seicento fino al positivismo di Comte. Già allora reclamavano udienza i contestatori della speranza , lucidi visionari come Pascal e Kierkegaard, capaci di vedere le derive di un cinismo progressista che si affidava in toto alla scienza, trascurando il dettaglio che la scienza è in vendita al migliore offerente che abbia cappello da cowboy, bombetta o turbante. Walter Benjamin sognava di pubblicare un libro fatto interamente di citazioni. Sarebbe stato il modo più efficace per dimostrare come le parole si usano e consumano per lucidare inesistenti ideali. Bisogna riconoscere agli artisti contemporanei di avere abbandonata ogni forma di ipocrisia, forse perché, anche una teoria ipocrita, presume un minimo di dialettica per la quale in pochi hanno gli strumenti culturali. In una lettera del 1962 Paul Celan scriveva: “non ho mai saputo inventare”. Così egli chiariva la demarcazione fra creazione e approssimazione formale. Diceva Roman Jakobson: “Ogni seria opera d’arte narra la genesi della propria creazione”. Davanti a un’arte muta il compito viene demandato alla critica che inanella pleonasmi. Usano parole come i costruttori di cattedrali Gotiche usano la pietra accostando i singoli pezzi che, premuti uno contro l’altro permettevano alle navate di sorgere e reggere. Il cemento che li rafforza è fatto di citazioni. Ma le costruzioni della critica, come le navate, hanno sotto il vuoto, l’arte ha traslocato al mercato. György Lukãcs , partendo da un’escatologia marxista - leninista, proclamò che un pensatore e un artista sono responsabili non solo degli usi che potrebbero essere fatti delle loro opere, ma anche degli abusi. Non è il genere di preoccupazione che assilla gli artisti oggi, visto che le loro opere sono spesso usate come strumenti pubblicitari.
piergiorgio firinu
Travisamente semantici.
Nello svolgere le mie considerazioni sull’arte, mi trovo a dover fare i conti con due aspetti che creano non poche difficoltà. Intanto il paradosso di criticare la critica mentre la esercito. Qui mi si può imputare di essere contradditorio o presuntuoso, a scelta. Il secondo buco nero difficilmente evitabile è la ripetitività legata alla presa d’atto oggettiva del presente. Unica giustificazione è il mio sincero tentativo di smascherare una critica che, attraverso un’arrogante esibizione di conoscenza, per altro spesso approssimativa anche se presentata in forme accattivanti,perviene ad una definizione arbitraria delle opere accostando in modo improprio filosofi e artisti, artisti e artisti. Idealizzare un fatto di elementare quotidianità, non significa elevarlo, ma snaturarlo. Così idealizzare un’opera, rinchiuderla in un’ermeneutica personale, vuol dire presumere che l’opera stessa non abbia una propria peculiare capacità di comunicazione. Se l’artista descrive verbalmente la propria opera cade in una tautologia. Se è la critica a voler circoscrivere il significato cade in una dicotomia con travisamento semantico. La critica sembra nascere dalla convinzione che l’arte non abbia una propria eloquenza, e si sviluppa influenzando la produzione artistica in forme effettivamente indecifrabili. Così, mentre anticamente per comunicare con analfabeti si usava la figurazione,l’arte prima e post rinascimentale aveva anche la funzione di comunicare con il popolo incolto. Oggi avviene il contrario, l’arte, per essere compresa, deve ricorrere all’ausilio della scrittura. In questo modo l’arte si presume afona, ridotta a oggetto decorativo molto spesso kitsch, su richiesta,come sosteneva Lukàcs, dell’uomo contemporaneo che ama il kitsch perché è egli stesso è kitsch.
piergiorgio firinu
Magia e senso.
Trovandoci di fronte alle incongruenze logiche della critica e filosofia dell’arte, anche accentando l’assunto che il significato derivi da una convenzione linguistica, siamo lontani dal trovare un senso nella narrazione che contiene intrinseca contraddizione. La pittura metafisica e surrealista, crea immagini che in tutta evidenza non trovano riscontro nella realtà, tuttavia danno forma all’immaginazione. Solo uno sciocco verrebbe ricercare un senso logico nelle creazione di Dalì, Magritte, Man Ray, e altri esponenti delle espressioni artistiche citate. Dunque non è in questione una convenzione logica che si affidi ad una tetica rigorosa,come tale assurda. La tendenza in atto da almeno 70 anni consiste nella aprioristica pretesa di sottrarre l’arte ad ogni giudizio di valore collocando per ciò stesso l’opera in un limbo che funziona da incubatrice dalla quale nascono pleonastiche pretese di senso. Tutto avviene in forma apodittica. Il linguaggio assertivo contiene enunciati logici, così come il linguaggio teorico. La filosofia dell’arte si affida invece ad una terza forma linguistica che potremmo definire di immaginazione autoreferenziale. Si avvale di enunciati autonomi senza relazione all’oggetto a cui si riferiscono. Ne deriva uno stato di sospensione di senso, un vuoto semantico situato tra predicato e oggetto. La verità analitica, che dovrebbe essere propria della critica e della realtà fattuale dell’opera, vengono disattese. Gli enunciati descrittivi sono dicotomici rispetto all’oggetto. Se può essere accettata, in linea di principio, l’idea che i critici nella loro narrazione ignorino tranquillamente Frege, Russell, Quine, Carnap e tutta la schiera di logici che hanno tentato di dare significato al percorso di conoscenza dei fenomeni, di tutti i fenomeni,arte inclusa,resta necessario trovare forme espressive che abbiano quanto meno un senso comune. Il famoso martello di Heidegger. La neutralità logica non esime dal significato,posto che l’arte non nomina le cose, ma le rappresenta, le mette in relazione con se stesse nelle forme pensate. Per un’opera d’arte compiuta, la critica e filosofia dell’arte appaiono superflue, in qualche caso devianti. L’esatto contrario dell’affermazione di Danto secondo cui l’arte sembrerebbe essere in funzione della filosofia. L’arte è il tentativo di far parlare le cose, utilizzando il linguaggio primordiale attraverso il quale l’uomo ha prodotto conoscenza e magia evocativa fin dalla pittura rupestre di Altamira, Lascaux, Levanzio. La filosofia è un additivo superfluo per l’arte.
piergiorgio firinu
Narrazione e significato.
Citare singoli brani di uno scritto o di un testo può apparire un uso improprio, in quanto s’interrompe la sequenza della narrazione, quindi l’ estrapolazione rischia di non avere senso compiuto. Vi è però un aspetto positivo, consiste nel concentrare l’attenzione su un singolo paragrafo evidenziando eventuali incongruenze che emergono nella sequenzialità della narrazione e possono sfuggire alla nostra attenzione. Quando leggiamo o assistiamo a un film, veniamo coinvolti nella narrazione o trama tanto da allentare il nostro senso critico, spesso lasciando largo margine all’emotività. Di certo molto dipende dall’abilità dell’autore. Arthur Conan Doyle, creatore di Sherlock Holmes, è stato così abile nel creare il personaggio che ancora oggi una quantità di persone si reca in pellegrinaggio a Londra al numero 221B di Baker Street dove Conan Doyle ha situato l’indirizzo del personaggio immaginario. Possiamo dire che il romanzo è la prima elaborazione e/o creazione di una realtà separata. L’assuefazione alla finzione rischia di predisporci alla accettazione delle varie forme di manipolazione della realtà, come avviene in tv e nel cinema. Leggendo un libro possiamo estrapolare un brano, operazione che non è tecnicamente possibile durante la visione di un film. E’ stato rilevato da studiosi delle dinamiche sociali il crescere della difficoltà di distinzione, specie tra i giovanissimi, di percepire la differenza tra realtà e realtà virtuale. Siamo ben oltre le riserve che Platone esprimeva sull’inganno dell’arte. Anche le opere d’arte sono soggette alla dislocazione di senso, ovvero attribuzione di significati impropri. Gli artisti hanno finito per rimuove le ragioni della necessità, inteso in senso filosofico, dell’opera che realizzano, e demandano il compito di attribuire significato al loro lavoro alla critica e filosofia dell’arte. Fino a che l’arte costituiva testimonianza storica, mimesi, fisiognomica, cioè la realizzazione di ritratti di personaggi storici, funzione e natura dell’arte erano facilmente comprensibili. Nel momento in cui gli artisti si arrogano la pretesa di attribuire alle loro opere carattere antiestetico e astrattamente concettuale, la comprensione non è più immediata e deve necessariamente ricorrere all’ausilio di una elaborata ermeneutica critica – filosofica, la sola in grado di attribuire, o sarebbe forse meglio dire “creare” il significato all’opera mediante la collocazione all’interno di un percorso narrativo articolato. Va da sè che, quanto più l’argomentazione è complessa, tanto meno è facile la contestazione, se non da specialisti, che però in grande maggioranza aderiscono alla stessa scuola di pensiero. I fruitori delle opere d’arte, avendo raramente possibilità e capacità di contradditorio, accettano anche ciò che non capiscono e non condividono. L’ultima parola, è del mercato. In questi ultimi anni abbiamo visto quali sono state le scelte mercantili, il futuro non lascia, al momento, presagire un cambiamento di rotta, troppo cospicui gli interessi che si sono creati intorno a personaggi le cui opere si possono eufemisticamente definire mediocri.
piergiorgio firinu
Forma e pensiero.
L’accostamento e il confronto proposto da “Divinazione e razionalità”, libro di vari autori, ci porta al fulcro del problema contemporaneo. Non c’è quasi giornale o rivista che non pubblichi l’oroscopo. Esemplificazione dei limiti della razionalità. La forma della rappresentazione era compito affidato all’arte, pensiamo alla magnifica rappresentazione del dito di Dio che si accosta all’uomo, usato oggi per spot pubblicitari, come la poesia contenuta negli involucri dei cioccolatini. La bancarotta della nostra civiltà è di giorno in giorno più evidente c’è da chiedersi fino a quando la tecnica riuscirà a supplire alle carenze di una umanità che ha perso il senso dell’ identità. Il potere dell’arte, il cui fascino stava nel connubio tra realtà e rappresentazione, una sorta di rassicurazione formale alla minaccia dovuta all’assoluta imprevedibilità del divenire, oggi non è più percepibile. Già nella preistoria, presso i popoli che precedono l’inizio della storia dell’occidente, il divenire era la creazione del presente che trovava la sua espressione nel mito arcaico dell’eterno ritorno. Le determinazioni archetipe del circolo cosmogonico sono interrotte dalla intrusione della scienza la quale travalica il pensiero greco, che ha dato inizio alla storia dell’occidente partendo dal mito e creando l’ordine della filosofia. Superata l’imprevedibilità del mito entra in gioco l’episteme, gli immutabili riti dell’umanità che tenta di formare se stessa e finisce per perdersi nell’illusione della scienza, la cui ricerca è inevitabilmente all’insegna della materialità, permea di sè la vita contemporanea. Altra cosa la soluzione degli assilli che l’esistenza ci pone. L’episteme domina tutti gli eventi e s’impone anche all’arte che abbandona la mimesi addentrandosi in voluttuose quanto improbabili ipotesi di formalismo concettuale. L’Occidente, per cercare salvezza, iniziò ad evocare il futuro, e finì per abbandonare il dio della tradizione giudaico –cristiana a favore della fede nella scienza. Un processo che si trascina nei secoli con diversa gradualità. Dalla Patristica alla Scolastica la ragione inizia a diventare supporto, anzi sostituto alla fede, nonostante il tentativo di Tommaso d’Acquino di unire razionalità e fede. Aristotele aveva aperto la strada, riducendo il caso al divenire, preposizione che richiama al progresso, il nuovo mito, il cui embrione era tenuto a freno dalle favole, abbandonati gli dei è rimasto il confronto con la capacità di dare un senso alla libertà, problema tutt’ora aperto.
piergiorgio firinu
Sesso e consumo.
La nostra natura è costituita innanzi tutto dal corpo. I nostri condizionamenti derivano da impulsi e desideri del corpo. Quando Seneca afferma:” la libertà inizia da noi stessi” a questo allude. Il carattere di una persona è in rapporto alla sua capacità di dominare il corpo, il che non significa non tener conto delle necessità primarie di una confortevole esistenza. Tuttavia il benessere e la felicità possibili sono conseguenza dell’equilibrio che riusciamo a imporci tra impulsi, emozioni, desideri e, in rapporto alla possibilità di soddisfarli senza che ne derivi danno. La mancanza di controllo dei desideri, che non consiste necessariamente nella repressione degli stessi, ma nella capacità di dare ad essi la giusta misura, nel saper vedere le conseguenze delle nostre azioni. La società contemporanea è basata sulla continua stimolazione di desideri. Il consumo innanzi tutto, legato alla produzione, ma anche sesso, alcol, droghe. L’industria dello show business funziona da propaganda al vizio nelle sue forme più laide. Siccome non tutti hanno la possibilità di soddisfare i propri desideri, ne deriva frustrazione, vale a dire la principale causa del malessere sociale. Le donne, per ragioni fisiologiche, hanno maggiore attenzione e consapevolezza del proprio corpo. Spesso i sentimenti, cosiddetto amore, dura quanto gli stimoli sessuali. L’arte femminile riflette questa realtà mettendo spesso al centro il corpo. La body –Art principalmente, ma anche opere che si richiamano alla defecazione, alle mestruazioni, agli atti sessuali veri e propri. Le teorie femministe giustificano, anzi esaltano, simili forme d’arte, esaltano la libertà sessuale delle donne come una grande conquista sociale. E’ noto che la sessualità femminile non è, per così dire, frenata dalla fisiologia, è praticabile senza limiti. Per tentare di contrastare questa realtà è stato creato il mito della verginità, ormai in frantumi. L’arte esalta il corpo, i suoi eccessi , la materialità, perde ogni idealità, di fatto costituisce supporto acritico all’ideologia consumistica che domina la nostra società.
piergiorgio firinu
Realtà e rappresentazione.
In che modo la fotografia interagisce con il significato che l’artista vorrebbe attribuirle? Basta la funicella verbale della critica a darle un senso? Il realismo della creazione trae il proprio significato dalla metonimia. Non si evince altro senso che rappresenti la metafora. La realtà della visione non lascia spazio all’immaginazione. La semiologia ha per oggetto tutti i sistemi di segni, quali possono essere le sostanze e i limiti di questi sistemi: le immagini, i gesti, i suoni, gli oggetti, costituiscono, se non linguaggi, per lo meno sistemi di significazione “autonoma”. Anche la sineddoche deve poter essere percepita in quanto parte del sistema di segni che seguono codici identificativi ben precisi. Il mondo dei significati non è altro che quello del linguaggio che consente l’emersione del concetto di significazione. Un concetto è una cosa, ma non è nemmeno la semplice coscienza di un concetto. Esso è uno strumento e una storia, cioè un fascio di possibilità inerente a una realtà per percepire correttamente la quale è necessaria un traccia che colleghi il significante al significato, in caso contrario vi è libertà d’immaginazione interpretativa. Sostanzialmente significa che ci troviamo di fronte a un oggetto privo di senso. Sono state molte le attività di ricerca intorno al concetto di significazione, condotte in linee separate dall’antropologia e arte, ma sempre volte a una definizione ontologica di quello che costituisce l’oggetto “opera d’arte”. Nel discorso sull’arte, più che in altri ambiti culturali, vi è un confronto tra realtà e rappresentazione, sintagma che ha in parallelo la costruzione verbale,spesso dicotomica, della critica. Parafrasando Roland Barthes, l’arte è linguaggio meno la parola, mentre la critica è solo parola.
Sintassi della forma.
L’artista dovrebbe prendere coscienza di sè, dopo essersi depurato dal narcisismo solipsistico,stabilire un rapporto dialettico che si realizza attraverso la riflessione. Da Socrate ad Hegel , a parte la supposizione, che potrebbe apparire ironica, che tutto ciò che è razionale è reale. Tale affermazione che è stata usata come alibi per molte deviazioni ontologiche. Oltre alla risposta del principio scientifico secondo cui tutto ciò che è reale è razionale. L’asse della costruzione hegeliana della fenomenologia dello spirito tende a rendere ancor più caduca ogni presa di coscienza, al di là del fenomeno psicologico che sovrappone le proprie irrisolte antinomie e tuttavia avanza pretesa di universalità. Le opere d’arte non sono spesso che espressioni frammentate di un io confuso, assorto in pensieri ondivaghi. Difficile stabilire limiti entro i quali la tecnica trova varchi di autonomia espressiva, quasi un ossimoro perché espressione è un altro nome della comunicazione che, per definizione, non può non fare affidamento a una sintassi che forma e delimita il linguaggio, mentre lo rende accessibile. La costituzione dell’oggetto è subordinata alla realizzazione del soggetto. Il linguaggio dell’arte ha radici nella primitività dell’uomo. Non dovremmo avere la necessità di un Champollion per decifrare il significato dell’arte, a meno che non si pretenda, come in effetti sta avvenendo, di sostituire l’etimo originario, con variazioni prive di riferimenti , del tutto apofenici. L’antinomia immanente alla relazione tra parola e forma non si risolve assumendo che la parola modifichi la materia che costituisce il manufatto. La logica generale costituisce un pensiero che corrisponde alla facoltà dell’intelletto di sintetizzare in una forma significati simbolici che tuttavia non possono essere puramente formali. Se il pensiero è conoscenza che matura nella riflessione, l’artista la esprime secondo canoni visivi che possono variare, ma non possono rinunciare alla sintassi che li rende comprensibili.
Funzione e oggetto.
Nel momento in cui pensiamo a un oggetto, per riflesso condizionato lo collochiamo in una categoria. Non possiamo conoscere un oggetto solo pensato. La nostra intuizione, o pensiero, deve corrispondere al concetto dell’oggetto intuito. Se dunque è necessario il passaggio dal pensiero dell’oggetto alla sua reale conoscenza empirica, ovvero, nel caso dell’opera d’arte pensata, alla sua attuazione, non possiamo supporre di collocare in una posizione noetica un’opera la cui corrispondenza all’idea che l’ha ispirata non sia compiuta, vale a dire il pensiero non si traduce in forma. L’astratto concetto non si realizza. Tutte le nostre intuizioni sono sensibili, sono cioè prodotte dai sensi, la conoscenza non sempre si limita alla visione che non ha alcun significato se non siamo in grado di collocare l’oggetto in una determinata categoria. Segue la valutazione di adeguatezza o inadeguatezza. Supponiamo di vedere la perfetta imitazione di una mela prodotta con la plastica – come nelle opere di Gilardi – quando constatiamo essere una creazione artificiale, realizziamo che non è una mela, non ha cioè le caratteristiche che possono includerla nella categoria frutta, specificatamente del frutto chiamato mela. Esposta in questo modo sembrerebbe un’argomentazione banale, in realtà noi sappiamo che la critica e filosofia dell’arte falsano sistematicamente la realtà. Non solo nella equivalenza del ben noto aneddoto della sfida tra Parrassio e Zeusi, ma molto più brutalmente con la pretesa di un’ermeneutica che non corrisponde all’ontologia dell’oggetto. Utilizzando quella che gli anglosassoni chiamano talking shop, la lingua del mestiere, la critica d’arte dà per scontati una quantità di presupposti che si perdono in altrettanti argomentazioni apodittiche in stridente contrasto con la realtà che abbiamo sotto i nostri occhi, il ricorso a metafore che si perdono nella loro stessa opacità.
Piergiorgio firinu
La trasmissione del sapere.
Roberto Grossatesta, Vescovo di Lincoln scrisse un testo dal titolo “Metafisica della luce”, proponendo teorie sulla natura della luce, in seguito smentite da ulteriori ricerche scientifiche. Dobbiamo quindi considerare il suo lavoro inutile? J.J. Rousseau annotava le sue riflessioni che non sempre trasformava in testi scritti. Lo storico dell’arte Heinrich Wölfflin aveva l’abitudine di iniziare le sue lezioni universitarie guardando a lungo una immagine, senza proferire parola. Una volta Goethe disse che un’ora di conversazione con il filosofo Friedrich A. Wolf equivaleva a un anno di studio. Tanti modi di approccio alla conoscenza il cui dato comune è la mancanza di condizionamenti utilitaristici, ma impegno per l’approfondimento e trasmissione di un sapere il cui percorso formativo prescinde da fini pratici. Nella nostra epoca, lo abbiamo sottolineato più volte, la considerazione della cultura ha carattere pragmatico, proiettata al conseguimento di obiettivi pratici, che sono per lo più successo, denaro, mondanità. Questa deleteria tendenza domina tutti gli aspetti dell’agire, inclusa la cultura e l’arte, tutto deve avere un riscontro immediato. Una società in cui vale la brutale equazione “l’uomo vale in base al denaro che guadagna”. Questa è la triste verità che non è mai messa in discussione. La trasmissione di conoscenza non è dunque più un valore in se stesso, basta considerare il compenso che gli insegnati percepiscono, considerato quanto detto sopra,abbiamo la misura dell’importanza che viene attribuita alla scuola. La scuola è la prima tappa sulla strada del sapere. Tuttavia la scelta di coloro che decidono di insegnare non dovrebbe essere esclusivamente legata al lucro. Le manifestazioni degli insegnati non sono state francamente un bello spettacolo, anche perché molti insegnati sono in tutta evidenza inadeguati al loro ruolo. A questo si dovrebbe, e si potrebbe, trovare rimedio, anziché abbandonarci alla rassegnazione. D’altra parte abbiamo citato alcuni studiosi che hanno lasciato una traccia nella storia del sapere, ed avevano un tenore di vita estremamente modesto, lo studio giustificava la loro esistenza. C’è qualcuno che pensa esistano oggi nella scuola simili personaggi ? Nell’Olanda del Seicento/Settecento, artisti di grandissimo valore, per sopravvivere si adattavano a svolgere altri mestieri, bottegai, osti, molatori di lenti, mestiere svolto anche da Spinoza. Riusciamo a immaginare un filosofo contemporaneo, che difficilmente avrà il valore di Spinoza, adattarsi a svolgere un lavoro manuale? In breve, tutti noi, ognuno con la propria “ragionevole” giustificazione, siamo condizionati dal guadagno, e questo ci rende meno liberi, soggetti agli infiniti condizionamenti che lo sterco del diavolo, così un tempo la Chiesa definiva il denaro, ci impone.
Stato mentale e creatività.
Nel solco dell’ipotesi che suppone la conoscenza dell’artista serva a capire la natura della sua arte, potrebbe essere utile tentare di leggere la storia dell’arte in chiave psicanalitica anziché scomodare quella sorta di finzione critica che va sotto il nome di filosofia dell’arte. Non ho la competenza specifica per tentare simile impresa. Mi limito ad accenni, ad agganci possibili tra stato mentale e creatività ben consapevole che, certe forme di devianza, non sempre sono riconducibili a problemi psichiatrici, mentre una lettura psicanalitica, avendo una minor caratura invasiva, rende generalmente possibile l’analisi di ogni soggetto, artisti inclusi. Jean Dubuffet, con la sua Art Brut,associò esplicitamente l’arte alla malattia mentale. Bisogna riconoscere che tutta la storia dell’arte è disseminata di artisti in conflitto con la ragione. E’ nota la storia di van Gogh le cui disavventure mentali intessono la sua biografia. L’arte per molti artisti, forse tutti, ha la funzione di maieutica, attraverso l’arte l’artista si realizza nel momento in cui si esprime, senza tuttavia raggiungere sempre la condizione liberatoria. Certo non solo gli artisti sono soggetti a conflitti, scandagliando la vita privata di ognuno emergerebbero abissi di abiezione attuata o desiderata. La differenza, è che l’artista comunica spesso le proprie abiezioni, giustificandole con la proiezione nel sociale. Non sempre la lettura dell’opera consente di intravedere le ragioni psichiche da cui scaturisce. Le opere di Francis Bacon ad esempio nascono sicuramente da non risolti conflitti interiori, di cui le tormentate immagini sono espressione. A prescindere dalle ragioni, non c’è dubbio che le condizioni psichiche degli artisti non contribuiscono ad impedire che l’arte possa far da barriera allo sgretolamento sociale in atto da tempo.
Concetto e Tempo.
La fama di Kojéve resta in buona parte affidata alle leggendarie lezioni parigine degli anni trenta sulla Fenomenologia dello spirito di Hegel, fra gli auditori erano George Bataille, Jacques Lacan, Raymond Queneau, Andrè Breton, Merleau- Ponty, Raimond Aron. Da allora Kojéve è entrato nel mito della cultura francese. Egli abbandonò ogni attività filosofica per diventare funzionario dello Stato francese. Perché scriviamo di questo filosofo personaggio? Perché è la plastica dimostrazione di come si possa creare un mito senza tuttavia tener conto delle affermazioni del mitizzato. Kojéve infatti è l’autore di un libro su Kandinsky nel quale scrisse:” Picasso riesce a fare un quadro solamente una volta circa su cento in cui mette dei colori su una tela..” . Si deve tener conto delle opinioni di un filosofo di cui si ha così tanta stima da farne un mito? Kojéve non trascurò mai la filosofia, nella sua voluta solitudine lavorò ininterrottamente alla creazione di un sistema filosofico, o meglio all’aggiornamento del sistema che riteneva valido per la comprensione della realtà: il sistema hegeliano. Immaginiamo l’incontro con Schopenhauer che detestava la filosofia di Hegel e giudicava quest’ultimo un confusionario parolaio. Nel 1968, per le Edizioni Gallimard scrisse: “ Essai d’une histoire raisonnèe de la philosophie” . L’opera rimase incompiuta. “Il sistema del sapere”, pubblicato nel 2005 da Neri Pozza è una parte del vasto lavoro di Kojéve, l’intera opera si proponeva come una sorta di enciclopedica esposizione della saggezza hegeliana. Si tratta dell’opera più importante di tutta la produzione di Kojéve, viatico di un sistema che si snoda nella tensione fra il Concetto e il Tempo. Siamo ben lontani da certa superficiale filosofia dei nostri infausti giorni, non a caso ho citato l’opinione di Kojéve su Picasso, un mito infausto dell’arte contemporanea che trova radice e giustificazione non nella cultura, intesa come approfondimento delle ragioni dell’agire, del fare, ma nella mondana superficialità di una società che ha perso il filo del discorso esistenziale. La cosa più difficile in filosofia è la distinzione fra nozioni tetiche- positive- e antitetiche – negative- , così ad esempio non si ammette che il Bene sia positivo, il Male la sua negazione. La ragione della titubanza, o negazione, trova ragione non solo nell’effettiva confusione di una società che ha perso la bussola, ma soprattutto nell’opportunismo etico a cui la pseudo cultura contemporanea offre strumenti, se non per un’impossibile negazione, quanto meno per creare teorie ancipiti. Nella notte tutte le mucche sono nere.
Conoscenza e democrazia
La filosofia ha un alto valore pedagogico e culturale, induce alla riflessione e contribuisce a costruire una forma mentis che si traduce in propensione ad affrontare i problemi utilizzando la logica. C’è però un rischio nella stessa capacità argomentativa, “L’arte di ottenere ragione” come recita il titolo di un libricino scritto da Arthur Schopenhauer intorno al 1830. L’abilità dialettica può essere usata per sostenere tesi errate o dannose che possono avere un’influenza negativa sulla pubblica opinione. La filosofia che va sotto il nome di “pensiero debole” , ne è un esempio, trattandosi di una sorta di qualunquismo etico che sicuramente non ha contribuito a rendere migliori gli studenti a cui è stata proposta, o imposta. Altro esempio paradigmatico è la filosofia dell’arte, qui siamo al mercimonio, con l’uso della filosofia, o qualcosa che gli assomiglia, a vantaggio dei mercanti e delle forme peggiori della produzione artistica. La filosofia, come altre discipline umanistiche, a ben vedere è null’altro che un confronto di opinioni, come diceva Hegel , non propone soluzioni ma formula ipotesi . C’è il rischio che la filosofia proponga tesi dogmatiche, sia pure soft, quando tracima in filodossia presentata come opinione ma in realtà suggerita come verità. La questione etica, della quale oggi è di moda negare la fondatezza, o darne interpretazioni pro domo Cicero. Invece è lo snodo che fa la differenza, il filo d’Arianna che lega storia e pensiero. I sofisti erano mal visti dai filosofi di altre scuole per l’uso disinvolto del sapere. Forse il problema della libertà, mito dei nostri giorni, nasce proprio dal distorto uso del sapere. I sofisti vendevano il sapere esattamente come avviene oggi con la cosiddetta industria culturale e il profluvio di media che spacciano verità preconfezionate. La conoscenza non è preclusa ai malvagi e agli idioti, questo è forse è uno dei problemi della democrazia. Ma conoscenza non significa comprensione, fraintendere è forse più frequente che intendere. Certi scritti sembrano talmente ambigui da ricordare la boutade di Oscar Wilde: “ vivo nel terrore di non essere frainteso”.
piergiorgio firinu
Forma e concetto.
Wittgenstein suggerisce di vedere la proposizione come immagine, in quanto l’immagine ha una forma logica, nel caso della fotografia , la struttura che essa esibisce, è ciò che indica qualcosa di reale. Ed è esattamente la fotografia che conferma la prevalenza della suggestione feticistica sulla logica. Due fotografie, perfettamente identiche, sono valutate, dal punto di vista monetario,purtroppo è quello che conta nella realtà contemporanea, in misura molto diversa se lo scatto, il dito che preme l’otturatore della macchina fotografica, è di un personaggio noto, oppure di uno sconosciuto. Se la stessa fotografia è firmata o anonima, se è considerata “originale” o la copia. Come se vi fosse la benché minima differenza tra un originale e la copia. Siamo ben oltre la contraffazione verbale, per cui un oggetto è valutato attribuendo ad esso un significato che in realtà non è possibile ravvisare. L’oggetto-forma dovrebbe esprimere un significato. Il critico filosofo può aiutare a comprendere attraverso una dettagliata descrizione, ma non può, o non potrebbe, attribuire un significato inesistente. Gli oggetti, secondo l’espressione di Frege, sono entità sature, i concetti sono entità insature. Ma gli oggetti, nel Tractatus di Wittgenstein, sono gli stati di cose, gli oggetti godono dell’assoluta indipendenza reciproca di cui parla Russell. L’indipendenza si estende alle preposizione che li raffigurano per cui, un conto è affidarsi a una lettura surreale il cui gioco linguistico e logico è comprensibile, significativo. Un esempio è l’opera di Magritte che raffigura una pipa con sotto la didascalia: “non è un pipa”. Altra cosa è la mistificazione , usando preposizioni che contraddicono se stesse. Una preposizione è vera quando ha riscontro logico oggettuale, nella struttura corrispondente alla preposizione che la descrive. La filosofia dell’arte non rientra in alcun criterio di classificazione specifica perché procede per apodismi privi di verificabilità, come per gli enunciati della metafisica, le argomentazioni non sono false, semplicemente insensate.
piergiorgio firinu
Lo stato dell’arte.
Le rappresentazioni sono inevitabilmente soggettive ; ciascuno di noi associa a una stessa espressione una rappresentazione diversa, a meno che non sia suggestionato dalla lettura dell’opera del critico/filosofo. I livelli di lettura di un’opera sono legati alla cultura del soggetto e rispondono a un fattore psicologico. Husserl distingueva tra l’io psicologico che appartiene al mondo,e l’io profondo; ovvero l’essere reale e l’essere ideale. Due realtà dell’essere oggi cancellate o fuse nel pesante materialismo contemporaneo, e da una distratta superficialità. L’io psicologico risulta inquinato dalla predominanza di un pragmatismo funzionale che ignora tutto ciò che non è ludico, concreto, materiale. Non c’è spazio per nessun tipo di idealità, viviamo nella totale ignoranza dei fini della nostra esistenza. La nostra esperienza del mondo è ridotta ad accumulo, possesso materiale, consumo. Cassirer sosteneva che l’uomo è un animale simbolico, ma la simbologia contemporanea è ridotta anch’essa a volgarità e materialità. Le élite sono costituite da soggetti semianalfabeti, attori, cantanti, attrici porno. L’arte, che fu tra le più elevate espressione simboliche, è ridotta anch’essa ad espressioni laide alle quali le teorie femministe hanno dato un contributo decisivo. Pensiamo al lampadario di tampax di Joana Vasconcelos, alle donne defecanti a carponi di Kiki Smith, e molti altri simili “capolavori”. Per Schopenhauer la demenza è essenzialmente perdita della memoria. Ed è’ ciò che sembra affliggere la nostra era, con conseguente rifugio nel solipsismo, nell’illusione di trovare soluzioni “pratiche”. Diceva Ennio Flaiano:” Colui che crede in se stesso vive con i piedi fortemente appoggiati su una nuvola”. Tutta l’arte contemporanea sembra avere fatta propria la boutade di Oscar Wilde con “Istruzioni per l’abuso”. E sempre di Oscar Wilde la profetica affermazione:” Tutti coloro che sono incapaci di imparare sono messi ad insegnare” . Sintesi della situazione delle scuole italiane, in primis delle Accademie. Si è smarrita la dimensione ontologica della libertà, l’esperienza del mondo non può essere vissuta senza una presa di distanza, come chi pretenda di vedere appoggiando il viso contro l’oggetto che vorrebbe osservare. L’uomo può acquisire la capacità di rispecchiare conoscitivamente tutta la realtà esterna, nonché se stesso, con una presa di distanza razionale .La vita umana è coscienza e autocoscienza sosteneva Husserl.
piergiorgio firinu
Oltre il sesno
Danto evidentemente interpreta alla lettera l’affermazione di Bonito Oliva: “ sono un critico dunque un dio”. Le tesi di Danto equivalgono a una svalutazione talmente radicale del concetto di arte, da rendere pleonastica qualsiasi seria confutazione. Lascia perplessi che una persona che sostiene simili aberrazioni, ottenga una cattedra universitaria e riscuota successo mediatico. Danto rischia di andare oltre, varcare il limite dopo il quale non si tratta più di confronto tra ipotesi e teorie, ma di una vera propria violenza di senso, inteso come significato e organo visivo e percettivo. Siamo in presenza di un gioco di prestigio il cui unico scopo sembra essere mettere in risalto l’abilità del giocoliere. A due immagini, in tutto e per tutto identiche, viene data una lettura opposta,( pagina 146 “La trasfigurazione del reale” Arthur C. Danto Ed. Laterza 2008). Non siamo più nell’ambito della filosofia, ma in un circo nel quale il funàmbolo cammina sul filo del senso ai cui lati vi è il nulla. Interpretare un’opera significa offrire una teoria su ciò a proposito di cui l’opera è, quindi del suo soggetto. Ma tale interpretazione deve tener conto della realtà dell’immagine, intorno a cui è possibile intessere variazioni ermeneutiche all’interno di un costrutto logico che non strida con l’evidenza della visione. Se osserviamo il dipinto di Bruegel, “La caduta di Icaro” , abbiamo la possibilità di letture a più livelli determinate non solo dalla nostra sensibilità, ma anche dalla conoscenza della mitologia. Se conosciamo il racconto mitologico di Icaro, non abbiamo difficoltà a pervenire ad una corretta interpretazione. Questo vale per il dipinto del Caravaggio,”La conversione di Paolo” , le opere di celebrazione mitologica di Poussin e molte altre. L’analisi delle opere, per quanto possa essere affidata alla libera interpretazione, non può prescindere dalla concreta evidenza dell’immagine. Se esaminiamo confrontandoli i due rettangoli perfettamente identici, ai quali Danto dà un’interpretazione opposta ci rendiamo conto del palese funambolismo verbale . Non siamo più nel campo dell’ermeneutica, ma di un gioco di specchi, risibile esibizione di verbalismo. Non è il caso di entrare nello specifico, la convinzione , o presunzione, di Danto è che “ l’interpretazione trasforma un oggetto comune in un’opera d’arte”, o nel caso citato, due oggetti simili acquistano una diversa ontologia, grazie alla definizione che ne dà il filosofo/critico. Interpretare un’opera significa individuare i contenuti iconologici, le proprietà tecniche. Questo vale per opere che offrono argomenti all’ermeneutica. Una lastra d’acciaio, una pala per la neve, tavole apparecchiate i cui avanzi sono incollati su un asse ( Spoerri) , quale interpretazione si può dare di simili oggetti? A poco servono fumose elucubrazioni che restano prive di riscontro. Modalità linguistiche usate come stereotipi sono: “potrebbe essere” . Oppure la pretesa d’interpretare le intenzioni dell’artista improvvisando una narrazione assolutamente in contrasto con l’evidenza. Critica e filosofia dell’arte di questi ultimi 50 anni ci hanno abituati a simili contorte discrezionalità, tuttavia la mancanza di giustificazioni resta. La cosa peggiore per coloro che seguono, amano e tentano di capire l’arte, è adagiarsi sull’abitudine, abbandonarsi alle insensate narrazioni che rivestono il re con vesti trasparenti, in altre parole: rassegnarsi.
piergiorgio firinu
Mente e Cervello.
In questi ultimi anni è andato crescendo l’interesse dello studio Mente/Cervello. La storia della scienza può essere suddivisa in periodi caratterizzati dall’interesse per una disciplina o per un campo di studio. Con l’accresciuto interesse per l’intelligenza artificiale, è aumentato l’impegno nel tentativo di far luce sul più misterioso e complesso organo dal quale dipende il funzionamento del nostro corpo, esso determina natura e qualità della nostra vita, la capacità di muoversi all’interno del gruppo sociale nel quale ci troviamo ad operare. Le strutture e i meccanismi dello spazio sociale e dei campi che accedono allo spazio cosciente. Per chi abbia interesse ad approfondire l’argomento per orientarsi nel complesso mondo della mente e del cervello, suggerisco alcuni testi. Gregory Bateson ci guida verso “Un’ecologia della mente”, libro pubblicato nel 1972. Nel 1977 K.R.Popper e John C. Eccles hanno pubblicato “L’Io e il suo cervello” , il libro si conclude con la frase: “……l’uomo ha creato se stesso, mediante la creazione del linguaggio descrittivo e, insieme con esso, del Mondo”. Affermazione che pecca di presunzione, perché in realtà gli esseri umani parlano linguaggi dei quali non sempre conoscono il significato, non sempre si comprendono tra loro. Daniel C. Dennett si sofferma sulle perturbazioni mentali di cui siamo vittime in “ Brainstorms” pubblicato nel 1978. Gregory Bateson ritorna sull’argomento con “Mente e Natura” pubblicato nel 1979. Anche Daniel C. Dennet in collaborazione con Douglas R. Hofstadler riaffronta il tema con “L’Io della Mente” pubblicato nel 1981. La difficoltà di controllare e sviluppare le nostre capacità mentali, induce un numero crescente di persone a tentare di fuggire realtà e responsabilità. Si va ampliando la labilità mentale, il numero di chi tenta vie di fuga utilizzando sostanze stupefacenti. Il tema è affrontato da Solomon H. Snyder, in modo scientifico con “Farmaci,Droghe e Cervello” , pubblicato nel 1986. Nello stesso anno,1986, Judith Hooper & Dick Teresi pubblicano “L’universo della mente”, volto a fare il punto sulla frontiera della scienza in questo settore. Questo succinto panorama degli studi indirizzati alla comprensione della nostra mente/cervello, problema estremamente complesso, dovrebbe indurci a trarre motivi di riflessione. Limitandoci al campo dell’arte, dovremmo poter capire il senso di tante verbose argomentazioni che pretendono di illustrare percorsi e motivazioni degli artisti, chiederci in quale misura tali teorie tengono conto dell’effettiva capacità di dominare,e quindi rappresentare in una forma la materia a cui presumono di dare significato. Teniamo conto che l’uso di additivi chimici è molto diffuso tra gli artisti, il rischio è inquinare la “genuina” sensibilità. In quale misura l’arte si affida alla casualità, giustificata a posteriori? Gli artisti sono dotati degli strumenti adatti ad impedire di affidare il loro lavoro quasi esclusivamente alla contingenza emotiva? L’Io e il suo Cervello sono strumenti che spesso sfuggono al nostro controllo anche se non sempre ce ne rendiamo conto.
piergiorgio firinu
I nuovi barbari.
Non è semplice definire ruolo e significato della filosofia dell’arte. Essa non può essere definita in termini storici, non avendo un background sufficiente, tanto meno in termini teorici perché non vi è un filo conduttore, o più fili conduttori che confluiscono in una probabilità di senso. Trattasi per lo più di un incrociarsi di opinioni, non sempre supportate da valide argomentazioni .Danto, ad esempio, nel ripudiare il riferimento estetico, lo attribuisce al gusto barbaro. Leggiamo questo brano:” Immaginiamo che i barbari, sensibili alla bellezza, invadano il mondo civile – e già qui siamo in presenza di una forzatura di pura astrazione visto che non si capisce bene quali siano i barbari( si suppone i non americani) e i civili, (si suppone i newyorkesi) , ma andiamo avanti..” …il loro curioso diletto, solo opere d’arte che abbiano controparti materiali belle” ( certo da bravi barbari usano gli orinatoi per quello che sono) ………”alcuni dipinti sicuramente sopraviveranno ,per esempio quelli ricchi di foglie d’oro, alcune icone dotate di cornici particolarmente ornate, o quei dipinti che hanno colori dotati di una sorta di dura brillantezza minerale, come quelli di Crivelli o forse Mantegna” (Bontà sua!) ……”ma quanti Rembrandt o Chardin o Picasso sopravviverebbero a questo criterio..” ( Arthur C. Danto “La trasfigurazione del banale” Edizione Laterza Pagina 129). Mi scuso per questa lunga citazione, necessaria per mettere in chiaro l’assoluta insipienza, non solo filosofica, ma sul piano del linguaggio formale e logico. Intanto il “filosofo” non offre argomentazioni ma immaginazione, mette insieme Rembrandt, Chardin, Picasso(?!?) in un -pot -pourri all’americana, che si conclude nella pretesa di supporre cosa i “barbari” avrebbero scelto e cosa scartato. Se c’è una civiltà kitsch è quella statunitense, in tutte le sue manifestazioni, dunque parlare di cornici “particolarmente ornate” è, come si dice, parlare di corda in casa dell’impiccato. E’ assurdo e contradditorio il richiamo alla “materialità dell’arte”. Non esiste un’arte più pesantemente materiale dell’arte Pop. Non solo l’arte Pop è materiale, ma tutta la sua tematica si traduce in una celebrazione del consumo, di ciò che è banale scontato, appunto kitsch. Va da sè che la disamina di Danto non è casuale, se pure priva di costrutto logico e grave deficit argomentativo,appare evidente che il fine che si propone è valorizzare l’arte seriale americana, le forme d’espressione che corrispondono agli interessi del mercato USA , suffragato in modo massiccio dalla propaganda, di cui Danto è stato un esponente di primo piano.
piergiorgio firinu
Apriori epistemico.
Le parentele filosofiche si rivelano piuttosto insidiose per sostenere un certo livello di approfondimento traendolo dal brodo di coltura e ricostruzioni di varia natura e provenienza. Il rischio è di inscatolare ipotesi empiriche in arzigogolate parafrasi astratte, poggiando per così dire il cappello dove più fa comodo. Le teorie che vogliono costituire le basi ermeneutiche del processo creativo, risultano piuttosto instabili perché non si servono della conoscenza, ma della congettura, cercando di portare ai confini estremi le possibilità di teorie che, prive di fondatezza, restano nel campo delle supposizioni, fuori della portata di ogni verifica razionale. E’ quanto emerge dalla lettura dei libri di Danto, sui quali avremo modo di ritornare. Quello che viene proposto come il superamento della prassi, trascura di chiarire perché continuiamo ad usare lo stesso lessico, gli stessi riferimenti, le stesse forme di ragionamento, sia pure parzialmente capovolto, ma mai annullato. Detto in altri termini se riteniamo che l’epistemologia del fare artistico sia da annullare, dovremmo rinunciare a costruire strutture verbali. Non si spiega altrimenti perché le teoria sembra aver come unico scopo sostituire un mito con un altro a scapito di razionalità ed empiria. L’esperienza di per sé non è in grado di fornire una giustificazione, di conseguenza, certe forme di ragionamento appaiono piuttosto conati conoscitivi il cui scopo è far spazio ad apodittiche realtà che non reggono su analisi concettuali, prive di motivazioni razionali, ma spesso costituiscono vere e proprie favole con morale prestabilita dall’autore. La percettività appartiene ad un altro ordine di fattori, materiali derivanti da singole esperienze. Il fatto che questi tentativi non abbiano alcuna giustificazione nella realtà ontologica delle opere, rende tutto il processo esclusivamente verbale e piuttosto confuso. Sarebbe necessario sviluppare considerazioni autenticamente epistemologiche su possibilità e limiti di una teoria rigorosamente verificabile, appaiono di difficile definizione certi procedimenti teorici ripetitivi e molto simili a truismi. Gran parte della filosofia dell’arte sembra non disporre delle risorse concettuali sufficienti per tentare di costruire una teoria che abbia riscontro e fondamento plausibile. La piattezza del tentativo di definizione porta inevitabilmente ad apriori che finiscono per essere accettati anche se non verificabili.
piergiorgio firinu
Significato di concetto.
Usiamo l’espressione “Concetto” in riferimento a un pensiero, un’idea, un coacervo di riflessioni volta alla sintesi di un’opinione. Ovviamente le definizioni possono essere diverse e altrettanto plausibili. C’è chi nega all’analisi concettuale tipica della filosofia un ruolo nella conoscenza. Tim Williamson sostiene, con apparente tautologia che: la filosofia della fisica non è fisica, la filosofia della medicina non è medicina, e aggiungo io la filosofia dell’arte non è arte. Non può esistere una teoria della conoscenza e della giustificazione, ma soltanto una teoria scientifica della cognizione. La sovrastruttura linguistica volta alla creazione di significato dell’opera d’arte è un puro truismo. L’ambiguità deriva dalle modalità epistemologiche che non hanno come scopo di chiarire l’eventuale significato, ma piuttosto di attribuirlo partendo da un a-priori finalistico, in altre parole dare per risolto il problema che si sta esaminando con l’obiettivo di risolverlo. La forma è il significato. L’ermeneuti deve tentare semplicemente di collegare il significato alla verità del contesto in cui è posto. Tentare di fare di una pietra un angelo volante può essere affidato alla immaginazione, alla magia, all’allucinazione, non certo a una filosofia che voglia essere tale. L’arte è rivoluzionaria non quando si affida ad azzardi formali, ma quando elabora significati che, all’interno della specifico artistico, creano prospettive concettuali davvero originali, senza il supporto di mezzi tecnologici e/o meccanici. Per uscire dall’ambito specifico, quando centocinquanta anni fa con De Revolutionibus Orbium Calestium Nicolò Copernico (1543) attuò la sua rivoluzione, non lo fece con una costruzione verbale ma con reale comprensione ed esplicazione della materia scientifica di cui trattava. Stessa cosa vale per Isaac Newton con Philosophiae Naturalis Principia Matematica. Si può obiettare, come recita un vecchio slogan un po’ fané “ l’arte inizia là dove la scienza si ferma”. Ma se questo è vero non si capisce perché la filosofia debba affannarsi nel cercare giustificazione e significato a ciò che è affidato all’estro individuale e come tale va accettato o respinto senza la necessità di creare paratie verbali di sostegno e protezione. E’ del tutto risibile il tentativo di dare dignità filosofica ad enigmatici metodi sperimentali ed attribuire qualità messianiche a banali soluzioni formali che se mai riflettono un ripiegamento su forme di banalità quotidiana più simili al kitsch che a reale innovazione. Tanto per evitare equivoci il nostro pensiero va ai Dada, Fluxus, Pop Art, agli artisti di queste correnti, ai facitori di angiografie critici e filosofia a cui dovremmo dire: De te fabula narratur.
piergiorgio firinu
Ermeneutica della differenza.
Gli studi relativi all’arte, che per comodità diremo tradizionale, in particolare la grande arte classica, si avvalgono di una particolare ermeneutica che ha per obiettivo la collocazione storica dell’opera, le motivazione dell’artista, la tecnica che egli ha adottato, il dettaglio iconologico del contenuto dell’opera. Tutto questo costituisce il nocciolo duro della storia dell’arte, prima che si sfarinasse in elucubrazioni prive di costrutto logico. L’epistemologia è ciò che l’artista sa. L’ontologia è il frutto di conoscenza e lavoro. Per l’arte contemporanea, come non mi stanco di ripetere, il costo delle opere, ancor che falsato da strani artifizi mercantili, non corrisponde quasi mai al suo valore. La storia dell’arte è ricca non solo di insegnamenti , ma tramite ad essa ci colleghiamo alla storia e alle avventure del pensiero nella sua espressione più alta. “ Nella primavera del 1955, dopo otto secoli di silenzio, una misteriosa opera d’arte, tra le più belle ed enigmatiche mai create, improvvisamente finì in mano di uno strano e reticente collezionista…”. Questo è l’incipit di un bellissimo libro di Thomas Horving per dieci anni direttore del Metropolitan Museum di New York. Ebbi la ventura di conoscerlo a New York nel 1976. “Il Re dei Confessori” , questo è il titolo del libro di Hoving, pubblicato in Italia da Rizzoli nel 1982. La lettura di questo libro aiuta a capire come l’arte, l’arte vera, non sia solo una questione estetica e storica, ma qualcosa che, quando compiamo lo sforzo di capire, ci entra nelle ossa come forma levitante di arricchimento spirituale. Per chi ama l’arte, vedere come è “usata” e “fruita” oggi è davvero penoso. Si perde l’essenza stessa di ciò che l’arte ci può dare. Michel Foucault sulla copertina del suo libro “Le parole e le cose” pone un opera di Velasquez, “Las Meninas” . Foucault si dilunga nella sua personale lettura dell’opera che non è detto corrisponda alle intenzioni dell’autore. La lettura dell’opera è qualcosa di più e di diverso dalla iconologia. La precisazione dei dettagli iconologici serve a capire l’opera, è un percorso necessario ma non sufficiente per la comprensione dell’insieme di ciò che è raffigurato. Nell’opera Velasquez guarda “las meninas” mentre le ritrae, tra essa c’è l’infanta di Spagna, il re sullo sfondo, nello spiraglio della porta, guarda Velasquez, noi osserviamo l’insieme del quadro, quindi ci collochiamo nel vortice degli sguardi. La caratteristica delle grandi opere d’arte è che su di esse l’ermeneutica non giunge mai a conclusione perchè il significato dell’arte non è mai contemporaneo a se stesso.
piergiorgio firinu
The show must go on.
Pensare significa vietarsi il candore delle consuetudini, le tendenze delle spirito del tempo. Se la vita pubblica ha raggiunto lo stadio in cui anche il pensiero si trasforma inevitabilmente in merce e il linguaggio diventa imbonimento , il tentativo di mettere a nudo questa depravazione si scontra con la massa di truismi che inquina cultura e arte. E’ attitudine delle masse a cadere in balia di qualunque imbonimento purchè abilmente espresso e propagandato. La paranoia popolare è sapientemente incrementata da un progressismo di facciata. La massa d’informazioni decettive e/o divertenti instupidisce le masse mentre le predispone alla condiscendenza. Questo meccanismo funziona per gli intellettuali, la cui proliferazione è dovuta alla scolarizzazione di massa che fornisce una cultura approssimativa e ideologicamente orientata, come per gli artisti che subiscono il processo di omologazione prima ancora di uscire dalle accademie. Epurata l’ideologia borghese dai concetti di sacrificio, rinuncia, etica, razionalità, se non funzionale a uno scopo pragmatico, quello che resta è la materialità ludica. Trascurate e in parte contestate le opere di Kant e Nietzsche, resta Sade, rivalutato e seguito ma in modo leggero, la perversione non come trasgressione ma come gioco diffuso e accettato, quasi un diritto sociale. La verità ridotta a convenienza, o cancellata del tutto. L’ideologia, svuotata di contenuto, è diventata “previdenza sociale” , essa presuppone una scaltra ingenuità, tanto da accontentarsi di una libertà formale, una finta libertà nella quale è incluso il diritto di perversione ma negata la dignità. Ognuno è racchiuso nella sua enclave “trasgressiva” , nessuno deve rendere conto di cosa pensa e fa, il controllo ipersensibile del sociale si limita alla gestione, diventata sempre più vitale, dell’economia. Chi perde terreno su questo fronte è destinato a diventare un drop out,finisce per affondare. Ogni carriera e professione, inclusa quella artistica, sono connesse alla accettazione del pensiero unico, finto progressista, che segue un’unica direzione. La realtà fa parte della pianificazione irrazionale che ha perso totalmente il senso etico. Arte, letteratura, cinema, tv, sono i pilastri di questa civiltà, il cui motto potrebbe essere quelle che Rabelais pose sul frontone della Abbazia di Teleme: “Fa ciò che vuoi” , trascurando il fatto che le regole servono per i più deboli, gli esclusi, gli ingenui. Gli arroganti e ricchi borghesi hanno vinto costruendo una società a loro misura. Mentre in molti muoiono di fame, si autodistruggono traducendo libertà in vizio, domina l’interesse verso lo spread, gli indici di borsa, le sguaiate esibizioni delle miliardarie “star” dello spettacolo. “The show must go on”.
piergiorgio firinu
Lo spirito della forma.
Nel libro “L’Arte dell’Occidente” Henri Focilon sostiene che “lo spirito della forma definisce la forma dello spirito” . La prima edizione del libro è stata pubblicata nel 1938 ma sembra siano passati millenni. Oggi forma e spirito sono termini che non appartengono al lessico della critica d’arte. Le qualità formali , l’oggetto rappresentato non hanno alcuna distinzione dalla promozione industriale e seriale. Siamo ridotti al punto in cui i grafiti improvvisati da giovani colmi di livore e privi di cultura, vengono giudicati capolavori, come tali staccati dai muri ed esposti nei musei. Un pratico e concettuale ossimoro il cui significato sembra sfuggire allo establishment culturale. Oggi si inizia a prendere coscienza che l’ira del popolo islamico stringe d’assedio l’Occidente. Anche l’Islam, abbruttito dal contagio, volgarità e arroganza dell’occidente, sembra avere perso il senso della propria storia. Come matematici e creatori di ornati gli arabi furono all’avanguardia. La Spagna porta tutt’ora i segni della dominazione mussulmana con splendide opere a Siviglia e Malaga. L’approssimazione dei critici e filosofi è davvero sorprendente quando ignorano secoli di storia e la stessa evoluzione degli stili con gli influssi del medio ed estremo oriente. Sarebbe forse utile riscrivere la storia dell’arte dando importanza alla sostanzialità formale delle opere,meno alla estemporaneità delle cosiddette correnti artistiche. Impresa ardua, soprattutto estranea al solco della mercificazione dell’arte, tanto più attuabile quanto meno tiene conto della profondità e delle ragioni dei mutamenti che hanno precorso i secoli.
piergiorgio firinu
La scopa di Occam.
Su quali basi si articola il discorso filosofico relativo all’arte? Se si propone di chiarire il significato di una singola opera, trattasi di critica d’arte. Se invece l’intento è quello realizzare un’operazione di ermeneutica su l’insieme di una corrente artistica, dovrebbe essere declinato in senso neutrale, non giustificativo, come invece il più delle volte avviene. Il processo epistemologico dell’arte è teso a un risultato ontologico. Ovvero il processo operativo dell’artista realizza l’oggetto artistico. L’epistemologia è patrimonio dell’artista, il risultato ontologico deve essere condivisibile da tutti. Il biologo molecolare Sidney Brenner ha inventato un gioco di parole, introducendo una nuova espressione: scopa di Occam, per descrivere un processo in cui i fatti scomodi vengono spazzati via, rimossi. Questo ci disarma. Com’è possibile tenerci in guardia contro qualcosa d’invisibile? Si sa che i critici, in pubblicazioni varie, semplicemente ignorano le critiche scomode, quelle che non si adeguano al pensiero corrente che, per di più, pretende di essere innovativo. Critici e filosofi dell’arte sono maestri nell’uso della scopa di Occam. Doug Hofstadter ha ideato una definizione: jootsing. Acronimo di “jumping out of the system” . E’ una tattica che andrebbe davvero applicata soprattutto nella critica e filosofia dell’arte. La creatività è una virtù tanto spesso decantata quanto raramente posseduta. La creatività non consiste solo nell’andare alla ricerca di qualcosa di nuovo, questo lo può fare chiunque. La creazione artistica ha raggiunto il punto in cui “va bene qualsiasi cosa” ,Se devi sovvertire la tradizione, dovresti prima conoscerla. Invece ci troviamo al reductio ad absurdum, per cui si pretende di modificare significati e le evidenze formali attraverso sofistiche costruzioni verbali, prive di costrutto logico.
piergiorgio firinu
La destrutturazione del linguaggio.
La destrutturazione del linguaggio è premessa per un discorso sull’arte così come è andato articolandosi a partire dalla metà del secolo scorso. Il problema dell’arte s’innesca nell’abolizione, sostituzione, sovrapposizione dei ruoli sociali, apre dibattiti che danno seguito ad articoli, pubblicazione di libri, costituzione di cattedre universitarie, in breve realtà fenomeniche, un collasso tra epistemologia e ontologia. La filosofia dell’arte ha sostenuto una sorta di irrealismo degli oggetti artistici affermando contemporaneamente che l’arte contemporanea, pop in particolare,si avvicinava alla realtà. Si pone l domanda: quale realtà? La nostra società è stata definita fluida. Il concetto è palesemente in contrasto con le evidenze, osservando il rafforzarsi di oligarchie e forme di dominio surrettizio. In quale misura e con quali modalità l’arte si avvicina alla vita reale? La funzione dell’arte consiste nel riprodurre la realtà, ovvero nell’interpretarla con proprie modalità? Limitarsi a proporre una diversa ermeneutica delle forme di produzione artistica non risolve il problema, anzi rende più ardua la ricerca di senso e di una corretta teleologia tra soggetto e oggetto. L’oggetto artistico è determinato secondo categorie immaginate volta per volta. E’ deviante confondere mimesi con allucinazione. Quando Magritte dipinge le sue opere surreali compie un’operazione sul linguaggio, tra metafora e ironia, a cui si aggiunge la qualità tecnica della pittura. Nulla di simile avviene nelle parodie non dell’oggetto/soggetto, ma del senso, realizzate con modesta qualità della tecnica pittorica. Il rifiuto della razionalità è un pretesto che fa perno sull’incapacità di distinguere da parte del soggetto percipiente indotto in inganno da metafore pseudo filosofiche. In un certo senso ogni percezione è una proiezione. Tuttavia la proiezione dei sensi, retaggio della preistoria animale, non include ermeneutiche artistiche, al più si adagia su un edonismo inconsapevole. Il sistema delle cose, il saldo universo, di cui la scienza costituisce solo l’espressione astratta, volgendo in senso antropologico la critica kantiana della conoscenza, si riduce nel prodotto artistico ad essere un’ ipotesi immaginifica di una realtà destinata a non realizzarsi. La dottrina fisiologica della percezione, disprezzata dai filosofi come realismo ingenuo, spiega la vulnerabilità e permeabilità dell’intelletto nel recepire gli oggetti di cui è stata fornita preventivamente una chiave d’interpretazione . Schopenhauer e Helmholtz hanno descritto in modo chiaro il rapporto tra oggetto – soggetto e chiarito il senso dell’immagine percepita, le circonvoluzioni dialettiche di certa filosofia dell’arte sembrano voler intorpidire le acque e non lasciare vedere il fondo melmoso di un’arte che ha smarrito il se senso di sè.
piergiorgio firinu
Illusionismo artigianale e tecnologico
Non è la prima volta che mi vedo costretto a sottolineare le forzature dialettiche che sostengono aporie. Le opere e spettacoli del Seicento citati da Oliver Grau che si richiama alla fantasmagoria, hanno poco in comune con ciò che avviene oggi. Sono parenti della odierna tecnica della comunicazione dell’arte, più o meno come le selci lavorate dai trogloditi hanno in comune con il raggio laser in quanto adempiono alla stessa funzione, tagliare un oggetto. Lo stesso si può dire degli spettacoli organizzati da Rasmussen Walgenstien nelle cripte dei cimiteri, al suono della musica di Mozart e Beethoven, faceva apparire i fantasmi di Danton e Robespierre. L’illusionismo di Zeusi e Parrasio, era frutto di produzione “artigianale” immagini fissate sulla tela, erano nei limiti di una mimesi perfetta. La società contemporanea invece confonde i limiti tra apparenza e realtà, anzi non è più necessario confondere i limiti per la semplice ragione che non ci sono più limiti, apparenza e realtà si confondono e si sovrappongono. Quando Kierkegaard accenna all’illusione dell’eros che si esprime in un sommesso oh!, esprime stupore, in quell’oh! C’è l’infanzia dell’immaginazione, l’estasi di un pensiero che si nutre di contemplazione. Con la Video Art non vi è alcuna trasformazione dell’esperienza, soltanto suggestione che induce al non pensiero. Se osserviamo l’opera di Olafur Eliasson, Weather Project” , ci rendiamo conto di essere in presenza di una produzione tecnologica, effetti speciali di competenza di un ingegnere elettronico, non a un artista. L’affermazione di Edgar Morin: l’uomo crea il proprio ambiente, è una forzatura. Sono gli animali che creano il proprio ambiente, il polipo arrenda la propria tana, l’uomo, se mai, depaupera il proprio ambiente, lo inquina e in definitiva distrugge anche quello degli animali con i quali non convive, li annienta. Chiamare in ballo Hegel per giustificare la deriva artistica contemporanea è improprio, non solo perché Hegel viveva un contesto profondamente diverso e non ancora così inquinato culturalmente ed ecologicamente. L’interattività del web è apparente. Per lo più vi è una passiva accettazione, una sorta di gregge elettronico che segue il main stream. Le decine di migliaia di visitatori a “Weather Project” che Marc Augè considera come espressione d’interesse alla “nuova arte monumentale”, in effetti è semplicemente conseguenza di un’efficace operazione di pubblicità & marketing, messa in atto dalla Tate Modern. Siamo alla globalizzazione del banale. La conferma viene dalla celebrata opera di Anish Kapoor nel Millenium Park di Chicago. A poco serve il richiamo a Heidegger , alla suggestione della dialettica del Geviert. L’opera di Kapoor è una sorta di pensilina a forma di fagiolo, il fatto che sia specchiante e possa permettere che le persone la fruiscono ponendosi sotto, mi sembra un truismo. Basta mettere uno specchio su una pensilina. Se la creatività si riduce a questo siamo veramente in fase terminale in fatto di creazione artistica. Ricordano le famigerate “luci d’artista” a Torino. Lavoro per elettricisti non dotati di particolari capacità. Non più significative le opere di Karl Sims, “Primordial dance” del 1911 ed “Evolved Vitual Creatures” del 1994, sulla falsa riga del video del 1993 “Genetic Images” . Trattasi di un sorta di costosissimi video giochi, i cui analoghi sono fruibili sulle play station,reperibili sul web. Accettare, anzi esaltare, simili escogitazioni tecnologiche, non ha nulla a che vedere con la derealizzazione della realtà, così come respingerle non significa affatto restare ancorati all’idea platonica dell’illusione. Mi viene in mente la mostra del 1905 a Dresda; “Der Blauue Reiter “(Il Cavaliere Azzurro) presentata in parte a Torino da Luigi Carluccio con l’accattivante titolo “Combattimento per un immagine” . Esattamente questo è il mestiere dell’artista, combattere per un’immagine da lui creata, non costruita da elettricisti o affidata alla tecnologia. In gioco non è la resa a Platone, ma la sopravvivenza stessa di quello che resta dell’arte.
piergiorgio firinu
Warhol un grafico di successo.
Se analizziamo le fasi che guidano l’artista alla creazione, ci troviamo innanzi tutto di fronte all’incognita: quando e come sorge lo stimolo mentale propedeutico al processo creativo? In questi casi si cita “l’ispirazione”, espressione metafisica la cui intraducibilità logica la rende adatta ad ogni uso linguistico. Il primo corno della dicotomia è: cosa induce l’artista ad utilizzare un manufatto industriale, i famigerati ready-made, ovvero copiare tale quale il contenitore di un prodotto commerciale in vendita in ogni supermarket? Si dovrebbe supporre che le scelte dell’artista siano improntate ad una preparazione culturale che lo induce a ritenere che l’opera che si accinge a realizzare possa entrare nel novero di ciò che è indicato con il sostantivo arte. Spesso invece trattasi di gesti privi di giustificazione logica. Immaginiamo Michelangelo, Donatello, Caravaggio, Tiziano che ritraggono un oggetto di uso comune. Sicuramente lo collocherebbero in un frame più ampio, un tavolo con altri oggetti, lo scorcio dell’atelier o qualcosa di simile. Oggi l’artista si limita al dettaglio. Le opere non riproducono un quadro d’insieme, ma solo un particolare. Chi dice che l’arte, per sua natura, sia estranea al progresso, è smentito dalla realtà. L’artista, immerso nel proprio tempo, condizionato dal contesto in cui vive e opera, produce oggetti adatti al mercato. Triste ma vero. Sarebbe prerogativa di un artista di valore sottrarsi ai condizionamenti della realtà, non necessariamente immaginando una realtà peggiore. Vale per l’artista l’affermazione di Chanfort: “ Chissà perché quando si violano le norme, non è mai per elevarsi, ma sempre per scendere più in basso” . Icastica definizione dell’arte contemporanea. L’artista non sa sottrarsi alla parcellizzazione, questione che coinvolge oggi ogni settore e costituisce eredità della scienza, costretta, per studiare la materia ed ogni altro ramo di attività, a concentrarsi sul dettaglio. Ciò che appare giustificato per la scienza, per l’arte appare piuttosto riduttivo, limitante. Tuttavia è ciò che accade, le opere come frammenti di realtà. La conseguenza è rendere tenue il discrimine, spesso di cancellarlo, tra generi,situazioni e realtà quotidiane. Warhol, nel realizzare opere seriali come Brillo Box, non fa altro che proseguire nel suo lavoro di grafico pubblicitario. Come già è avvenuto con Duchamp, il sostegno critico- filosofico al suo lavoro, tenta di cambiarne la visione senza tuttavia avere la possibilità di cambiarne natura. L’approssimazione culturale del nostro tempo domina anche le facoltà universitarie, ha costruito artatamente un fenomeno di successo mondiale. Chapeau all’abilità e al cinismo di critici e filosofi. In economia periodicamente si creano le cosiddette “bolle speculative” che gonfiano valori e quotazioni e possono durare anni prima di un repentino tracollo. La stessa cosa, a mio modesto avviso, succede oggi nel sistema dell’arte. Considerato l’enorme impiego di capitali che muove l’arte contemporanea, si è creata un’enorme bolla speculativa a beneficio dei mercanti. Solo che in questo caso a gonfiare la bolla non sono gli economisti, ma critici e filosofi dell’arte.
piergiorgio firinu
L’arte come punto di fuga.
L’arte come punto di fuga, come progetto utopico destinato a non realizzarsi, chiuso nei limiti dell’impossibilità dell’oltre. Visto in quest’ottica, l’artista mondano è colui che rinuncia a priori. Gestisce la sua piccola realtà, non la crea. L’essenza dell’arte è nella sua impossibilità. Ernst Cassirer nel libro “Metafisica delle forme simboliche” , sottolinea che : “ L’accesso al mondo della “raffigurazione” è raggiunto sempre e soltanto attraverso la porta della “rappresentazione” . Ciò che guida la scelta dell’artista è la sua permeabilità al reale, la capacità di filtrarlo attraverso la propria sensibilità. Questo è lo snodo cruciale che l’ermeneutica immaginifica di certa filosofia dell’arte si ostina ad ignorare. La costruzione dell’io, l’autocoscienza, non può prescindere dal vissuto, da ciò che è conosciuto, da ciò in cui abbiamo bisogno di credere perché la nostra vita abbia un senso. Questioni che nella critica e filosofia dell’arte vengono disinvoltamente bay passate con l’espediente di diluire in un contesto socio-culturale le più profonde e intime esperienze personali . Tuttavia, per quanto si voglia immergersi nel sociale, il pensiero è inesorabilmente soggettivo. Collettivo è invece lo stimolo, può essere eterogeneo , ovvero l’assimilazione del pensiero altrui come proprio, la realtà oggi più diffusa anche tra gli artisti, in cui si assommano fragilità culturale e impreparazione. Come il bambino che ripete a memoria la lezione, il brano di un libro appena letto, può apparire intelligente di fronte ai genitori desiderosi di crederlo, così artisti mediocri agiscono in un contesto che li fa apparire creativi. E’ facile apparire intelligenti ripentendo ciò che si è appena ascoltato, più difficile fare le cose intelligenti che si sono viste.
piergiorgio firinu
Filosofia e forma.
Kosuth definisce le opere d’arte “proposizioni analitiche”. Ma analitiche di cosa? Di frammenti materiali o pensieri concettuali? Vi è una buona dose di superbia intellettuale nel voler imporre spurie definizioni, se le affermazioni di Kosuth hanno un fondamento, per consequenzialità si dovrebbero chiudere le Accademie ed affidare lo studio dell’”arte” a facoltà di linguistica o filosofia del linguaggio. Prima però si dovrebbe avere sufficiente cultura e fantasia per creare una nuova definizione dei processi che, fino ad oggi, erano considerati pratica artistica. La residua morfologia dovrebbe esprimere concentrazioni semantiche di tale intensità da essere difficilmente decifrabili. Per ogni opere non basterebbe le semplice osservazione, ma andrebbe analizzata e studiata. Con la conseguenza di un’ “arte” sempre più elitaria. Inoltre può essere vero che una lettera dell’alfabeto o un numero potrebbero essere considerati opere d’arte in base a come vengono guardati, non è potere dell’artista indirizzare e guidare la visione dell’osservatore. Se devo osservare e riflettere su di una “proposizione analitica” forse è più utile leggere direttamente Russell, Frege, Cantor, Wittgenstein, apprendo molto di più con un esborso economico minore. Le tesi di Kosuth sono alchimie di paradossi. La pietra filosofale dell’arte non produce bellezza nè conferisce valore agli espedienti morfologici che ne derivano. Forse Kosuth ha sbagliato mestiere, oppure è suggestionato da paralogismi che non sa risolvere. I suoi manufatti, come il materiale delle divinazioni, richiede l’intervento dei moderni aruspici, i critici, che tradurranno la forma, e l’insieme di materiale che costituisce l’opera, in significato. Kosuth ambisce ad essere il celebrante di se stesso. In questo caso il cerchio si chiude. Kosuth resterà prigioniero delle proprie contraddizioni. L’arte non ha mai avuto tanto bisogno della filosofia come da quando ha preteso di essere avanguardia. L’astrusità di talune realizzazioni “artistiche” acquistano senso, si fa per dire, solo dall’ermeneutica di accomodanti critici e filosofi. L’arte dell’antica Grecia era comprensibile e godibile dagli osservatori senza la necessità di mediazioni. Gli artisti artigiani rispondevano al bisogno di bellezza che l’arte di oggi disprezza perché non sa realizzare. L’arte d’avanguardia è in realtà un’arte reazionaria che non svolge un ruolo sociale per scelta, ma per inadeguatezza nell’interpretare lo spirito del tempo. L’eccesso di autoreferenzialità la riduce all’incapacità di comunicare. Il cosiddetto predominio assoluto del concetto, essendo il concetto invisibile e discutibili come gli argomenti dei Concili religiosi, finisce per costituire un alibi.
piergiorgio firinu
L’invenzione dell’anima.
Platone, considerato erga omnes, il filosofo per eccellenza della ragione, poiché, per primo, l’ha stabilita al primo posto e ha insistito sulla funzione direttiva, è forse colui che nell’antichità ha parlato più diffusamente e con più sagacia dell’irragionevolezza e follia della umana spece. L’antica riflessione sull’universo mondo, parte dai quattro elementi primordiali: fuoco, acqua, aria, terra. L’anima è forse un’invenzione umana allo scopo di distinguere la nostra dalle altre speci animali. Platone parla dell’ardore dell’anima in vista dell’acquisizione della conoscenza. Talete scrisse: “per quanto cammini non raggiungerai mai i confine della tua anima”. E’ noto che Talete era criptico nelle sue enunciazioni. Platone è apparentemente più lineare e semplice. Egli parla dell’irragionevolezza ( anoia) che appare come la malattia fondamentale dell’anima, poiché privato della ragione, l’uomo piomba nell’ignoranza (amathia) che precede la follia (mania). La prima è la follia mantica (mantikà) che è un dono di Apollo. Per meglio chiarire il suo discorso Platone cita la profetessa di Delfi e la sacerdotesse Dodona e la Sibilla. L’altra forma della follia è telestica , dono di Dionisio. Solo la poesia, secondo Platone, ha il potere di sollevarci dall’angoscia che l’ignoranza produce in noi. Platone s’inserisce nella tradizione culturale e storica della antica Grecia. L’opinione giusta (orthé doxa), non è prodotta dalla scienza, non comporta dimostrazione e si rivela modificabile mediante la persuasione. Qui Platone apre la strada ai sofisti che pure condanna. Poiché non sono guidate dalla ragione, talune opinioni dell’uomo risultano fallaci e restano nell’ambito del possibile che si adatta al presente. Nel Fedro, Platone espone una classificazione dinamica che affronta e supera le apparenze e si colloca nel mito. Platone afferma e”è filosofo colui che ama il sapere e ama il bello” Questa affermazione si discosta dal modello della città che Platone espone nella Repubblica in cui trattava dell’unione indissolubile di filosofi e re, per poi dissociarli nel Fedro. Tale apparente contraddizione deriva dalla tolleranza per le funzioni effettive che entrambe le figure esercitano. Su un punto Platone non cambia versione, è nel considerare il sofista la controparte del filosofo, l’artista, produttore di forme, un demiurgo, cioè un artigiano sullo stesso piano di falegnami, agricoltori, fabbri. L’artista infatti non si serve della ragione per produrre le sue opere, ma delle mani. La mancanza di ragione, oggi diremmo di razionalità, presenta due aspetti: ignoranza e follia. La funzione dell’artista è comunque importante poiché, non essendo l’intelletto di tutti atto a comprendere l’intelligibile, limitandosi al sensibile, compito dell’artista è di contribuire alla comprensione dando forma al sensibile. Qui si ampia il discorso antropologico. Per Platone solo la ragione può contribuire all’ispirazione (epipnoia) . Tuttavia la ragione, nel tramutarsi in forma/materia, rischia di cadere nella soggettività, di sottrarsi alla eudoxia, entra in gioco il supporto dei sofisti, perchè tali devono essere considerati i filosofi dell’arte che creano idola fori, teorizzando per fini pratici e per un lucro diretto e indiretto. Molti di essi creano miti effimeri e deteriori, abbandonano la filosofia per la critica d’arte, pagati un tanto a scritto. Platone, è stata profetico. I sofisti di oggi sono filosofi e critici dell’arte che monetizzano il loro sapere in modo non certo adamantino.
piergiorgio firinu
Arte della natura, natura dell’arte.
Quando Hegel conferisce il primato dell’arte sulla natura considerando l’arte creazione dello spirito, apre suo malgrado, il vaso di Pandora i cui effluvi finiscono per far evaporare lo spirito a cui egli si riferisce, lasciando la nuda materia come realtà e rappresentazione. La bellezza è rifiutata in quanto non esiste più la spiritualità che essa può riflettere. La bellezza che, secondo Hegel , è parvenza sensibile dell’idea , disturba, in un mondo in cui l’idea è considerata estranea all’arte. Se così non fosse non si darebbe importanza alla triste boutade di Picasso “ho impiegato tutta la vita a imparare a dipingere come un bambino”. A meno di supporre che il percorso di conoscenza ed esperienza sia soltanto perdita di tempo, tanto ci sono i filosofi addetti alla ricerca di significati. L’artista come demiurgo che si pone al di sopra della natura ed acquisisce autoreferenzialità fino al punto in cui si ritiene esentato dalla creazione avendo titolo per decidere cosa è arte, può scegliere qualunque manufatto. Il bello soccombe al kitsch della modernità. Hegel ha fatto da battistrada a Duchamp, e a tutti gli arbitrii delle avanguardie tanto arroganti quanto culturalmente sprovvedute. Come la descrizione dello spirito non lo crea, anzi se mai lo corrompe con pleonastiche verbosità, l’arte non è chiarita, si piega sotto il peso dei paralogismi, il segno significante soccombe alla sofistica ricerca di un significato che non c’è. La filosofia dell’arte non crea e non aiuta a capire, piuttosto devia il senso, si presta ad inventare alibi all’insignificanza formale. L’arte “bella” non è mai stata solo simbolica o solo rappresentazione, ma costituiva la simbiosi di entrambi gli aspetti. L’idea espressa nella materia, l’edos. Da prima si è rinunciato al simbolo, poi si è considerata superflua la forma creata rifugiandosi nella triviale rappresentazione tautologica della realtà precostituita, ovvero al ready made . A questi passaggi la filosofia dell’arte ha tentato di attribuire significati. Con forzatura metonimica si è preteso di fare di un frammento la rappresentazione di un improbabile tutto. All’insignificanza dell’arte segue il fallimento della filosofia che la descrive.
piergiorgio firinu
Da Vasari a Babele.
Una delle prerogative dell’ignoranza di ritorno, sembra essere l’ossessione del senso comune, giudicato banale. Questa avviene in ogni ambito, ma raggiunge una dimensione ipertrofica nel campo della critica e filosofia dell’arte dove abbondano le più astruse elaborazioni verbali per costruire improbabili teorie. Proviamo a partire dall’inizio. Un laureato in giurisprudenza, ingegneria, medicina, e in tutte le altre facoltà che aprono la strada a prestazioni professionali, prima di poter esercitare la propria attività deve dare un esame che gli consente l’ammissione al proprio ordine professionale. Anche per fare l’usciere in una società o Ente, l’aspirante deve sottoporsi a un test dopo avere presentato credenziali e titoli di studio. Nulla di diverso accadeva nel Medioevo per essere ammesso alle corporazioni degli artisti e a Gilde. Gli artisti, prima di poter operare, dovevano frequentare per anni la bottega di un maestro, in ogni caso le loro opere erano giudicate per la loro qualità, facilmente comprensibile anche un profano. Non c’è persona, per quanto ignorante, che non resti incantata di fronte a un’opera del Beato Angelico, Botticelli, Raffaello, Tiziano e via elencando. Oggi la “modernità” ha soppresso tutto questo. E’ vero che esistono Accademie e facoltà di estetica, ma i docenti sono in buona parte gli stessi che hanno operato per ridurre l’arte nello stato in cui si trova. Si dice: è considerata un’opera d’arte un manufatto scelto come tale dall’artista. Ci si dimentica di chiarire chi è l’artista? Come acquisisce tale status? Dalla frequentazione dell’Accademia? A parte che le accademie sfornano ogni anno decine di artisti “virtuali”. Vediamo le credenziali di alcuni dei grandi maestri. Mario Merz da ragazzo vendeva giornali per le vie di Torino. Alberto Burri era un medico. Andy Warhol un grafico pubblicitario, tanto abile da essere riuscito, senza cambiare metodo di lavoro, a far accettare come opere d’arte le sue realizzazioni grafiche e multipli. Dunque critica e filosofia dell’arte si sono prestate a rimuovere le basi stesse della preparazione di coloro che, in base alle loro elaborate teorie sull’ontologia dell’arte, dovrebbero decidere cos’è arte, cioè gli stessi artefici delle opere. Ci troviamo di fronte a situazioni surreali. La metafisica, cacciata dalla filosofia/filosofia, ha trovato rifugio in una sottospecie: la filosofia dell’arte. Non è in predicato la libertà di chiunque di dedicarsi all’arte, anzi i dilettanti sono spesso maggiormente motivati. Cosa diversa è creare miti, intessere esegesi fantasiose come è avvenuto per l’arte contemporanea , con disprezzo di ogni plausibilità e logica. Gli orinatoi, i sacchi di rifiuti, la merda, spacciati per arte, sono conseguenza di questa “negligenza” iniziale che ha proliferato, nel senso letterale del termine, in misura esponenziale. L’ incapacità di definire etimologia reale della forma, aggiunta a mancanza di sensibilità hanno prodotto il disastro a a cui assistiamo impotenti. La tesi: tutto è arte, da un potere enorme a mercanti e imbonitori. Basta entrare nel cerchio magico, possono essere utili sesso, politica, amicizia, genere. Quello che invece è superfluo è sapere cos’è l’arte e come si realizza un vera opera d’arte. Altro che collocare l’opera nella narrazione, come sostiene qualche filosofo, difficilmente in buona fede. Va da sè che, arrivati a questo punto, la fitta trama di interessi , l’intreccio di teorie fantasiose e decettive, non è più dipanabile. Riportare l’orinatoio di Duchamp al proprio uso sarebbe considerato un sacrilegio, anzi anche solo a proporlo, si va incontro all’accusa di essere reazionari e ignoranti. Dunque, non possiamo far altro che ripetere con Wittgenstein: va bene così.
Rappresentare le ombre.
Come abbiamo scritto in altre occasioni, la filosofia, che come l’arte non ha mai verifiche certe, ma solo ipotesi più o meno azzardate, si riduce a un gioco di rimandi. L’intero sistema kantiano, ad esempio, dipende dall’aver “dimostrato” che esistono proposizioni sintetiche a priori. Kant difende questa teoria richiamandosi ad esempi tratti dalla matematica e dalla fisica. E già qui si va a tastoni, alla ricerca di supporti. Tentativi più approfonditi per la comprensione della natura delle preposizioni matematiche e fisiche sono stati sviluppati dopo la morte di Kant da logici come Gottlob Frege e Bertrand Russel i quali hanno sostenuto che i teoremi della matematica sono analitici, mai sintetici. A questo punto entra in gioco l’analogia dell’esperienza sensibile che dovrebbe essere il vero tema di una filosofia dell’arte che abbia davvero a cuore una ermeneutica che non sia affidata alla casualità. Se fotografo un amico, il suo aspetto apparirà in funzione della macchina fotografica e della pellicola in essa contenuta. Se l’amico indossa un maglione verde ma la pellicola è in B/N, il maglione risulterà nero. In questo caso dovremmo dire che la fotografia non rappresenta l’amico? Tra la struttura della mente umana ed esperienza sensibile vi è il filtro della possibilità e capacità di rappresentazione, nel caso della macchina fotografica si tratta di un dettaglio tecnico, nel caso di una rappresentazione pittorica la situazione è più complessa perché include più fattori, tra i quali capacità, know-how, il sapere come, rendere l’immagine dell’amico fedele o filtrata dalla nostra interpretazione. Se tracciamo una distinzione fra il modo in cui le cose sono in sè, quella che in filosofia è definita la realtà noumenica, e quello che appaiono a noi, o, nel caso del pittore, quella che è la realtà “fenomenica”. Cartesio ha sollevato il dubbio se è possibile per noi uscire dall’ambito delle nostre idee. In conclusione, per quanto ovviamente il problema richiederebbe ben altri approfondimenti, la conoscenza e quindi la rappresentazione dei fenomeni è solo un tentativo di rappresentare l’ombra, la semplice apparenza delle cose. Nella dispersione di analisi concettuali dell’arte, che presumono di utilizzare la filosofia, mentre in realtà si fermano a descrivere il fenomenico e trascurano il noumenico.
piergiorgio firinu
Testi fuori contesto di Piergiorgio Firinu
La fondazione filosofica del fenomeno estetico può consistere solo nel mostrare dove, in che senso e in che misura si tratti del manifestarsi del paradosso apparente, ciò che appare “bello” spesso viene considerato banale. Bisognerebbe stabilire la ragione di questo tipo di reazione che , in parte è determinata dall’eccesso di immagini perfette, prodotte con sistemi tecnologici. Nei fatti però la creazione di bellezza è una sfida che dovrebbe coinvolgere gli artisti, e non indurli alla rinuncia. L’identità del bello e del vero, è il senso immediato dell’esperienza estetica, ed è ciò che porta all’eterno tema della riflessione sull’arte. Oggi però le riflessioni sull’arte non vengono più declinate avendo come riferimento il principio di comunicazione sensibile. L’abolizione di riferimenti estetici si traduce in una sorta di disorientamento dovuto all’abbandono di un principio guida. Invece di sentire la necessità di approfondire il linguaggio proprio dell’arte, si sceglie di utilizzare la tecnologia per produrre qualcosa che diventa difficile distinguere da altre forme di comunicazione; cinema, scienza, cartellonistica. Il mercato dell’arte diventa una sorta di colossale supermercato i cui scaffali devono continuamente essere forniti di merce nuova per indurre all’acquisto. L’arte non è affatto un bisogno, piuttosto può essere paragonata a una favola raccontata a un bambino per stimolare la sua fantasia, dare stimolo alla sua voglia di sapere. Tra le tante sciocchezze dette da Picasso, quella meno credibile, è l’affermazione :” ho impiegato tutta una vita per imparare a dipingere come un bambino”. Proviamo a capovolgere il discorso, immaginiamo un bambino di fronte alle opere cubiste di Picasso, oppure a buona parte di opere dell’arte contemporanea. Quale sarà la reazione del bambino? E’ possibile che si diverta, molto più difficile che impari qualcosa di positivo, anche senza voler pensare che possa imbattersi in certe opere oscene e francamente orripilanti. La tesi dei critici di arte contemporanea è che “l’arte deve essere capita”, cioè non è l’artista che deve preoccuparsi di comunicare, è l’osservatore che deve sforzarsi di entrare nell’ottica che l’opera propone, sempre che esista un filo conduttore e l’opera abbia senso, ovvero proponga qualcosa di culturalmente positivo e fruibile. La filosofia dell’arte si è impantanata in sofismi . Vale per la filosofia dell’arte, il dialogo tra critici e filosofi, ciò che Scaligero diceva dei baschi: “ Si dice che tra loro si capiscano, ma io non ci credo affatto”.
Soggetto oggetto. Dii Piergiorgio Firinu
Forse andrebbe rivista l’originalità ontologica delle opere dell’avanguardia cosiddette provocatorie. Abbiamo più volte sottolineato che il percorso della nostra comprensione passa attraverso la frammentazione. Ciò può essere riassunto nel detto: guardando la foresta non vedi l’albero. Si dice che la storia la scrivono i vincitori, anche la storia dell’arte. Quali che siano state le ragioni del successo nel momento in cui questo avviene, diventa punto di riferimento dato per certo. Quasi sempre si parla di arte in modo generico. In realtà è molto diversa la qualità e il grado di emozione che suscitano una poesia o un opera letteraria da un’ opera plastica, pittura o scultura. Nel primo caso ci sentiamo coinvolti perché ci immedesimiamo nella narrazione, siamo trascinati da un sentimento di partecipazione emotiva. Nel caso di una pittura o scultura, conserviamo un certo distacco per lasciare spazio all’interpretazione e/o ricerca di significato dell’oggetto che stiamo osservando. Il nostro a atteggiamento è diverso quando ci troviamo di fronte a opere per così dire classiche, pitture e sculture che rientrano nei parametri “tradizionali”, ovvero opere d’avanguardia. In questo secondo caso non vi alcun coinvolgimento emotivo. Se siamo curiosi e culturalmente preparati, scatta in noi il desiderio di capire, non tanto l’oggetto che abbiamo davanti, quanto le ragioni per le quali l’artista lo espone come opera d’arte, il gallerista lo propone, il critico ne descrive le caratteristiche. I nostri interrogativi, pur essendo stimolati dall’oggetto, in realtà prescindono da esso. Una persona priva di cultura non si pone il problema, guarda e passa. Il procedimento psicologico e culturale del “colto curioso” non cambia, sia che si trovi di fronte all’orinatoio di Duchamp, ai barattoli di merda di Manzoni. Se oggetti diversi suscitano la stessa reazione , significa che siamo usciti dallo specifico artistico e ci siamo avventurati in un processo puramente mentale che reagisce in modo simile di fronte a oggetti diverso. Quando invece osserviamo un opera “classica” siamo trasportati da sensazioni intellettuali ed emotive molto più variegata. Non si tratta quindi dell’esito, ma del procedimento. Di fronte a un opera che ci coinvolge non pensiamo soltanto, ma, per così dire, viviamo l’opera. La conclusione a cui ci porta questa breve considerazione, , è che la “provocazione” delle avanguardie suscitano riflessioni scontate, tutto sommato banali, riflessioni indotte. Si verifica una dicotomica tra l’oggetto che abbiamo di fronte,e la lettura critica dell’opera. Di fatto rinunciamo alla fruizione sentita, iventiamo soggetti passivi.
Libertà come mito.
La libertà come mito, priva di responsabilità. Questo, in buona sostanza, propongono gli educatori oggi. La vita pone limiti oggettivi alla fruizione della libertà. Alimentare l’illusione che tutto sia possibile, è fonte di frustrazione. Sotto il profilo culturale si traduce in pressapochismo fatto di rozze semplificazioni e volgarità. I media sono passati dall’idea di tolleranza alla esaltazione degli aspetti peggiori dell’umano. Essere trasgressivo diventa titolo di merito. Nel mio libro “la Logica del quotidiano” tentai una riflessione sui limiti e la possibilità di un futuro sottratto ad azzardi chiliastici, ma anche ai pasdaran del progresso inarrestabile. L’arte contemporanea è per certi aspetti paradigmatica dello stato delle cose. Dovremmo dare un senso, una chiarificazione del presente, propedeutica alla preparazione al futuro, tentare di fermare il declino a cui sembriamo destinati. Hegel definiva la filosofia “il proprio tempo appreso con il pensiero”. Oggi si esalta la libertà di essere ignoranti . Il problema della creatività sia nella scienza che nell’arte è oggetto di studi, la ricerca di un’epistemologia sociale che ci porti a una logica di competizione guidata. Qualunque scelta o decisione umana è fondata sull’attività cognitiva di una razionalità che limita ed elabora, nel processo di computazione di una scelta, precisi obiettivi. E’ lecito e possibile che solo l’arte sia affidata alla scelta individuale di un soggetto che la convenzione definisce “artista”? Artisti di “successo” vantano la loro frivola improvvisazione. Giorni fa un quotidiano ha pubblicato un’intervista a John Lurie, tralascio considerazioni sul soggetto, mi limito a citare un brano: “……. io e Jean-Michel Basquiat dipingevamo spesso insieme…a volte passava qualcuno e si metteva a camminare sulla tela su cui Basquiat stava lavorando e a Jean-Michel non poteva fregarsene di meno….” . In altri scritti ho espresso la mia opinione sul valore dell’opera di Basquiat che qui non ripeto, mi limito ad osservare che la mia opinione trova conferma in questa intervista. Un’ “opera d’arte”, comunque la si voglia intendere, dovrebbe essere frutto di pensiero, di un progetto, la testimonianza su citata dimostra che non è così, tutto è affidato alla casualità più banale. A quale titolo un soggetto che agisce in questo modo può essere considerato un artista? Per smentire la casualità dell’action painting di Jackson Pollock, è stato inventato un aneddoto; un critico si trova a visitare l’artista nel suo studio e sottolinea la casualità della pittura, a quel punto Pollock prende un pennello lo immerge nel colore, quindi lo scuote lanciando uno spruzzo di colore esattamente su un punto che aveva in precedenza indicato. Questo, secondo l’inventore di questo improbabile episodio, starebbe a dimostrare che l’artista non lasciava nulla al caso, cosa che invece Basquiat quasi si vanta di fare. Il contrasto tra queste due posizioni, in mezzo alle quali c’è tutto un percorso critico che vede in primo piano un aedo dell’arte astratta, il critico Greenberg, ma senza mai arrivare a qualcosa che possa chiarire il senso che, dai Dada in poi, ha assunto il fare arte.
Hegel: arte e filsofia.
Nella storia dell’estetica il filosofo che meglio ha colto la complessità del concetto di arte e ha formulato una spiegazione, in un certo senso aprioristica dell’eterogeneità della categoria dell’arte , è stato Hegel, tanto vituperato da Schopenhauer che l’accusava di artificiose e complesse argomentazioni. Nello schema di Hegel l’arte simbolica appariva diversa dall’arte classica e da quella romantica. La formulazione dell’arte attuata da Hegel, tentava di mettere ordine nella pluralità di percezione e dell’impotenza induttiva che deriva dalla frammentazione degli stili e della lettura critica delle opere. L’opera d’arte suscita anche il piacere sensibile, per questo Hegel la pone in sottordine alla filosofia. Egli scrive:” ….la bellezza artistica è la bellezza generata e rigenerata dallo spirito… “ E’ chiaro che con questa sola affermazione si pone fuori dalla quasi totalità dell’arte contemporanea nella produzione della quale gli “artisti” tutto hanno in mente salvo principi spirituali. Schopenhauer si avvicina di più alla realtà di oggi quando attribuisce all’arte una semplice funzione di rappresentazione, vale a dire di pura apparenza. L’approccio al mondo dell’arte è inficiato da una serie di sofismi. Da un lato si parla dell’arte vicina alle persone, alla rappresentazione della realtà quotidiana, il ruolo che avrebbe, per esempio, la Pop art, dall’altro ci si perde in equilibrismi verbali per attribuire significati improbabili a gesti di provocazione compiuti da individui convenzionalmente definiti artisti. E’ questo lo snodo dal quale si sviluppano apodismi ed ermeneutiche fantasiose, una sorta di psicogorrea, nella sviluppo della quale i filosofi citano altri filosofi, i critici altri critici in un turbinio di inconcludenze prive di logica. Basterebbe richiamarsi al significato etimologico del sostantivo “arte” che deriva dal greco “fare”. Al “fare” si sovrappongono invece infinite teorie il cui scopo sembra essere la giustificazione di un “fare” privo di bellezza e di significato, costruito nell’ottica di una mondanità mercantile incolta.
Soggetto, oggetto
Nell’affrontare il discorso sull’arte contemporanea, dovremmo prendere atto che essa dimostra l’inadeguatezza delle forme estetiche in rapporto alla sensibilità diffusa. Attribuire valore d’arte alle forme comuni, appare un artifizio decettivo che sminuisce il valore ontologico dell’arte. Elevare a forme artistiche, gli oggetti di uso comune, non implica affatto valorizzarli,solo dare espressione artistica al soggettivismo oggettuale. La mimesi semplificata non modifica il valore oggettivo. La posizione estetica non diventa significante attraverso la semplificazione epistemologica. Il concetto di soggettività non determina il carattere gnoseologico dell’opera, anzi lo annulla. Nella storia dell’estetica sono sorti tanti e più diversi fraintendimenti perché alla teoria della conoscenza sensibile è’stata contrapposta un’ermeneutica fantasiosa e illogica. La gnoseologia assume, rispetto all’ontologia del soggetto, una posizione confusa. Il soggetto senza oggetto diventa un pleonasmo formale. La differenza tra soggettivo e oggettivo stà tutta nel contenuto di comunicazione esogena. Hegel sosteneva che è falso considerare la soggettività e l’oggettività come contrapposizione fissa, astratta. Entrambi i termini hanno carattere dialettico la loro giustificazione dipende dal contenuto ontologico, più che dal processo epistemologico. Hegel come sappiamo, ha applicato le categorie dell’alienazione soprattutto all’indagine della vita sociale e delle conoscenza conquistata e sviluppata nel corso dell’evoluzione dell’umanità. Egli analizza ripetutamente le deformazioni che la soggettività produce quando vuole affidarsi soltanto a se stessa, quando crede di poter rinunciare all’atteggiamento ricettivo. L’esempio più chiaro di questo atteggiamento è rappresentato dalla visione del mondo in un’ ottica di autosufficienza. Un artista che non comunica, o pretenda di universalizzare la propria soggettività, è un artista sterile, produce simulacri la cui significanza approssimativa può anche essere accettata nel presente, sull’onda di una superficiale mondanità, ma non lascia traccia, finisce che il proprio tempo mondano, si annulla in una superficialità priva di futuro.
Le storie sull’arte.
Ogni discorso con intento ermeneutico sull’arte, rischia di essere tautologico, a volte arriva al limite del ridicolo. Geenberg arrivò ad attribuire all’arte una “missione storica”. In realtà l’arte registra, racconta, con l’autonomia del proprio linguaggio. L’enfasi sull’arte ne inquina la natura. L’arte nasce da un impulso endogeno, ma raggiunge il successo solo attraverso la propulsione esogena del mercato che rischia di essere il suo unico fine: arte per collezionisti. L’arte infatti non solo non ha mai avuta una funzione storica, a meno che per funzione storica non s’intende la rappresentazione di fatti e personaggi, oggi ha comunque quasi del tutto perso anche la sua funzione sociale. La previsione di decadenza, o morte, dell’arte si è avverata anche se la retorica tenta la respirazione bocca a bocca. “Non sono venuto a lodare Cesare ma a seppellirlo…”La sepoltura dell’arte sembra non avere fine. L’incongruenza di critica e filosofia dell’arte è confermata quando le opere di artisti come Duchamp, Picasso, Dalì ecc. vengono considerate icone e quindi sottratte ad ogni considerazione critica. Il bambino (critico) non osa urlare: “ il re è nudo!” Confondere la dimensione d’uso dell’arte con la dimensione di funzione, è uno stratagemma per modificarne l’essenza stessa. La storia dell’arte non può essere, non deve essere, una storia di progresso, ma di ripetizione, il miglior elogio è la ripetizione, il peggior attribuito è progresso. C’è chi ha scritto che l’arte “non anticipa i tempi, li segue zoppicando”. Non esiste elogio migliore. L’arte non può essere messa sullo stesso piano di un automobile, un P.C. un I Phon, non si adegua ai tempi, li racconta, evitando, quando è vera arte, frammentazioni improprie. Dire che la Pop Art ha avvicinato l’arte alla vita reale è una menzogna e un non senso. La narrazione letteraria si adegua ai tempi aggiornando sintassi e declinazione delle parole. Le cosiddette avanguardie hanno invece preteso di utilizzare un proprio alfabeto senza averne titolo, nè capacità, in questo modo hanno creato una babele nella quale ogni borbottio è considerato un racconto. Che poi questo borbottio offra pretesti per tesi ermeneutiche ed elucubrazioni spacciate per filosofia dell’arte, rende ancora più confuso il tutto. Non aiuta a capire, non arricchisce la cultura, arricchisce i mercanti, che in tanta confusione ci sguazzano beati.
piergiorgio firinu
Civiltà frammentata.
Qual è la funzione gnoseologica e sociale dell’arte oggi? Difficile dare una risposta. L’arte da sempre è parte di un contesto più ampio, il perenne confronto dialettico tra individui, agglomerati sociali, nazioni. Confronto che non verte su valori, ma su egoismi, interessi di parte. Nelle società sono molte le associazioni per diritti individuali e collettivi di vario genere. Rarissime le società sull’educazione civica e la responsabilità sociale. E’ sempre stato così. Oggi la differenza consiste nella proclamata e accettata fine dei valori. Anche nel linguaggio corrente, gli egoismi individuali sono diventati diritti individuali. La storia ci dice che la diffusione della democrazia non corrisponde ad elevazione dei valori, semmai il contrario. Come scriveva Chamfort quasi due secoli fa : ”Quando si violano le leggi non è mai per elevarsi ma sempre per scendere più in basso”. Ciò che scrive Chomsky in “I padroni dell’umanità” è giusto. Tuttavia egli sembra considerare il popolo americano un popolo di minus habens, incapace di esercitare la scelta di coloro che dovranno governarlo. La prima elezione di Bush poteva essere un errore non voluto, ma la seconda elezione? Il comportamento delle multinazionali e dei politici è l’effetto, non la causa. E qui che entra in gioco la cultura, l’educazione, l’arte, attività che formano gli individui tra i quali verranno scelti i gestori della res pubblica. Se questo non avviene è perché la cultura è malata, inefficace, deviante. Il nesso con l’arte è esattamente lo stesso.,Gli artisti sono figli del loro tempo, prima di esprimersi nelle loro opere, assimilano la cultura che li forma. La nostra società sembra attuare le profetiche descrizioni di George Orwell. Siamo controllati in tutte le nostre azioni e ciò nonostante non è superata la constatazione di Hobbes: “omnium contra omnes”. La cronaca e la filmografia ci mostrano città divise in quartieri di diverso degrado, alcuni veri e propri ghetti sociali. La propensione alla trasgressione, ormai norma, non fa che contribuire alla formazione di infiniti egoismi individuali. L’arte oggi capovolge il significato della rappresentazione. L’arte e la cultura contribuiscono ad alimentare divisioni, anziché costituire esempi nei quali la società nel suo insieme possa identificarsi. I liberisti esaltano il valore del pluralismo. Sembra loro sfuggire che oltre una certa soglia di entropia la società si dissolve, o comunque si fa problematica. I particolarismi che si organizzano non sono sinergici ma antagonisti. Per dirla in altre parole nella società contemporanea quasi nulla è condiviso, si chiamino valori o interessi, prevalgono gli egoismi comunque mascherati e giustificati. Lo sport, la cui positività era fino a qualche decennio fà, fuori discussione, oggi è inquinato da lucro e fanatismo, in suo nome si scatenano scene di guerriglia urbana, induce il ricorso a dopanti. Ciò che conta è il risultato che si traduce in valore monetario e successo mondano. In tutto questo l’arte ha un ruolo marginale che ha sempre avuto, ma oggi più di ieri è perfettamente allineata alla scala dei “valori” , contribuisce alla parcellizzazione sociale, vedi l’arte di genere, soprattutto è incapace di creare valori condivisibili, perché opera ignorando la storia ed esalta spesso gli aspetti peggiori della realtà. Purtroppo è questo l’uso che artisti e intellettuali fanno della loro libertà.
piergiorgio firinu
Preghiere, formule magiche, arsenico.
L’osservazione di Lenin, a proposito dell’Appassionata di Beethoven , sugli esseri umani “che vivendo in un sudicio inferno riescono a creare tanta bellezza”. Da allora forse le cose sono cambiate, è subentrata la rassegnazione. La capacità di superamento della contraddizione espressa da Lenin “era” una delle prerogative a partire dal compito che Gregorio Magno assegnava all’arte. Nell’Europa occidentale del Medioevo l’efficacia dell’arte figurativa era enorme, paragonabile solo a quella dell’antichità greca. Il libero sviluppo dell’attività estetica coincideva con la funzione sociale e in chiave gnoseologica per la storia mitologica e religiosa. Il modo di fare arte oggi, sembra richiamare per certi versi l’eroe di Voltaire, il quale si vantava di raggiungere risultati mescolando accortamente preghiere, formule magiche e arsenico. Le forme del visibile vengono sottratte all’esigenza del pensiero. Turgenev coniò l’espressione “nichilismo”, che da allora ha fatto molta strada inserendosi nel pensiero politico, sociale, e sopratutto nell’arte, animando l’anarchismo e il populismo. Pavese aveva chiara la situazione che si andava delineando quando scrisse: “ Non ci innamoreremo mai di una di quelle idee per cui si accetta di morire, è chiaro”. Lèon Bloy scrisse una frase diventata famosa: “ L’arte è l’originario abitante parassita della pelle del primo serpente. Qui essa ha preso la sua immensa presunzione e la sua forza suggestiva. Essa basta a se stessa come un dio..” . Anche se capita che l’artista sia spiazzato dalla perfezione della struttura geometrica degli alveari che può assumere forme diverse. Réaumur attribuì alle api le qualità dell’uomo: il dodecaedro romboidale esprimerebbe il senso artistico dell’ape. Forse Pascal, quando pronunciò la famosa frase sulla superiorità dell’uomo in quanto “è un canna che pensa”, non considerò che anche il pensiero può essere automatismo abitudinario. Quando il pensiero è alimentato dall’enfasi antropocentrica rischia di arenarsi nei grandi spazi dei supermercati. C’inventiamo geni che sono grandi solo rispetto alla nostra statura. A Picasso, dopo che aveva visitata una cappella per la quale Matisse aveva realizzato le vetrate, gli fu chiesto un parere. Egli rispose: tutto mi è piaciuto moltissimo, solo che mancava la stanza da bagno.
piergiorgio firinu
Il mito della libertà.
Vi sono espressioni, tratte anche dalla filosofia, che sembrano esprimere idee profonde, mentre in realtà sono banali: “Sii te stesso” . Cosa significa concretamente essere se stessi? Non rimaniamo noi stessi, né fisicamente, tanto meno mentalmente, se non afflitti da disturbi della crescita o della psiche che arrestano lo sviluppo fisico e mentale. Mutiamo nel soma, così come nelle opinioni e nei gusti. Pleonastico lo slogan “ devi volerti bene”, l’amore per se stessi è la cosa più spontanea e diffusa, anche se a volte assume aspetti inquietanti. Più arduo migliorare noi stessi. Nel Peer Gynt di Ibsen, è rivolto l’imperativo categorico “Sii te stesso”, in contrapposizione all’imperativo categorico dei troll: “ ti basti essere un troll”. Possiamo lasciare da parte le riserve che si possono opporre alla formulazione derivante dalle illusioni individualistiche di Ibsen ; il simbolo dei troll potrebbe trovare innumerevoli equivalenti oggi, nell’arte, letteratura, musica di massa. Siamo in preda all’autocompiacimento privo di consapevolezza, verso l’oblio di sè subalterno e artificioso. Si è perso il nesso dell’arte come creatrice di “mondi”, il superamento dell’individualità del soggetto. Scrive Goethe: “ L’arte si guasta nella misura in cui si guastano gli esseri umani”. Di fronte alla situazione dell’arte contemporanea, Aristotele avrebbe esitato ad affermare : “….nell’arte si può ricavare piacere da qualcosa che nella vita sarebbe ripugnante…” Scriveva Lukàcs: “ L’artista produce kitsch perché l’uomo contemporaneo è kitsch e ama il kitsch”. La convinzione di essere liberi è frutto dell’abilità del potere. Un potere soft, diffuso, controlla ogni minimo dettaglio della nostra vita. Ci è consentito fare tutto, salvo che per fare qualunque cosa, occorre denaro. Eccò dunque la catena invisibile che limita la nostra libertà. Lo stesso meccanismo ha inquinato il mondo dell’arte, disumanizzandolo. Scriveva Ortega y Gasset, uno dei primi che rilevò la tendenza di questo orientamento: “ La nuova sensibilità artistica mi sembra dominata da un disgusto per l’umanità….Per il nuovo artista la gioia dell’arte nasce da questo trionfo sull’umano…Perciò è necessario rendere evidente la vittoria e mettere in mostra la vittima sgozzata”. Il percorso prevede deviazioni, sempre restando nell’assurdo. Il pittore fallito Charles-Edouard Jeanneret-Gris, detto Le Corbusier scrisse: “La libertà dell’uomo tende alla pura geometria” . Passaggio verso la disumanizzazione alla quale egli ha contribuito attraverso le sue squallide “unità abitative” , loculi per essere “vivi”. Schopenhauer, partendo da un visione più meditata dell’arte e della architettura, rifiutava drasticamente il geometrismo. Il misterioso percorso che porta alla creazione dei miti contemporanei, sui quali ha scritto Roland Barthes in “Miti d’oggi”, con una panoramica delle modalità con cui nascono i miti nel cinema, musica, pubblicità. Emerge una realtà piuttosto preoccupante.
piergiorgio firinu
La ragione delle cose
Comunemente l’estetica viene interpretata come Eidos, e muta profondamente di epoca in epoca. Mentre non abbiamo difficoltà ad attribuire l’idea di estetica alla forma, meno spontanea l’attribuzione al pensiero. E’ tuttavia evidente che il pensiero precede la creazione della forma. I canoni che utilizziamo per interpretare la realtà, mutano nel tempo, ma non possono essere annullati. Il velleitarismo delle avanguardie, a partire dal secolo scorso, non ha annullato i canoni, li ha sostituiti. L’arte di oggi è appresa nelle Accademie, esattamente come ieri, anzi molto più di ieri. E’ inevitabile che ogni processo creativo segua un metodo, cioè un canone. Se anche la nostra percezione muta la stessa visione della natura e il nostro rapporto con essa, oggi residuale, la nostra visione è filtrata, interpretata dal pensiero. Secondo Diderot: “La natura non fa niente di scorretto. Ogni forma che sia bella o brutta, ha la sua causa, e tra tutti gli esseri esistenti non c’è n’è uno che non sia come deve essere” . E’ noto che l’enfasi di Diderot fu ridimensionata da Goethe. Il quale corresse …”come deve essere”.. con “come può essere.. “. Espressione che richiama Leibniz con il suo “il migliore dei mondi possibili”. Il modo come noi vediamo il mondo e ciò che contiene non è frutto di reale conoscenza, ma una visione superficiale distratta, di abitudine radicata. I greci, posero le basi della civiltà occidentale, perchè cercavano le ragioni della realtà che vivevano. Dalla loro ermeneutica nascono non solo filosofia ed arte, ma anche il linguaggio. Il mito era la fonte principale in cui trovare la ragione alle cose, la narrazione era affidata alla poesia, alla tragedia. La narrazione dell’origine di costumi e finanche di oggetti ed opere d’arte s’intrecciava con la storia. Nella XII Pitica, Pindaro narra l’origine del suono del flauto: “ La dea Atena era così profondamente impressionata dal lamento di Euriale, sorella di Medusa, che non potè far altro che fissarlo. Sentì il bisogno di dare al lamento una forma fissa, oggettiva. Questa impressione travolgente, straziante, del dolore espresso come lamento fu “rappresentata” mediante la melodia auletica o meglio: come melodia auletica. Il lamento fu trasformato in arte, in capacità, nel suono del flauto, in musica”. Atena ha, per così dire intrecciato il lamento del dolore in melodia, in arte. La cultura greca è ricca di “invenzioni” capaci di creare le forme della nostra sensibilità, se solo avessimo mantenuta la capacità di coglierne gli stimoli con i quali produrre pensieri capaci di alleggerire le ambasce quotidiane.
piergiorgio firinu
Fantasia prêt-à-porter.
Abbiamo in altre occasioni affrontato il tema della palese inadeguatezza culturale di molti artisti contemporanei. Cosa s’intenda per inadeguatezza è ovviamente opinabile, certo non solo la cultura cosiddetta libresca o la conoscenza tecnica, anche se entrambe le materie sono necessarie, non sono sufficienti. A trarre in inganno vi è l’accresciuta scolarità di massa che fornisce l’apparenza, l’incipit, potremmo dire, del sapere. Le forme di produzione generalmente aride e tecnologiche, limitano al minimo la manualità, caratteristica che ha sempre contraddistinto il fare arte. Si aggiungano forme e riti della vita quotidiana, lontani da ogni forma di naturalità, la struttura stessa delle città. Le conseguenze sono gli usi e costumi che si manifestano nello svago, nell’abbigliamento, nei rapporti sociali. Tutto concorre a produrre attrito psicologico. Il nutrimento mentale che si trae dall’ applicazione allo studio e dalla lettura, non ha un grande spazio. La stessa fantasia viene ridotta e condizionata, fin dalla più tenera età i bambini sono assorti dall’uso della play station, la loro fantasia fornita pronta all’uso. Si dissolve ogni inventività naturale che caratterizzava i giochi dei nostri nonni. Avviene progressivamente l’annullamento dell’individualità, i giochi tecnologici sono prodotti in massa, usati in massa dai giovanissimi, e non solo. La socialità diventa una forma di astrazione, priva di consapevolezza sulla realtà oggettiva, si agisce e si pensa attraverso stereotipi socio- linguistici. La capacità di “gestire” autonomamente il proprio spazio mentale, azione che presume capacità di concentrazione, si perde. Quelle che crediamo essere nostre scelte, in realtà sono risposte condizionate sotto l’impulso d’induzioni più o meno sublimali. La Pop Art, la povertà delle forme espressive contemporanee dell’arte, sono evidente conferma del nostro assunto. I panegirici della critica non mutano i fatti. L’artista si ritrova suo malgrado ad agire nell’alveo di una cultura omologata, sotto i condizionamenti del mercato e del “vistoso mondano” . La rinuncia al pensiero individuale si traduce in rinuncia all’individualità. Non resta che il dominio dell’apparenza, di ciò che non è naturale, se non nella sua inevitabile essenza. Il materialismo domina incontrastato la società contemporanea che ha espulso dal materialismo la definizione di “storico” ed ha accettato tout court il materialismo. L’arte, diventata ancella del pensiero unico, s’incarica di illustrare il contingente senza ideali.
piergiorgio firinu
Le asine di Saul.
A prescindere da religione e morale, è ancora possibile supporre che esista una interiorità negli esseri umani? Il carattere formale dell’opera d’arte è situata in un medio che, dovrebbe, riflettere valori posti tra soggettività e oggettività. La soggettività ha, per così dire, carattere privato, mentre l’oggettività è l’atto che la ragione compie prendendo una distanza dalle cose per meglio osservarle. Il pensiero, precede l’azione realizzatrice dell’opera, la soggettività dell’essere umano, per dirla in altro modo, parte da ciò che egli ha dentro. L’opera d’arte è il medio che realizza una sintesi armonica tra soggettività e oggettività, tra apparenza ed essenza. Nella storia dell’arte ogni creazione è legata, nei suoi elementi essenziali, al momento storico in cui è prodotta. Una natura morta di Chardin, per esempio, non rappresenta soltanto un insieme di determinati oggetti, ma soprattutto il modo in cui alla metà del XVIII secolo il borghese francese viveva il suo ambiente. Basta confrontare un’opera di Chardin con una natura morta olandese del XVI secolo o con opere di Courbet o Cézanne per leggere nella forma di ciò che è rappresentato, delle trasformazioni storiche avvenute. Se in ogni opera d’arte l’hic et nunc è ineliminabile, significa che l’artista è influenzato dalla società che rappresenta. Non è compito della critica e filosofia dell’arte indagare i processi psicologici, ma è legittimo chiederci quale influenza avrà avuto su Francis Bacon la sua vita alquanto “disordinata” . E’ senz’altro vero che il giudizio riguarda l’opera e non l’autore, ma in questo modo si da per scontata la discrasia tra operare e pensare. Diceva Goethe: “l’uomo più insignificante può essere completo se si muove entro i limiti delle sue capacità e abilità; ma anche i bei meriti sono oscurati , annullati e distrutti se viene meno quella preposizione indispensabile “. Quindi s’imporrebbe un ritorno alle origine, la pittura come lavoro artigiano, manuale, senza pretese di trascendenza e rappresentazioni dell’inconoscibile astratto. Bacon usa la sua capacità tecnica per descrivere il suo inferno interiore. La pretesa universalità dell’arte, già contraddetta per altri versi, trova qui il limite nella soggettività. Dunque l’enfatizzazione di molti artisti si conferma, anche per questa via, una semplice operazione commerciale. Viene in mente Goethe. Nella replica finale Meister Friedrich apostrofa così il protagonista: “mi sembri come Saul, il figlio di Kis, che andò a cercare le asine del padre e trovò un regno”. Non pochi artisti contemporanei si trovano nelle stesse condizioni. L’opera d’arte è, o meglio era, il paradigma della perfezione. Una cosa fatta a regole d’arte era cosa perfetta. L’arte è allegoria che trasforma il fenomeno in concetto. Abolita la regola, l’arte diventa un manufatto come tanti. Ė questo, per concludere, il percorso a ritroso dell’arte priva di spinta interiore dell’artista, ignora la tecnica, rifiuta l’estetica. Tutto è affidato ai sofismi di una critica raramente padrona dei propri strumenti.
piergiorgio firinu
Quotidiano immaginato.
La cultura come strumento per creare l’immaginario, oppure cultura come percorso d’interpretazione del reale? Si attua un’automatica distinzione tra chi produce cultura e chi ne fruisce anche se resta indefinito il sostantivo “cultura”. La società di massa, in tutta evidenza, ignora l’augurio di Bertolt Brecht: “beato il popolo che non ha bisogno di eroi” . Gli eroi del nostro tempo sono attori, calciatori, cantanti, miti effimeri. Questi personaggi sono oggetto di “scoop” sulla loro vita sessuale e/o finte provocazioni che danno pretesto ai media per pagine di gossip. Questa pseudo cultura, nella sua assillante ripetitività, incide sulle masse, determina comportamenti e favorisce la trasgressione a cui non è estranea, anzi ne è parte principale la cosiddetta “cultura alta”. Il pensiero creativo sembra arenarsi in una contingenza banalizzata. La società diventa un amalgama di fenomeni sui quali nessuno ha controllo. Naturalmente ci sono campi intermedi molto diversi. Per esempio molti termini della propaganda vengono avvolti ,di proposito, in un’aurea emotiva di ambiguità. Diventa difficile distinguere tra realtà e vita quotidiana, soprattutto sotto l’aspetto psicologico, anche per i fraintendimenti evocativi del linguaggio. Qui va inclusa la tendenza generale dell’arte, che tende ad estrapolare dalla realtà, particolari la cui eccessiva evidenza risulta deformante. L’arte dovrebbe contribuire al bisogno di dare un senso all’esistenza umana. Invece sembra che l’arte si sia di fatto estraniata dalla struttura sociale, e dai grandi temi che erano il filo conduttore dell’arte classica. Se Eschilo interpretò il passaggio dal matriarcato al patriarcato, oggi non c’è un Eschilo capace di interpretare, non solo con richiami sessuali banali e pesanti il percorso a ritroso dal patriarcale al matriarcale che pure è in atto. Lo sviluppo svilito del pensiero si è lasciato alle spalle il mondo poetico e concettuale di Lucrezio e Dante e tutti i creatori di mondi accessibile all’immaginazione semplice. Anche l’immaginazione naturale ormai inaridita, ha bisogno di additivi visivi, l’unica possibilità rimasta è la fuga dalla realtà mediante tecnologia. E’ evidente la falsificazione del rapporto tra soggetto e realtà. Abbiamo capovolto il famoso detto di Protagora, secondo cui l’uomo è misura di tutte le cose nel loro essere e nel loro non essere. Le cose, il possesso, sono la misura dell’uomo per quello che ha e per quello che non ha. Una deriva forse inarrestabile perché l’illusione di onnipotenza che la tecnologia ci offre, insieme all’incapacità di contrastare le pulsioni più degradanti variamente giustificate, tanto che alla fine sembra che nulla sia più importante del nostro piacere.
piergiorgio firinu
Subconscio come alibi
Il rapporto delle persone con l’arte ha sempre offerto alimento alla costruzione di miti sull’inconscio; lo stesso Kant ha avuto cedimenti in questo senso. Come spesso accade nella storia del pensiero, usiamo termini senza stabilirne con chiarezza il significato reale. Cos’è l’inconscio? Psicanalisi, psicologia, psichiatria, hanno formulato ipotesi dal costrutto tutto sommato vago. Si può pensare all’inconscio come una sorta di “deposito” di pensieri che ogni tanto emergono? Oppure l’inconscio si riproduce ogni volta che perdiamo il controllo e prevalgono i nostri istinti primordiali? Questa tendenza è riscontrabile già nell’opera di Euripide: Fedra. Fourier, anticipando i tempi vede nella posizione della donna, e quindi nelle forme dell’amore, un criterio per giudicare una civiltà. L’errore consiste nel voler dare consapevolezza alle passioni. L’affermazione di Hume: la ragione è al servizio delle passioni, è in realtà un ossimoro. Non occorre considerare passioni, come fa Hegel, tutte le attività. E’ sconfinato il campo delle passioni, anche se vi è tendenza a sovrapporre il vizio alla passione. Passione e ragione collidono spesso, con buona pace di Hume. Shakespeare in Riccardo III, Gamelin in Les Dieux ont soif, di Anatole France, la letteratura offre una serie di esempi di come le idee sono soverchiate dalle passioni. In questi processi qualcosa di consapevole diventa inconsapevole. Le leggende sull’inconscio esercitano il loro dominio soprattutto nel processo creativo dell’arte, ai primissimi inizi, quando prese forma il mito dell’ispirazione divina, in forma secolarizzata e volgarizzata sopravvive tutt’ora. Dal terreno delle immagini “psicologiche” a quello della realtà. E’ in base a questa “metafisica dell’ispirazione” che all’artista è tutto permesso. Un ermeneutica del sistema complessivo dell’arte contemporanea è materia che esula dalla cultura per sconfinare nella psichiatria. Arte come espressione di autolesionismo. Non si tratta d’inconscio, molto più semplicemente la repressione insita nel nostro modello di civiltà comprime gli istinti, che però non sempre e non totalmente cancella, per cui vi è una sorta di energia carsica primordiale che sempre più spesso esplode in forme e modi imprevedibili. L’arte, come sfogo e terapia, non è sufficiente, la brutta arte è sintomo di un travaglio che, per quanto variamente giustificato, non è, non può essere, cancellato.
piergiorgio firinu
Arte come racconto.
Quando l’arte abbandona la mimesi sedotta da un linguaggio privo di sintassi, inteso come regola, si affida alla improvvisazione. Fino al secolo scorso l’arte ha interagito nella vita della società attraverso la sintesi storica, il racconto quotidiano, pensiamo alle scene quotidiane dipinte dal gruppo degli impressionisti che in qualche modo parlavano della vita delle persone attraverso la consapevolezza della forma. A prescindere dalle influenze dirette e dai risultati tecnici del suo lavoro, l’artista si situa all’interno di un racconto sociale che in qualche caso è destinato a diventare storico. L’ispirazione nasce dall’insieme delle sue esperienze, ma anche dalla cultura che si trasforma in sensibilità. Tale processo del sapere e dell’esprimere umano, avviene attraverso una maturazione millenaria che, pur nella diversità dei soggetti, ha sempre mantenuto una prassi costante. Scheltema, a proposito dell’arte contemporanea, parla di un completo ribaltamento di posizioni, dall’immagine mnemonico visiva all’immagine costruita mentalmente che si limita ad utilizzare oggetti e presumere significati. Viene da parafrasare Antistene il quale osservando un cavallo, urlò a Platone: “ il cavallo lo vedo, ma la cavallinità non la vedo!”. L’osservatore potrebbe allo stesso modo affermare: vedo un oggetto, o un insieme di oggetti, ma l’arte non la vedo. E’ a questo punto che interviene la critica, la quale estrapola significati immaginari attraverso la sovrapposizione di un linguaggio nel quale più che l’ermeneutica agisce la “creazione” sovrapposta. Qui si apre un discorso infinito sulle ragioni della critica, venali, narcisistiche, provocatorie, semplicemente dettate da ansia di partecipazione. Arduo dare una risposta, resta il fatto che il susseguirsi di scritti,mostre, celebrazioni di un certo tipo di produzione artistica, creano un fatto, una realtà oggettiva che si autoalimenta. Gli artisti contemporanei si richiamano ai “maestri del giorno prima” , per loro la storia dell’arte più che dimenticata è cancellata, ridotta ad un orpello della memoria che frena la liberta e l’immaginazione creativa.
piergiorgio firinu
Appunti per una fenomenologia dell’arte.
Il confronto con la realtà non è mai soppresso. La base del confronto è costituita di volta in volta dalle esperienze, il susseguirsi di fenomeni sui quali noi abbiamo solo un controllo parziale. L’azione evocativa dell’opera d’arte consiste nel fermare un frammento di un fenomeno, trasformarlo in metafora e renderlo per ciò stesso evocativo di una riflessione estetica. Va da sè che gli accadimenti che l’esperienza registra sono, in alcuni casi ripetitivi, in altri casi accidentali. Raramente siamo in grado di prevedere e programmare la nostra esperienza, ma solo di affrontarla e viverla nelle evenienze contingenti. Il valore di un’opera d’arte consiste nella capacità di realizzarsi come immaginazione simbolica. L’utopia progettuale dell’arte si manifesta nel riflesso simbolico che inventa e/o trasforma la realtà semplicemente evidenziandola. L’esempio più banale è l’ammirazione che suscita un paesaggio, molto maggiore, in genere, di quanto ci entusiasma un paesaggio reale. La differenza consiste, per cosi dire, nella messa a fuoco di un dettaglio, può essere un albero o un animale. La realtà mediata dalla riflessione estetica che costituisce anche filtro all’inessenziale. Per questo è fallace il termine “illusione” usato spesso nella letteratura estetica. Non si tratta di illusione, ma della creazione di una realtà diversa, una realtà separata ma profondamente vera. Si è passati dall’ingenua ammirazione di fronte alla grande maestria tecnica dei grandi artisti di un tempo, alla negazione creativa dell’arte, costretta a rifugiarsi nei dettagli. E’ noto l’aneddoto di Zeusi, che può essere letto come rivendicazione del diritto dell’arte a realizzarsi come inganno per troppa verità. Ma qual è la realtà della nostra vita? Non è una domanda retorica come appare. Nel romanzo” Una realtà separata” Carlos Castaneda racconta l’esperienza di uno scrittore in una comunità di indiani Yaqui il cui stile di vita ed esperienza reale è ovviamente molto diversa da quella nelle città “civilizzate”. Il percorso di conoscenza si intreccia con l’esperienza spirituale che apre spiragli su abissi di paure ed esaltazioni che non tutti sanno dominare. L’arte è la possibilità di realizzare una sintesi tra conoscenza e sogno, tra possibilità e fantasia. Un dono che,purtroppo, non si apprende nelle Accademie.
piergiorgio firinu
Breve storia di un disastro.
Le finalità mimetiche del periodo magico, nella loro intenzione originaria, non hanno nulla a che fare con l’arte. Scaturiscono spontaneamente e direttamente dalla concezione magica del mondo e si avvalgono della mimesi in funzione evocativa, non hanno riferimenti e intenzionalità estetiche, nel senso che non si propongono di imitare in modo perfetto un uomo, un animale, ma solo darne una traccia. Da questa volontà evocativa scaturisce gradatamente il fenomeno estetico. Il trapasso dalla spontaneità al “mestiere” avviene con lentissima gradualità. Non vi è intenzione di rispecchiamento della realtà. L’evocazione e la realtà restano, seppur contigue, due sfere separate. Questa lenta evoluzione della necessità e capacità di rappresentazione prosegue nei millenni senza mai modificare la sostanza manuale, magica, rappresentativa dell’immaginazione creativa. Gli artisti demiurghi greci erano considerati lavoratori manuali. C’è da sobbalzare pensando alla sublime arte di Parrassio e Zeusi, paragonata all’arte di oggi. Nell’evolversi storico e sociale, quando la religione diventa istituzione, si apre la querelle iconoclasta. La Chiesa di Roma impone la propria visione iconologica nella rappresentazione dei simboli della religione nella pittura . Per questo l’occidente è debitore alla Chiesa di Roma del Rinascimento. Nel 1480 a Firenze c’erano 84 botteghe d’arte e 54 macellerie. Nel momento in cui l’arte diventa un valore patrimoniale si apre un gran mercato. Il maggior sviluppo avviene nei Paesi Bassi dove all’attività pittorica si affiancano altre attività. Primi committenti degli artisti furono sacerdoti e principi, sopravvennero i borghesi che influenzarono l’arte con il loro gusto. Sintomatico che per i dipinti del municipio di Amsterdam si scarti Rembrandt a favore di uno sconosciuto pittore. Con la caduta di gusto dei committenti si creò una sorta di anarchia con inevitabile sovrapproduzione. John Evelyn, collezionista e mecenate inglese nei suoi ricordi parla del commercio di quadri nella città di Rotterdam nel 1641, dove si potevano trovare moltissime opere per lo più a buon mercato. Gli artisti furono costretti a dedicarsi ad altri lavori. Così van Goyen commerciava in tulipani, van de Velde aveva un negozio di telerie, Jan Steen e Aert van de Velde erano bettolieri. Pare anzi che i pittori fossero tanto più poveri quanto più erano grandi. Rembrandt conobbe anche giorni buoni, ma Hals non piacque mai ai borghesi della sua epoca. Anche Vermeer, il grande maestro olandese, dovette lottare con grandi difficoltà materiali. Tutta questa mancanza di gusto spiega, a posteriori, il declino dell’arte che avvenne di pari passo con il crescere della borghesia. La funzione evocativa e simbolica dell’arte fu dimenticata a favore di un’arte decorativa. L’arte assume sempre più valore monetario. La modernità, con il sistema dell’arte mercantile, ha semplicemente istituzionalizzato il commercio, prevaricando l’aspetto culturale. Il denaro come fine. Le avanguardie di fine dell’800, inizio del 900, hanno aggiunto una nota d’ipocrisia. Dal Romanticismo in poi, gli artisti hanno finto di richiamarsi a idee sociali, mentre vendevano ai ricchi borghesi. Altri artisti teorizzavano azioni di rottura, ma erano mantenuti da borghesi . Duchamp, per fare un esempio, non avrebbe potuto fare molta strada se non fosse stato finanziato e sostenuto dalla sua fanatica, forse plagiata, ammiratrice americana, Katherine Dreier fu fra le prime collezioniste che introdusse in USA le avanguardie europee. Un’America ricca e incolta, con il complesso d’ inferiorità nei confronti dell’Europa, di fatto contribuì non poco allo sviluppo di un’arte che si diceva rivoluzionaria, socialista, ma che in realtà era soprattutto opportunista, non aveva nessuna intenzione di distruggere le accademie, ma piuttosto di occuparle. Ed è quanto è avvenuto. Siamo alla storia dei nostri giorni.
piergiorgio firinu
Grammatica della volgarità.
Cosa significa volgarità? Etimologicamente vi è un richiamo al volgo. In realtà nulla è meno vero di questo riferimento. Volgare è il superfluo, eccessivo, il ridondante. In questo senso è volgare la borghesia dell’eccesso. Molta cultura contemporanea che propone accostamenti assurdi. Merleau-Ponty usato per interpretare banali fotografie. Accostamento che può essere utile solo in funzione di pubblicità redazionale. Le opere d’arte sommerse da fiumi di parole, attribuzione di significati impropri. Fotografie e opere d’arte sono realizzate con l’uso di strumenti tecnici, semplici atti compiuti con l’ausilio di macchine. Tutto viene sommerso da un ermeneutica apodittica. Mastodontiche opere in cui è difficile ravvisare una sintassi comunicativa, come le improbabili installazioni di Cildo Maireles al Centro Bicocca di Milano. L’arte, come la vita, nasce dall’ordine. Come scriveva Marcel Kinsbourne, pensare è difficile perché è accidentato il percorso per arrivare alla verità, tanto che molti intellettuali e filosofi hanno rinunciato, preferendo sostenere che la verità non esiste. Roland Barthes sosteneva che la letteratura consiste nella ricerca della parola giusta. Così è per la sintassi dell’arte. L’essenza nell’arte è molto più del risultato, è ricerca. Per questo è sciocca, non vera, l’affermazione di Picasso:”Io non cerco trovo”. Non è la sola sciocchezza del sopravalutato pittore del quale Alexandre Kjève diceva: “ Picasso riesce a fare un quadro solamente una volta su cento in cui mette i colori su una tela” Tuttavia Picasso, sull’onda della mondanità, è diventato un mito, le sue opere sono sottratte a serie analisi critiche, come quelle di Warhol, ma semplicemente celebrate. La volgarità è realtà e sostanza della contemporaneità, così depressa da essere continuamente alla ricerca di miti, affamata di fatuità consolanti anche se improbabili. I miti distraggono, consentono evasioni a buon mercato. E’ interessante leggere i nomi delle cento persone più “influenti” del pianeta” secondo una “importante” rivista. Nel sapere chi “influisce” su di noi dovremmo essere colti da repulsione, se ancora possedessimo un minimo senso critico. Invece accettiamo plaudenti, imitiamo i modelli proposti dai media. Giorni fa un servizio tg interrogava alcune ragazzine dai 7 ai 10 anni, in attesa di vedere Violetta,il fenomeno canoro del momento, osannato dai media. Le loro risposte erano semplicemente agghiaccianti. Di fronte a tali spettacoli è arduo conservare un barlume di ottimismo. La sobrietà è dimenticata, la volgarità è nel cuore e nella mente,sigla della contemporaneità.
piergiorgio firinu
In forma di parole.
In questi ultimi anni si è andata sovrapponendo la visione e utilizzo della scienza nell’arte creando non pochi equivoci. Il rispecchiamento scientifico della realtà infatti, come si può facilmente intuire, è un movimento dialettico nella cui prassi si compenetrano e si confondo empirismo e teoria. La realtà estetica segue invece una strada diversa, essa si fonda sulla società nel suo scambio con la natura e può cogliere e raffigurare la natura con i propri mezzi che esprimono l’apparenza delle cose. Non sempre realtà ed espressione si esprimono in una forma immediata. Tuttavia il rispecchiamento estetico che acquista forma nell’opera d’arte , è una immediatezza estetica sui generis che acquista tanto più valore quanto più si avvale di una linguaggio artisticamente fecondo. La particolarità immediata di ogni comunicazione artistica ha sempre letture a più livelli; dalla mimesi al concettuale attraverso una fruizione ludica o gnoseologica. La realtà non è mai completamente oggettiva essendo sottoposta al vaglio della soggettività ermeneutica. Consentire al fruitore di cogliere il significato, sia pure a diversi livelli, è compito dell’artista. Il rispecchiamento estetico non è mai generalizzabile oltre un certo limite. Il significato che può assumere un particolare iconologico determina la capacità evocativa dell’opera d’arte. La genericità dell’immagine, o dell’astrazione, appiattisce l’opera e la priva di significato conferendole un puro ruolo di neutralità semantica.
piergiorgio firinu
Immaginazione e sensibilità
Qual è l’origine della sensibilità? La cultura si può acquisire, ma in quale misura si può fare altrettanto con la sensibilità? E ancora; cos’è la sensibilità? Non sono quesiti a cui è facile dare risposte. Abitualmente giudichiamo la sensibilità dai suoi effetti, arte, poesia, musica. Riegl contrappone rigidamente il contenuto e la forma. Quindi la difficoltà dell’artista consiste nel tradurre la sensibilità in immagine attraverso una propria ermeneutica della realtà fenomenologica. Si suppone che l’artista possegga un bagaglio culturale e gli strumenti d’interpretazione e rappresentazione delle proprie intuizioni. Un artista di valore, dovrebbe possedere sufficiente carattere e convinzioni che gli consentano di sottrarsi alle tentazioni del facile ricorso alla scorciatoia della provocazione, della mondanità; in breve dal pensiero unico. L’arte contemporanea si è sottratta alla trattazione del contenuto iconografico che implica problemi estetici, ma anche la rappresentazione dell’ontologia dell’essere come si manifesta nella fenomenologia sociale. In linea di principio ciò che viene definita iconologia sociale, non è il semplice riflesso dell’esistente, ma la sua interpretazione. La forma pittorica si è tramutata in cartellonistica. Le espressioni di arte figurativa e mimetica hanno lasciato il posto a un citazionismo da supermercato, non in senso metaforico. Il germe drammatico del conflitto tra cultura e prassi della discontinuità, si è annullato nell’assorbimento mercantile di ogni manufatto che venga presentato sotto il sostantivo “arte”. L’epistemologia dell’arte ha rinunciato da tempo ad esprimere l’intensità espressiva dei particolari di una realtà in divenire. Vi è una sorta di autismo dell’arte. La vera arte dovrebbe esprimersi attraverso una salutare rottura con i riti mondani, dove certo non è presente la vera, concreta, umanità nelle sue espressioni genuine. Si pensi al famoso passo della Poetica di Aristotele: …” come anche Sofocle disse, egli rappresentava gli uomini così come dovrebbero essere, mentre Euripide li rappresentava come sono (Aristotele Poetica 25) L’artista contemporaneo, in massima parte, non si pone il problema. Il suo scopo è provocare e divertire, per questo segue l’applicazione di una pseudo teoria estetica ottusa e senz’anima, reifica e insterilisce la sensibilità e stimola il bisogno di sempre più forti sensazioni nel vano tentativo di riattivare una capacità di percezione assopita.
piergiorgio firinu
Arte di genere
L’individualismo è stato esaltato da molti intellettuali. Michel Foucault sosteneva la necessità di sottrarre l’individuo ai condizionamenti del potere, ha finito per alimentare la finzione di un ribellismo individualistico. Forse mai come oggi si assiste all’annullamento dell’individuo nel gruppo. La formazione di aggregati, le cosiddette tribù metropolitane, con propri codici linguistici, comportamentali e stili di vita, esprimono la tendenza ad escludere chi non fa parte della cerchia. Comportamento che, a ben vedere, rispecchia tradizioni mafiose. E’ accettato tutto da intellettuali e media, con la giustificazione che si tratta di fenomeni di costume. L’amplificazione di comportamenti negativi provoca una deflagrazione con onde d’urto disgreganti. Ovviamente, come sempre accade, ognuno di questi modi d’essere, ha le sue giustificazioni teoriche. Poco importa che non abbiano alcun fondamento, importante abbiano risonanza mediatica. Critiche e giornaliste, privilegiano marcatamente nella loro “pubblicità redazionale” artiste e scrittrici, ignorando i maschi, per quanto è possibile. Nelle priorità seguono tendenze sessuali,appartenenze politiche e generazionali, e addirittura solidarietà tra corregionali, secondo l’antico costume italiano che una modernità superficiale non ha scalfito. Da anni è invalso l’uso di organizzare mostre su base generazionale, che sia cosa massimamente sciocca poco importa alle organizzatrici che si spingono anche oltre. Un numero sempre più folto di critiche e galleriste, organizza programmaticamente mostre riservate ad artiste di sesso femminile. Non siamo in presenza di stupidità individuale, ma a tendenze collettive, supportate da argomentazioni che fanno strame della stessa essenza dell’arte, per definizione linguaggio non discriminante. L’arte è, o dovrebbe essere, espressione di libertà. L’esplosione della tendenza discriminante è stata preceduta da lunga incubazione. Le varie correnti artistiche d’avanguardia giustificavano con argomenti ideologici società di mutuo soccorso tra artisti, che all’epoca potevano anche avere un senso. Molto meno nella nostra era quando raggruppamenti, come il Gruppo63, costituivano una sorta di massoneria, che in effetti ha ottenuto risultati pratici. Solidarietà di questo genere hanno prodotto, tra l’altro, la mercificazione dell’arte, denunciata anche da Camille Paglia, la quale in un’intervista dichiara:” “Oggi il mercato dell’arte è mercenario fino alla nausea. L’arte è trattata semplicemente come un investimento finanziario per acquirenti multimilionari che pensano alle opere come a prodotti morti da comprare e accumulare” . Non mi pare ci sia altro da aggiungere, se non sottolineare la correità di critici, spesso ignoranti o corrotti, pronti e tener bordone ai mercanti. Si costituiscono “correnti” che diventano una sorta di logo più facilmente commercializzabile, per la sinergia che si viene a creare tra gli artisti. Così è stato per la Pop-art, arte povera, transavanguardia, per citare solo alcune “aggregazioni pubblicitarie” del recente passato. Trattasi della deformazione patologica dell’idea romantica delle comunità di artisti come i Nabis, i Fauves ed altri. Vi è poi la tendenza a sostenere che l’arte ha carattere ludico, in tal modo l’artista è esentato dal dare significato al proprio lavoro.
piergiorgio firinu
Perturbazione e annullamento.
Quando parliamo di “primitivo” riferito all’arte, non significa affatto una fase non sviluppata della concessione o addirittura della tecnica artistica, come può essere il caso per gli inizi delle arti figurative. Si tratta, al contrario, di una perfezione formale sentita come tale che non potrà mai più essere raggiunta, la cui base è unità di contenuto e di forma quale non sarà più possibile realizzare nelle successive epoche. Potremmo parlare di perdita dell’innocenza, che è base e stimolo all’arte vera. Marx espresse in più occasioni l’emozione che continua a provocare l’arte dell’antica Grecia, pur in un contesto sociale assolutamente diverso. Wilhelm Worringer sostenne in “Astrazione e empatia” una tesi che si esprime contro la mimesi, ovvero il rispecchiamento dell’artista nella realtà del suo tempo. Questa è una della infinita serie di scritti volti a giustificare quella che, oggettivamente, riflette la decadenza dell’arte fino all’annuncio di Hegel “l’Arte è morta” . Si è spesso ironizzato sull’affermazione di Hegel adducendo la realtà di un’arte tutt’ora presente nella società. Nell’antichità classica l’arte era al centro dell’interesse culturale, aveva una ben definita funzione gnoseologica. Basti pensare a “Studi di Iconologia” di Erwin Panofsky. L’arte è un ponte, un confronto tra l’uomo e il mondo, è espressione dell’istinto della ragione creativa attraverso la quale l’uomo ritrova se stesso e illumina l’origine della propria storia. Non lo può fare, con buona pace della critica prona al mercato, esibendo scatole di Brillo. Così l’inumano si presenta come banalizzazione del consumo, la vita come tale, sentita come perturbazione dell’annullamento nichilistico, l’uomo ridotto a consumatore di cibo, di sesso, di emozione artefatte. Questa concessione dell’arte passa attraverso vari stadi, potremmo dire che segue il percorso dello sviluppo capitalistico borghese. Non è stato solo Worringer a sostenere un’arte “inumana”, è fitta la schiera dei suoi sostenitori ed epigoni, da Paul Ernst, Malraux, Ortega y Gasset. E’ chiaro che, alla luce e con il sostegno di teorie filosofiche nichilistiche, la discesa agli inferi è stata rapida, da giustificazione a giustificazione. La crescente disantropomorfizzazione della conoscenza ha portato a una crescente inumanità, complice una certa idea della conoscenza scientifica. L’allarme è stato lanciato per la prima volta da Biagio Pascal che lo legava alla paura dell’uomo di fronte alla conoscenza di se stesso. “La canna che pensa” ha molta difficoltà a vincere la paura di un confronto con se stessa. L’arte contemporanea si è quasi completamente defilata, la paurosa inumanità del capitalismo ha prevalso. L’artista è un valore monetario, senza gnosi e quindi senza futuro.
piergiorgio firinu
Cervello e tecnologia.
Il dibattito sull’influenza di Internet, che periodicamente riaffiora, appare questione di lana caprina. Tutto il sistema socio-culturale contemporaneo tende alla frammentazione. La società contemporanea ci priva della possibilità di essere in accordo con la natura. Anche gli stoici e gli epicurei vivevano in una società che non volevano accettare, il loro rifiuto non eliminava affatto la loro autonomia. Oggi il discorso è più complesso. Quando Goethe si chiede: “Che cos’è il filisteo? “ Ha in mente precisi riferimenti tra paura e speranza. Ma oggi? Ciascuno di noi ha aberrazioni comuni al genere umano, una propria persona spelonca nella quale vede le proprie ombre. Siamo prigionieri di quelli che Bacone definì: “idola fori”. Pochissimi di noi conoscono gli strumenti che usano. Per gli apparecchi di uso quotidiano gli inglesi usano l’espressione “fool proof” , per indicare un meccanismo che si autoregola. Letteratura, spettacoli, arte, si configurano come presa di distanza dalla natura, in qualche caso in forma di parodia, nel rappresentare gli aspetti umani peggiori. Trova più che mai conferma l’affermazione di Chamfort: “il teatro è la prova che gli esseri umani anziché correggere i propri vizi hanno scelto di celebrarli”. La propensione degli esseri umani a sfuggire la realtà attraverso l’immaginazione e il sogno, risale all’uomo della pietra. Ciò che è cambiato è la natura dell’immaginazione che si riflette nella letteratura, arte e spettacolo. L’uomo contemporaneo vive in stato di inconsapevolezza, un vuoto gnoseologico mascherato dall’uso disinvolto di strumenti di cui non conosce la struttura. Il contadino che usava l’aratro, che si fabbricava la casa e gli strumenti necessari al proprio lavoro, aveva una maggiore conoscenza di ciò che usava. Ciò che vale per gli strumenti vale per il linguaggio che, apparentemente è più elaborato, in realtà i più non conoscono il significato delle parole che usano, il loro etimo. Questa lacuna è facilmente colmata da emozionalità prive di significato. Per Bacone è un grave errore immaginare che il senso possa essere la misura di tutte le cose. Tatto, apparenza, emozione , l’importanza che attribuiamo alla percezione immediata, nuda, dei sensi, ci porta a considerare la ragione un orpello, in questo modo si soffoca la logica si indebolisce l’intelletto. A questo punto diventa inevitabile la domanda: di cosa parliamo quando parliamo di cultura? Perché mai affrontare il “noioso” esercizio della lettura quando basta collegarci a un motore di ricerca per avere le risposte che cerchiamo? Perché mai studiare l’aramaico, il sanscrito, il greco, il latino, quando basta inventare una forma di comunicazione attraverso la rete, un network, per diventare miliardari, conquistare cioè l’unico, vero idolo del nostro tempo?
piergiorgio firinu
Ingannevoli apparenze
La questione estetica, accantonata dalle avanguardie, si riaffaccia sotto specie di consumo. L’ontologia estetica è di per sè artificiosa, invenzione di una civiltà che si affida alla apparenza e si avvale delle manipolazioni del pensiero estetico ridotto nella forma Camp e Kitsch. L’impropria definizione di Pop Art, riduce il popolare al consumismo. Nulla di più lontano dalla realtà sociale. Abbiamo dato corpo a una quantità di ingannevoli apparenze, diventate produttrici di miti effimeri, icone improbabili di una civiltà alla deriva che potrebbe essere definita la civiltà dell’inganno. Per J.J. Rousseau, “l’uomo che pensa è un animale depravato”. Per Musil la scrittura è contro natura, egli affermava: “ sono nato da una donna, non da un calamaio” (Oggi diremmo da un PC). La difficoltà dell’artista contemporaneo di realizzare qualcosa di davvero significativo, deriva dall’eccesso d’immagini e di comunicazioni. Possiamo risentire la voce di una persona deceduta da tempo. Possiamo vedere, contro la legge di gravità, un corpo risalire sul trampolino dall’acqua in cui si era tuffato. Semplici, puerili, inganni se paragonati alle possibilità che la tecnica ha di creare un mondo virtuale al quale siamo ampiamente assuefatti da cinema e tv. E’ pensabile che tutto ciò non abbia influenze sulla psiche del paradigmatico “uomo della strada”, inconsapevole delle proprie azioni e scelte predeterminate da suggestioni più o meno sublimali. L’arte contemporanea si arrabatta tra ready made, squali in formaldeide, alberi esposti tali e quali, merce dei grandi magazzini, ricostruzioni di intere farmacie, tentativi patetici di mascherare la propria inutile inadeguatezza. La fotografia rappresenta l’appropriazione di frammenti di realtà, che però spesso è costruita. Celebre la polemica sulla autenticità della fotografia di Robert Capa che raffigura un miliziano colpito da un proiettile. L’artista sembra abbia rinunciato da tempo al confronto critico con la tecnica, l’accetta supinamente, in modo acritico. A differenza del pittore che coglie le sfumature del cielo, in qualche caso le crea, interpreta il carattere di una persona attraverso l’espressione del viso. Tutto questo la riproduzione meccanica non è in grado di fare. Le opere dell’arte contemporanea sono per lo più riproduzioni seriali realizzate con strumenti tecnici, la creatività è appannaggio del PC.
piergiorgio firinu
Aporie
Non c’è verità che non richieda assenso. Non si può avere ragione da soli . Di qui il volgersi nel circolo della soggettività come scriveva Droysen. Il critico, prima di scrivere sceglie l’artista o l’opera sulla quale sviluppare la propria esegesi, creando una situazione piuttosto ambigua di assenso preventivo. Ambiguità è ampiamente confermata dall’ermeneutica dell’arte contemporanea. L’estetica nasce come tematizzazione di quelle conoscenze chiare che si manifestano in piena evidenza sensibile. Per Baumgarten l’orizzonte della chiarezza è propedeutico alla distinzione. Venuto meno il senso dell’opera, è stata necessaria una forzatura attuata con la sovrapposizione della verbosità all’oggettività della forma visibile. Così l’ermeneutica si dissolve in frammentati, sofismi e aporie. Gadamer è stato costretto a prendere atto della crisi della filosofia dell’arte, ma ha continuato a confidare che l’ermeneutica potesse prendere il testimone. L’ermeneutica che si è andata configurando, ed ha assunto centralità nel discorso sull’arte, è in effetti fumosa e in larga misura falsa. Il suo fine non è l’interpretazione, ma la giustificazione dell’opera.Per ottenere tale risultato, assembla una serie di elementi estranei all’arte, fa ampio ricorso all’autoreferenzialità. L’ermeneutica del Novecento non è stata capace di fornire corretti apporti conoscitivi a causa del rifiuto aprioristico di definirsi in termini di epistemologia e di gnoseologia. L’approssimazione culturale che ne è derivata, ha contribuito non poco a giustificare ed alimentare le più effimere forme di “ricerca” artistica” sfociate nel desolante panorama dei nostri giorni.Lo sviluppo artistico finisce per negare l’evidenza del sensibile, non tiene conto che non può esistere un linguaggio privato, come non può esistere un’arte privata. L’eccesso di solipsismo porta a soliloqui senza costrutto logico e afflato comunicativo. Anche nell’arte finisce per assumere un ruolo rilevante la gregarietà primaria, che conferma l’affermazione di Nietzsche secondo cui la selezione si afferma per lo più a vantaggio del gran numero, fondamento che ispirerà il pensiero moderno. La cultura non più come processo selettivo, le catene di Markov, e formativo, ma appare un approccio all’ontogenesi della nullità programmata, affiora la volontà di prostrazione. Come affermava Spinoza:” perché gli uomini combattono per la loro servitù come si trattasse della loro salvezza”. L’invisibile mano di Adam Smith costruisce nodi che non sono ravvisabili e lascia la libertà di essere schiavi del denaro e dell’ambizione.
piergiorgio firinu
Produrre non è creare.
E’ diffusa e tuttavia assolutamente impropria l’espressione:” l’artista crea”. L’artista non crea nulla. Creare significa far sorgere qualcosa dal nulla. L’artista si limita ad assemblare materiali diversi, esattamente come l’operaio, al quale infatti era equiparato dall’antica saggezza dei greci. Egli utilizza la materia esistente alla quale da una forma diversa. Colori, tela, marmo, ferro, bronzo, tutti materiali con i quali l’artista da forme per lo più antropomorfe. Il ready made, è una mistificazione, basata sulla presunzione che l’artista, o sedicente tale, si attribuisca la facoltà di modificare lo status di un oggetto semplicemente mutandone la dislocazione. L’inganno è reso possibile, non solo dal degradato clima culturale che caratterizza la nostra epoca a partire dall’inizio del secolo scorso, ma soprattutto dalla complicità di critici, o sedicenti tali, che avvallano azioni di assoluta irrilevanza logica. In origine il ready made era null’altro che una forma di provocazione a cui gli stessi artisti, non attribuivano importanza, in seguito al clamore dei media e al fluire di teorie paradossali, questa forma di adulterazione dell’arte si è diffusa e ha preso piede. La massa, la cui stupidità è alimentata da giornali e TV, ha finito per credere davvero che sacchi di rifiuti, merda e orinatoi fossero una nuova forma d’arte. Il resto è storia di oggi.
piergiorgio firinu
La libertà inizia dal controllo di se.
Agostino, prima di esporre il sistema morale degli antichi (De civitate Dei), premette questa spiegazione: “ Exponenda sunt nobis argumenta mortalium, quibus sibi ipsi beatitudinem facere in huius vitae infelicitate moliti sunt; ut ab corum rebus vanis spes nostra quid differat clarescat. De finibus honorum et malorum multa inter se philosophi disputa rum ; quam quaestionem maxima intentione versates, invenire conati sunt quid efficiat homine beatum: illud enim est finis honorum” . Troviamo lo stesso argomento nella Etica Nicomachea di Aristotele e nella Tusculanae di Cicerone, Plutarco, Crisippo, nelle Ecloghe di Stobeo, nella lettera 90 di Seneca. L’etica dei cinici, stravolta nella interpretazione dei moderni, aveva come obiettivo una vita il più possibile felice, come attestato nei Discorsi dell’imperatore Giuliano. Per raggiunge lo scopo i cinici s’imposero una vita di assoluta essenzialità. Essi consideravano schiavitù il possesso delle cose e l’ansia di potere, in entrambi i casi alla fatica di ottenerle segue il timore di perderle. La rinuncia permetteva ai cinici di raggiungere lo stato di serenità che accomuna questa filosofia al buddismo, e alle antichissime tradizioni Veda. E’ singolare che la civiltà romana contemplasse insieme Trimalcione, personaggio immaginario della letteratura latina, creato da Petronio, detto arbitro elegantiarum, nel suo Satyricon, e la filosofia cinica, sia pur stemperata da eclettismo. Tutto questo ci riporta alla persistente ricerca di dottrine che favoriscono il controllo degli eccessi da sempre presenti nella vita degli esseri umani. Gli antichi filosofi cinici, Antistene, Diogene, Cratete e i loro seguaci avevano rinunciato a tutte le comodità e a ogni possesso. Celebre l’aneddoto di Alessandro il grande che si reca a far visita a Diogene. Fermo davanti alla botte che il filosofo usava come sua casa, chiese: “ Dimmi qual è il tuo desiderio, sono pronto a soddisfarlo”. Diogene rispose: spostati che mi togli il sole. Non chiese altro.
piergiorgio firinu
Democrazia rarefatta
Il discorso sul potere si fa tanto più allusivo quanto più si disperde in definizioni astratte, una sorta di metafisica, un imperio calato non si sa da quale monade, non piuttosto il prodotto della scelta condizionata dal desiderio e dall’ignoranza del pregresso, indifferenza verso il futuro. E’ in questa fantasmatica immaginazione che si concretizza il regresso socio-culturale determinato dal ’68. Come succede con i bambini che mettono al margine del piatto ciò che non piace, così la lettura di “Eros e Civiltà” di Herbert Marcuse è stata selezionata nello stesso modo, come la “Teoria critica” ed “ Eclisse della ragione” di Horkheimer. Sono stati invece accolti in toto “Sorvegliare e Punire” e “Microfisica del potere” di Michel Foucault. Ma le verdure scartate dai bambini sono quelle nutrienti che favoriscono la crescita, come favorisce la crescita la lettura integrale, se pur critica, dei guru del XX secolo. A patto che siano compresi. Quando France Bercu afferma:” in Francia ci vuole un certo coraggio,oggi (1972) per andare contro a Lacan”. Eccò smentite le idee finto libertarie di un discorso culturale che ha per tema la dissacrazione e la libertà. Purtroppo il presente è frutto di quel passato. E’ stato attaccato il potere, non per cambiarlo, ma per conquistarlo. Una volta raggiunto lo scopo ci si trova di fronte alla realtà di un mondo a cui, per esistere e funzionare, non basta l’immaginazione. Né bastano le fumose aporie che tentano di giustificare ciò che ieri si contrastava. Questo accade nella politica come nell’arte. La casta, più o meno occulta degli intellettuali, presi da vertigine d’impotenza, continua a farfugliare soluzioni impossibili, trascurando le radici corrose di una società che, più che in divenire, appare un putrefazione. La loro responsabilità è non essere stati capaci di formare generazioni capaci e consapevoli. Nel campo dell’arte dominano teorie reazionarie che si assommano ad incapacità tecniche. A cosa serve che la borghesia, vecchia e nuova, si sia tolta la giacca, metta i jeans, elegga in Usa un presidente nero il quale, per tema di perdere il consenso, dei “liberals” che lo sostengono, manda una lesbica a rappresentare gli USA olimpiadi di Mosca. Non fa un dispetto a Putin, fa un dispetto all’America. Come in Italia si usa dire..”i problemi sono ben altri…” La borghesia tiene ben saldo il potere vero, quello economico, di fatto grazie ad una ben manipolata globalizzazione, trasferito dagli Stati alle multinazionali i cui vertici non sono certo eletti dal popolo al quale, per consolazione, è concessa libera sodomia, lesbismo, droga, alcolismo pornografia. Il percorso della civiltà inizia nel momento in cui l’istinto si trasforma in ragione. Oggi sembra si sia intrapreso il percorso inverso.
La forma del possibile.
C’è un solo presente, che è sempre, poiché è l’unica forma dell’esistenza reale. Bisogna arrivare a capire che il passato è diverso dal presente, non in sé, ma solo nella nostra apprensione, in quell’apprensione che ha come forma il tempo, in virtù del quale soltanto il presente appare diverso dal passato. Per capire più facilmente la cosa, pensiamo a tutte le scene e a tutti gli avvenimenti della vita umana, cattivi e buoni, felici e tristi, piacevoli e orribili, scene e avvenimenti che nel corso del tempo e nei diversi luoghi, si presentano a noi l’uno dopo l’altro, nella loro più varia e cangiante molteplicità; ma pensandoli come esistenti tutti insieme, simultaneamente ed eternamente nel Nunc stans, mentre solo esiste ora questo, ora quello, così comprenderemo che cosa significa l’oggettivazione della forma esistente. Le opere d’arte migliori, vengono da noi apprezzate soprattutto perché fissano le fuggevoli scene della vita. E’ dal presentimento di questa realtà è nata la teoria della metapsicosi. Ammiriamo la pittura quando in essa traspare la volontà dell’artista di fermare l’attimo. Esattamente l’opposto di quanto fanno molti artisti contemporanei che usano materiali degradati e putrescenti, quasi che la transitorietà della vita non sia ampiamente evidente per ciascuno di noi. Adottano una sorta di tautologia dei cattivi sentimenti. La metafora arte e tempo è molto efficace nel romanzo di Oscar Wilde “Il ritratto di Dorian Gray “. La realtà trasposta nella raffigurazione. Il fascino dell’arte antica era molto sentito da Karl Marx il quale si chiedeva come fosse possibile che opere realizzate in un contesto socio culturale completamente diverso, potessero ancora esercitare tanto fascino. Nell’eccezione migliore potremmo definire l’arte la forma che fissa il possibile, una sorta di utopia progettuale che attraverso il linguaggio dei segni lascia trasparire realtà immaginarie. Il sogno non trova spazio nella realtà contemporanea, la fuga è affidata ad additivi allucinogeni, di cui moltissimi artisti fanno uso. Si è ormai radicata la convinzione che un artista, in quanto tale, deve essere necessariamente sopra le righe, trasgressivo, degenerato. Lo scopo dell’arte non è illustrare la realtà, a questo provvedono cronaca e storia. L’arte non può ridursi a fredde manipolazioni tecniche, né far ricorso alla tecnica. Vi è una camicia di nesso nell’esistenza di ognuno, il tempo che ci sfugge comunque sia utilizzato. La nevrosi dell’artista affretta il passaggio al nulla. Efficace il gioco con il tempo nell’opera di Diderot “Jacques le fataliste” e il suo immaginifico castello.
piergiorgio firinu
Trasformazione.
Lo spazio è la forma con cui si intuisce la materia, in quanto esso è il materiale della forma pura e la materia può mostrarsi solo nella forma. Quando Michelangelo afferma che la scultura è già nel blocco di marmo, dice cosa vera, non solo nel senso da lui inteso. Tutta la materia, essendo collocata nello spazio, ha necessariamente una forma. L’opera dell’artista è un atto di modificazione, ovvero uso e/o unione di più materie. Porre i colori sulla tela, imitare la forma umana, anche quando è trasfigurata come nelle opere di Bacon, rappresentare un dettaglio della natura in un paesaggio, a maggior ragione, quando ci si limita a mettere colori sulla tela creando qualcosa che, solo a posteriori, trova l’avvallo di fantasiose e apodittiche ermeneutiche elogiative. Consideriamo la perfezione delle opere della natura, per esempio la struttura interna degli insetti risulta di tale perfezione che nessun artista sarebbe in grado di realizzarla, soprattutto considerando le millimetriche dimensioni. Così le forme dei fiori, di un fiocco di neve la cui perfezione geometrica è spesso citata. Tutto nella natura non solo ha una forma perfetta, ma è in rapporto con la necessità. Senza dubbio al confronto l’arte non è che un goffo tentativo di costruire forme più o meno rozze, sempre di assoluta inutilità. L’artista non crea, non inventa nulla, semplicemente assembla la materia adattandola all’idea di forma nella quale crede di rispecchiarsi, secondo il grado raggiunto dalla propria sensibilità e capacita di riflessione. Noi conosciamo solo indirettamente e giudichiamo per analogia, un’analogia più o meno aderente a secondo che si adatti all’idea coerente del fare che noi rubrichiamo sotto la voce “arte”. L’artista si rispecchia nel proprio lavoro e conferisce questa capacità di rispecchiamento a chi guarda. Così accade come a Narciso che s’innamorò di se stesso vedendo la propria immagine riflessa nell’acqua, gli esseri umani più o meno colti, finiscono davvero di credere di rispecchiarsi nelle forme dell’arte e si esaltano a tal punto da definire quelli oggetti “creazioni”. In realtà non sono che trasformazione della materia per adattarla alla nostra, spesso sopravalutata, sensibilità. Non c’è artista naturalmente tanto bravo da esprimere e rendere partecipi della grazia di un felino che gioca, se non tentando di imitarne l’immagine.
Dimenticata la lingua d’Europa
Alla morte di Federico il Grande, il suo successore, Federico Guglielmo II licenziò il ministro von Zedlitzande estimatore di Kant, e intraprese una politica culturale reazionaria, restringendo moltissimo la libertà di stampa, e soprattutto le opere di carattere religioso. Il 14 ottobre 1794, subito dopo la pubblicazione della seconda edizione di “La religione nei limiti della pura ragione” , Kant ricevette una lettera del re il quale lo diffidava, minacciandolo di gravi sanzioni, dal continuare a far uso della propria filosofia “ a traviamento e a dispregio di talune precipue e fondamentali dottrine della sacra scrittura e del cristianesimo”. Nello stesso tempo Federico Guglielmo II punì e licenziò il precettore del figlio reo di avere insegnato il latino. Questo episodio può valere come prodromo alla progressiva esaltazione della lingua e della razza germanica che confluirà nella elezione di Hitler. Evidentemente l’esaltazione nazionalistica di Federico GuglielmoII non era consapevole che impoverire la lingua significa impoverire il pensiero, questo vale oggi ancora più di allora, in un’epoca in cui linguaggio e letteratura sono rozzi e semplificati all’eccesso. Il latino è sempre meno apprezzato dagli studenti, docenti dotati di scarsa cultura lo insegnano male, non riescono ad evidenziare l’importanza di una lingua che è alla base della cultura europea. La stessa lingua italiana sembra destinata a diventare ”lingua morta”. E’ stato previsto che la lingua italiana è destinata a scomparire entro l’anno 2300. Predominante è l’inglese, nella versione più rozza e semplificata americana. Nel ‘700 era il latino la lingua della cultura e della scienza. Andando avanti di questo passo, sulla scia della teoria del multietnico, finiremo per adottare i dialetti africani, come già si è elevata a icona l’arte africana, che sicuramente ha valore simbolico per gli africani, ma trasportata in occidente, privata del contesto e della necessaria cultura storica per collocarla nella parabola dell’evoluzione indigena, non ha molto senso, di certo non appartiene alla cultura europea. Dopo avere inquinato le menti con la nostra ossessione mercantilistica e consumistica, gli africani, tra una guerra e l’altra, concorrono alla distruzione dell’ambiente naturale. Uccidono elefanti, rinoceronti, tigri e altri animali in via di estinzione per vendere zanne, corni e pelle ai mercanti d’oriente e d’occidente. È quindi inutile esaltare l’arte e distruggere la natura che è ben più importante di qualsiasi opera d’arte. Chi è incapace di nuovi pensieri spesso inventa nuove parole, come chi non sa inventare nuove forme si avvale del recupero di altre culture. Federico Guglielmo II difendeva in modo rozzo una certa idea di nazione, in modo ancora più rozzo oggi, dopo esserci piegati al verbo anglosassone e del mercato, la “civiltà” si uniforma alla globalizzazione intesa nel senso di rinunciare alla propria cultura. Succede così che millenni di arte e di cultura vengono dimenticati a vantaggio di sgorbi su tele e forme più o meno sgradevoli che l’arte il cui principio ispiratore oggi non è certo la cultura per quando si tenti di asserire il contrario facendo ricorso a spurie teorie.
piergiorgio firinu
La materia oscura.
La realtà ci appare scontata mentre è incomprensibile. Consideriamo valido il principio cartesiano:”Cogito ergo sum”, accostiamolo all’altrettanto celebre affermazione di Pascal: “un nonnulla ci turba perché un nonnulla ci consola”, abbiamo un’idea di come le diverse visioni della natura umana si frantumano in visioni e pensieri diversi La leggerezza della modernità è del tutto apparente. Fu un pensiero ardito e felice quello di isolare ciò che è assolutamente essenziale, la conoscenza intuitiva, e quindi il mondo come fenomeno in generale, dando spazio all’a-priori delle forme del pensiero. Data l’approssimazione culturale di oggi, galleggiamo in mare d’incertezze che non maturano in riflessioni, ma si disperdono in evasioni. La fantasia riesce con difficoltà ad elevarsi oltre il disordinato rumore delle città moderne. L’arte si rifugia in vicoli, si disperde in dettagli di un’esistenza senza scopo. I concetti del possibile, del reale e del necessario producono la forma problematica, assertoria e apodittica di giudizio. Certa critica ha sempre l’orecchio teso all’opinione corrente, ed esprime opinioni prese in prestito. Questo spiega la veloce diffusione degli errori, coloro che per professione presentano le idee, vale a dire scrittori, giornalisti e simili, diffondono di regola una merce avariata, simile al barone di Münchausen, le sue imprese stravaganti come i leoni che abbattendo il divisorio si divorarono l’un l’altro e il mattino dopo il custode trovo solo due code. Letterati e dotti tendono come la tv a piacere al pubblico, trasformando la società in un baraccone da circo nel quale anche il linguaggio, soggetto alla politically correct, definisce umorista ogni buffone, e maestro ogni imbrattatele. Si può derivare l’altezza di un essere umano dalla sua ombra, ben sapendo che muta con il crescere o decrescere del sole? Passiamo rapidamente oltre la realtà, ci affidiamo all’emozione e desiderio. Significato e la multiforme varietà del pensiero non è quasi mai oggetto di riflessione, troppo assorti nella materialità, attratti dalla tecnica che ci soccorre e distrae. Dalla conoscenza astratta siamo tracimati nella realtà virtuale. Il momento essenziale della conoscenza nasconde i fili che mettono in movimento il variopinto teatro delle marionette del mondo del quale siamo soltanto comparse. L’incapacità di conquistare un grado sufficiente di libertà ci lega ad un principio, il metodo con il quale la materia oscura affonda il nostro volere in uno stato desiderante privo di volontà e responsabilità. L’arte non è mai stata necessaria, ma ora rischia di trasformarsi in nullità deviante. “ Veritas filia temporis”.
piergiorgio firinu
Pregiudizio credulo.
Viviamo in un’epoca in cui c’è un eccesso di comunicazione, una finta comunicazione, immagini e parole artificiose sommergono la realtà, creano illusioni. Questo si traduce in entropia, frustrazione della ragione. Droghe, rave party, sessualità di consumo, sono il prodotto di una società dell’apparenza. Coloro che si batterono, si battono, contro il pregiudizio, hanno stravinto, sono riusciti a capovolgere il senso del reale. Tutti, Papa incluso, sono pregiudizialmente contro il pregiudizio. Ma di cosa parliamo quando parliamo di pregiudizio? Cosa significa concretamente “pre-giudizio”? Abolita la verità, ogni credenza diventa pregiudizio. Abolita la distinzione tra fenomeno e cosa in se, ossia la diversità dell’ideale dal reale, resta solo la materia, in cui è incluso il fenomeno umano.” Est quadam prodire tenus”. (Orazio) Si insiste molto sul bene comune, sull’immedesimazione con l’altro. Questo atteggiamento è considerato un aspetto della bontà, termine la cui definizione risulta piuttosto complessa. Più che partecipare al dolore del prossimo, si dovrebbero rimuovere le cause, quando si tratta di mali fisici, la scienza ha il compito di trovare i rimedi, ma nel sociale persino il male è distorto da una lettura ideologica. Per i guasti della natura umana la guarigione è problematica. Nella storia dell’arte si accenna di sfuggita al fatto che la maggior parte degli artisti era afflitto di disturbi della psiche, vittime di depravazioni. Nel considerare le anomalie degli artisti e scrittori, gli atteggiamenti sono di approvazione, di complice tolleranza. Un luogo comune quanto mai sciocco vuole che si distingua l’opera dall’autore, quasi l’opera non fosse frutto dell’intelligenza, sensibilità, e pensiero dell’autore. Al pari di Socrate noi “possiamo chiamare arte alcuna cosa che sia irrazionale”, intuizione diventa esperienza nutrita dalla conoscenza. Per i buddhisti, sono soltanto le opere d’arte “significanti” che possono essere espressioni di attenta osservazione, in alcuni casi, di meditazione. Non tutti coloro che percepiscono con gli occhi i prodotti dell’arte reagiscono alla stesso modo. La vera arte è memoria del segno primordiale. Da ciò si sono allontanate la sofisticherie delle avanguardie afflitte da solipsismo e scarsa cultura. “Ars sine scientia nihil” Queste parole furono pronunciate dal maestro parigino Jean Mignot nel 1398 in occasione della costruzione del Duomo di Milano. Fu la sua risposta a un’opinione che proprio allora cominciava a prendere forma: Scientia est unum et ars aliud”. Certo allora non era prevedibile che l’arte avrebbe usato la scienza in un intreccio in cui l’arte ha finito per soccombere, soffocata dalle forme produttive che si affidano a tecnicismi. Artifizio, che oggi significa inganno, trucco, in origine significava: cosa fatta con arte. Non sorprende che anche l’arte sia stata travolta dalla pressione utilitaristica della modernità. La mancata resistenza si spiega con la mancanza di cultura della grande maggioranza degli artisti ai quali è stato fatto credere che bastasse “l’intuizione” a fare di un idiota un artista. Non è così, ma siccome la questione non è stata tutt’ora chiarita, continua la commedia degli inganni, il palcoscenico è la tomba dell’arte.
Fenomenologia dell’emozione.
Si è diffusa in questi ultimi tempi un’espressione abbastanza ridicola. In riferimento a fenomeni sociali non proprio eclatanti, si dice: “..fattene una ragione..” Un invito alla rassegnazione, incoraggiamento al qualunquismo? Tale espressione sembra legata all’annosa diatriba su ragione ed emozione. C’è forse un po’ di confusione sul significato di “emozione”, si tende, con qualche ragione, ad equipararla alla irrazionalità. Malvagità, masochismo, pedofilia, ninfomania, sadismo, sono vizi o attitudini derivanti dall’abbandonarsi all’emozione? Apparenza ed emozione hanno alla radice carattere effimero. La differenza tra l’uomo e l’animale, consiste nella capacità e libertà di decidere che deriva dalla volontà. Seneca insegna: “ Velle non discitur”. L’animale è sempre motivato dall’istinto mentre l’uomo,gode della libertà di decidere, a patto che non si renda schiavo del presente. Non c’è nulla di più penoso che scimmiottare altri, il cantante, il divo del momento, è la chiara ammissione della nostra nullità, mancanza di rispetto per noi stessi. Non è certo la ragione che induce schiere di persone a radunarsi per vedere il loro “idolo”. Quando l’emotività detta le scelte si approda inevitabilmente alla tautologia: è così perché è così. Purtroppo questo accade sempre più spesso, anche per la femminilizzazione del pensiero dominante. Come può essere interpretata la scelta di un gruppo di donne, critiche, artiste, galleriste, di occuparsi esclusivamente di arte femminile? Accade in Inghilterra a Milano, in USA. L’azione è motivata da scelte di genere? Oppure è una normale azione di marketing, determinata dalla considerazione che il pensiero femminile è dominante? Affiora un uso strumentale dell’emozione che fa perno su un bisogno di rivalsa femminile, che sembra non quietarsi mai. Questa forzatura giova all’arte? O forse certi comportamenti finiscono per mettere in risalto la scarsa importanza che ha l’arte nella società contemporanea, dedita più che altro ai consumi. Si è depauperato tutto un bagaglio di conoscenza e di storia, messo in forse da scelte estranee alla realtà dell’arte. Le scelte di genere sono solo una tra le tante. Cosa accadrebbe se la scienza si affidasse all’emozione? La conoscenza scientifica deve necessariamente far ricorso al metodo, con buona pace di Paul K. Feyerabend. L’emozione può essere equiparata all’effetto placebo. Da secoli si sa che occorre ridurre la componente soggettiva per stabilire una effettiva corrispondenza tra ciò che vorremmo e ciò che possiamo. L’arte si automarginalizza nel momento in cui ritiene di poter impunemente e totalmente essere soggettiva. “E’ così perché è così”. La libera volontà non si trasmette automaticamente al fenomeno. La conseguenza è inevitabilmente dedotta dalla premessa. Il progressivo disfacimento dell’arte contemporanea deriva dall’eccesso di emozione e carenza di motivazioni culturali a cui, piaccia oppure no, è costretto a soggiacere l’istinto creativo del vero artista.
piergiorgio firinu
Approcci alla conoscenza
Molti filosofi hanno sostenuto una teoria in base alla quale è molto difficile conoscere. Vi sono tre gradi di approccio al sapere. Il primo è il conoscere, il secondo è capire, il terzo è collocare la conoscenza in un contesto nel quale assume significato. Gli eschimesi hanno diverse parole per diversi tipi di neve. Quando si parla di multiculturale si tocca un tasto molto delicato che include l’equilibrio tra saperi e costumi diversi. Se una parola può avere diversi sensi, derivanti addirittura dal modo in cui viene pronunciata,sfumature e significato delle tradizioni sono molto difficilmente condivisibili tra culture diverse. E’ stato di recente rilevato che Internet non esime dal progressivo imbarbarimento, o se si preferisce dal ritorno ai primitivi usi tribali dei quali tatuaggi e piercing sono un esempio. Non può essere la cultura tecnologica, per definizione uniforme ad ogni latitudine, a marcare la differenze. Ovviamente è legittimo sostenere che si può tranquillamente buttare a mare la cultura umanistica, come già in gran parte è stato fatto con le cosiddette lingue morte, senza che il progresso ne debba soffrire. D’altra parte già Picasso ed altri artisti del secolo scorso hanno preso a modello sculture e figure africane per realizzare le loro opere. Ma come può l’arte essere metafora di qualcosa di cui ignora significato e senso? Se l’arte africana ha un significato preciso per gli africani, è perché contiene richiami alla loro storia e alle loro tradizioni che noi solo in minima parte conosciamo, comunque non ci appartengono. Una cosa è il rispetto per le tradizioni di altri popoli, preferibilmente dopo averle prima conosciute, altra cosa è farle proprie in modo acritico. I linguaggi si sviluppano in contesti precisi ed hanno precisi significati raramente sovrapponibili. Vi è stata una serrata disputa tra Russell, Frege e Strawson a proposito di enunciati che contengono descrizioni definite. Nessun fenomeno linguistico nasce in forme neutrali prive della componente empirica. Se, come abbiamo visto, gli eschimesi hanno diversi termini per definire la neve, molte lingue africane non hanno alcun termine per nominarla. Il linguaggio è certamente in continua evoluzione, quanto meno è marcata la decadenza della cultura che lo esprime, tanto più l’evoluzione del linguaggio avverrà all’interno della sintassi che gli è propria. Non è un caso che moltissimi termini medici e filosofici abbiano la loro radice nella lingua greca la cui civiltà è stata matrice di cultura e civiltà dell’occidente.
piergiorgio firinu
Il Sogno
All’uomo contemporaneo riesce ancora sognare? Nel II secolo Artemidoro scrisse un libro sull’interpretazione dei sogni. Ma i sogni erano una prerogativa dei maghi. Eliodoro, nato in una nobile famiglia siciliana, destinato a diventare vescovo, finì bruciato vivo nel forum di Achelles. I sogni sono stati argomenti non solo di maghi e poeti, ma anche di filosofi. Non potrebbe la vita essere null’altro che un sogno? Per Kant, ciò che distingue la vita dal sogno è la connessione delle rappresentazioni fra loro secondo la legge di causalità. Vi è una stretta parentela, sostiene Schopenhauer tra la vita e il sogno. Una “realtà” riconosciuta e proclamata dai Veda e dai Parãna che chiamano il sogno “il velo della mãyã” . Platone afferma che gli uomini vivono nel sogno e soltanto il filosofo si sforza di tenersi desto. Pindaro dice: “ Noi siamo tal stoffa/ come quella di cui sono fatti i sogni, e la nostra breve vita / è circondata da un sonno”. Questa frase è stata ripresa da Shakespeare nella sua opera la Tempesta: “ We are such stuff/ As Dreams are made of, and our littlelife / Is rounded with a sleep”. Calderon della Barca era così profondamente preso da questa idea del sogno, che volle farne il soggetto per una specie di dramma metafisico intitolato “La vita è sogno”. I sogni si distinguono dunque dalla vita reale, in quanto non rientrano nella continuità dell’esperienza. Ma cosa mai dovremmo sognare oggi che il cinema con gli effetti speciali crea una realtà (tecnicamente) onirica? Un mondo in cui l’immaginario femminile, dopo il susseguirsi di “rivoluzioni” femministe è sottratto ad ogni possibile immaginazione, anche perché Eros è stato evirato dalla pornografia. Così è preclusa una realtà deludente e forse e per questo in molti cercano il supporto chimico degli stupefacenti, nel disperato tentativo di trovare gli spazi che la mente ha perduto nel labirinto senza uscita di una modernità infelice.
piergiorgio firinu
Leggibilità del mondo
Il linguaggio dell’arte concorre alla leggibilità del mondo attraverso l’uso metaforico della forma che non può prescindere dal significato. Dunque le cosiddette avanguardie storiche non hanno dato alcun contributo alla realtà fenomenica ma, attraverso l’annullamento di senso, hanno condotto il linguaggio dell’arte su un terreno d’insignificanza a tratti giustificata dall’aspetto ludico oggettuale. In logica , il mondo analitico sarebbe rappresentato da Aristotele, che considera da principio i termini come atomi ultimi. Quali sono i termini ultimi del linguaggio dell’arte privata dal contenuto eidetico? Già il Barocco, come quintessenza della controriforma alimenta la decorazione , ghirigori dorati contrapposti all’essenzialità del Gotico. Per quanto possa sembrare affermazione azzardata, è forse il primo passo verso la degradazione dell’arte che abbandona l’essenzialità propria della mimesi, anche quando le devianze simboliche attuano una sorta di sincretismo dei significati. Come già sapeva Vico, anche la “logica della fantasia” presuppone osservanza del metodo, l’aborrito principio contro il cui uso scientifico si scaglia Paul K. Feyerabend nel libro “ Contro il metodo” nel quale delinea una “teoria anarchica della conoscenza”. Sono devianze apparenti, l’anarchia è limitata dalla prassi che porta al sapere. Sarebbe come chi volesse imparare a leggere senza conoscere l’alfabeto. Esattamente quanto è accaduto, e accade, nel mondo dell’arte a partire dalle cosiddette avanguardie dell’inizio del XX secolo. La nozione di progresso, inteso come il costante procedere dall’ignoto al noto, come scrive Hans G. Gadamer, non è attuabile nell’arte chiusa nella camicia di Nesso costituita dai limiti della forme. Gli artisti, dibattendosi per superare questo impasse, hanno finito per rinunciare all’autonomia, assumendo la necessità di commistioni, nei migliori dei casi si sono arresi alla tecnica, più spesso al più elementare non senso spacciato per metafora del presente
piergiorgio firinu
Scetticismo etico
Platone si è trovato spesso ad affrontare quella sorta di scetticismo etico che nella variante più radicale può essere definita di immoralisti. Gli Immoralisti quasi sempre sanno far ricorso a validi argomenti per sostenere le proprie ragioni. A loro favore gioca il fatto che in realtà le loro scelte sono le più comode. Si può sintetizzare in una boutade di Woody Allen: “ i cattivi vanno all’inferno ma si divertono molto di più”. Un altro argomento degli immoralisti è che “nessuno obbliga a fare cose contro la morale” In questo modo sono liquidati secoli di cultura pedagogica. Gli immoralisti hanno inoltre propensioni camaleontiche, la loro posizione teorica è favorevole all’idea di strategie fondate sull’interesse personale che sarebbe razionale, mentre il richiamo a valori etici non lo sarebbe. Di fatto se razionale significa utilitaristico e/o ludico, la tesi è accettabile. Il problema è che non sono considerati gli effetti collaterali. Vi è una sorta di impulso generazionale che si ripete nel tempo. Nell’Atene della fine del V secolo a.C., al tempo della giovinezza di Platone, si pensava che i valori della generazione precedente non andassero trasmessi ai figli i quali avevano perso ogni fiducia nei valori etici dei padri. Nihil novi sub sole. Ma inventare la morale ad ogni generazione significa ammettere che l’etica è di per se transitoria ed offrire pretesti per ignorarla. In realtà,ammesso che l’etica abbia radici nel pensiero umano, non significa per ciò stesso che possa o debba essere ignorata. Sono molti gli aspetti della nostra società frutto dell’evoluzione del pensiero, tuttavia utili alla convivenza civile. Quali che fossero le fonti storiche di Platone è certamente vero che egli considerava le teorie etiche con una serietà e diligenza che hanno pochi uguali nella storia della filosofia a parte Machiavelli e Nietzsche. Nel Gorgia Platone sferra un attacco a Pericle , il democratico più ammirato, che, secondo Platone, come altri democratici lusingava la folla per ottenerne i favori. Questo è stato negato da Tucidide, ma i fatti danno ragione a Platone. La tesi, ripresa da alcuni filosofi contemporanei, secondo cui la morale è questione relativa e privata, non tiene conto del fatto che ogni persona, tanto più quando ricopra cariche pubbliche, nella giustizia, nell’insegnamento, nella politica, agisce in base alle proprie convinzioni. La mancanza di principi condivisi e certi, porta ad un avvitamento a ritroso nel privato come nell’esercizio delle funzioni pubbliche. Anche l’artista che agisce nel vuoto di valori, produrrà opere che avranno come unico riferimento il solipsismo, in definitiva, lo constatiamo oggi, la frammentazione intimistica ha corto respiro e conduce a una deriva prossima all’insignificanza.
piergiorgio firinu
Etica ed emozione
La natura dei giudizi morali è stata uno dei temi centrali della filosofia soprattutto a partire dal XVIII secolo. I razionalisti morali come Samuel Clarke sostenevano che la morale è frutto della ragione, David Hume sosteneva invece che la morale nasce dall’emozione, in tal caso emozioni differenti producono idee morali differenti. E’ questo l’indirizzo prevalente della morale contemporanea, anche per la sempre maggiore presenza femminile nei gangli vitali della società. Johann Jakob Bachofen nel suo libro “Il potere femminile”, pubblicato nel 1861 dimostrò il grande potere delle donne nell’antica Grecia e il dominio delle amazzoni in alcuni antichi paesi. Egli mise in luce la propensione femminile all’indulgenza verso comportamenti etici devianti. Nell’Edipo re di Sofocle , è la stessa Giocasta a dire al figlio Edipo che molti sognano di giacere con la propria madre. Nel percorso verso il relativismo etico si sostiene che è necessario distinguere tra violazione delle convenzioni e violazione della morale, trascurando il fatto che la morale stessa è convenzione atta a consentire il sorgere della civiltà e superare la situazione di “bellum omnium contra omnes” secondo la definizione di Hobbes. Il problema nasce quando le società si sentono relativamente al sicuro e ritengono quindi di poter lasciare libero spazio alle libertà individuali che producono necessariamente entropia sociale. E’ trascurato il suggerimento di Seneca: “ la libertà inizia da noi stessi” Inteso come cura e controllo di sè. L’egocentrismo che domina la società, fa coincidere ciò che è giusto con ciò che piace o torna utile. La cultura si è abbandonata da tempo alla deflagrazione degli egoismi individuali, e li alimenta. Questo stato di cose si riflette in ogni campo, si manifesta nell’arte in forme che non tengono conto di null’altro se non dell’impulso estemporaneo, la cosiddetta “ispirazione”. Dunque viene meno la leggibilità delle opere, per eccesso di personalismo che nega il principio in base al quale l’arte era considerata di “valore universale”. Per giustificare l’insignificanza, si fa ricorso a paralogismi che finiscono per confondere anziché chiarire. E’ davvero sorprendente che, nonostante l’evidenza prodotta dal confronto dell’arte di ieri e di oggi, si prosegua una confusa diatriba su valore e significato dell’arte contemporanea. In tale insistenza la malafede è di evidenza solare
piergiorgio firinu
Liturgia mondana
Secondo Batteux “arte”, e in generale conoscenza, è l’osservanza di regole per far bene ciò che può anche essere fatto male. Vi è una distinzione tra arti meccaniche utili ai bisogni umani, e arti belle, che procurano piacere. Quando, a partire dalle prime avanguardie, si è voluto adottare criteri di provocazione antiestetica, ed è iniziata la commistione nell’uso di materiali e forme diverse di operare, si è finito per arrivare alla rinuncia del “bello”. Il ricorso all’aoristo impedisce di cogliere l’esperienza estetica come un momento eminente della realtà quando si ricorre a objet trouvé che esclude l’interpretazione dell’osservatore perché è imposta dall’ermeneutica decettiva dell’artista e della critica. E’ la complicità della critica a favorire la mistificazione ontologica. Per Gottsched, il principio di imitazione deve essere integrato da un’implicita teleologia. “Essai sur l’origine des connoissances humaines” di Condillac, esce lo stesso anno dei Beaux arts. Il principio trattato è il senso, l’aisthesis, nella forma essenziale che si specializza e ramifica in forme complesse, secondo l’ipotesi della gnoseologia antica, rilanciata dall’epicureismo di Gassendi, e dallo Essay di Locke, recepita da Helvétius e Le Mettrie e contenuta nei saggi di psicologia di Charles Bonnet. L’assunto è che anche il linguaggio dell’arte possa contribuire alla conoscenza ed accrescere la sensibilità in funzione pedagogica. Se l’arte si trasforma in una liturgia della religione mondana, la filosofia diventa pleonastica. La Mettrie definiva l’imbecille “una bestia dal volto umano”. Oggi sarebbe sottoposto alla gogna del nuovo santo uffizio detto politically correct in base al filo conduttore del pensiero unico che impronta di sè la vita contemporanea. Robinet sottolinea quella che dovrebbe essere un ovvietà ma che spesso viene disattesa, vale a dire la necessità che il pensare preceda il fare, la casualità, definita ispirazione dell’artista, non è segno di conoscenza, piuttosto è una fortunata improvvisazione, spesso priva di significato, al più adatta a suscitare emozione ripescando nella memoria individuale reminiscenze indecifrate, e forse indecifrabili, dal momento che anche Freud di fatto ha fallito. Influenzato da Montaigne, il libertino La Mothe le Vayer sosterrà, in “Physique du Prince” : “non c’è creatura tanto bassa che non superi la più alta almeno in una funzione”. La questione è il punto in cui si colloca il superamento. In un paese di ciechi un orbo è considerato di vista acuta. Socrate equipara le virtù al sapere. La bruttezza dell’arte contemporanea deriva da assenza di significato.
piergiorgio firinu
Il Tempo è un Fanciullo
Nella filosofia è stata sempre presente una certa consapevolezza sulla natura umana e le sue reazioni sociali che non inducono all’ottimismo. Nietzsche fece propria l’espressione schopenhaueriana del pessimismo tragico, anche se in seguito cercò di superarne i limiti, e fu forse in questo tentativo che nacque la volontà dell’eterno ritorno. L’orrore del mondo è un problema che torna sempre a riaprirsi. La domanda suscitata dalla filosofia di Leibniz quale malcontento possa esserci se non c’è modo di superare l’ingiustizia. Qualsiasi risposta possibile al problema sollevato da Hegel può lasciare spazio alla convinzione che il problema non esista. In effetti la filosofia indiana affronta i problemi dell’esistenza e del dolore imparando a sopportarli. Più prosaicamente l’occidente, le cui masse desideranti ignorano per lo più il problema di fondo assorte dal consumo e ricerca a volte spasmodica del piacere, ovvero dell’annullamento con mezzi artificiali. Allora viene da domandarci a cosa sono serviti le visioni del mondo, la cura dei dettagli espressi in proposizioni, come la filosofia di Wittgenstein, che alla fine si trovò con questioni personali d’infelicità. Nietzsche era convinto che l’orrore sia alla base di ogni acquisizione umana, e se la semplice filosofia sapienziale dispensatrici di formule di vita è stata disattesa, non hanno raggiunto migliori risultati le sottili analisi formali sull’ontologia e sul linguaggio. Forse è ancora da scoprire il grimaldello con il quale aprire la coscienza umana e portare alla luce la necessità di responsabilità etica. Forse oggi anche Leibniz esiterebbe ad affermare che viviamo nel migliore dei mondi possibili. Eraclito auspicava la necessità di un cambiamento costante e un confronto tra principi opposti. Cosa oggi impossibile, visto che non ci sono principi. E’singolare che due personalità così diverse come Nietzsche e Lenin, nutrissero ammirazione per Eraclito, il quale trovava raramente seguaci, anche perché nutriva assoluto disprezzo per le masse. Sua l’affermazione: “ il tempo è un fanciullo che gioca con i dadi”. La sua oscurità, profonda come il suo pensiero, ha avuta molta risonanza nella storia della filosofia, giungendo fino a Heidegger, ma nei fatti, come gli altri filosofi prima e dopo di lui, non ha migliorato l’umanità. L’essere zoologico finisce sempre per prevalere.
piergiorgio firinu
Linguaggio è civiltà.
Ci sono voluti secoli per dar vita a regole grammaticali, a un linguaggio parlato comprensibile e chiaro. Oggi è in atto una distorsione dovuta in parte a forme linguistiche abbreviate senza rispetto della sintassi, in parte per l’uso di termini gergali, escrementizi, genitali, anche nella lingua scritta. Gli autori si giustificano asserendo che, usano il linguaggio parlato, si realizza un cortocircuito di negatività. Wilbur M. Urban scriveva:” Il significato di ciò che dico è quello che intendo trasmettere, comunicare, a un'altra persona. Ora, le intenzioni sono, ovviamente, intenzioni mentali, dei valori. Significati e valori sono inseparabili”. Questo a maggior ragione vale per il linguaggio dell’arte. Platone sosteneva che le opere d’arte dovessero soddisfare le esigenze dell’anima e quelle del corpo, nel senso di bello, piacevole, formativo. Il sanscrito, una lingua che non manca di termini precisi, usa una sola parola ,artha, per denotare entrambi, il “significato” e “utile”; si confronti la parola inglese force, che può essere usata sia nel senso di “significato” che in quello di “forza di persuasione”. Grande responsabilità hanno gli strumenti di comunicazione tecnologici nel forgiare la mente umana, abituarla all’uso di forme espressive che non sono frutto di virtualità, ma non contengano valori formativi. Wikipedia favorisce la rinuncia a coltivare la memoria, elimina l’utile esercizio dell’apprendimento tramite la lettura. Anche i significati si fanno effimeri. Il valore del sostantivo “arte” fornisce alla cosa interrogata un indirizzo linguistico che non può arenarsi nel ludico, con il rischio di perdere significato. La body-art, ad esempio, tenta, con scarso successo, di attuare un sistema interattivo tra risorse biologiche e risorse culturali. L’intenzione che dare forma all’arte è efficace se interroga se stessa. Propedeutica alla esibizione è la riflessione. Come Iredell Jenkins ha fatto osservare, per l’opinione moderna “l’arte è espressione”, e non ha aggiunto nulla alla dottrina più antica, un tempo universale- greca e indiana per esempio- secondo cui “l’arte è imitazione”. Ma si limita a tradurre la nozione di “imitazione” nata dal realismo metafisico, nel linguaggio e nel pensiero del nominalismo. L’ontologia dell’arte è oscurata dalla immaginazione ermeneutica. La nozione di “imitazione” è stata rifiutata, ma non è stata sostituita da nulla, è rimasta sospesa. L’immaginazione della forma ideale, sostituita da un concetto privo di autonomia linguistica; “idea dicitur imilitudo rei cognitae”. Nel Fedone l’argomentazione per analogia costituisce una prova metafisicamente valida se, e solo se, quella addotta è un’analogia reale. La validità del concetto, o metafora, dipende dal presupposto che il segno comunichi una realtà corrispondente, arricchita dal contenuto riflessivo proprio di una cultura formativa. Il resto è confusa presunzione di artisti che guardano al mercato, incoraggiati dall’odierno sistema dell’arte. Molti artisti fanno venire in mente ciò che scriveva Nietzsche nella sua ultima lettera del 1889 al suo collega di Basilea Jacob Burckhardt, quando già stava sprofondando nella pazzia: “Avrei preferito essere un professore svizzero anziché Dio, ma non ho osato spingere oltre il mio egoismo”. Come sempre avviene quando la mente è preda di diluvi di pensieri incontrollati, difficile distinguere tra ironia, metafora, pazzia. Di certo Nietzsche aveva assimilato da
Schopenhauer un’ idea piuttosto pessimistica del mondo,mentre nutriva grande ammirazione per La Rochefoucauld e Chamfort. Forse la sua pazzia, derivò dalla constatazione dell’impotenza delle parole, quindi la scelta di una via di fuga da una realtà sempre più triviale, che oggi è prossima al parossismo.
piergiorgio firinu
Felicità: cos’è?
Per Platone come per Aristotele, era una verità ovvia che, se per qualcuno è razionale perseguire un certo modo di vita ed essere un certo tipo di persona,che queste cose dovessero condurre a una condizione di soddisfazione personale chiamata eudaimonìa, termine che può tradursi con “felicità”. Oggi abbiamo imparato che non è affatto ovvio, e nemmeno vero, che fare ciò che in definitiva porta alla propria felicità sia una condotta razionale. In più, anche coloro che accettano la verità di simile ipotesi, non intendono la stessa cosa di Platone e Aristotele. L’eudaimonìa non contemplava necessariamente la massimizzazione del piacere, anzi per Epicuro era consigliabile evitare il piacere per non andare incontro alla delusione che sarebbe seguita. Nella Repubblica Platone sostiene che la giustizia è la condizione propria dell’anima. Mentre per Kant la virtù è premio a se stessa. Appare evidente l’uso di termini che non appartengono alla contemporaneità. Ed è vano anche il tentativo di capovolgere il senso ponendoci la domanda : qual è lo scopo della nostra vita? Nell’incapacità di dare risposte, la soluzione scelta dai più è evitare le domande. Oppure affidarci alla scienza che ci spiega la chimica del desiderio, la meccanica delle passioni, la natura genetica dei sentimenti. Il tutto non per capire, ma per giustificare e confondere dal momento che il tutto si riduce alla mitizzazione della libertà senza però le istruzioni per l’uso. Dalla difesa necessaria dalla natura gli esseri umani sono arrivati a forzature totalmente contro natura. Forse in nessun campo come nel rapporto umani-natura vale l’affermazione degli strutturalisti mediata da Nietzsche: non esistono fatti, solo interpretazioni. Accade che qualsiasi forma di manifestazione artistica, sociale, comportamentale, ha come obiettivo la presa di distanza dalla natura, premessa alla libertà, inclusa la libertà di non capire il senso delle nostre azioni. La libertà non è che un nome.
piergiorgio firinu
Vorace feticismo
Se prestiamo attenzione al linguaggio dell’arte contemporanea, ci rendiamo conto che esprime la rinuncia non solo alla sintassi, propria di qualunque linguaggio significante, ma anche all’identificazione ontologica in quanto le forme sono frammentate, rappresentano soltanto fenomeni estemporanei. Diventa quindi impossibile, oltre che inutile, l’ermeneutica, tentare di dare un senso identitario alla fluente produzione, o riciclaggio, di oggetti ad uso e consumo del vorace feticismo contemporaneo, che non ha nulla a vedere con il collezionismo colto e consapevole. Il processo inizia dall’illuminismo che volge in metafora la leggibilità del mondo interrompendo, in nome della ragione, il filo che lega l’uomo alla natura. La distanza rende possibile l’osservazione solo in termini scientifici. La natura è, mai come nella nostra era, contemporaneamente distrutta e studiata nei dettagli. Volatili con anelli alle zampe per l’identificazione. Coccodrilli con videocip. Leoni con il collare elettronico, prigionieri di una scienza che tutto sacrifica a beneficio dell’uomo, mancando puntualmente l’obiettivo. Gli animali, pur chiusi in cattività negli zoo, hanno più spazio della maggioranza degli esseri umani che abitano le città. Gli artisti, rincretiniti dall’abbuffata di modernità, riproducono la miseria umana e il consumo, le loro opere necessitano dei paralogismi della critica per essere “spiegate”. Si moltiplicano i luoghi in cui si assommano sinossi di forme, che hanno la pretesa di esprimere una sorta di sinèddoche della modernità, ma che in realtà sono espressioni di paranoie individuali. Il barocco, è stato l’ultimo connubio di cultura e arte, quintessenza del pathos del libro della natura. La modernità ride di se stessa credendo di far sberleffo a ciò che resta della natura su un pianeta ormai devastato. Rettangoli di mosche morte di Damien Hirst, raccolta di avanzi di Daniel Spoerri, due tra i molti “celebri” e costosissimi artisti espressi dal presente dell’”arte”. Parafrasando Shakespeare l’umanità di oggi può dire: “ Siamo fatti della stessa sostanza dei nostri rifiuti”. Questa non sarebbe di per sé una situazione allegra, diventa tragica, quando, essendo totalmente inconsapevoli,invece di tentare di liberaci dei rifiuti li collezioniamo.
piergiorgio firinu
Rappresentazione Catalettica.
Si consideri il caso di una persona che crede, in base a fatti di grande evidenza, alla verità di una data affermazione, e nonostante tale evidenza ammetta tuttavia la possibilità di sbagliarsi. Se non si sbaglia ciò sembra in relazione al suo stato mentale, capace di dirimere la realtà di una supposta evidenza. Ora immaginiamo l’artista che voglia, attraverso la figurazione di un personaggio interpretarne il carattere, nessuno, a meno di non avere conosciuto intimamente la persona rappresentata, potrà stabilire davvero se l’espressione fisionomica corrisponde davvero al soggetto rappresentato. Se dunque è problematico accertare le veridicità di una semplice espressione, quanta maggiore difficoltà avremo nell’accettare il significato di un’opera che, in astratto, dovrebbe contenere significati multipli e variabili, in ragione dell’interpretazione del singolo osservatore. Anche il solare Platone ebbe a dare un contributo a quel movimento di pensiero chiamato scetticismo. I pirroniani arrivavano a negare che possa esistere qualcosa chiamata conoscenza e per questo motivo criticarono l’Accademia di Platone. Sesto Empiririco, destinato a diventare uno dei più influenti scrittori greci di filosofia, proprio per la sua posizione scettica circa la possibilità della conoscenza. Lo scetticismo fu l’arma di Montaigne, il quale mise in risalto l’incapacità degli esseri umani a pervenire alla conoscenza e la presunzione nel credere di possederla Il problema della conoscenza, riferita all’arte plastica, solleva problemi ancor più complessi. Se consideriamo l’arte esclusivamente come decorazione, o ci limitiamo all’aspetto ludico, come in effetti avviene per molta parte dell’arte contemporanea, il problema gnoseologico non si pone. Ma in questo caso è davvero una imperdonabile dabbenaggine considerare oggetti senza significato opere d’arte. A partire dalle avanguardie dell’inizio del 900, gli artisti hanno iniziato ad accampare la pretesa di usare il linguaggio proprio dell’arte, per affrontare temi e problemi di carattere linguistico e concettuale. Tale pretesa implica una certa definizione del segno come strumento linguistico atto a conseguire un senso definito. Pretesa che mal si concilia con il voler sottrarre l’arte ad ogni giudizio di valore sul reale significato. Si dovrebbe accettare il concetto di “rappresentazione catalettica” , una forma di convinzione indubitabile e oggettivamente infallibile, in termini di rappresentazione. Contro di essa polemizzò Carneade, che cercò di dimostrare che niente garantiva che una rappresentazione avesse caratteristiche di certezza. Va da sè che l’approssimazione culturale imperante oggi, ha bypassato questi problemi per accentrare l’attenzione esclusivamente sull’aspetto formale, variamente giustificato dalla critica, ovvero presentato come evidente.
piergiorgio firinu
L’Occhio del sole.
Nell’arte moderna e contemporanea si riscontra un’approssimazione di forme che si accompagna quasi sempre alla confusione di concetti. Nella migliore delle ipotesi le cose rappresentate hanno un significato estetico, superficialmente naturalistico. Basta l’eccentricità di Piero Manzoni a fare di lui un artista ? In altri casi ci troviamo di fronte all’accenno di superficiali divagazioni linguistiche, ovvero riferimenti mondani che esaltano ciò che fingono di criticare, in un tripudio apparenze. Le motivazioni addotte dagli artisti sono spurie come il significato delle loro opere, nelle quali è stato abbandonato ogni riferimento simbolico proprio dell’arte. Nulla di diverso avviene nella letteratura. Vediamo cioè le cose ,naturali o artificiali, non soltanto come essenze individuali e in questo senso inintelligibili, ma anche come referenti di un presente privo di storia e scarso di contenuti. La deviazione dell’ordine si traduce in cattivo lavoro a cui un’oscura ermeneutica tenta invano di attribuire significati. Il senso originario dell’arte è cessato nel momento in cui la società si è orientata a vivere di solo pane, negando significato a riti e storia, dimentico della realtà e della vita, l’artista non è in grado di rappresentarla. Nella mitologia Vedica “Sole” e “Occhio” sono riferimenti costantemente assimilati. Il Buddha è chiamato “l’Occhio del Mondo”. L’occhio è strumento essenziale della comunicazione con la realtà. Ma l’occhio è soltanto un trasmettitore d’immagini, luogo d’entrata di segni che sta alla mente decifrare. In Ovidio “oculus mundi” è il sole (Metamorfosi) . Tra i significati della parola inglese eye , c’è quello di rotazione, incavo. L’occhio, non la mano è lo strumento vero dell’arte. La visione è collegata al pensiero che la interpreta e la realizza in linguaggio formale. Per realizzare l’arte le idee dovrebbero necessariamente essere immaginate ed espresse, rese “visibili”. E’ sempre più sottile il crinale tra artigianato e arte, con l’aggravante che anche l’artigianato decorativo diventa scandente per insufficiente conoscenza tecnica e ricorso a produzioni industriali di serie. Dal punto di vista moderno l’espressione “trasmissione di sapere” può essere facilmente fraintesa, vista l’ansia dissacrante della modernità. L’importanza accordata all’individualità ha portato a confondere “originalità” con “novità” . Herbert Spinden propone un interrogativo ironico: “In generale l’essere umano pensa o ricorda soltanto?” In realtà, la cultura contemporanea ha rinnegato la tradizione senza sapere con cosa sostituirla. C’è un che di affettato nell’atteggiamento dell’artista e dell’intellettuale moderno che non ha tempo per la riflessione assorbito da parossistica presenzialità. La tecnica s’impara ma per il formarsi di un pensiero, per approfondire la conoscenza delle cose, non ci sono scorciatoie. Wikipedia ci può dire tutto ciò che non sappiamo, ma non ci aiuta a comprendere, a maturare in noi il senso di una realtà nella quale siamo immersi, che spesso subiamo con entusiasmo, senza capirla.
piergiorgio firinu
Opinioni senza giudizio.
Non c’è dubbio che viviamo in un mondo malato. La paranoia della libertà la frenesia edonistica cancellano ogni principio etico. Se risaliamo alla filosofia degli antichi greci, addirittura ai presocratici, rileviamo la visione profetica di Eraclito il quale teorizzava la necessità del cambiamento costante che però immaginava reggersi su principi opposti, in una sorta di equilibrio che la contemporaneità ha infranto. Le teorie di Eraclito vennero accolte da Lenin e riscossero l’ammirazione di Nietzsche che gli si avvicinò di più, condividendo il disprezzo di Eraclito per le masse, infatti il filosofo si curò poco di avere seguaci. Egli disse che il tempo è un fanciullo che gioca con i dadi. Altrettanto esclusiva fu la scuola di Pitagora, nativo di Samo si trasferì a Crotone. La sua scuola praticava una disciplina parareligiosa. Secondo dettami antichi egli considerava pericoloso che il sapere fosse posseduto da individui non adatti. Oggi sappiamo quanto avesse ragione. Ci rendiamo conto che la conoscenza viene usata per deformare la verità, piegarla ai propri fini. Pitagora voleva che si praticasse una disciplina religiosa, ascetica, imperniata sulle idee della purificazione dell’anima. Concetti che oggi sono incomprensibili, estranei alla modernità che ha rinunciato all’idea stessa di verità. Nella nostra elaborazione della realtà, si ha sempre a che fare con un’intera rete concettuale, non con concetti isolabili. Ciò pone la necessità di dover esaminare l’intera massa dei concetti che è difficile controllare contemporaneamente. E’ questo il risultato inevitabile del rispetto delle opinioni, che non si possono esaminare nel loro percorso di legittimazione. Capita che certi ragionamenti siano esposti al peritropo, ossia all’accusa di confutarsi da sè. Sul formarsi delle opinioni ha scritto cose significative Colofone: “Non c’è mai stato e mai ci sarà chi sappia esattamente motivare le proprie opinioni”. Non a caso l’arte e la storia dell’arte sono infarcite di apodismi. Quando l’opinione, democratica espressione del pensiero che non necessita di giustificazione, si fa arte, diventa forma, si sottrae non solo ad ogni valutazione logica, l’arte e la logica non sono parenti neppure alla lontana, ma anche la cultura diventa estranea tanto quanto il senso comune. Per ognuna di queste forme valutative, vi è una scappatoia: la libertà dell’artista. Quello che sembra sfuggire, è che se non sono le categorie culturali a valutare l’esito creativo, unico altro punto di riferimento è il gusto, il galleggiamento improvvisato dell’emotività che la forma può suscitare. Peggio i meccanismi implacabili, ma non razionali, del mercato. James S. Duesenberry, nel libro “Moneta e credito” , racconta che gli abitanti dell’isola di Yap, usano come moneta pietre che non hanno in se stesse alcun valore. Alcune di queste pietre sono troppo grandi per essere trasportate, ma tutti sanno chi ne è il proprietario. Una di queste pietre mantenne il suo valore e continuò ad essere usata come moneta anche dopo essere precipitata in mare, nell’impossibilità di essere recuperata. Questa realtà ricorda le opere chiuse nei caveau delle Banche, negazione della loro funzione di essere ammirate, se ne hanno titolo, e contribuire a cultura e sensibilità.
piergiorgio firinu
Truismi
E’ nota l’affermazione di Michelangelo secondo cui la scultura è nel blocco di marmo, compito dell’artista è liberarla e portarla alla luce. Vale per l’arte ciò che Platone, seguito in questo da Aristotele diceva della filosofia: inizio della filosofia è la meraviglia. Purtroppo l’artista contemporaneo si limita spesso presentare il blocco di marmo, o parallelepipedi d’acciaio, tubi e altri manufatti industriali. La similitudine dei blocchi di marmo, che possono differire per colore e sfumature naturali senza intervento dell’artista, l’arte finisce per essere anonima. Ai frequentatori di fiere dell’arte sarà capitato di attribuire un’opera ad un artista da lontano, avvicinandosi scoprire che era di un epigono. Questo è paradossale, soprattutto perché gli artisti, mai come oggi, sono assillati dall’ansia di essere originali. D’altra parte l’arte di oggi consiste in una confusione tra ontologia, ovvero quello che c’è, e epistemologia, ossia quello che sappiamo. Quello che l’artista realizza, spesso senza consapevolezza, è un forma sofistica di solipsismo. Ogni opera d’arte contiene allo stesso tempo un significato o valore ideale nel suo aspetto formale e espressivo, e un’applicazione o un valore pratico nel suo aspetto materiale; l’armonia tra questi due aspetti determina la qualità dell’opera d’arte. Detto in altre parole l’opera acquista senso nel momento in cui esprime un significato. Il giudizio, come espressione di conoscenza, stabilisce una sorta di “conformità” tra conoscenza ed oggetto. Heidegger sottolinea come deve verificarsi una “riproduzione”, come “Ripetizione” di ciò che si trova nella cosa, come se “ la relazione di giudizio esistesse anche ontologicamente” . Il giudizio non può apparire costretto dalle limitazioni e sovrapposizioni critiche volte ad attribuire all’opera un significato arbitrario. Questo rappresenterebbe un atto decettivo, un inquinamento della valenza cognitiva dell’oggetto, Lens logicum a cui si richiama Scoto. L’asserzione critica è qualcosa che sembra circoscrivere la pura e semplice astrazione, cioè la negazione dell’oggetto così come viene percepito. La tesi di fondo è quella che vede la realtà assicurata dalla adaequatio rei et intellectus. Mentre il voler dirimere il senso al di fuori della cosa oscura la facoltà della mente conoscente. Ogni giudizio, quindi anche il giudizio critico, riguarda l’equazione tra intelletto da una parte e l’oggetto dall’altra. C’è chi sostiene, che l’arte contemporanea deve essere compresa. Ovvietà di pur difficile applicazione se non c’è nulla da comprendere, quando l’artista stesso non conosce il significato di ciò che realizza. La funzione di ogni linguaggio, quindi anche quello dell’arte, è dare significato all’oggetto. Affidarsi ad oscuro solipsismo può essere tollerato nella così detta Art Brut, che aiuta gli alienati mentali a lenire il loro disagio psichico. Purtroppo gran parte del linguaggio dell’arte contemporanea, anonimo e privo di significato, si affida a una improvvisata frammentarietà a cui La critica si affanna ad attribuire un senso con improbabili rimandi ermeneutici molto simili alla metafisica.
piergiorgio firinu
L’arte non è un algoritmo.
Nell’arte non c’è spazio maggiore di quanto vi sia nella scienza per la verità di perfezionamenti espressivi personali; una cosa funziona come comunicazione o non funziona. Il problema vero è che nell’arte non è possibile alcun tipo di verifica. Questo lascia spazio ad ogni ciarlatanesca impresa. Nell’arte medioevale ed orientale, era del tutto eccezionale che l’artista ponesse la propria firma sotto l’opera. La conseguenza era che l’opera veniva valutata in se stessa senza riferimenti a “maestri” che ne condizionassero la visione e usassero la loro firma in logo mercantile. Esattamente il contrario di quanto avviene oggi. L’arte è definita nella Summa Teologica come” la giusta ragione delle cose che possono essere fatte”, ovvero come “il giusto modo di fare le cose”. Espressione di assoluta semplicità che si accorda con la nota espressione “lo stato dell’arte”.L’operazione dell’artefice è innanzi tutto un procedimento razionale, governato più dalla conoscenza che dalla sensibilità. Posizione opposta alla concezione dell’arte nelle teorie femministe. Non che la sensibilità sia esclusa; ma si ama ciò che si conosce. Qui la volontà segue l’intelletto; si impara ad apprezzare ciò che si conosce invece di vantarsi di sapere ciò che piace. Il concetto di arte non è affatto limitato al fare o disporre un certo genere di cose azioni, ma un riferimento alla forma di comunicazione e acquisizione cognitiva. L’approccio estetico all’arte contemporanea, può essere paragonato a un viaggiatore che, vedendo un indicatore stradale, si metta ad ammirarne l’eleganza, poi domandi chi l’ ha fatto, e infine lo abbatta e se lo porti a casa per usarlo come sopramobile sul caminetto. Socrate affermava che: “ non possiamo dare il nome di arte ad alcunché d’irrazionale”. In base alle idee acquisite giudichiamo. Se l’artista rifiuta l’imitazione della natura nel suo modo di esprimersi, dovrebbe preoccuparsi di dare una sintassi al proprio linguaggio formale. Per realizzare una scultura, l’artista deve conoscere il modo di lavorare la pietra o il legno, deve avere la capacità di dare una forma che corrisponda al soggetto pensato. L’artista concepisce la forma prima di produrre l’oggetto. Va da sè che, se eliminiamo i riferimenti, facciamo a meno della tecnica per formale la materia la conoscenza della tecnica per lavorare la materia che si è scelta, tutto è affidato alla casualità. Le idee e l’arte del Medioevo e dell’Oriente, anche al culmine del loro sviluppo, hanno un rispetto per il linguaggio dell’arte che nella nostra era decadente si è perso, insieme alla capacità di trattare la materia con la quale sono realizzate le opere. Se noi osserviamo le opere d’arte contemporanea, anche le più celebrate, ci accorgiamo che sono frammentarie, sono parte di un pensiero inespresso per mancanza di chiarezza progettuale. Le configurazioni dell’arte cubista, come scrive Ananda K. Coomaraswamy, non sono informate dagli universali, ma soltanto un altro sfogo del nostro persistente autoespressionismo. Siamo dunque sempre assorbiti dal solipsismo contemporaneo che ha smarrito il senso di ogni riferimento all’etica della conoscenza teorizzata da Sidgwick, Moore, Ross, Rawls. Abbiamo smarrito lo spirito di libertà consapevole e responsabile. E’ dunque inevitabile che la cosiddetta arte contemporanea, priva di valori di riferimento e contenuti gnoseologici, si disperda in frammenti pleonastici. Arte e critica sono diventate oggetto di parodia per spot pubblicitari.
piergiorgio firinu
L’opinione è giudizio.
Un’opinione costituisce di fatto un giudizio indefinito, ma tale giudizio è la forma iniziale di conoscenza. I mariti gelosi non sarebbero tormentati dai dubbì , non formulerebbero giudizi problematici del tipo: “può essere che mia moglie mi abbia tradito”, se la natura femminile non comprendesse la possibilità di tradire un uomo in quanto atto soggettivo quindi privo di giustificazione logica, ma compiuto per impulso emotivo. La differenza non è nel soggetto, bensì nel predicato,o, più esattamente, nella copula. Il giudizio appare particolare in realtà s’inquadra nella idea comune che una donna o un uomo possono tradire il proprio compagno. Detto in altre parole, anche il giudizio, o opinione, che appare squisitamente soggettivo, in realtà trova la sua giustificazione nel pensare comune. Dunque, quella che appare null’altro che un’ipotesi, si traduce in convinzione e quindi, spesso in azione. In base alla mia opinione esprimo il voto, acquisto un’opera, scelgo un libro. Quindi la mia opinione è premessa a una scelta fattiva, un comportamento. L’opinione si conferma quindi come giudizio: agisco in tal mondo perché a mio giudizio è giusto. Ne deriva che le nostre opinioni, pur motivando il nostro agire, non hanno una base logica, di conoscenza reale sui fattori relativi alla decisione. Questo si traduce in un alto grado di irresponsabilità. Dal momento che la tendenza, in ogni ambito socio-culturale è porre l’accento sulla libertà individuale, della libera opinione, non si dà peso alla scelta soggettiva priva di consapevolezza. Questo accade anche nell’arte. L’artista realizza un’opera in base alla sua scelta, anche se non è chiara a se stesso. All’artista non è richiesta alcuna motivazione reale a partire dalla quale ha deciso di realizzare l’opera. L’opera a sua volta non può essere sottoposta, per generale convenzione, a giudizio di valore. Dunque, il substrato culturale che giustifica l’esecuzione dell’opera, resta nel vago assoluto, si procede per apodismi. Se, per ipotesi, invece di porre l’accento su libertà, o libera scelta, ponessimo l’attenzione sulla conoscenza, ovvero sulle ragioni della scelta, se accettassimo di chiarire il grado di consapevolezza, non limiteremmo necessariamente la libertà, renderemmo solo più logiche le nostre azioni. Di fatto, nonostante tutta la retorica su ispirazione e originalità, l’artista non può sottrarsi ai condizionamenti sociali, anche se in molti casi pretende di interpretarli.
piergiorgio firinu
Natura del segno.
Quando facciamo riferimento all’arte non possiamo richiamarci alle leggi della logica, tanto meno si possono rilevare nelle opere influssi spirituali . Sappiamo che oggi la quasi totalità degli artisti rifiutano i valori estetici. Dunque la domanda è: quale significato assume la forma? In “Le leggi del pensiero e le forme della conoscenza” Lapšin afferma:” la validità delle leggi logiche è limitata solo al conoscibile e non include la creatività propria dell’arte”. Tuttavia l’artista che usa la forma per esprimere concetti, volendo ignorare l’estetica, rischia di cadere nella velleità di un linguaggio immaginifico privo di significato, in quanto è il solo che conosce il codice di decifrazione. L’opera, diventata intellegibile, necessità della sovrapposizione linguistica , ovvero a un ermeneutica che non interpreta significati, li inventa. Noi possiamo pensare ed agire in modi diversi, ma dovremmo essere consapevoli che il segno dell’arte che ne deriva, finisce per differire dalla nostra stessa logica. Vi è infine un altro motivo di carattere non ontologico, ma psicologico, che risiede nella natura psichica di chi agisce. L’arte deve fare i conti con l’assenza di regolarità e di unità sistematica. L’impossibilità di stabilire regole generali, se da un lato contribuisce alla libertà dell’artista libero, tuttavia rende in-significante la sua opera messa in ombra da una sintassi indecifrabile. Per Kant c’è il rischio che l’intelletto resti intrappolato in un incoerente solipsismo. Peirce obietterà che postulare la corrispondenza tra l’uniformità del pensiero e coerenza del segno è compito di colui che rispetta il valore semiotico dell’arte, e permette di distinguere la trattazione logica da quella psicologica, all’interno della forma significante. L’evidente ambiguità semantica che deriva dalla sovrapposizione psicologica e semiotica, rende possibile la pluralità delle definizioni, nessuna delle quali può tuttavia attribuire con certezza un significato. La varietà ermeneutica riferita alla forma non ne modifica il contenuto, sia che esso abbia valenza simbolica o logica, non è possibile mutare arbitrariamente la natura del segno. Erdmann afferma che le leggi della comunicazione sono valide in quando basate sulla decifrabilità. La semplice differenza tra l’immagine reale dell’oggetto rappresentato e l’assenza di coerenza linguistica produce negatività semantica e rende pressoché impossibili percezioni cognitive.
piergiorgio firinu
Limiti della consapevolezza.
Quando usiamo l’espressione “soggettivo” generalmente abbiamo in mente qualcosa di personale, un atto di libertà, una libera scelta. In realtà soggettivo deriva dal greco hypokèimenon – ciò che sta sotto- , dunque un artista che opera in modo soggettivo ignora l’epistéme, -ciò che sta sopra- e accetta il pensiero corrente, adeguandosi. Un testo letterario, un’opera d’arte hanno necessità dell’intelletto per essere apprezzate. Partecipare all’esperienza mentale di un nostro simile è operazione estremamente complessa, richiede notevoli affinità tra individui. Secondo Eraclito ogni cosa è quello che è solo se oppone alle altre cose. Il contrario della soggettività è la ricerca della conoscenza, dell’autentico esercizio mentale astratto, non assorbito dalla realtà apparente, aspetto caratteristico del mondo contemporaneo nel quale la cosiddetta socializzazione di traduce molto spesso in una sorta di annullamento nella massa, adesione ai riti collettivi propedeutici alla creazione di un vuoto mentale nel quale trova facile accoglienza anche un’acritica condivisione formale costituita da stereotipi linguistici e comportamentali. L’arte contemporanea trova la sua ragion d’essere in questo limbo della mente. Senza la coscienza, il problema mente-corpo, diventa irrisolvibile. Le inclinazioni del gusto, non sono più frutto di scelta ispirata da sensibilità, ma soltanto un connubio di emozione e casualità. Si arriva dunque a negare significato logico a ciò che non possiamo comprendere, tanto meno descrivere nel suo significato reale. David Eagleman sostiene che tutto è affidato a una rozza dissonanza cognitiva, dal momento che tutto quello che facciamo, pensiamo, sentiamo solo in minima parte è sottoposto al nostro controllo conscio. Dunque il processo di conoscenza segue meccanismi complessi, una sorta di educazione al pensiero. Ciò che Eagleman descrive, con chiarezza e precisione, senza scivolare in speculazioni prive di riscontri, è la quint’essenza di ciò che le neuroscienze cognitive hanno scoperto. Più di trent’anni fa il filosofo e storico delle idee Hans Blumenberg, senza conoscenza neuro scientifica scelse l’iceberg come metafora della coscienza. L’uomo è consapevole solo in una piccola parte del suo essere, col quale lo studioso identifica la coscienza. La scienza di oggi conferma le intuizioni del filosofo e spiega la ragione per cui è così facile manipolare individui e masse attraverso suggestioni e creazione di stereotipi dei quali il nostro linguaggio è zeppo.
piergiorgio firinu
Ignoranza e libertà
Ha lavorato 21 anni Ernst Bloch prima di dare alle stampe il suo “Il principio di speranza” Nel libro sono espressi dei principi utopici, come il fatto che sottratto alla fatica l’essere umano si sarebbe dedicato all’arte e alla cultura. Nel 1989 quando venne abbattuto il muro di Berlino una vignetta umoristica, era più eloquente di qualsiasi costruzione teorica di Bloch. Nella vignetta era rappresentata una lunga fila di persone che valicavano il muro e si dirigevano, non verso una biblioteca o una galleria d’arte, ma verso un porno shop. Purtroppo sappiamo che la vignetta rappresentava una realtà che avrebbe assunto proporzioni enormi negli anni successivi, fruendo anche dell’ulteriore impulso d’Internet. Ovviamente ognuno ha diritto di avere le proprie idee, ma questo non significa che tutte le idee siano necessariamente valide. Oggi sui media è esaltata la mancanza di talento ed ogni forma di perversione come segno di libertà. Nell’arte come nella vita ci serviamo di conoscenze immediate, utili, apprese disordinatamente che si dimostrano frammentarie e quindi illogiche alla radice. Come scrive Morin, il nostro modo di conoscenza parcellizzato, produce ignoranze globali. Conferma di quanto sosteneva Hans Magnus Enzensberger sull’inconsapevolezza dell’analfabetismo secondario. A differenza dell’analfabetismo di ritorno, che ha dimenticato quanto imparato in età scolare, l’analfabeta secondario rappresenta per lo più una cittadina/no ben integrati, convinti di essere in possesso di buona cultura, spesso riguarda un laureato, addirittura un docente, che ripete anno dopo anno le stesse nozioni ai propri allievi e quindi ritiene di “possedere la conoscenza”. Questi soggetti sanno usare il pc e interpretare il loro ruolo sociale rispettando le regole diffuse, con il giusto grado di linguaggio scurrile, di trasgressione costituiscono quasi un must della comunicazione verbale. Tutto ciò può apparire una scelta, in realtà è un condizionamento, una forma di assimilazione inconscia del pensiero e del linguaggio corrente, fatto di approssimazioni e anacoluti. Nietzsche aveva giustamente profetizzato l’involuzione del pensiero e la sua riduzione a livello di assimilazione e omogeneizzazione sociale. Gli artisti, scrittori, non solo sono permeati dal pensiero unico, ma contribuiscono in modo notevole alla sua propagazione. L’atrofia del pensiero e la sua impermeabilità alla complessità evolutiva rischia di limitare le vie di fuga dalla piatta e volgare realtà nella quale viviamo.
piergiorgio firinu
Il piacere e l’intelligenza
Scrive Ananda K. Coomaraswamy: “ Le cose che uno non possiede o non conosce non può trasmetterle a uno o insegnarle a un altro”. Ovvio vero. In realtà succede che artisti creino opere prive di senso per l’ovvia ragione che non hanno nulla da trasmettere. Non c’è bisogno di dimostrare che da sempre i sistemi di produzione sono disonorevoli e servili nei confronti dell’uomo in quanto tale. Un sistema di produzione che, dagli alimenti all’arte, è dominato dal volere del massimo profitto, finisce per porre il denaro fine a se stesso. Banalità ripetute ma mai corrette. In questo perverso universo di finzioni s’insinua un’ulteriore finzione. Gli operai sono produttori di merci inutili ma vitali se vogliamo che il perverso meccanismo economico da noi creato funzioni. Di fatto si è costituita una nuova forma edulcorata di schiavitù legata al bisogno. Terrificante che gli artisti, non solo non si sottraggono ma partecipano con entusiasmo, adducendo la ridicola scusa del ludico e/o provocatorio. Gli artisti sono privilegiati, ad essi è attribuita una metafisica “ispirazione” . In questo modo, le cose più laide, prodotte o scelte da artisti/te acquisiscono uno status che stimola i feticisti borghesi. La questione non è cosa sia arte e cosa non lo sia. A prescindere dalle banalizzazioni teoriche di Danto, Dickie e compagni, la questione si riduce all’intelligibilità gnoseologica comunicata dalla forma. L’ispirazione è definita nel Webster’s Dictionary come :” un influsso sovrannaturale che rende gli uomini atti a ricevere e comunicare verità divine”. L’enfasi della critica dovrebbe, al di là di elucubrazioni e parafrasi, aiutare a capire in cosa consiste l’ispirazione nel lampadario fatto di tampax della “celebre” artista Joana Vasconcelos. Ovviamente si può andare a ritroso ai celebri barattoli di Manzoni, all’orinatoio di Duchiamp, alle opere dei Dada. Discorsi ormai triti, zittiti dalla preponderanza del mercato che annulla ogni critica e spunto di razionalità. Potremmo prendere in esame il più lungo passo platonico relativo all’ispirazione. “E’ un divino potere che muove una sostanza leggera” . Paul Shorey fu tanto ingenuo da credere di poter scorgere nella concezione platonica di una società fondata sulle vocazioni, un’anticipazione della divisione del lavoro di Adam Smith. In realtà non potrebbero esistere due concezioni più opposte .Nella divisione platonica del lavoro si dà per scontato, non che l’artista sia un tipo particolare di uomo, ma che ogni uomo sia un tipo particolare d’artista; la sua produzione non ha valore venale ma è fruita da tutti. La divisione di Adam Smith invece tira in ballo il denaro come fattore dirimente . Platone, aborriva ogni frazionamento delle facoltà umane. Oggi l’artista è un produttore di merci senza valore, prive di significato e di valenze estetiche. Oggi si può dire con Chuang-tsu che l’artista è un mercenario che lavora esclusivamente per denaro. L’uomo è ciò che fa” . Non si tratta di censura, nè di difendere valori, più semplicemente sarebbe operazione utile smascherare i reazionari che ricorrono a spurie teorie per giustificare la brama di denaro e di successo mondano. Potremmo richiamarci a Popper: “un fatto smentisce cento teorie. Cento teorie non smentiscono un fatto” I fatti sono ciò che vediamo con i nostri occhi, le teorie sono quelle di una critica spesso incolta e prezzolata. Il resto è mercato
piergiorgio firinu
La creatività della ragione.
Cosa rappresenta l’arte oggi? Al di là dei sofismi della critica appare evidente che l’arte annaspa nella ricerca di ragioni ed appare sempre meno plausibile. Le categorie della realtà, ripudiate, costituivano un riferimento di tipo artistico verso la verosimiglianza. L’ordine e la calma erano introdotti nell’arte dall’intelletto. La “proporzione, integrità e chiarezza” del tomismo sintetizzano il rimedio contro gli eccessi romantici che si traducono oggi in cervellotiche argomentazione e parafrasi. Nel Rinascimento si era stabilito un legame tra limitatezza secolare e ragione pagana. Questo però avveniva all’interno di un discorso sulle motivazioni dell’agire compreso in una tradizione che subordinava la fantasia alla ragione, individuata nei suoi ascendenti storici a partire da Vico, passando per Robortello. Un contributo essenziale al controllo della fantasia senza costrutto, può avvenire solo da parte dell’intelletto nutrito di cultura. E’ paradossale che, nel pieno fulgore della democrazia, le arti popolarti sono di fatto messe al bando, sopravvivono nella forma di parodia. Sembra essere diventato incompatibile il binomio semplicità – razionalità, già posta a repentaglio da Hegel e dai suoi discepoli reazionari. Croce riempie di romanticismo reazionario il suo concetto, confuso e provinciale, di “intuizione pura”, il Sturm and Drang. L’idealismo distrugge la dialettica confondendo il reale con la ragione. Goethe tenta l’impossibile recupero di un equilibrio artistico. Il declino dell’estetica è l’inizio del declino della forma artistica che rimuove riferimenti di stile e ragioni di carattere metodologico. Il dibattito che vede protagonisti Lessing, Kant, Schelling, Bergson, Croce, da un lato, Jaspers e Berdjaev dall’altro, non è certo in grado di ripristinare le linee di una cultura che si perde nel vago dibattere, incurante delle forme reali e della semplicità propria degli artisti “artigiani” padroni del loro mestiere, guidati da cultura e sensibilità. L’artificioso dualismo tra estetica ed esperienza, prende a pretesto Platone , ma strizza l’occhio a Hegel, per finire nell’atomismo percettivo di Bergson. La crisi attuale dell’arte deriva dall’incapacità di fare i conti con la decrescita culturale a cui fa da contrappunto la preponderanza tecnica a e mercantilistica. L’antiromanticismo di Nietzsche, che era frutto del rifiuto dei limiti positivismo, si è tradotto nel suo contrario. Così, nonostante la critica kantiana a Leibniz si fondi sulla rivalutazione di gusto e sentimento, l’evoluzione successiva messa in atto dalle prime avanguardie, ha eliminato l’uno e l’altro, aprendo la strada ad un solipsismo creativo privo di basi culturali e di sensibilità estetica. La distinzione tra scienza e poesia, che risiede nella semantica, non nell’irrazionalità, si è andata confondendo. La tecnica ha finito per fagocitare l’arte ormai priva di una vera funzione gnoseologica, ridotta a fare il verso a se stessa in un groviglio ermeneutico privo di riferimenti ontologici.
piergiorgio firinu
Creatività ed Etica
Cos’è la morale? Un insieme di norme che la collettività si è data per tentare di mantenere il rispetto reciproco e consentire il massimo equilibrio sociale possibile. Non c’è dubbio che ignorando la morale si è più liberi perché non si rispettano i vincoli che inevitabilmente la morale impone. Hobbes sosteneva che se gli uomini non fossero malvagi lo Stato non sarebbe necessario. C’è chi ha sostenuto che senza etica non c’è Stato e senza religione non c’è etica. Gli artisti sono spesso indicati come soggetti che non rispettano le regole. In un aforisma Giorgio Manganelli scrive: “Una persona moralmente impeccabile non scrive libri”. Lasciamo a lui questa convinzione, anche se sembra essere opinione diffusa che la trasgressione sia propria dell’artista. Questo non solo è accettato dal pensiero comune, ma in qualche modo esaltato da critici e intellettuali che però non spiegano il nesso tra arte e trasgressione. In una recente recensione di un libro su Guy De Maupassant, dopo avere sottolineato che l’artista era un abituale frequentatore di prostitute, alcolizzato, soggetto a turbe mentali, affetto da sifilide, l’autrice dell’articolo aggiunge, con involontario umorismo: era un uomo che non aveva pregiudizi morali. Se mettiamo un individuo affetto da perversioni di ogni genere di fronte a una tela o a una pagina bianca, creerà un opera o un dipinto in base alla sue capacità o in ragione della propria perversione? E’ senz’altro vero che la mancanza di equilibrio è spesso un fattore che può stimolare la creatività. Ma non per questo si può tout court attribuire alla devianza capacità creative, altrimenti davvero si cade nello stereotipo, nel pregiudizio di segno contrario. Purtroppo è quanto accade. Il risultato è che persone senza arte ne parte vengono apprezzate non per le opere, spesso banali, ma per la loro vita trasgressiva che li trasforma in personaggi. In letteratura accade anche di peggio. Lo dimostra il profluvio di libri pornografici, scritti spesso da donne la cui irrequietezza sessuale è ben superiore al dominio della parola scritta. Oscar Wilde scriveva: “ le opere peggiori vengono scritte con le migliori intenzioni”. Affermazione che oggi andrebbe capovolta. Una critica d’arte di non eccelsa levatura, Catherine Millet, ha scritto un libro sulla sua vita sessuale elencando le centinaia di copule con sconosciuti. A titolo di spiegazione ha affermato di averlo fatto per gelosia verso il suo compagno. In conclusione, ..tra le offese ed i torti che l’arte subisce avvilita dai tristi…dovrebbe essere almeno risparmiata l’accusa di essere prodotto del vizio. Un artista è tale a prescindere dalle sue turbe e depravazioni che forse la natura gli infligge a parziale contropartita della capacità di creare di cui l’ha dotato.
piergiorgio firinu
Immaginazione estetica
La scrittura consiste in una serie di segni che vengono interpretati secondo precise convenzioni. L’insieme di segni dà significato al testo in base all’ordine in cui i segni sono posti. L’arte si avvale di un linguaggio non codificato e fa ricorso alla forma, un insieme di segni che costituisce un significato. L’opera non ha soltanto carattere estetico, ma icnologico. L’artista inventa una forma ma non può esimersi dal dare ad essa un significato. Per la comprensione è necessaria una traccia, un filo conduttore senza il quale cade nel non senso. Sottratta ad una funzione gnoseologica, l’arte si rifugia nel ludico, nel provocatorio. “Il fondamento dell’estetica”, 1960 di Galvano Della Volpe, è nata da una polemica con Benedetto Croce e il romanticismo. La tesi sulla critica dell’Ente come intuizione sensibile. Dopo aver raggiunta il suo culmine con Lessing,l’estetica razionale fu volta da Kant in direzione irrazionalistica, in ragione del concetto dell’autonomia dell’arte. Principio dell’estetica romantica che allontana dalla realtà . La tesi apre un afflato ineffabile e soggettivo, premessa a quanto seguirà negli anni a venire. Anche se non codificabile il linguaggio dell’arte non può essere traslato a semplice gesto. Se prevale il gesto, se l’oggetto è un pretesto, dovrebbe essere buttato subito dopo l’atto. Conservarlo, erigerlo ad icona, è puro feticismo mercantilistico. Il discorso ormai ripetitivo sull’arte contemporanea, raramente si sofferma sulle singole opere. Significativo il titolo di un libro pubblicato recentemente: “ Capire l’arte contemporanea”. Quasi che la produzione artistica costituisca un tutt’uno e risponda ai medesimi input creativi. Viene ignorato il problema ontologico dell’arte, la domanda fondamentale “ Che cosa c’è? “ si tratta di una interrogazione eminentemente estetica. Un seconda versione indugia sul chiasma come presenza noetica. Lambert affronta il connesso valore del temine delle apparenze, mentre Husserl studia la realtà evidente, ampliando le teorie di Hegel sull’esperienza della conoscenza. Ciascuna delle arti, secondo Lessing, è parte di un “Arte” organica. L’unico referente di tutte le arti è il linguaggio logico. L’estetica dell’arte contemporanea, esattamente come l’estetica idealistica e romantica, si fonda sull’ineffabile, su un concetto convenzionale di gusto, una sorta di metafisica della creazione artistica priva di giustificazione razionale. L’alternativa al realismo, della ormai ideologicamente obsoleta avanguardia, è un’estetica della continuità logica che presuppone una seria indagine del linguaggio espressivo rinunciando a scorciatoie. Il segno che rifiuta la convenzione non può contestualmente rinunciare al significato, ovvero richiamarsi ad un significato privo di verosimiglianza. Negare ogni riferente storico significa pretendere di creare un proprio linguaggio senza semantica e base logica, la sintassi dell’espressione non può prescindere dalla intelligibilità.
piergiorgio firinu
Metafisica della stupidità
Un tempo erano chiamati baroni. Ora il termine è un po’ in disuso, in parte per la crescita esponenziale delle discipline universitarie, l’aumento di sedi e di iscritti. Il diritto allo studio è diventato diritto alla laurea. Basta scorrere la storia della scienza e della filosofia per scoprire come un gran numero di studiosi ha espresso il meglio di sè ad un età in cui i giovani di oggi sono fuori corso all’Università. Ecco allora che visto in quest’ottica il problema dei giovani assume un altro aspetto. Gli artisti del passato avevano realizzato capolavori assoluti ad un’età in cui oggi i giovani entrano in Accademia. Come conseguenza di questo stato di cose, ogni tanto qualche università comunica ai media scoperte clamorose. Si va dalla memoria dell’acqua, alla maggiore intelligenza delle donne, all’influenza delle sopraciglia sull’intelligenza. Alcune di queste straordinarie scoperte sono smentite il giorno dopo, ma altre restano in giacenza. Chi paga questa perdita di tempo? Si aggiunga che in Italia, in talune discipline vi è un docente ed un solo studente. Lasciamo stare la triste realtà della strumentalizzazione dei giovani da parte di insegnanti e docenti. Recentemente su un quotidiano è stato recensito un libro scritto da ben cinque studiosi. Argomento: le reazioni cerebrali di chi osserva un’opera di Lucio Fontana, i suoi famosi tagli. Nella realtà ad ispirare Fontana è stato il sesso femminile, come lui stesso mi disse. Egli fu il primo a stupirsi del proprio successo. Lo studio di cui sopra si richiama a fattori estetici che gli artisti hanno ripudiato da tempo. La neuroestetica affronta quindi uno stato dell’arte superato per l’elementare ragione che gli artisti hanno abbandonato l’estetica come criterio artistico. In un delirio d’onnipotenza la scienza vorrebbe spiegare tutto, inclusa la nostra reazione di fronte ad un’opera d’arte, in realtà procede per grossolane approssimazioni espresse con linguaggio tecnico. Le radici del gusto e della sensibilità estetica non sono mai state così diffuse, come fa comodo far credere, ma da almeno mezzo secolo si sono quasi del tutto dissolte. Poco conta che sia aumentato il numero di persone che visita musei, e mostre. La massa è indotta a farsi gregge dalla pubblicità & marketing il cui obiettivo è il profitto, non la cultura. Si agisce nell’ottica delle new economy. Per averne conferma non servono particolari studi, basta entrare in una galleria d’arte, o più semplicemente osservare l’abbigliamento di giovani e meno giovani, ascoltare il linguaggio, la scelta del cibo, libri di successo, spettacoli, tutto conferma la caduta verticale del gusto che artisti e sedicenti tali, accompagnano. Da tempo l’arte è disgiunta da ogni riferimento culturale, vi è una frenetica corsa all’omologazione del nuovo più nuovo. L’artista segue la corrente, il suo principale obiettivo è ottenere che la propria firma diventi logo sopra il quale mettere qualunque cosa.
piergiorgio firinu
Alienazione della forma.
Sostenere che l’arte contemporanea per essere apprezzata deve essere compresa in tutta la sua complessità, è un’affermazione azzardata. Nell’arte di oggi non vi è nulla di complesso, essa é costituita per lo più da rozze semplificazioni. La tesi contraria richiede fede assoluta e gratuita. L’opera d’arte è l’esito finale di un percorso il cui senso deriva dalla motivazione iniziale, la riuscita consiste, non solo dalla attuazione dell’intenzione, ma dalla leggibilità. Quando l’arte perseguiva la mimesi, l’opera era facilmente valutabile dal confronto con la realtà. L’abbandono della estetica mimetica ha aperto un serie di variabili che, se non dominate da chiara motivazione, portano alla casualità, nel tentativo di giustificare la quale, si ricorre alla metafisica dell’ispirazione, termine che come un passepartout introduce a molteplici fantasiose teorie. Platone avversava l’arte plastica perché sosteneva essere fonte d’illusione, quindi d’inganno. L’arte contemporanea è ben oltre l’inganno della visione , essa attua una forma radicale di decezione del significato nella forma, perde ogni reciprocità dialettica, per l’arbitraria separazione tra conoscenza e oggetto. La dissoluzione della razionalità proietta sul linguaggio simbolico dell’arte un distacco da ogni possibilità gnoseologica, annulla nell’arte il percorso di conoscenza. L’alienazione della forma rimuove la necessità logica, necessaria ad ogni linguaggio, incluso il linguaggio proprio dell’arte. Secondo Carnap il metalinguaggio della forma, privata di giustificazione semantica, è resa semplicemente visionarietà. L’ontologia connessa all’uso di qualunque forma espressiva comprende semplicemente gli oggetti che si considerano inclusi in un campo di valori, la cui semantica non può considerarsi implicita. L’arte contemporanea è in maggior parte costituita da frammenti, dettagli, particolari, scritte, strutture elementari, ready made. Anche le opere, per cosi dire finite, rappresentano null’altro che dettagli, segni elementari. E’ questa la ragione per cui la critica non si sofferma quasi mai sul contenuto dell’opera, ma tenta artificiose e improprie esegesi nel tentativo di attribuire al manufatto un significato di difficile individuazione. E’ il vizio d’origine dell’arte. Giovanni Scoto nel libro “Sulle nature dell’Universo” , elenca sette categorie che comprendono le cosiddette arti liberali. Nell’elenco non è inclusa l’arte plastica. La scelta di Scoto avviene sulla scia degli antichi i quali consideravano pittori e scultori, tra i quali artisti del livello di Parrasio, Zeusi, Fidia, come semplici artigiani. Contro la superficiale modernità è in atto una nemesi. Attribuire agli artisti molta più importanza di quanta viene attribuita alle loro opere, ha come conseguenza i deprimenti risultati che sono sotto i nostri occhi.
piergiorgio firinu
Metafisica dell’incanto.
Il bello è qualcosa di sensibilmente percepito, è necessariamente legato alla natura della nostra sensibilità, la quale ha radice nella cultura. Dunque se l’artista nella sua opera ignora la componente estetica, il bello, si richiama esclusivamente alla elaborazione semantica della forma, cessa il nesso con l’arte plastica, abbandona l’ambito della produzione dell’arte con la propria autonomia di linguaggio, invade il campo della politica, critica sociale, filosofia, con conseguenze non sempre coerenti. La bellezza sembra essere considerata banale, scontata. In realtà forse siamo incapaci di comprenderla, accettarla. La polisemia della forma diventa allora null’altro che un pretesto per sottrarci al compito proprio dell’artista di dare autonomia alla propria opera, senza bisogno di cercare motivazioni attraverso cui giustificare il proprio lavoro. Con la pretesa di esprimersi, non in una forma autonoma, ma tramite concetti, l’artista rischia di cadere in una contraddizione reazionaria. La natura del linguaggio, si tratti di critica sociale o filosofia, è soggetta a permanente modifica, perfezionamento, completezza, quello che Roland Barthes definiva: la ricerca della parola giusta. L’opera plastica invece, è per sua natura statica, dunque non modificabile. Il concetto espresso resta immutato nel tempo destinato a diventare obsoleto. In effetti molta arte contemporanea è datata. Tuttavia, man mano che l’arte diventa cervellotica e pretenziosa, sembrano aumentare le ansie di palingenesi socio-politica. I limiti dell’arte contemporanea sono dunque circoscritti da velleità, essa è prigioniera di una sorta di entropia concettuale. Di fatto, dopo altisonanti enunciazioni tematiche, gli artisti finiscono per operare al servizio di Case di moda, condizionati da mercato e mondanità. Resta vera la tesi “l’arte non anticipa i tempi ma li segue zoppicando”. Anche l’impressione del superamento di radici etniche a cui tendono Biennali, Quadriennali, Fiere, non è spontanea, motivata, piuttosto corrisponde alla necessità di essere al passo dei tempi, non tanto di aggiornamenti culturali, più semplicemente di esigenze economiche. L’artista appare rassegnato, sembra aver fatto proprio il cinico suggerimento di Max Weber: “ chi è in cerca di visioni del mondo, vada al cinema”. Non ha più corso la speranzosa sollecitazione di Dostoevskij “la bellezza salverà il mondo!” dobbiamo prendere atto che gli artisti hanno rinunciato da tempo al tentativo di contrastare ciò che di negativo e brutto la realtà esprime, rassegnati a celebrare l’esistente, con sprazzi d’inutile, spesso penosa, ironia. La critica d’arte a sua volta, esalta gli aspetti più esecrabili della natura umana che si esprime attraverso l’arte.
piergiorgio firinu
Narcosi tecnologica.
La narcosi prodotta dall’intontimento tecnologico finisce per deprimere ulteriormente i sentimenti umani. L’influenza è generalizzata a tal punto che anche la sessualità è condizionata. Dal sesso virtuale al sesso funzionale, con la stessa assenza di partecipazione vera, di sentimenti. Il primo approccio è propedeutico al secondo. Che cosa sarebbe la tecnica? Quale sarebbe la sua funzione per una maggiore conoscenza della realtà che non si fermi all’apparenza? In quale misura serve a ad accompagnare l’essere umano nel suo cammino storico. L’animale tecnicizzato perde la sua originalità primaria, procede per sbalzi d’apparenza. Si millanta il progresso che permette di costruire protesi e coadiuvanti mentali che rendono la vita più facile, non certo migliore. Sopratutto non c’è protesi che dia un senso a ciò che siamo, ciò che facciamo. Vi sono compiti che non possono essere affidati ad automatismi, la politica è un esempio, come lo è l’aspetto residuale del lato umano dell’arte. L’orizzonte interpretativo del vivente affidato alla tecnica sterilizza i sentimenti. L’arte contemporanea non è soltanto in larga misura brutta, perché rozza e approssimativa, ma non coglie nel segno, non ha una ragione intrinseca. Tutto ciò che è difficoltoso nel suo superamento posto dalle domande invitabili, viene aggirato. Non ha risonanza interiore. Il predominio della scienza, che molti lamentano non ancora totale, ha la sua unica giustificazione nell’utilità. Ecco dunque che l’utilitarismo diventa l’idea guida. E’ bene ciò che è facile, piacevole, ludico. E’ male ciò che è profondo, inutile, formativo di una interiorità non subito visibile e spendibile sul mercato della scambio perenne, quasi sempre decettivo. Il vivente, come tutto ciò che è diventato oggetto, offrirà e otterrà infinite possibilità di progresso dalla scienza. Quando daremo ai Robot una specie di sensibilità umana, ci accorgeremo che ridono di noi. Siamo completamente sottoposti alla costrizione della tecnica e dell’economia che si espande producendo inutilità necessarie.
piergiorgio firinu
Idea
L’idea come apparire, come la determinazione del conoscibile in quanto tale. Idea come generalità del concetto. Per Filone e Agostino, l’idea rappresenta il pensiero assoluto Idea come autocoscienza,cogito me cogitare di Descartes. Idea come perceptio, il rappresentare che si dispiega per gradi, unito alla volontà,perceptio e appetitus di Leibniz. Idea come condizionato, come principio della ragione teorizzata da Kant. Tutte queste determinazioni sono originariamente unite nell’essenza del sapere assoluto che si media e che sa di essere il compimento non solo di ogni figura della coscienza, ma della stessa filosofia come è stata percepita fin’ora. Se consideriamo l’arte come linguaggio autonomo, a quale di queste forme dell’apparenza dell’idea si ispira? Le torbide fonti dei concetti astratti che attraverso una forma approssimativa pretendono di richiamarsi a concetti filosofici mentre in realtà si frammentano in evanescenze mondane. Apparenze senza costrutto. Per Cassirer l’uomo è un animale simbolico. Ma lo è a prescindere dall’intenzionalità formale del proprio agire? I testi sull’arte sono per lo più cronologici, elenco in sequenza di azioni che diventano autoreferenziali con il depositarsi dell’abitudine sul pensiero smorto di una contemporaneità senza fini. La pretesa ludica non è che un alibi.
piergiorgio firinu
Sensibilità razionale
Il rivolgersi a qualcosa, guardarsi attorno, andare in cerca, esplorare, passare in rassegna. Questo dovrebbe fare un artista anziché astrarsi di fronte a un visore per manipolare una realtà già di per se fittizia. Il fatto di rivolgersi e provare pone in evidenza la capacità creativa che non nasce dal nulla, come si tende a far credere, ma dall’esperire, maturare esperienza che si trasforma in intuizione, un Aspetto della realtà che si fonde con l’immaginazione. E’ contrapposto a componere scripta de aliqua re, cioè comporre precedenti opinioni, per ricavarne quella più ragionevole sopratutto quella che meglio si accorda con la sensibilità comunicativa, ovvero la forma arte. La scienza medioevale della natura, in cui si va in cerca principalmente di essentia in quanto ciò che è reale, cioè secondo Hegel, razionale. L’arte tenta di porre in luce di dare forma a ciò che non è comunemente esperibile. Ma sensibilità e ragione non sono in contrasto, anzi si completano nella creazione di ciò che è reso comprensibile. Il particolare e singolare presupposto di ciò,per quanto possa apparire strano, è l’arte che attraverso la sensibilità diventa razionale e fruibile. E’ pura sciocchezza sostenere che la ricerca si basa sulla sola intuizione o, con termine famigerato, ispirazione. Newton e Leibniz elaborarono un progetto della natura che è posto in continua rivisitazione e completamento, mentre l’opera di Michelangelo ha nutrito per secoli la cultura di moltitudini di sognatori di ogni livello intellettivo e culturale.
Insegna Voltaire
In questi ultimi tempi c’è stata una riscoperta dell’arte “tradizionale”. Anche tra artisti contemporanei vi è un fiorire di mostre di pittura. Karl Friedrich Schinkel, Paul Klee, Graham Sutherland. Sono alcune delle mostre. La Tate Britain di Londra presenta una mostra dei preraffaelliti dal significativo titolo: “ La modernità dei preraffaelliti”. Sembra dunque lentamente farsi strada la consapevolezza dello stato dell’arte, nella sua doppia eccezione. La presunzione delle avanguardie, prese dall’ansia del nuovo, ha cavalcato la modernità nella vaga illusione che la libertà d’espressione fosse di per se elisir di rinnovamento. La critica, o pseudo critica, ha sostenuto la pseudo arte, Capita che uomini privi di talento si associno a persone prive di scrupoli formando sodalizi che per qualche tempo sembrano reggere. E’ nato così l’attuale sistema dell’arte, che però mostra le prime crepe. I pessimisti prevedono un’implosione dell’intero mercato dell’arte non appena un omino disincantato saprà dichiarare che il re è nudo. Per il momento il vecchio e il nuovo si barcamenano con iniziative promiscue tanto nella musica quanto nell’arte plastica. Di sicuro non sarà facile ricreare le condizioni di gusto per l’occhio e per l’udito, organi entrambi compromessi da macchie e rumori. Un aneddoto vuole che per far alzare dal letto il pigro Mozart gli bastasse udire una sequenza di pianoforte che giungesse fino al sensibili omettendo la tonica. Se mettiamo a confronto quella sensibilità gli assordanti concerti di oggi, per non parlare della musica raw, abbiamo un idea di quanto grande è stato il cambiamento di gusto. L’uomo di gusto, diceva Voltaire, ha altri occhi, altre orecchie e un altro tatto rispetto all’uomo volgare. Non è tutta la colpa degli autori i quali mancano come dire di feedback ; una critica sistematica che non si senta obbligata ad inneggiare a qualsiasi innovazione, ma tenti di fare il proprio lavoro con competenza ed onestà. Forse è pretesa eccessiva.
piergiorgiogrio firinu
Il senso smarrito
La tesi banale e decettiva della critica d’arte contemporanea consiste nel sostenere che, solo chi ha adeguata preparazione può comprendere l’arte contemporanea. E’ del tutto ovvio che un’opera d’arte debba essere compresa, problema vero è, se mai, che non c’è nulla da capire. L’ermeneutica dei rozzi manufatti dell’arte contemporanea, pur trascurando orinatoi e barattoli di merda, non è molto impegnativa. Siamo lontani anni luce dalla complessità iconologica indagata da Panofsky, dai dibattiti sulla scienza dei segni, variamente nota come semiotica, semiologia o semasiologia ,dal greco sema = segno. Per la maggior parte degli studiosi d’arte, centro dell’interesse è ,o meglio era, occupato dalla forma e dallo stile. All’epoca di Ruskin, Riegl, Wolfflin, Focillon e del giovane Panofsky, l’analisi del significato rivestiva un’importanza secondaria . Quando Aby Warburg reintrodusse l’antico termine di “iconologia” delimitò una nuova area d’interessi, della quale Panofsky doveva diventare il maestro riconosciuto. Oggi la nube del cattivo gusto e dell’ignoranza si è gonfiata a tal punto da rendere impossibile una seria critica d’arte. Si è creata confusione tra disegni e segni, offuscando i profili della stessa base della critica d’arte. Ove si proponga di trattare tutto come segno, diviene importante, anche se inutile, reinterpretare la terminologia della critica d’arte, aprendo in questo modo uno spazio di sterminata confusione. Etichette degli imballi degli alimenti, la disposizione puramente formale delle bandiere, alterano l’iterazione degli elementi che costituiscono simboli, dei quali si è perso il fascino misterioso, il cui significato è stato dimenticato. La ricerca dell’origine, della conoscenza, non ha più un riferimento sul quale indagare. Tutto è palese, volgarizzato, confuso, tra consumo e la mondanità, che è ormai il vero punto di riferimento. Così anche l’etimologia ha orizzonti brevi, affonda le radici nel contemporaneo, nell’immediato. Un esempio sono i graffiti sui quali c’è chi si arrovella per trovare un significato inesistente. Le opere dell’arte contemporanea non hanno un background, sono immerse nel presente, si affidano a verità laterali, immediate, prive di ogni riferimento culturale di una qualche importanza.
piergiorgio firinu
Gli strumenti dell’arte.
John Ruskin aborriva l’intrusione della scienza negli studi artistici, forse prevedendo ciò che sarebbe accaduto. Anche Heidegger non aveva simpatia per la scienza che considerava stupida. Il vantaggio della scienza è dato dalla sua utilità nella soluzione dei problemi che da sempre assillano l’umanità. Ma quale giustificazione ha la scienza per l’arte? C’è stato chi ha sostenuto che l’arte inizia là dove la scienza si arresta. Oggi sicuramente non è più così. Non è tanto la scienza in quanto tale ad avere un riflesso deleterio sull’arte, quanto piuttosto il fatto che concorre a deviare dalla manualità e formare la mentalità pragmatica. Tanto la scienza vale in quanto utile, tanto l’arte è per definizione inutile. Forse chi sostiene il contrario vede l’arte come fonte di ricchezza e di lavoro per la moltitudine di persone che ormai gravitano dentro e intorno al mondo dell’arte. Rischia di crearsi una gran confusione sulla figura dell’artista che diventa tecnico. Le opere di Bill Viola possono piacere o non piacere, di certo sono opere che inglobano più tecnica che creatività. Gli artisti, o diventano esperti in settori tecnologici o altri settori estranei all’arte, oppure espongono ai tecnici la loro idea, non sempre chiarissima, e saranno i tecnici a realizzarla. L’accezione essenziale per il concetto di arte risulta essere piuttosto confuso. La definizione storica che concepisce l’arte come eidos, come l’immaginazione che prende forma, un’utopia progettuale in continuo divenire, non è più praticata dagli artisti. Il pensiero sembra perseguire la creazione dell’informe. L’artista, nella radura del senso, presume di creare una propria verità. Una sorta di metafisica modernizzata, pervasa dall’ossessione del nuovo ad ogni costo,nel quale la forma è un fenomeno accidentale. Le domande sull’arte poste dai greci in poi, alla ricerca di ciò che accompagna la postulazione dell’esperienza, sono state accantonate. La certezza sensibile, teorizzata da Hegel nella “Fenomenologia dello Spirito” era prima pensata ma non praticata per oggettivi limiti, oggi è rinnegata in nome di una libertà priva di consapevolezza. Il fatto che con Nietzsche la storia della metafisica sia giunta alla fine, secondo Heidegger, non significa che il pensiero logico razionale sia estirpato, al contrario questo pensiero, di cui l’arte è un riflesso libero, resta sullo sfondo nella visione del mondo rappresentata, immaginata, creata, vissuta, per la parte che riesce ad essere accessibile ad ognuno. Riusciamo a presagire la forma dall’esistenza poetica di Holderlin e l’itinerario da brivido di Nietzsche. Il pensiero come filo conduttore seguendo il quale l’artista dovrebbe interrogarsi sul proprio fare. Rinnegare la tradizione esime dal misurarsi con essa, ma non rimuove il problema del dopo, del proseguimento necessario verso una ricerca che abbia un senso. Il suicidio dell’arte avviene per inadeguatezza nell’accettare la sfida.
piergiorgio firinu
Il sole sorgerà ancora?
David Hume scriveva: “ Che domani sorga il sole è un’ipotesi”. La frase è stata ripresa da Wittgenstein nel Tractatus. La scienza, nella migliore delle ipotesi, può prevedere i fenomeni a medio raggio, non può certo impedire che accadano. Conosciamo il passato, o meglio sappiamo che necessariamente deve esserci stato un passato. Conosciamo in parte il presente che viviamo. Il futuro riusciamo solo ad immaginarlo in quanto non esiste. Non siamo sicuri di quanto accadrà domani. Uno dei passi più belli della storia della scienza è la pagina del Fedone di Platone dove Socrate spiega la forma della Terra. E’ il testo più antico che ci sia giunto che parli esplicitamente della Terra rotonda. E’ un’intuizione profonda che contraddice Tolomeo. Ma il frutto dell’intelligenza intuitiva non è conoscenza del futuro. Il futuro diventa gradatamente presente, ogni giorno porta cambiamenti, eventi che non erano stati previsti. Viviamo in un’epoca che ha in gran parte abolito la coscienza etica. Il vuoto è stato colmato dalla frenesia del progresso che include la pretesa di conoscere il futuro e l’accelerazione del tempo tra ansie ludiche e di consumo. Il progresso finisce per ridursi ad un potpourri in cui c’è di tutto. Dalla fiducia ceca nella scienza alla frenesia dei cambiamenti sociali: “ Non sei al passo con i tempi!” Terribile accusa di passatismo. Nella confusione sociale che ne deriva, confluiscono ansie palingenetiche sotto specie di diritti individuali in base ai quali forziamo la natura e snaturiamo i generi, spinti dalla “cultura” della tolleranza, che si traduce nel suo contrario, una forzatura della natura, nei rapporti umani come nelle regole di convivenza sociale. Arte e letteratura, la cultura intesa in senso generale, riflettono e amplificano questo stato di cose. La creazione dell’arte è in realtà distruzione dell’esistente nella apodittica convinzione che il nuovo sia per definizione migliore. Dovremmo, con umiltà, imparare dalla natura, la quale cambia ogni giorno, ogni attimo, sotto un’apparente immobilità. Le foglie degli alberi, che noi vediamo uguali, sono diverse in ogni stagioni, come i fiocchi di neve che non hanno mai la stessa forma pur restando geometricamente perfetti. I continui cambiamenti della natura non azzerano nulla, non distruggono nulla, avvengono in base a una logica che a noi sfugge nella sua profonda necessità logica. Anche ciò che è cruento in natura non è mai gratuito, corrisponde a una inevitabile necessità. Gli esseri umani invece rinnegano se stessi, spinti dalla volontà di azzerare continuamente il passato, restano perennemente irrealizzati, sembrano cercare pretesti di morte e aberrazione. La storia dell’arte è stata di fatto azzerata. Il pretesto era rimuovere i miti delle Accademie. I miti si sono ricreati a un livello infimo. Le èlite di oggi sono quanto di più deprimente si possa immaginare
piergiorgio firinu
Magia dell'arte.
La recente polemica tra Bonito Oliva e Calvesi è un déjà vu (ho copiato da internet gli accenti) , sa di stantio, un pattern critico nel quale le differenze sono solo apparenti. Il rumore di spade serve più che altro ad attirare l’attenzione sui duellanti, perché si creino fronti di sostegno e di contrasto. Un gioco insomma a somma zero. Entrambi infatti sono, come si dice, critici militanti, entrambi hanno appoggiato le aberrazioni dell’arte cosiddetta d’avanguardia a partire all’incirca dalla metà del secolo scorso. Una avanguardia ripetitiva che faceva il verso al Dada e al Surrealismo. Di fatto la critica ha smesso di essere tale quando si è venduta al mercato e/o all’ideologia. A supporto delle “opere” si è fatto ricorso ad un’ermeneutica strabica che osserva il contesto più dell’opera. La sensibilità militante è condizionata dal terrore di non essere in linea con i tempi, di non apprezzare con la rapidità necessaria il sorgere del “genio” . Sembra sfuggire che l’imbrattatore di tele, il creatore di forme insulse, diventa genio solo nel momento in cui è riconosciuto come tale. Non c’è dubbio che l’arte contemporanea è basata su apodismi come mai in passato. Vi è una sorta d’inquisizione di segno opposto. Chiunque avanzi riserve sui mostri sacri, artisti celebrati finanche dalle case di moda, prima ancora che dalle Gallerie e musei, viene accusato di essere privo di sensibilità estetica, ovvero di essere un reazionario. Di fatto raramente la critica parla dell’opera, più spesso si ferma sull’artista/personaggio, l’uovo di Colombo che entra nella metafisica, visto attraverso interpretazioni che sembrano descrizioni del paranormale, un’ipnosi fatta di parole che tentano di far vedere nella forma concretamente presente, significati immaginari. Non vi è nulla di originale nella teoria di Bonito Oliva, la critica come opera d’arte, era stata una tesi sostenuta da Oscar Wilde. Il problema se mai è che non c’è arte, la critica diventa autoreferenziale, un’immaginifica costruzione verbale senza oggetto. Il sistema dell’arte trova la propria giustificazione nell’imponente mole di denaro che mette in moto. Un castello di sabbia che l’abilità dei mercanti, con il supporto di critici prezzolati, riesce a vendere ripetutamente. Le teorie di Arthur Danto e George Dickie sono certamente un valido supporto. In realtà, la certificazione definitiva della morte dell’arte, è stata siglata da Marcel Duchamp nel momento in cui è riuscito ad imporre l’orinatoio come opera d’arte. Dopo di allora tutto è diventato possibile. Anche considerare opere d’arte i fantocci informi di Maurizio Cattelan e Jeff Koons. E’ vero che l’arte, in definitiva, non è altro che un gioco. Spiacevole che sia un gioco truccato, un teatro di burattini i cui fili sono tenuti da mercanti come Larry Gagosian, spuntato dal nulla in quel di Los Angeles, rapidamente diventato una sorta di guru dell’arte contemporanea. In quanto ad abilità chapeau! Tuttavia l’infantilismo esibizionistico che esaspera il valore monetario delle opere sicuramente non fa bene all’arte, crea enormi disparità tra gli artisti. Gli happy few trovano uno sponsor , mentre allo stuolo di “proletari dell’arte” nessuno presta attenzione.
piergiorgio firinu
Cenni sul Bauhaus
Vi è stata molta esaltazione del Bauhaus. In realtà la scuola era un groviglio di contraddizioni sia politiche che artistiche, le cui conseguenze si trascinano fino ai giorni nostri. Gropius era capo fila del coacervo di contraddizioni. Tra belle arti e artigianato di fatto il Bauhaus finì per privilegiare la produzione seriale dando largo spazio alle macchine, viste come strumento moderno del design. Gropius ha sostenuto l’importanza della macchina, esaltando la produzione industriale. Il Bauhaus voleva essere molto di più di un Istituto d’Arte, voleva ispirare un modo di vivere e di conseguenza inevitabilmente tracimava nella politica. Sarebbe impegnativo anche solo riassumere le idee dei molti gruppi marxisti che hanno preceduto la nascita della scuola. Successore di Gropius alla direzione del Bauhaus fu Hannes Mever. Costui fu una delle figure di spicco del Gruppo ABC, un gruppo costruttivista svizzero fondato nel 1926. Mever era un convinto comunista, tanto che ottenne il premio Lenin. Il gruppo ABC reclamava addirittura la dittatura della macchina, invocava sistemi di costruzione scientifici anche nel campo dell’arte. Simile impronta non poteva non avere conseguenze nel successivo sviluppo degli stili dei vari insegnanti e studenti della scuola. L’impronta marcatamente politica del Bauhaus finì per suscitare reazioni, tanto che dovette chiudere i battenti e trasferirsi a Dessau. Lo slogan di Gropius era stato: arte e tecnica, una nuova unità. Il monumento a Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht realizzato da Walter Gropius a Weimar nel 1921, distrutto e ricostruito, rifletteva molto bene le idee di Gropius sull’arte. Molti dei maestri del Bauhaus si trasferirono a Mosca, tra loro Hannes Mever ed Ernst May. Del gruppo che gravitava intorno al Bauhaus i costruttivisti particolarmente impegnati in politica, erano i più graditi ai sovietici. Vladimir Tatlin, George Groz, John Heartfield erano tra questi. Lisickij esercitò una marcata influenza in Germania. Nel 1923 entrò a far parte della Bauhaus Moholy-Nagy, dotato di spiccato razionalismo egli, partendo dal tardo cubismo, diede vita al suprematismo. Un anno prima, nel 1922 ebbe luogo a Berlino una grande mostra di artisti sovietici allestita dal commissario del popolo per l’istruzione e l’arte. La mostra suscitò vasto interesse e marcò ulteriormente lo stretto rapporto tra gli artisti tedeschi, in particolare della Bauhaus, e la Russia sovietica. Parte delle opere della mostra organizzata a Berlino, furono trasferite in Olanda per una esposizione che si svolse ad Amsterdam nel 1923.
Di cattiva lega.
Diciamo che l’oro vero è oro genuino, come dei prodotti della terra coltivati in modo naturale Di un uomo da poco diciamo che è di cattiva lega. Genuino corrisponde a ciò che giudichiamo vero, ovvero reale, pertinente. La genuinità corrisponde quindi con l’essenziale. Giudichiamo volgare ciò che è ridondante eccessivamente appariscente. Tuttavia genuino non è solo e semplicemente ciò che è vero. Una preposizione è corretta non genuina, o forse si. Una preposizione che non è genuina può certamente essere corretta e viceversa. Tuttavia se noi attribuiamo una frase ad Aristotele, per essendo grammaticalmente corretta, non è genuina, nel senso che non è vera. Genuino può significare anche qualcosa di diverso da correttezza se con questo termine si deve intendere la corrispondenza di un’enunciazione alla cosa enunciata. E’ però genuino un pezzo d’oro. Un’opera di Tiziano può essere genuina, nel senso di vera. Un sonetto di Dante può essere genuino nel senso di correttezza logica, sintattica e di corrispondenza all’enunciato. Nel caso di un poeta genuino significa anche qualcosa di diverso, la stessa frase di Dante o l’opera di Tiziano se non è attribuita correttamente agli autori non è genuina. Quando parliamo di una persona e diciamo che è genuina intendiamo dire che è sincera, in questo caso l’espressione “genuina” può essere modificata, si può dire “autentica”, senza mutarne il senso. Quando una persona è spontanea e sincera nel suo agire, diventa genuina anche ciò che essa fa, mentre al contrario, una persona inautentica, affettata, falsa, si presume non possa compiere azioni sincere, genuine. Genuino è solo ciò che è pertinente, conforme, che corrisponde a qualcosa che già esiste: la geuinità consiste nella misura di essere conforme all’originale. Vi è un capovolgimento di segno quando si dice di un eccentrico che è “originale” . Una persona eccentrica vuole distinguersi e quindi improvvisa qualcosa che in realtà non è o non conosce. L’essere umano per essere autentico deve essere se stesso, ma non può inventare se stesso, dandosi canoni suoi propri, sostenendo di essere schietto, genuino quando in realtà è artefatto. Genuinità uguale a forza creativa di conservazione di ciò che è vero, è dato in termini di tradizione ed esperienza. Genuinità dell’animo, del coraggio, della forza della coerenza, di un comportamento consapevole anche dei propri limiti, lontano dalla volgarità di esibizionismo e millanteria. Genuinità è ritegno, decoro, rispetto di se e degli altri.
piergiorgio firinu
Estetica del denaro
Ogni discorso sull’arte è reso obsoleto dall’inesistenza dell’arte, l’idea che il progresso artistico proceda di pari passo con il progresso economico, sostenuta tra gli altri da Donald D. Egbert, si è dimostrata errata. Le opere d’arte fino a ieri erano anche beni economici, oggi sono solo beni economici. C’è da dire che è in atto un vistoso ridimensionamento delle quotazioni. Il declino dell’arte è in gran parte dovuto al successo economico della stessa. Tutte le forme di lavoro, anche quelle intellettuali ed artistiche, hanno perso ogni traccia di sacralità. Non si tratta della perdita d’aura come sostenuto da Benjamin, ma della perdita di ogni riferimento e motivazione culturale, in definitiva di ogni credibilità Tutto ciò che non è immediatamente monetizzabile viene considerato privo di valore. Le opere d’arte vengono ammirate non per il loro valore estetico, ma per quanto fruttano in ricchezza materiale. I bambocci da lunapark di Koons, costano una fortuna, ma quanto valgono? Difficilmente i pazzi si considerano tali, così la pazzia di massa è la norma. Come è possibile pagare 26 milioni di dollari una mucca in formaldeide di Hirs, quando con una somma inferiore si può acquistare un’opera del Rinascimento? Ovvia l’obiezione: con il proprio denaro ciascuno fa ciò che vuole. Tuttavia sarebbe necessario considerare il fatto con preoccupazione, come sintomo di qualcosa d’insano. Vi è una distinzione di fondo tra valore d’uso e valore di scambio. L’uso è anche solo nel piacere estetico che deriva nell’ammirare un’opera. Non sò francamente se sia più grave provar piacere ammirando una mucca in formaldeide, o spendere 26 milioni senza alcuna intenzione di goderne la vista. Scriveva Marx: “ un uomo non può ritornare fanciullo, altrimenti diventa puerile”. Non si può fingere di ritornare all’ingenuità del fanciullo come vorrebbero farci credere coloro che sono interessati a valorizzare la brutta pittura, come quella ad esempio, di Jean-Michel Basquiat. Nell’età antica e feudale, nonostante la servitù e i servi della gleba, gli uomini godevano di veri legami comunitari e sapevano dare importanza alle cose reali, l’arte aveva un significato. Le società contemporanee hanno perso ogni traccia di autenticità, in questo senso l’arte le rappresenta. Se si poteva attribuire alle avanguardie un ansia di socialità e innovazione, oggi dobbiamo prendere atto che hanno fallito. Il capitale ha fagocitato idee e opere, il denaro come coperta mortuaria su creatività e fantasia.
piergiorgio firinu
Scrittura senza qualità.
Vi è una fiorente produzione di libri inutili, se non addirittura diseducativi. Si realizza la legge di Gresham: “La moneta cattiva scaccia quella buona”. Meccanismo identico a quello in atto nel mondo dell’arte. L’effetto della pseudo cultura si traduce in linguaggi e comportamenti superficiali e sconnessi. Viene dagli USA, more solito, la moda dei manuali. “Come portare a termine conquiste amorose” “ Come arricchire in sei mesi” “Come accrescere la propria intelligenza” e via con lo sciocchezzaio. Una persona di media intelligenza non dovrebbe prendere in considerazione buona parte della produzione libraria, succede il contrario. Il maghetto Harry Potter ha reso miliardaria la sua creatrice con una diffusione impressionante, sicuramente senza paragoni con il numero di copie di “L’uomo senza qualità”, di Robert Musil vendute nell’arco di un secolo. Tutto questo ha una ragione e una conseguenza. Con il crescere del pubblico femminile prende sempre più piede il prevalere della ricerca di emozioni, il rifiuto della “noiosa” razionalità. Scriveva Oscar Wilde: “ Le donne hanno un intuito meraviglioso: scoprono proprio tutto, meno le cose evidenti”. Il libro, come l’opera d’arte, non deve più essere lo strumento attraverso il quale, per così dire, alleniamo il pensiero e filtriamo la realtà cogliendone gli aspetti essenziali. L’arte e letteratura hanno lo scopo di divertire, provocare, eccitare. Abbandonando la vigilanza critica ci si abbandona alle emozioni degli altri, prefabbricate, spesso artificiose. Scegliendo ciò che è alla nostra portata intellettuale non ci si eleva, ma si resta in un circolo vizioso. Foucault in “Sorvegliare e punire” , fa dire a un suo personaggio: “ Chi legge libri non è così matto come chi li scrive”. Una pazzia contagiosa che spesso tracima nella psicogorrea. Lo “scrittore” è posseduto da una forma opportunistica di coazione a ripetere all’infinito la formula che gli ha dato il successo. Anche Liala oggi, nel clima edonistico e superficiale in cui viviamo, è stata rivalutata, così come semplici scrittori di polizieschi,sono stati elevati alla gloria letteraria. Nell’arte l’improvvisazione, la costruzione di forme assolutamente rozze, è teorizzata in senso positivo ed ormai prevalente e altamente considerata. Forse l’aspetto più negativo di questo meccanismo di progressiva banalizzazione consiste nel concorrere alla omogeneizzazione delle masse, anziché alla loro elevazione. E’ stato a lungo dibattuto la plausibilità dei bestseller creati dalla preferenza del pubblico, notoriamente dotato di scarso senso critico. Trova attuazione la legge di Say: “ La produzione crea la propria domanda”. Siamo in presenza di una cultura spuria basata su un solipsismo estremo, il mondo esiste solo nella percezione del soggetto individuale, dal momento che il sentire è condizionato dai media e da cultura di basso livello, si crea il paradosso del solipsismo di massa come già si è creata “originalità” di massa. Scriveva Ennio Flaviano: “ Colui che crede in se stesso vive con i piedi fortemente appoggiati su una nuvola”.
piergiorgio firinu
Libertà: vuoto e perdere
L’essenza dell’uomo veniva un tempo determinata secondo i suoi elementi: corpo, anima, spirito; il modo in cui si stratificavano e si compenetravano, ciascuno di essi acquistava di volta in volta un primato. Quale è oggi il filo conduttore della natura umana dopo che abbiamo cacciato lo spirito e cacciata l’anima? Solo ciò che noi fondiamo creiamo e consumiamo, in altre parole solo la materia ha diritto di cittadinanza nella moderna compagine sociale. Nella critica della ragion pura di Kant, nella quale dal tempo dei greci si è compiuto un altro passo avanti virtuale perché nella realtà, anche i non molti studiosi di Kant considerano la summa del suo lavoro, come una sorta di stimolo per pensare, una sorta di placebo dell’anima, consapevoli che non contiene nessuna indicazione che ci conduca verso la completezza. Il modo d’interpretazione dell’uomo ha avuta una cesura quando la macchina si è posta tra lui e la natura. Gli esseri umani non hanno mai raggiunta la completezza, ma fino a un certo punto della loro storia l’hanno cercata. Platone aveva posto in chiaro l’inganno delle ombre ma non aveva tarpato l’immaginazione creativa, quella forma di speranza che il pensiero produce quando non è obnubilato dal peso della materia. Non ha caso alcuni intellettuali, sia pure in modo confuso e incompleto, hanno captato l’interruzione della crescita, liberati dallo spirito e dall’anima non è rimasto che il corpo, titubante, voglioso, mai sazio nè e mai completamente sano. Forse nessun artista come Francis Bacon ha avuta la capacità di raffigurare l’uomo incompleto e/o in disfacimento. Ma al di là dell’immagine la mente confusa si è rifugiata nell’assurdo. Gregor Samsa è tutti noi. La Cantatrice Calva canta le nostre canzoni. Mentre attendiamo Godot. E inutilmente ci aggiriamo per Dublino in una giornata qualunque senza saper cosa cercare. Ecco l’arte che disperatamente si guarda dentro e vede un vuoto incolmabile che solo gli imbecilli chiamano libertà. Dominati dal nulla nella forma più insidiosa della vicinanza di ciò che appare reale, una continua ri-creazione del sinonimo del vivente, una sorta di trompe-l’oeil di una realtà dissolta in forme virtuali.
piergiorgio firinu
Il rumore della vanità
L’essere non è un artefatto del soggetto , scrive Heidegger. L’apparente gettarsi dentro l’esserci è ciò che chiamiamo comunemente “esistenza” .Il percorso si attua tra ciò che siamo e ciò che diventiamo, attraverso esperienze più o meno volontarie. Questo percorso è in parte turbato , specie per gli artisti, dal desiderio di ciò che vorremmo essere. L’artista si realizza attraverso l’espressione, e tuttavia spesso ignora la fonte dei propri pensieri, deviato dall’ansia di esserci. Quando il pensiero è proteso dall’idea dell’opera, è come se diventasse plastico, penso attraverso la forma che creo. Ma penso anche il senso della forma in relazione al contesto? Ovvero la mia intenzione è di urtare per così dire il presente gettando la mia idea forma nel bacino sociale, provocando cerchi di approvazione/disapprovazione. Qual è il senso di questa forma/rumore? Basta a se stessa, ci esime dalla ricerca di senso? Con preoccupante frequenza, è questo esattamente che accade. Il rumore di approvazione/disapprovazione, lenisce o acutizza la mia ambizione/vanità. La facoltà del pensiero creativo non ha, non può avere cesure, non può essere ad intermittenza. Tra un opera e l’altra l’artista scava nella profondità del senso solo e se è lontano dal rumore, e non si lascia sopraffare da lusinghe mondane. Esistono ancora artisti capaci di vincere la vanità, accettando di avviarsi nel faticoso percorso della creazione di sè. A priori necessario per trovare la capacità di gettare il pensiero/forma nello stagno sociale frantumando il materiale senso di appagamento che pervade tutta la società di massa.
piergiorgio firinu
Protesi mentali
Il fatto che oggi si continui a fare dell’antropologia il perno della visione del mondo, se da un lato smentisce l’idea che le razze non esistono, dall’altro si inneggia alla differenza. Sul piano filogenetico le razze sicuramente non esistono avendo la vita, come scrive Jacob, una sola e unica origine. Tuttavia una differenza non da poco è data da storia, cultura, tradizioni. Si rifiuta Descartes per i Rasta. Arte e costume soccombono alla omologazione generalizzata. Quale sia la forma in cui l’antropologia si presenta, se illuministico- morale, oppure psicologica è conforme non alla scienza ma al costume, o meglio alle mode. Dai tempi dei Tristi tropici di Claude Lévi-Strauss, i suoi studi sulla tribù dei Caduvei, molte cose sono cambiate, in peggio, perché l’omologazione, che in teoria ha fini democratici, di fatto azzera la differenze. Non c’è dubbio che si cade in contraddizione quando si inneggia alle differenze e poi si afferma che siamo tutti uguali, anche se è prevedibile che l’obiezione sarebbe: uguali nei diritti e alla partenza. La realtà come vediamo dimostra che le cose stanno in altro modo. I valori sono stati azzerati o capovolti, ciò che apparteneva da secoli alla tradizione improvvisamente è diventato disdicevole, obsoleto. Mentre piercing tatuaggi, orecchini, anelli al naso, per le nuove generazioni occidentali sono diventate un must, esse imitano quelli che allora erano definiti, a torto, selvaggi. Non erano selvaggi perché avevano una loro cultura e loro tradizioni, come noi avevamo le nostre. Oggi moltissimi giovani in molti settori, la musica per esempio, hanno scelto le loro tradizioni non loro le nostre. Aby Warburg si dedicò allo studio degli indiani Pueblo e su quel’esperienza scrisse “Il Rituale del Serpente”. Ma queste ricerche, questi studi, avevano un retroterra di certezze. Se studio una rana non divento una rana, non più di quanto possa diventare Dio studiando la Bibbia. La biblioteca creata da Aby Warburg aveva importanza pari alle sue collezioni d’arte. Non è un caso se il direttore della biblioteca che dovette essere trasferita a Londra dalla Germania a causa del nazismo, fu diretta per molti anni dal grande studioso e critico d’arte Ernst H. Gombrich. Oggi si pone la questione già sollevata da Heidegger, se l’età moderna abbia ancora dei fini da perseguire o tutto sia soltanto un mezzo. Di sicuro la biblioteca Warburg non ha avuto da quando è stata realizzata, un numero di visitatori pari ai partecipanti di un solo concerto rock. Viviamo in uno stato di sopravvivenza, senza spirito, di pura materialità. E’ vero che la decadenza è iniziata da Platone, come sostiene Heidegger, ma oggi sembra sia stia precipitando in un parossismo di volgarità e cattivo gusto. Si confonde ciò che è semplice con ciò che è rozzo banale, trascurando il suggerimento di Samuel Butler: “ Progredire nel pensiero significa progredire verso la semplicità”. Ci si veste casual e poi si passano ore a far tatuare sulla pelle disegni colorati. Si vivono esperienze che appaiono imitazione banale della propria banalità. La quantità, secondo Hegel, è qualità superata e diventata indifferente, include la mutevolezza della cosa senza passare attraverso la comprensione del gesto. E’ così l’arte contemporanea. La crescente mancanza di rispetto verso grandi pensatori è dovuta all’incapacità di capire l’essenza di un discorso che procede oltre il contingente. Invece di lodare il nostro tempo dovremmo riacquistare la capacità di attribuirgli valore. La scienza moderna ha necessità di apparati sempre più grandi e complessi ed ecco che l’arte la imita, si assiste a mostre simili a fiere industriali. Strutture dozzinali ma gigantesche effetti speciali, un grandissimo uso del computer. Ma il background dell’apparato non è il pensiero, è la tecnica.
piergiorgio firinu
La società delle cattive maniere
Un tempo c’era la morale poi venne la borghesia e con Marx, Freud, Adorno, Horkheimer, Anders, Benjamin e Foucault iniziarono i distinguo. Alla fine prevalse una socialità coatta universale il cui il riferimento avrebbe potuto essere ciò che Rabelais immagina sia scritto sul frontone dell’Abbazia di Teleme “ Fai ciò che vuoi”. Nasce la nuova idea di democrazia nella quale il lavoro dei giuristi e costituzionalisti sembra orientato soprattutto ad abolire ogni riferimento morale. Non solo, ma come sostiene Graeber, l’arroganza dell’Occidente arriva ad attribuirsi il diritto di stabilire ciò che è democratico, chi è democratico, chi non lo è. Il canone democratico è redatto a misura dei diritti individuali, diritti virtuali naturalmente, ma tali da giustificare ogni licenza. Ciò che non sembra essere compreso dai più, è che tutto ciò è in funzione del potere. I nuovi buffoni si presentano con martellanti e accattivanti immagini, gente di spettacolo, tra cui anche non pochi critici d’arte, politici, sostenuti dai media costituiscono la maggioranza degli intrattenitori. Invito a leggere certi dialoghi di critici d’arte su twitter, quanto mai significativi nel dimostrare che anche nei casi in cui è avvenuta una certa accumulazione di sapere, questo sembra usato come alibi. Un soggetto scrive testi sull’arte, in privato usa un linguaggio scurrile con abbondante ricorso a riferimenti genitali ed escatologici. Sembra voler dire: volendo so parlare forbito ma scelgo un linguaggio popolare. La ragione per cui si comporta in questo modo la conosce lui solo, forse per eccentricità,o forse la ragione è che non basta l’accumulo di sapere a mutare una natura profondamente volgare e rozza. I simil Rabelais del nostro tempo sono assai lontani dall’originale. Resta il fatto che giornali, cinema, teatro, fotografia, arte, diventano strumenti per la divulgazione di ciò che è volgare, scurrile, scelto perché “piace alla gente”. In generale si è persa quasi totalmente la percezione della sensibilità e per quanto siano volgari espressioni e immagini, è quanto viene gradito, quindi diventa ciò che la società produce. La ricerca ontologica , estetica ed emancipata si riduce alla omologazione di ciò che è laido. Le proprietà che caratterizzavano l’opera d’arte hanno lasciato il posto a una serie ininterrotta di choc prodotti dalla provocazione del brutto al quale ci siamo gradatamente abituati. Ha preso il soppravvento il marketing emozionale, anche grazie al fatto che la società è sempre più femminilizzata, feticci e icone funzionano in quanto escludono la necessità del pensiero. Cartesio disegnava le immagini che lo aiutavano a pensare. La visualizzazione dei segni aiutava anche Galileo con le sue famose tavole sulla luna. Darwin tracciava la forma evolutiva degli alberi. Arte e scienza, un binomio che non può vivere se non si nutre di pensiero sensibile. Il linguista americano Noam Chomsky, autore di una teoria del linguaggio che è un punto di riferimento per molti studiosi della materia, rifiuta in blocco la società americana e occidentale in genere, egli è consapevole che il degrado inizia dal linguaggio, non è un accidente occasionale, ma la materia stessa che costituisce il tessuto della società contemporanea. Ogni discorso che riguardi politica, economia, giustizia, scuola, prescinde da riferimenti etici, considerati intralci a una completa libertà individuale. In breve, la linea di demarcazione tra lecito e illecito è stata rimossa. Parafrasando il titolo di un libro di Norbert Elias “La civiltà delle buone maniere” oggi potremmo dire di vivere in una società delle cattive maniere, oltre all’infinita ipocrisia che non consiste tanto nel nascondere, oggi tutto è evidente, chiaro, dal sesso ad ogni forma di perversione. L’ipocrisia è ben più negativa perché riferita a senso e natura del negativo verso il quale l’eccesso di condiscendenza, finisce per infettare mente e cuore.
piergiorgio firinu
Tempo e pensiero.
Viviamo in un’epoca in cui vi è completa assenza di domande, nell’arte come nella vita, avversione verso tutto ciò che non è materiale. Mediocrità come sistema. Non si tollera nulla che sia degno di domanda, si rifugge da ragione e solitudine. La boutade di un satirico: emozionatemi così non penso. Si dice che gli uomini creativi sono solitari. In realtà oggi è anche difficile capire cosa significa “creativo” si definiscono creativi tanto gli artisti quanto i sarti e i pubblicitari. Le immagini come gli scritti non devono fare pensare, devono convincere. Ora convincere significa trasmettere agli altri le proprie convinzioni. Impedire la meditazione rende tutto più semplice, è inquietante il pensare, meglio far ricorso al supporto di una psicologia a buon mercato. In questa desolazione e orrore, l’effetto calmierante è il consumo. La definizione originaria di ciò che Nietzsche per la prima volta ha riconosciuto come nichilismo. Ma nemmeno lui, con la sua forza, è riuscito a rimuove l’attrazione verso il nulla che la materia sostituisce. Il lungo indugio a riconoscere la verità induce gli artisti a giocare con gli artifizi della forma, un gioco mondano, dal quale ogni possibile idea è esclusa. Quel modo di soggiacere all’attrazione dell’apparente, corrisponde al modo in cui giunge il sapere, apprensione rapida e di massa, fatto di formule delle quali sfugge il significato, l’importante è che la “conoscenza” sia diffusa tra il maggior numero di persone possibile; la scolarizzazione, presa nel suo attuale significato, corrisponde ad un alibi per l’ignoranza certificata. Tutto ciò è propedeutico alla contraffazione, l’ignoranza è la scorciatoia per l’affermazione del brutto. La dis-misura non è un mero eccesso quantitativo, bensì il sottrarsi ad ogni valutazione e misurazione. L’abbandono del ritegno è il passo successivo. Il reale diventa ciò che siamo diventati, l’arte che lo registra è in carattere con il tempo presente. E’ funzionale la scansione temporale dei momenti dell’arte; arte antica, arte moderna, arte contemporanea. La concezione del tempo, così come è stata teorizzata da Aristotele e Platone, non ha alcun nesso con la nuova unità di misura entro le sponde del mercato e della mondanità. Si è soliti chiamare la civilizzazione l’epoca del disincanto. Si dovrebbe sapere a priori da dove provenga l’incanto. Il sovvertimento. Gli intellettuali si barcameno arraffando indiscriminatamente anche la filosofia del passato, è di moda l’atteggiamento del sovvertitore, laddove tale sovvertimento equivale ad un rafforzamento dei luoghi comuni, l’unica cosa che merita essere chiamata rivoluzionaria , è la costante mancanza di rispetto verso la cultura seria, si disprezza ciò che non si capisce. Francois Jacob, nel suo bellissimo libro “ La logica del vivente” sostiene che : “ Non esistono generi, solo individui”. Nella nostra società entropica c’è tutto un affannarsi a classificare e togliere valore con il supporto della tecnologia. Esperienza significa imbattersi in qualche cosa. Nel percorso che dalla giovinezza porta alla maturità accumuliamo tutto ciò che costituisce la nostra vita la quale non può essere sostituita da una tastiera di computer che non ci consente di espandere l’umanità che è in noi, la quale va oltre il sapere.
piergiorgio firinu
Dalla magia alla scienza.
Nel lungo elenco dei magnalia naturae praecipue quoad ursus humanos, che riproduceva l’elenco delle imprese realizzate dai sapienti della Casa di Salomone, Bacone enumera proprio gli identici risultati di quella anticipazione del tempo del quale aveva scritto Agrippa, accelerazione del tempo nei processi di maturazione. L’accelerazione del tempo nei processi di germinazione. Modificazione dell’atmosfera e provocazione dei temporali. Modificazione dei caratteri somatici. Creazione di nuove specie . Tutte queste facoltà venivano attribuite alla magia e all’alchimia. Bacone sosteneva che noi consideriamo misteri i fenomeni dei quali non sappiamo dare una spiegazione razionale. In questo senso, per associazione estesa, l’arte è un mistero. Sono trascorsi cinque secoli ed i fenomeni attribuiti ai sapienti delle Casa di Salomone, avvengono abitualmente e sono compresi da quasi tutti. Viaggiamo alla velocità del suono attraverso il pianeta e andiamo nello spazio siderale. Abbiamo sovvertito l’antico concetto di tempo attuando l’accelerazione dei processi sopra descritti. Realizziamo gli OGM, attuiamo la clonazione, incroci tra specie. Abbiamo a tal punto modificato l’atmosfera che l’affermazione “ non esistono più le stagioni” è diventata espressione di assoluta banalità. Modifichiamo i caratteri somatici non solo per mezzo della chirurgia estetica, ormai d’uso comune, ma anche con interventi sul DNA. La magia, insieme alla filosofia e la religione che dominavano la civiltà al suo sorgere, sono oggi appannaggio di umoristi e cantanti. Per accreditare la magia è stato sufficiente mutarne il nome definendola scienza. L’apprendista stregone, celebrato dal mito, è diventato lo scienziato che si è impadronito delle leggi delle natura modificandole a fini di lucro. Reclamando la propria totale libertà, si è arrogato il diritto di distruggere l’eco-sistema. I fautori del progresso ad oltranza, con la maggioranza d’indifferenti, evidenziano l’enorme progresso dell’umanità, citando soprattutto la maggiore aspettativa di vita. L’eliminazione di molte malattie, la riduzione della fame nel mondo. Di fronte all’elenco di questi “progressi”, alla “fede” nel futuro, un vero must, chi avanza riserve è catalogato come chiliasta. Tutto è avvenuto in pochi secoli, a partire dal XV secolo, di pari passo con la crescita esponenziale degli abitanti del pianeta. Siamo davvero certi che la radicale mutazione della nostra esistenza sia un prezzo accettabile? Intanto non abbiamo eliminato guerre, fame, epidemie. La maggior parte delle persone vive in loculi di cemento definite abitazioni. I rapporti tra persone sono inquinati da cinismo. Come le stagioni, anche l’infanzia è scomparsa. Lavoro come schiavitù necessaria. Chi resta privo di lavoro perde il senso della propria esistenza fino ad arrivare alla pazzia. Si tratta per lo più di lavoro parcellizzato chi lo svolge non ne capisce il fine. Abbiamo perso di vista il significato di vita naturale. Il divertimento consiste nell’imbottirci di cibo, alcol, droga. Amore è una parola provvisoria, relegata alle telenovela. Abbiamo dissolto ogni individualità, non siamo più capaci di vivere soli, nel silenzio. Tanto che stare in casa è una forma di condanna penale, condannati ai domiciliari: che orrore!. Ogni primavera scopriamo di essere allergici alla natura. Abbiamo eliminato o sottomesso tutti gli altri animali che popolavano il pianeta. Mentre distruggevano fauna e flora, umanizziamo cani e gatti, rendendoli protagonisti di cartoni animati, unico modo in cui i bambini imparano a conoscerli. Il pianeta è sempre più un deposito di rifiuti, tanto che gli artisti, fanno dei e con i rifiuti “opere d’arte” tra l’acclamazione dei minus habens della critica, ignari che quell’arte è il primo passo verso la redde rationem ormai prossima. I milieu delle città sembrano gironi infernali in cui non è rischioso avventurarsi. Eppure, mentre i borghesi, isolati nel hortus clausus del loro benessere, si circondano di body guard, sembrerebbe si viva nel migliore dei mondi possibili. Un Candido mondo, ben oltre l’ironia di Voltaire. Il pallido e sempre più debole uomo dell’occidente inneggia all’accrochage di etnie, ignaro che il bianco è il colore soccombente. La dèbacle dell’occidente è cosa fatta, anche l’economia, ultima dea, trasmigra in oriente. Con teorie confuse e ancipiti abbiamo aperto il vaso di Pandora di libertà impossibili e nel breve ci attendono ben peggiori sorprese
piergiorgio firinu
Fondamenti ed escatologia.
Quando l’arte abbandona la mimesi, a cosa si affida? L’estetica contiene in se un aspetto ludico. Se l’arte rifiuta l’estetica è costretta a seguire un percorso affidato al solo pensiero, oppure ripiega sull’aspetto ludico. Nel primo caso invade il campo della filosofia, nel secondo si affida a contenuti effimeri. Un’arte di solo pensiero costringe il fruitore ad un percorso a ritroso per tentare di reperire il significato quasi mai sufficientemente leggibile nel significante. L’orgoglio creativo dell’artista è alimentato con mezzi inadeguati: fuoco con legno verde. Superficialità che ha la pretesa di sviscerare gli arcani misteri della forma ma che in realtà non va oltre se stessa. L’arte può essere manifestazione di un esperienza vissuta oppure il porre in-opera delle verità. L’arte d’avanguardia si regge sul fatto che pretende di mettere in questione l’alfabeto delle forme così come ci è stato tramandato, dimostra insicurezza sullo splendore antropologico dell’uomo. Non basta interpretare il sistema dell’arte attribuendole la caratteristica propria della modernità, ciò può tramutarsi in una interpretazione superficiale della realtà. Ordine e chiarezza sono una conseguenza di ciò che è sistematico. Secondo la mentalità moderna, a cui l’artista non si sottrae, pensiamo sempre muovendo da noi stessi, se distogliamo il pensiero da noi, non ci imbattiamo che in oggetti. La preparazione consiste per lo più nel procurarci cognizioni provvisorie, vale a dire funzionali, dalle quali dovrebbero poi essere tratte conoscenze autentiche. Ma spesso resta un vuoto tra il pensiero e l’azione, come se ciò che si è pensato fosse solo l’indifferente occasione per un movimento del pensiero la cui finalità non è affatto chiara. Lungo questo cammino, se tale si può chiamare, si pone sempre la domanda che costituisce l’escatologia del fare. Per questo occorrerebbe maggior ritegno quando questa azione si fa forma. Comprenderlo significa compiere un passo verso il sapere che giustifica le nostre azioni. Ogni parola, ogni logica cade sotto l’imperio della conoscenza volitiva. L’essenza della logica è dunque la sigetica. Solo in essa può trovare giustificazione a una nuova invenzione del linguaggio dell’arte nella sua essenza. Con il linguaggio abituale, oggi sempre più consunto e distorto, non si può tentare di dare cose nuove, e neppure sono ammissibili escamotage decettivi a cui spesso l’artista ricorre. Interrogandoci su cos’è il pensiero iniziale abbiamo un punto chiaro da cui partire. L’opera si sviluppa riavvolgendosi nel fondamento che la erige. Il gioco di passaggio, il confronto dell’inizio con la realtà raggiunta. La domanda guida, sviluppata nella sua articolazione, lascia di volta in volta riconoscere la posizione fondamentale che è stata all’inizio. L’arte non significa solo dare forma alla realtà e al possibile, ma sondare la presenza di ciò che a un primo sguardo sfugge.
piergiorgio firinu
La memoria sensibile.
Capita spesso di non avvertire fenomeni, talvolta eclatanti che accadono intono a noi, la cui gradualità sfugge alla nostra percezione, o dei quali perdiamo rapidamente il ricordo. Questo perché viviamo voltando le spalle alla memoria, abbiamo paura di essere considerati antiquati perché ricordiamo il passato. C’è una costante immersione autistica dei mass-media in un effimero presente che cancella tutto. Pensare significa per definizione, pensare al passato, il presente si vive, il futuro s’immagina. Ne deriva che pensare sembra, ai pochi che prestano attenzione a queste cose, un’operazione reazionaria, a meno che il pensiero non sia volto a conseguire risultati immediati, concreti. I diversi campi del sapere, non coincidono con la il rispetto di ciò che c’è di fantastico nella vita, il pensiero europeo che ha tentato di sviscerare le ragione dell’inizio , gli aspetti fantastici della vita umana, senza la necessità di far ricorso ad artifizi. Poesia, fantasia, mito sono la parte migliore più appagante dell’umano sapere, del vivere una vita che non sia solo esistenza zoologica. Vi è un alternarsi di ipse dixit senza verifiche vere sulla sostanza di ciò che significa interrogarci seriamente sulle ragioni che danno senso alla nostra vita, oltre al semplice esistere. Sullo studio della coscienza ha scritto cose interessanti e provocatorie Dennett il quale, riferendosi agli neuro scienziati, dice “ non fanno che inventare innumerevoli marchingegni e affermano cose di un’ignoranza imperdonabile sul cervello……Con tutti questi idioti che lavorano al problema, non stupisce che la coscienza sia ancora un mistero.” . E forse, speriamo, un mistero continuerà ad essere, altrimenti sempre più persone si ritroveranno ad assumere pillole per avere una coscienza felice, o smemorata, a scelta. Quando, davanti alle immaginifiche pitture rupestri di Lascaux e Altamira, ci interroghiamo sulla sensibilità ingenua dei nostri antenati, dovremmo almeno tentare di riconquistare la consapevolezza di quanto sia necessario agli umani quel tratto ignoto e pur così rilevante del pensiero creativo che significa la ricerca di una via di fuga dalla banalità. Oggi i mass-media lungi dall’educare, sembrano crogiolarsi nel più assoluto spregio di ciò che significa pensiero. La “cultura” è tanto superficiale quanto personalizzata. Non si parla dell’opera di un artista, di uno scrittore, ma dell’artista, dello scrittore, i quali, diventati personaggi possono permettersi sberleffi di ogni tipo. Così fa Daniel Spoerri, artista celebrato per gli avanzi incollati sulla tavola e venduti come opere d’arte, in una intervista ammette sfrontatamente “ non sò dipingere, non ho mai neanche tentato”. Siamo lontani anni luce dai “fanciulli dell’umanità” uomini che trasformavano l’esperienza della loro dura realtà in pensiero sensibile. Erano “poeti”; la radice della parola deriva dal greco poico: fare, perché partendo dall’esperienza attraverso il linguaggio dell’arte evocavano fatti propriamente umani. Gli uomini antichi pensavano e comunicavano prevalentemente per immagini, in virtù di quella predisposizione metaforica che rappresenta il trionfo della fantasia. La stessa poesia omerica è frutto di una lunga tradizione orale, il mito ha la funzione di edificare un essere umano migliore. Edipo ed altri miti, mostrano , come possiamo abbruttirci quando non siamo padroni delle nostre passioni ed emozioni. In questo senso Hume conferma il detto “non c’è cosa sciocca che non sia stata detta da un filosofo”, infatti considerare la ragione schiava delle passioni, significa capovolgere i termini della realtà. Esaminando il processo di evoluzione dei linguaggi umani, dalla gestualità all’abbigliamento, anch’esso una forma di linguaggio, ci rendiamo conto di come si sia impoverito l’alfabeto della comunicazione. La cognizione del presente assorbe ogni altro pensiero, la perdita del futuro è una precisa sensazione che pervade la società contemporanea assorta nel “non essere” attratta dal “possedere”. La materia è deperibile mentre il pensiero creativo, essendo fine a se stesso, non ha confronti con il tempo e dura quanto dura la memoria. Oggi abbiamo memoria dei poemi omerici, mentre abbiamo perso le tracce di molto di ciò che si è “creato” nell’ultimo secolo. L’antropocentrismo sfocia nell’egofilia quando confonde narrazione e azioni, conoscenza e comportamento. La tecnica ci offre molte possibilità, ma certo non ci rende migliori. Tutte le nostre azioni hanno sempre noi stessi come riferimento, diretto o indiretto. Anche la narrazione e la rappresentazione artistica non sono altro che una forma sublimata, in qualche caso differita, di piacere. Coscienti di ciò, dovremmo avere l’umiltà di affrontare la fatica di costruire noi stessi.
piergiorgio firinu
La forma della materia.
A una nuova apertura sul problema dell’essere, che gli permetta di andare oltre sulla linea rimasta interrotta in Sein und Zeit, Heidegger arriva rimettendo in questione i concetti del mondo e di ente intramondano quali si erano configurati ; questa rimessa in questione avviene quando il filosofo si pone il problema dell’opera d’arte. In ciò consiste l’importanza decisiva che ha riflessione sull’arte per lo sviluppo del suo pensiero: essa gli fa scoprire un modo di essere delle cose e del mondo diverso da quello raggiunto in Sein und Zeit, questa scoperta costituirà per Heidegger la base per un’ulteriore elaborazione dei problemi rimasti aperti. L’analitica esistenziale di Sein und Zeit aveva riconosciuto due tipi di dass, due modi di essere: il dass della fatticità proprio dell’ente intramondano, il dass dell’effettività proprio dell’esserci. L’effettività propria dell’esserci è definita dal concetto di progetto gettato: l’esserci è già sempre come aprente, in tal senso come originario illuminarsi della verità. La fatticità invece ricade entro la sfera della verità nel senso secondario o derivato dell’apertura come inserimento di un ambito di significatività propria delle cose. Le cose, in quanto caratterizzate dalla fatticità, non sono mai parenti, ma sempre solo aperte. Il loro rimandare che le costituisce nell’ambito della significatività , è sempre solo un essere segno di un ordine storico che esse non fondano, ma da cui sono fondate. Sicchè si può dire che, finchè il mondo è visto come esistenziale, cioè come una caratteristica costitutiva dell’esserci, come quella luce dell’essere che solo l’esserci può proiettare sulle cose, l’ente intramondano non può presentarsi altro che come segno, come rimando a un ordine ch’esso non fonda, ma da cui è fondato; se tuttavia un ente intramondano sfuggisse a questa caratterizzazione del segno, la quale poi non è altro che la strumentalità evidenziata come tale, allora anche la concezione del mondo come esistenziale nel senso di Sein und Zeit dovrebbe essere riveduta e i problemi che là rimanevano aperti potrebbero trovare una soluzione. Ora, questo ente intramondano,solo impropriamente però si può ancora chiamarlo così, che si rifiuta alla caratterizzazione come semplice segno o strumento è proprio l’opera d’arte. Le prime pagine del saggio “L’origine dell’opera d’arte” sono un fitto movimento di andare e venire tra diversi concetti che poi si illumineranno vicendevolmente: per cominciare a definire l’opera si cerca di definire la cosa, giacchè l’opera è innanzitutto genericamente una cosa, ma è cosa creata dal pensiero immaginante, creata ex novo. Ma della cosa si sono date diverse definizioni nella storia del pensiero; quella che si rivela più calzante è la definizione aristotelica fondata sui concetti di materia e forma; ciò perché tali concetti sono attinti da un’originaria esperienza della cosa in sè. L’esperienza dell’usare strumenti. La cosa, come simbolo di materia e forma, viene caratterizzata innanzi tutto come strumento; che era appunto il concetto di ente intramondano di Sein und Zeit. Il concetto di strumento, tuttavia, più che definire esaurientemente la cosa, è un concetto medio tra quello di cosa, col quale ha in comune la consistenza fisica nel mondo, e quello di opera in quanto prodotto dall’uomo, quindi presume l’opera attiva, non ricupero passivo. Ma dell’opera, osserva Heidegger, lo strumento non ha il carattere di autosufficienza, carattere che dovrà essere chiarito. Per questa sua essenza media lo strumento può comunque fare da filo conduttore per indagare il concetto di cosa e di opera. La cosa è materia che diventa opera tramite la forma pensata e realizzata in quanto tale. La decettiva ipotesi che il ready made possa assumere lo status di opera d’arte è una contraddizione logica, deriva linguistica di un pensiero provvisorio di filosofi del consumo come Dickie e Danto oppure amanti del paradosso come Godman. Il pensiero che dà forma alla materia non può essere riflesso in un significato posteriore di una forma creata per una funzione. Il progetto gettato nel formarsi del pensiero creativo è interrotto dal riciclo della forma. Resta la dicotomia tautologica, alla quale non basta l’utilizzo dell’equivoco uso linguistico per renderla autentica.
Nelle morte gore.
Periodicamente attraversiamo momenti di estrema confusione e tensione. Non solo l’arte si ritrova a dover riesaminare la propria visione del mondo, anche la politica, economia, scienza, procedono per interrogativi ai quali sanno dare solo parziali e provvisorie risposte. Forse è da qui che dovremmo partire per cercare la spiegazione della percezione di ciò che ci riguarda da vicino. Cartesio di certo non abita più il mondo contemporaneo. Enfatizziamo gli aspetti emotivi,corporei, trascuriamo il fatto che la percezione, più in generale la cognizione del nostro essere nel mondo in perenne stato di provvisorietà, comporta maggiore attenzione agli aspetti fenomenologici per limitare i rischi che sfuggono al nostro controllo. Solo la coscienza possiede intenzionalità genuina, derivata o metaforica. Le immagini, i segni, i simboli, i poster e anche le parole hanno un riferimento, vertono su qualcosa che è necessario capire, di cui essere appunto coscienti. L’idea che l’esperienza , sia essa percezione, memoria, immaginazione, giudizio, credenza è sempre soggettiva ed ha sempre il riferimento di una di modesta parte di realtà, quella che possiamo osservare con gli occhi e capire con la mente. Suscita un sorriso leggere i titoli altisonanti delle opere di artisti, sentire dalla loro voce l’ermeneutica di una realtà alla quale, per necessità o scelta, in molti casi si sottraggono. Nel compiere la propria opera l’artista si propone obiettivi che in realtà ignora. Siamo lontani anni luce dal principio di “fedeltà alla natura” propugnato da Ruskin, il quale sosteneva che gli operai devono fare gli artisti e gli artisti operai, muoveva una furiosa critica ai prodotti scadenti dell’industria; siamo nel 1884! Oggi gli artisti sembrano avere adottato procedimenti stocastici, qualche volta centrano parzialmente il bersaglio, è bene sottolineare sempre e solo parzialmente. Il linguaggio comune è un derivato, impoverito perché il suo oggetto è la mediocrità quotidiana, una sorta di camicia di nesso di una necessità immaginata. Non solo la conoscenza e la verità sono state sepolte sotto cumuli di merci e pensieri devianti, dopo aver seppellito il superuomo, abbiamo iniziato a seppellire l’uomo tout court. Alla metafisica sono subentrate le quotazioni di borsa, che seguono percorsi altrettanto oscuri. Al discorso sul significato dell’arte, abbandonato, ma non risolto, è subentrato l’interesse per le quotazioni delle opere, confusione tra valore e costo. Manca lo spazio e le parole per il pensiero che cerca di pensare per se stesso una via d’uscita. Il linguaggio è opera dell’uomo, ma di un uomo che non esiste più, è diventato consumatore, attraverso il consumo mira all’autorealizzazione. Questi non sono, purtroppo, pensieri immaginifici, ma la constatazione del mondo reale in cui ci ritroviamo a sopravvivere. L’arte, che secondo Lyotard, dovrebbe essere pratica del dissenso, è invece ridotta a celebrare riti mondani. Come spiegare la ragione per cui la pretesa rivoluzionaria dell’avanguardia è finita nelle morte gore di una diffusa stupidità di massa. I nuovi santuari della contemporaneità sono i supermercati, è lì che intere famiglie trascorrono i giorni festivi, alla ricerca di un pretesto di consumo. E’ opinione di Lyotard che la funzione della critica d’arte ,il compito del pensiero raziocinante sono perduti per il secolo a venire. Dopo chissà. Adorno aveva già anticipato questo pensiero. L’avanguardia artistica non solo ha fallito nel tentativo di creare un discrimine , tracciare una frontiera per separare le opere d’arte e i prodotti della cultura dalle merci, ha invece in generale, assimilato lo stile da supermercato, il Brillo di Warhol è stata solo una anticipazione, non a caso sono gli Stati Uniti a dettare legge. Il percorso è invertito, l’arte imita i prodotti dei supermercati, dove già oggi una sezione è dedicata ai prodotti d’arte, la cui unica distinzione dai prodotti delle gallerie, è il prezzo. Quanto riusciranno e mercanti a reggere la concorrenza. Già sono stati omologati i graffiti staccati dai muri delle città e portati in galleria. L’uomo di gusto, diceva Voltaire “ha altri occhi, altre orecchie,altro tatto, rispetto all’uomo volgare”. Razzismo inaccettabile, in un’era in cui tra i diritti individuali è incluso il diritto ad essere intelligenti. Ovviamente questo resta un sogno, come il diritto alla felicità contemplato dalla costituzione statunitense, dove però è negato il diritto ad essere curato se non hai mezzi per pagare. Paradigma del grande inganno della modernità, nel secolo dell’America che riesce ad imporre la propria arte, e la propria idea di libertà. I capitalisti, quando non sono occupati a mettere sul lastrico il resto del mondo, acquistano a peso d’oro le scatole ( false) di Brillo, le ripongono nei caveau perché resti nel tempo il segno della grande arte americana. Noi siamo, più colti ed astuti, portati alla escatologia , mettiamo nei caveau i barattoli di merda. Paradigmatico riferimento a ciò che oggi è considerato il rapporto arte/natura.
piergiorgio firinu
La natura delle cose.
In che misura è possibile rappresentare le cose evitando il rischio di un’involontaria parodia? Quando l’artista rinuncia alla mimesi si assume l’onere di creare una realtà diversa, la sua realtà, anche se spesso tenta d’imporla come realtà oggettiva, nell’Iperrealismo a esempio. La storia del ‘900 ci mostra un’umanità che si dibatte, più che nei secoli precedenti, per superare i limiti della propria natura. Il problema inizia nella difficoltà di definire la natura alla quale ci si oppone, il rischio è di oscillare tra autoesaltazione e incompletezza . Quando Malevic pretende di certificare la morte della pittura con il suo quadrato nero, Haidegger comprime la complessa molteplicità delle cose nel suo Essere e tempo, opere dettate dalla presunzione di comprimere la realtà a livello della nostra comprensione, violazione del principio socratico: sò di non sapere. La rappresentazione di terribili eventi storici come la Shoah per eccesso didascalico, corre il rischio di cadere nella parodia, la visione è monca per assenza di principi etici che danno la giusta dimensione, il rischio è rimuovere il vero significato alle cose. In Santa Giovanna dei Macelli Brecht tentava di far regnare la morale cristiana nella giungla capitalista. La favola di Brecht si situava in un universo nel quale ogni nozione si divideva in due. La morale cristiana si rivelava inefficace nel lottare contro la violenza dell’ordine economico. Alla fine rischia di prevalere la tesi che solo la violenza aiuta là dove la violenza regna. Arriviamo al lessico di George W. Bush che lotta contro l’impero del male massacrando persone innocenti. Il fine giustifica il capitale. Lacan diceva che Antigone non è, come pretenderebbe la moderna pietà democratica, l’eroina dei diritti dell’uomo. E’ piuttosto la terrorista, testimone impotente del terrore segreto che giace al fondo dell’ordine sociale. La speranza di salvezza nasce dalla disperazione Jean-Francois Lyotrad in un testo che s’intitola The Other’s Right, rispondeva, nel 1993, a una domanda posta da Ammesty International : che cosa diventano i diritti dell’uomo nel contesto di un intervento umanitario? L’argomento non è nuovo, ha nutrito la critiche da Burke a Marx, ad Hanna Arendt. La risposta può essere riassunta nella necessità di una svolta etica che però contrasta con i diritti individuali, questa la rende irrealizzabile. se i diritti individuali, con il loro carico di solipsismo, finiscono per prevale su tutto, è chiaro che non ci può essere ipotesi etica realizzabile. Solo un dio ci potrebbe salvare se sapessimo rinunciare al nostro egoismo. I dispositivi attraverso i quali l’arte esprime le forme della contemporaneità non possono prescindere da ciò che costituisce la realtà nella quale anche l’artista vive. Fino a qualche decennio fa l’artista aveva l’ambizione di essere testimone della evoluzione sociale, capace di stigmatizzare le contraddizioni del mondo contemporaneo segnato dall’oppressione soft. Oggi arte ed artisti si sono persi,dissolti nel brodo del mercato, sono stati assorbiti dal capitale che finge di criticare se stesso.
piergiorgio firinu
Ermeneutica della percezione.
La società contemporanea non potrebbe funzionare senza l’ausilio dei computers che svolgono rapidamente ed in modo esatto calcoli e permettono una scrittura auto- correttiva. Una quantità di operazioni che un tempo erano appannaggio di esperti sono ora alla portata di chiunque abbia un minimo di dimestichezza con il computer. Ne consegue che l’intelligenza artificiale acquista spazio nella misura in cui sembra ridursi l’uso dell’intelligenza naturale. Senza dubbio la diffusione del computer ha permesso a una quantità di persone di compiere operazioni complesse un tempo impossibili per le persone dotate di media istruzione. Acquisire competenza nell’uso del computer è sicuramente più semplice e rapido di quanto sia imparare tutto ciò che è possibile trovare con facilità attraversi i motori di ricerca. Andrebbero forse riviste tesi, teorie filosofiche, ipotesi psicologiche che hanno per oggetto il funzionamento della mente umana. Dalla fine del XIX secolo troviamo complesse trattazioni concernenti la natura della coscienza, per esempio negli scritti del filosofo/psicologo William James e del filosofo europeo Edmund Husserl, circa la struttura intenzionale degli stati mentali. Questione affrontata anche dal filosofo austriaco Franz Brentano e dall’inglese Bertrand Russel. Una metodologia adeguata alla studio della mente non è stata ancora trovata, nonostante i molti tentativi di studiosi e filosofi, tra i più impegnati sull’argomento sono stati Wilhem Wundt, Gustav Theodor Fechner. Il nocciolo del problema è dato dalla difficoltà di sondare la mente in modo sperimentale se non attraverso azioni contestualizzate. E’ possibile si verifichi negli studi della mente, ciò che accade negli esperimenti della fisica dei quanti, il compiere l’esperimento rischia di modificare le condizioni in cui si compie e quindi vi è un’estrema difficoltà di verifica sperimentale. Pur consapevoli delle difficoltà oggettive di capire come funziona la mente umana, ci ostiniamo nella pretesa di giustificare singole azioni. Il mondo dell’arte, sotto il profilo psicologico e gnoseologico, costituisce una miniera mai esplorata a sufficienza, tanto che restano in piedi luoghi comuni come l’impreciso termine di “ispirazione”. Lo psicologismo non è interamente sconfitto,ed è stato recentemente rilanciato nella forma di quel che si potrebbe chiamare neurologismo. Il noto neuro – scienziato Semir Zeki ha scritto in un articolo recente: “ Il mio approccio è dettato da una verità che considerò assiomatica: che tutta l’attività umana è dettata dall’organizzazione delle leggi del cervello; quindi che non ci possa essere alcuna concreta teoria dell’arte e dell’estetica che non sia neurobiologicamente fondata”. Alla luce di queste considerazione appare in tutta la sua fatuità una critica che voglia addentrasi nelle motivazioni circa l’operato dell’artista, trascurando la concreta realtà dell’opere nelle quali tali motivazioni non sono visibili. Detto in altre parole, se può essere importante l’idea di partenza è fondamentale il risultato a cui l’artista approda. La tendenza della critica contemporanea è capovolgere l’assunto, soffermandosi sulle intenzione e presumendo che esse siano sufficienti a motivare comunque quello che i nostri occhi non percepiscono. Quando si dice contemporaneo s’intende un arco di tempo di quasi un secolo, da quando cioè le ragioni dell’arte sono state diluite in paralogismi di varia natura. Frege e Husserl, criticarono duramente la dottrina dello psicologismo, ovvero l’idea che le leggi della logica siano riducibili alle leggi della psicologia. Nei tardi anni Ottanta, gli psicologi e cominciarono ad occuparsi di coscienza nel contesto delle scienze cognitive. Negli anni Novanta, iniziò un ampio dibattito attorno al difficile problema della coscienza, condotto da David Chalmers, sulla scorta degli studi di Thomas Nagel, Searle, Dainiel Dennett, Owen Flanagan. Tuttavia non pare che questi studi abbiamo influito più di tanto nella considerazioni e valutazioni della critica d’arte la cui materia di riferimento, meglio di altre, si presta alle considerazioni circa i modi in cui opera la mente creativa. L’arte ha finito per entrare in una sorta di territorio desolatamente sconosciuto. In breve è stato abbandonato il tentativo di chiarire il nesso tra la mente computazionale e la creatività, mettendo sempre più l’accento su quella sorta di anacoluto logico che è “l’ispirazione”.
piergiorgio firinu
Ermeneutica della percezione.
La società contemporanea non potrebbe funzionare senza l’ausilio dei computers che svolgono rapidamente ed in modo esatto calcoli e permettono una scrittura auto- correttiva. Una quantità di operazioni che un tempo erano appannaggio di esperti sono ora alla portata di chiunque abbia un minimo di dimestichezza con il computer. Ne consegue che l’intelligenza artificiale acquista spazio nella misura in cui sembra ridursi l’uso dell’intelligenza naturale. Senza dubbio la diffusione del computer ha permesso a una quantità di persone di compiere operazioni complesse un tempo impossibili per le persone dotate di media istruzione. Acquisire competenza nell’uso del computer è sicuramente più semplice e rapido di quanto sia imparare tutto ciò che è possibile trovare con facilità attraversi i motori di ricerca. Andrebbero forse riviste tesi, teorie filosofiche, ipotesi psicologiche che hanno per oggetto il funzionamento della mente umana. Dalla fine del XIX secolo troviamo complesse trattazioni concernenti la natura della coscienza, per esempio negli scritti del filosofo/psicologo William James e del filosofo europeo Edmund Husserl, circa la struttura intenzionale degli stati mentali. Questione affrontata anche dal filosofo austriaco Franz Brentano e dall’inglese Bertrand Russel. Una metodologia adeguata alla studio della mente non è stata ancora trovata, nonostante i molti tentativi di studiosi e filosofi, tra i più impegnati sull’argomento sono stati Wilhem Wundt, Gustav Theodor Fechner. Il nocciolo del problema è dato dalla difficoltà di sondare la mente in modo sperimentale se non attraverso azioni contestualizzate. E’ possibile si verifichi negli studi della mente, ciò che accade negli esperimenti della fisica dei quanti, il compiere l’esperimento rischia di modificare le condizioni in cui si compie e quindi vi è un’estrema difficoltà di verifica sperimentale. Pur consapevoli delle difficoltà oggettive di capire come funziona la mente umana, ci ostiniamo nella pretesa di giustificare singole azioni. Il mondo dell’arte, sotto il profilo psicologico e gnoseologico, costituisce una miniera mai esplorata a sufficienza, tanto che restano in piedi luoghi comuni come l’impreciso termine di “ispirazione”. Lo psicologismo non è interamente sconfitto,ed è stato recentemente rilanciato nella forma di quel che si potrebbe chiamare neurologismo. Il noto neuro – scienziato Semir Zeki ha scritto in un articolo recente: “ Il mio approccio è dettato da una verità che considerò assiomatica: che tutta l’attività umana è dettata dall’organizzazione delle leggi del cervello; quindi che non ci possa essere alcuna concreta teoria dell’arte e dell’estetica che non sia neurobiologicamente fondata”. Alla luce di queste considerazione appare in tutta la sua fatuità una critica che voglia addentrasi nelle motivazioni circa l’operato dell’artista, trascurando la concreta realtà dell’opere nelle quali tali motivazioni non sono visibili. Detto in altre parole, se può essere importante l’idea di partenza è fondamentale il risultato a cui l’artista approda. La tendenza della critica contemporanea è capovolgere l’assunto, soffermandosi sulle intenzione e presumendo che esse siano sufficienti a motivare comunque quello che i nostri occhi non percepiscono. Quando si dice contemporaneo s’intende un arco di tempo di quasi un secolo, da quando cioè le ragioni dell’arte sono state diluite in paralogismi di varia natura. Frege e Husserl, criticarono duramente la dottrina dello psicologismo, ovvero l’idea che le leggi della logica siano riducibili alle leggi della psicologia. Nei tardi anni Ottanta, gli psicologi e cominciarono ad occuparsi di coscienza nel contesto delle scienze cognitive. Negli anni Novanta, iniziò un ampio dibattito attorno al difficile problema della coscienza, condotto da David Chalmers, sulla scorta degli studi di Thomas Nagel, Searle, Dainiel Dennett, Owen Flanagan. Tuttavia non pare che questi studi abbiamo influito più di tanto nella considerazioni e valutazioni della critica d’arte la cui materia di riferimento, meglio di altre, si presta alle considerazioni circa i modi in cui opera la mente creativa. L’arte ha finito per entrare in una sorta di territorio desolatamente sconosciuto. In breve è stato abbandonato il tentativo di chiarire il nesso tra la mente computazionale e la creatività, mettendo sempre più l’accento su quella sorta di anacoluto logico che è “l’ispirazione”.
piergiorgio firinu
All’ombra dell’Ortensia.
La manualità ha implicazioni e conseguenze sul pensiero in quanto evidenza conseguenze e limiti, induce alla concretezza. Detto in altre parole l’opera si esprime per se stessa senza la necessità di supporti verbali, provocazioni, escogitazioni atte a stupire. Esempio significativo l’industria cinematografica. Quando per produrre un film bastava una semplice cinepresa e recitavano persone in carme e ossa, i filmati dovevano necessariamente basarsi sul contenuto, anche nelle forme leggere, come nel film muto, erano in gioco ruolo e mimica degli attori. I films in bianco e nero di Orson Welles fanno parte della storia del cinema e non sono paragonabili ai films di oggi, di fronte ai quali appaiono di semplicità estrema, ed altrettanta incisività espressiva. I film dovevano avere un contenuto, di fatto era teatro filmato e quindi aveva un ruolo importante l’abilità degli attori. Questo non è più necessario oggi che i films fanno riferimento soprattutto a sesso ed effetti speciali. L’influenza che la serie di films e telelefilms banali e osceni, ha sulla società nel suo insieme è questione sulla quale stranamente non si sofferma l’attenzione dei media, che anzi sguazzano nel pantano del conformismo scurrile. I numerosi enti di ricerca statistica non pare abbiano mai tentato di appurare quanto il basso livello di film e telefilm influisce sul comportamento delle masse. Forse sono scoraggiati a suon di dollari dalla case cinematografiche a svolgere accurate indagini in tal senso. Certi discorsi sull’arte equivalgono a chi, ricevuta in dono una caramella, butti il contenuto e tenga l’involucro. Come il cinema l’opera dei pittori fino alla fine dell’800 poteva essere pregevole o mediocre, ma era costruita in modo artigianale, con le mani, pensata avendo davanti i maestri del passato. Il passato non è stato solo dimenticato, ma distrutto a suon di paralogismi. Ha detto Verulamio: “ Il tempo è come un fiume , trasporta ciò che è leggero e lascia affondare ciò che è pesante”. In arte, il brutto è sgradevole sembra essere la cifra della modernità. Siamo lontani dalla capacità dell’artista di trasmettere sensazioni senza ricorso ad espedienti. Scriveva La Fontaine: “La grazia che all’ombra di Ortensia si diffonde / è più bella nei miei versi che sotto le sue fronde”. Artisti e poeti cercavano di esprimere la bellezza, oggi messa al bando, così, mentre prima bastava il mestiere, un calmo e ragionato procedere con la lentezza della storia, della staticità sociale, oggi si è travolti dalla frenesia di cambiamento, dall’ansia di consumo che impregna ogni azione, motiva il cinismo, rende difficile, anzi inutile, il mestiere dell’artista com’era concepito un tempo. L’arte ha mutato status, l’artista da artigiano è diventato intellettuale. L’arte è caduta sotto colpi delle spurie teorie di filosofi, e non è più coerente con il sostantivo che la denomina, perché ha perso i requisiti di unicità e manualità. Gli artisti hanno rinunciato al tentativo di dar forma all’idea, se non in termini di tecnicità, fanno ricorso alla tecnica e alla produzione industriale. Un tempo predominava la forma mimetica, quella del neoplatonismo del Rinascimento , di cui Panofski, in Idea, ha riassunto la formula. Essa consisteva nel riportare la falsa imitazione a quella vera. Invece è sopravenuta la rinuncia a misurarsi con la difficoltà di una ricerca che rimanesse nell’alveo gnoseologico dell’arte. Le avanguardie hanno scelto di rovesciare il tavolo al quale sapevano non avrebbero potuto vincere perché culturalmente non all’altezza dei maestri del passato. Certi cartellonisti americani vengono paragonati a Leonardo, e quindi risulta chiaro che non c’è speranza che l’arte riconquisti la dignità perduta. Da oltre un secolo le arti non hanno più per obiettivo il bello, ma sono condizionate quasi interamente dal mercato. Andrè Bazin afferma che non solo il cinema è costituito dalla mescolanza delle altre arti, anche le cosidette arti plastiche giocano alla commistione, in assenza d’idee veramente originali e innovative. Per Guy Debord gli stereotipi della pornografia costituiscono una facile scorciatoia per ottenere attenzione tramite la provocazione. Capovolgendo le tesi di Kant, ci troviamo di fronte a una finalità senza concetto, la rottura della materialità sensibile dell’arte. Lyotard tenta la rimonta opponendo il nichilismo sensibile all’estetica, ma le avanguardie hanno perso la capacità di fare arte senza il supporto esterno della sovrapposizione letteraria. Resta vera l’impossibilità dello spirito di appropriarsi di un oggetto senza il tramite della materia. Il problema è che l’idea della ragione decifrante ha perso significato in una situazione in cui la forma conta meno del logo, costituito dalla firma dell’autore.
piergiorgio firinu
Ridicolo da museo
Sulla distinzione tra una produzione generica di oggetti e creazione artistica, c’è stato un fitto confronto tra teorie filosofiche, sociologiche, di critica d’arte, con formulazione delle più bizzarre ipotesi. Non ha contribuito alla chiarezza, l’attribuzione all’arte di significati impropri. L’estetica relazionale respinge la pretesa di autosufficienza dell’arte, avanza un motivato dubbio che l’arte abbia il potere di incidere sulla vita. Si dovrebbe ammettere che ,l’arte non anticipa i tempi, li segue zoppicando. Il fallimento delle avanguardie è certificato dal tentativo di tracciare la frontiera che separa sensibilmente opere d’arte e prodotti della cultura, dalle merci ordinarie. L’arte non si qualifica con teorie, ma nel concreto realizzarsi. Nell’osservare le opere di Paolo Uccello, Pieter Brugel, le ironiche costruzioni pittoriche delle figure costruite con frutti di Arciboldo, non è necessario far ricorso a complicate esegesi, le opere sono godili e comprensibili a tutti. Le avanguardie hanno tentato di supplire alla carenza di creatività, con espedienti di varia natura. Citazionismo, ready – made, implicazioni politiche manifeste. Facce della stessa medaglia. Su un punto si dovrebbe essere chiari: l’artista non può produrre cultura se non possiede cultura. Il ricorso alle idee degli altri non è una soluzione. Perché mai si dovrebbe reinterpretare Shakespeare adattandolo alla realtà di oggi, forzandone significati e senso. Non sarebbe più utile, ai fini di una crescita culturale, la ricerca di modalità espressive che meglio esprimano la contemporaneità. Il citazionismo o lo sberleffo, come i baffi alla Gioconda di Marcel Duchamp, che giustificava il gesto sostenendo che la Gioconda rappresentava null’altro che un luogo comune dell’estetica piccolo borghese da distruggere con atti provocatori come appunto l’applicazione di un paio di baffi. In realtà il tempo ha confermato che l’orinatoio, elevato a dignità d’arte, era tutt’altro che un atto d’intelligente estrapolazione estetica. Duchamp, dopo essere stato osannato dalla critica, è stato collocato nel museo, sepolcro della creatività di contrasto, segno eloquente di fallimento del suo tentativo provocatorio. La borghesia assorbe tutto, compra tutto, celebra tutto, soprattutto ciò che non capisce. . Gli artisti che volevano épater les bourgeois, provenivano dalla borghesia, Duchamp non fa eccezione. Il “successo” in America fu dovuto alla capacità di affabulazione, al plagio della ricca e frustrata femminista, certa Katherine Sophie Dreier che cercava la gloria per interposta persona. Costei apparteneva alla categoria degli squilionari, come John G. Johnson, definì i ricchi collezionisti americani privi di gusto, ma pieni di risorse economiche, ansiosi di apparire moderni. Katherine Sophie Dreier profuse somme enormi per sostenere il suo idolo, perché egli potesse seguire i percorsi “sperimentali”. Elevando l’orinatoio a dignità d’arte, ha abbassato l’arte a livello dell’orinatoio. Dopo di lui una miriade di nipotini continua a ripetere gesti, “provocatori” in un susseguirsi d’immagini spesso identiche. Nelle esposizioni e nelle fiere si vedono opere, una accanto all’altra, una dentro l’altra, come nel godeliano paradosso dell’infinito. Le forme che assume la pseudo arte, ormai arte accademica, non avrebbe tanto potere di plagio sui giovani artisti, se non fruisse del megafono di una critica incapace di svolgere il proprio ruolo. L’uso dei vecchi arnesi ideologici, bocciati di Adorno in modo netto perché, egli sosteneva, “la funzione sociale dell’arte è di non avere funzione”, ha costretto a ripiegare sulla pretesa funzione ludica dell’arte. Ma anche in questo caso incorrendo in un abbaglio. La teoria che l’uomo giocatore e l’uomo autenticamente umano, non vale per l’artista, perché il presupposto del gioco, come sosteneva Schiller è la gratuità. Non solo l’arte, ma ogni forma di gioco e di relazione nella nostra società sono funzionali agli aspetti lucrativi, prevalgono accanite competizioni. Sui campi di calcio, come nelle accademie, nella scienza, come nella comunicazione, l’obiettivo primario è vincere, si tratti di audience o di quotazioni di mercato. La famosa mano invisibile di Adam Smith è piuttosto rattrappita nell’ansia di stringere il malloppo comunque conquistato, ogni ambito sociale, diventato un agone, non tiene conto dei valori, ma della forza e dell’apparenza. Quasi dissolta la lotta di classe, è in atto la lotta tra generi. Jacob sosteneva: “non esistono generi, solo individui”. L’arte, come tutte le altre forme di competizione, è condizionata dal lucro,dal successo, quindi, se anche fosse un gioco, sarebbe un gioco assolutamente crudele. C’è da dire che, almeno sotto questo aspetto l’arte è perfettamente in carattere con il tempo in cui viviamo, dopo tante battaglie di un’arte del popolo e per il popolo, è rimasta appannaggio di happy few.
piergiorgio firinu
Autentica finzione.
Scriveva Pascal, l’essere umano, a differenza degli altri animali “è una canna che pensa”. Tuttavia, non sempre i pensieri hanno valenza positiva, in molti casi le azioni non sono meditate, si agisce per impulso. Questo comportamento è attribuito all’emotività, fuori dal controllo razionale. E’ noto l’aneddoto del medico di Socrate. La presunzione di conoscenza è spesso fonte di errore, come l’emotività. Quando assistiamo a film di fantascienza, sappiamo benissimo che i personaggi non si trovano nello spazio o sulla Luna, ma in un teatro di posa. Nel film, Capricorn One, era raccontata una truffa a danno del governo USA da parte di militari che ottenevano ingenti somme di denaro dal governo per effettuare missioni spaziali. In realtà crearono la finzione di uno sbarco sulla Luna in set opportunamente costruiti. Ogni film è una finzione alla quale noi fingiamo di credere, suggestionati dal regista proviamo paura, commozione, ira per un qualcosa che in realtà non esiste. Forse non si riflettuto abbastanza su questo meccanismo che finisce per abituarci a all’inautenticità delle nostre emozioni, l’abitudine alla finzione finisce per inquinare la vita sociale e culturale. Anche l’arte è prigioniera di un’ermeneutica deviante. Quando il filosofo esprime la propria Weltanschaauung, di fatto circoscrive il mondo nei limiti della propria comprensione, isola la realtà fenomenologica,la riduce alla dimensione del proprio pensiero, la manipola e la limita nel momento stesso in cui tenta d’interpretarla. E’ noto che ci sono esperimenti di fisica talmente delicati che i dati si modificano nel momento in cui si compie l’esperimento. Anche il mondo dell’arte è contaminato dalla sempre minore capacità di autentico da parte degli artisti. L’etimologia del sostantivo arte significa deriva da “fare”. I primi uomini nelle grotte di Lascaux e Altamira incidevano le rocce raffigurando animali, compivano un rito di evocazione, propiziatorio della caccia del giorno dopo. In altri casi davano forma ad un ricordo gioioso, alla paura. Da quei primi segni grafici, le forme artistiche si sono evolute nel corso di millenni fino a raggiungere il loro apice di perfezione al tempo dei greci. L’arcadia è forse il momento più bello ed esaltante della storia umana. L’artista artigiano faceva coincidere spontaneità e rappresentazione della realtà che viveva. Non a caso lo stesso Marx affermò che le opere realizzate in quell’epoca, in un contesto sociale totalmente diverso da quello del suo tempo, riuscivano ancora a comunicare emozione, e gioia per la bellezza. L’arte dei greci si ispirava al mito. La fine del mito ha coinciso con l’inizio della morte dell’arte, sommersa dalla realtà, è andata gradatamente perdendo la forza dell’immaginazione che si potere al servizio della religione e della classe nobiliare raffigurandone protagonisti e simboli. L’arista come un salariato di alto livello. Tiziano Vecellio fu nominato conte Palatino da Carlo V. Con il declino del potere religioso e nobiliare, il subentro della borghesia mercantile al potere, l’artista perse i propri committenti, divenne produttore di merci come altri. Nella Firenze del ‘400 le botteghe di artisti erano 176, le macellerie erano 74. Il primo mercante d’arte di cui è noto il nome, fu il fiorentino Giovan Battista della Palla. Nei Paesi Bassi gli artisti per sopravvivere dovevano ricorrere ad altre fonti di guadagno, Goyen commerciava in tulipani, Hobbema era esattore, van de Velde aveva un negozio di telerie, Jan Sten e Aert van de Velde erano bettolieri. Rembrandt e Hals vivevano di stenti. Il rozzo pragmatismo della borghesia considerava l’arte come le altre merci, per cui l’unico riferimento divenne il valore monetario. Per gli artisti si rese necessario dare valore aggiunto alla propria “merce”. Per far questo si rivolsero agli intellettuali i quali, come registi, creano una suggestione intorno alle opere, con sovrapposizioni letterarie attribuendo a posteriori significati improbabili, utili ad incantare i mercanti facendo loro intravvedere la possibilità di pagare poco ciò che in realtà valeva molto. In secondo tempo, con il romanticismo, l’arte scopre la politica della quale mette a diposizione le proprie efficaci rappresentazioni. Affidare agli intellettuali la valorizzazione del proprio lavoro, è all’origine della critica d’arte, la quale non ha bisogno di apparati, come il registra, si affida alla capacità immaginifica delle parole. Gli intellettuali diventano bravissimi nella manipolazione decettiva della realtà. Gli artisti finirono per dare maggiore importanza alle parole che alle opere. Ai giorni nostri, un pezzo di ferro, un sacco di rifiuti, un orinatoio, sono considerati opere d’arte. Il mercato si sviluppa, l’arte muore. Gli artisti, esentati dalla necessità di apprendere la tecnica, il mestiere, fanno sempre più spesso ricorso alle parole, si propaga la cultura dell’inganno, con significative conseguenze sulla società, dal momento che incide sui comportamenti, sulla politica che perfeziona l’arte della manipolazione e se ne serve.
piergiorgio firinu
Strane incongruenze.
Il mai risolto rapporto arte-ideologia ha contribuito a provocare un’entropia sociale che non produce calore ma solo disgregazione. Il dibattito che si è aperto sulla funzione di Internet sembra ignorare il fatto che, in ogni caso, la rete costituisce una sorta di mondo virtuale a prescindere dall’effetto, innocuo, negativo o positivo, senza dubbio allontana dalla realtà fatta di carne, sangue, dolore, i giovani che passano ore davanti al Pc potranno anche diventare più intelligenti, come sostiene Michael Nielsen che considera Internet uno strumento per aumentare la nostra intelligenza collettiva, tesi che non tiene conto che la necessità di un supporto che di fatto si traduce in una limitazione dell’autonomia individuale. Quante volte abbiamo sentito l’esclamazione “ senza il mio computer mi sento perso!”. Si può dunque discutere se prevalgono gli aspetti positivi o quelli negativi, ma senza dubbio l’approccio alla rete è condizionato dalla pregressa accumulazione di gusti e saperi. Siti pornografici e Chat per sesso virtuale, sono di gran lunga i più visitati. Sarà il caso di chiederci perché. Per iscriversi a una Chat per incontri, in moltissimi pagano parecchio senza batter ciglio, mentre di fronte alla richiesta di pochi euro per iscrizione di un Portale di arte e cultura, anche molti “colti” si rifiutano, trovano ingiustificato l’esborso, fanno ricorso a speciose argomentazioni. E’ strano il rapporto della cultura con la libertà , messa in luce da Internet. Da un lato la quasi totalità delle persone considera preminente la libertà dell’artista per cui, ad esempio, un’immagine chiaramente pornografica, come certe fotografie di Robert Mapplethorpe, disegni di membri virili di Warhol, sono, tout court, considerati opere d’arte. Sembra implicita quanto apodittica la convinzione che arte e letteratura non abbiamo alcuna influenza sulla formazione di gusti e tendenze etiche. Questa convinzione sottrae, artisti, scrittori, intellettuali in genere, all’assunzione di responsabilità. E’ sufficiente tirare in ballo la libertà personale per giustificare ogni tipo di scelta. Il problema è antico e come quasi sempre accade in questo tipo di questioni, non è stato risolto ma accantonato. Ci sono strane incongruenze. E’ difficile capire perché Leone Trockij avesse molta simpatia per un movimento d’impronta fascista come i Futuristi. Non è sempre l’ideologia a guidare la scelta degli artisti. Palazzeschi esortava i giovani a trasformare i manicomi in scuole di perfezionamento per professori che li disapprovavano. Emblematico lo scritto “ Uccidiamo il chiaro di luna”. Il programma politico futurista dell’ottobre 1913 prevedeva l’espulsione dei vecchi professori a favore dei giovani, la riduzione a 22 anni del limite di età per essere eletti deputati. L’abolizione del Senato rimpiazzato da un’assemblea composta da 20 giovani con meno di trent’anni. Questa assoluta insensatezza ha riscosso successo un secolo fa, tutt’ora c’è chi celebra il Futurismo come il maggior movimento artistico nato in Italia. Non c’è dubbio che l’arte, per sua natura, è sempre concettuale e la sua lettura è sempre stata decodificazione a livello iconologico, in unità di percezione e filosofia. Questo significa che il futurismo, così come altre avanguardie, non possono essere considerate movimenti artistici, ma di altra natura, manifestazione enfatiche di esaltatati. E’ sconfortante pensare quanto parte abbia avuta ed abbia nella cultura dell’occidente ogni forma di devianza, la soppressione della ragione è assimilata alla creatività, osannata, imitata da una gran quantità di epigoni. L’arte è morta da oltre un secolo. Restano simulacri tenuti in vita con accanimento terapeutico, in stato comatoso, da mercanti, fiere, biennali, ed ogni sorta di manifestazioni pubblicitarie simili a commemorazioni. Danno voce alla morta, imbellettata a dovere, critici ventriloqui. Sembra sia l’arte a parlare, in realtà sono le voci dei critici, mantenere viva la finzione a favore del mercato. A proposito dei critici viene a mente la frase di un artista delle perestrojka: ho idee precise con le quali mi trovo in disaccordo. Se questi sono i prodromi culturali della civiltà, nulla può stupire. Purtroppo viene meno la voglia di ridere, non c’è possibilità si attui la profezia: una risata vi seppellirà. Diretta emanazione di una società di massa l’arte è settaria, minaccia l’individuo ed ottunde il senso dell’individualità. Infatti le avanguardie artistiche, non prestano attenzione all’individuo in quanto tale, solo ai gruppi, a forme generalizzate di espressioni sul filo della emotività, spesso indotta da additivi chimici. Non tutti tossicomani sono Baudelaire o Guy de Maupassant. Gli scrittori Hippy dei quali è stato creato un mito del quale non erano all’altezza. Gli americani, proprio perché più avanti nel processo di massificazione, si trovano a loro agio in questo disfacimento della razionalità individuale, nel depauperamento del senso dell’arte. Dunque non è un caso se l’arte americana, a partire dalla metà del secolo scorso, ha dettato legge anche in Europa. Marx affermava: “L’uomo forma secondo le leggi della bellezza”. Affermazione ignorata non solo dai movimenti artisti parafascisti come i Futuristi, ma anche dalle successive avanguardie che si richiamavano al radicalismo di sinistra.
piergiorgio firinu
Verità provvisorie
Per chi sente il bisogno di capire sottraendosi, per quanto è possibile, ai condizionamenti degli affabulatori, potrebbe essere utile coltivare la sana abitudine di confrontare testi e opinioni diverse con una certa simultaneità. In altre parole, leggere più di un libro contemporaneamente, specie se della stessa materia, essendo chiaro che, ciò che gli intellettuali scrivono, corrisponde alle loro opinioni. Anche nella scienza teorie che sembravano basilari, vengono rimesse in discussione. Molto più fragili, sotto il profilo della certezza, sono le teorie sociologiche, politiche, filosofiche, psicologiche. Nessuna di queste discipline trova un riscontro certo, al più, possono essere confortate da riferimenti statistici. Se si radicano e restano a lungo nel pensiero comune, ciò è dovuto soprattutto a una certa pigrizia mentale che induce ad accettare ciò che risulta più consono alle proprie opinioni. Il processo di conoscenza è per sua natura provvisorio, anche se spesso, nasce lo stereotipo che si trasforma in assioma. Per esempio, la teoria strutturalista basata sulle tesi di autori di buon livello intellettuale come Roman Jakobson, Claude Lèvi-Strauss, Jacques Lacan, Michel Foucault, Louis Althusser e Roland Barthes, e diventata un credo, in realtà aveva molte lacune logiche conteneva, come tutte le teorie, verità e aporie. Tuttavia la tesi secondo cui “non esistono fatti, ma solo interpretazioni” non è così strampalata come a prima vista può apparire. Tanto più nella società di oggi così scarsamente sensibile agli argomenti etici. Potremmo considerare, a titolo di esempio,ciò che avviene nei tribunali, luoghi deputati alla Giustizia. Nei fatti, per come è andato evolvendosi il diritto, insieme al comune pensare, si verificano situazioni paradossali. Nelle aule di tribunale non avviene quasi mai un processo volto all’accertamento della verità, piuttosto un confronto rituale, dialettico, viziato da pregiudizi, in cui l’abilità della difesa, oltre che la notorietà del difensore, finiscono per avere una parte non secondaria sull’esito del giudizio, nell’emettere il quale incidono non poco le personali convinzioni politiche, sociali, religiose dei giudici. Tutto questo è di assoluta evidenza, ma si finge che il giudice sia sereno, equilibrato, imparziale. La verità non è protagonista, è tirata in ballo da entrambe le parti come alibi, pretesto per argomentazioni retoriche. Questo è un esempio di come l’interpretazione prevalga spesso sui fatti. Di conseguenza una persona che abbia effettivamente commesso un delitto, dopo l’assoluzione è innocente. Mentre un innocente viene condannato è colpevole e subisce tutti gli effetti della condanna. Qualcosa di analogo accade nel mondo dell’arte. Come la giustizia è di esclusiva competenza degli addetti ai lavori, anche il mondo dell’arte, nel quale si blatera di libertà creativa, l’artista è sottoposto alle forche Caudine erette da una ristretta cerchia di addetti ai lavori. Alcuni artisti sono fatti oggetto di costose campagne pubblicitarie a seguito delle quali i giornali concedeno pubblicità redazionale, definita ipocritamente “critica d’arte”. Se ignorato da galleristi e media, l’unica libertà che resta all’artista, è cambiare mestiere, oppure sopravvivere nell’indigenza. Il mondo da sempre è in preda alla finzione, oggi, a differenza del passato, gli strumenti di comunicazione sono molto più potenti e diffusi, pensiamo alla tv, con questi strumenti è più agevole influire sulla pubblica opinione, come ha scritto in un mirabile saggio Jurgen Habermas. Il più grande inganno, la maggiore finzione oggi, si chiama libertà. In questi giorni di gelo centinaia di persone muoiono liberamente di freddo nelle strade di paesi che vengono considerati civili. Ogni giorno milioni di persone,soprattutto bambini, muoiono di fame. Questa è la nostra civiltà, il nostro mondo dominato dalla finzione della giustizia e della libertà. Una civiltà così è destinata prima o poi a deflagrare.
piergiorgio firinu
Percorso a ritroso.
La creatività è altra cosa dall’intelligenza. Certo è preoccupante quando mancano entrambe. E’ un fatto che spesso vengono dette sull’arte cose di assoluta banalità con linguaggio forbito e/o in forma accattivante, tanto da assumere l’apparenza di manifestazioni d’intelligenza. In realtà si tratta di luoghi comuni e proprio per questo vengono subito accettati. Qualcosa di analogo accade nella produzione dell’arte. La critica d’arte è zeppa di anacoluti concettuali e pleonasmi. Capita che persone di scarso talento si associno a persone di scarsa serietà. Da parte della critica vi è la pretesa di forzare il significato di ciò che è visibile e mutarne la natura. Si parla di dimensione estetica come di qualcosa che allarga l’orizzonte dell’arte, entrando nella vita e tentando di forzare l’immagine al servizio dell’ideologia quando è la forma che,anche senza forzature, esprime ciò che è l’aspetto proprio dell’arte: il mito. Le opere del Giorgione erano immagine reale di una realtà che non esisteva, una finestra aperta sulle possibilità del reale. L’arte in sostanza tenta continuamente di attuare un procedimento che mitizza la realtà e realizza il mito. La prova è nel fatto che le produzioni seriali di Warhol sono rapidamente diventate icone dell’arte contemporanea. Il problema è la qualità della miticizzazione. Nella Grecia antica vi era conflitto tra mito chiaro e mito oscuro. La vittoria del mito chiaro è stata propedeutica alla nascita della democrazia. Ordine e contenuti sociali sono sub-strato che alimentano ogni tipo di creazione artistica. L’entropia sociale del mondo contemporaneo rischia da vita ad un processo a ritroso, in parte già in atto quando solo si consideri la volgarità e scurrilità abituale nel linguaggio cinematografico e nella realtà. Nel processo a ritroso dell’arte l’Europa, anche se ora a condurre il gioco è l’America. La deflagrazione del senso ha avuto iniziato in Europa poi le teorie nichiliste sono approdate in America intorno al 1930, quando i surrealisti lasciarono la Francia per tenersi prudentemente lontano dalla guerra, si trasferirono negli Stati Uniti. Tanguy, Dalì, che nel frattempo avevano troncato i rapporti con il gruppo dopo che era stato accusato di simpatie franchiste, furono tra i primi, seguiti da un gran numero di altri artisti europei. Oltre a Dalì e Tanguy, approdarono in USA, Man Ray, Max Ernst e molti altri. Questo arrivo massiccio influenzò non poco l’arte in America dando l’avvio a una sorta di World Game nel quale finirono per avere la meglio artisti americani e/o americanizzati. Gli earthworks , gli eventi filmati, la rinunzia all’arte per l’azione politica, sono senza dubbio dovuti all’influenza degli artisti europei. Robert Morris , sulla scia delle avanguardie europee teorizza la soppressione della distinzione tra esperienza estetica ed esperienza reale . L’arte finisce per distinguersi non per qualità ma per quantità, le enorme strutture prodotte in stabilimenti industriali, su disegni di una disarmante semplicità, sono l’interpretazione americana delle teorie europee. Resa superflua la qualità, l’arte si libera della necessità di giudizio. In teoria tutto questo è espressione di libertà creativa, in realtà è prodromo allo strapotere del mercato che oggi decide ciò che vale. Quando Herbert Marcuse, in una famosa conferenza al Guggenheim Museum teorizzava la mescolanza tra arte e vita, come espressione di rivolta contro il sistema del profitto e della cultura mercificata, in realtà non si rendeva conto di aprire la strada i mercanti, rafforzava il sistema che intendeva contestare.
piergiorgio firinu
Drop out dell'arte.
I temi della cultura e del pensiero, negli ultimi decenni, si sono evoluti affrontando temi cruciali senza tuttavia la fretta di archiviare il passato, per così dire di correre, ma affinare gli strumenti di conoscenza. Al contrario, l’arte dell’ultimo secolo, sembra pervasa da una frenetica ansia di nuovo. A giorni si aprirà la fiera di Bologna, una kermesse che promuove se stessa molto bene, nonostante la pretesa di selettività a priori si traduca in un boomerang. Chi scrive partecipò alle prime fiere nel 1975, era allora un esperimento entusiasmante, allora. Oggi non è più così, la selezione avviene per logo, lo stile camp fa la parte del leone,come tutte le fiere, l’importante è presentare le ultime novità, peccato che le “novità” siano sempre le stesse. Non conta il valore, conta la notorietà dell’artista. Che ne è dell’avanguardia oggi?. Alcuni reazionari sventolano ancora il frusto vessillo dell’avanguardia, difendono una posizione soprattutto perché fa comodo. L’avanguardia è diventata un genere, con suoi giri opera a latere della società cinica e permissiva di oggi senza scalfirla. All’artista contemporaneo si presentano un cataloghi di “stili” ed egli ritiene doveroso scegliere. Ma ciò che c’è nei cataloghi è già passato di moda. In arte ormai ogni cosa che viene fatta rappresenta un'altra porta aperta che però mette capo a un muro cieco. T.S. Eliot, un conservatore, scriveva: “Per un artista fare ciò che è stato già fatto costituisce una perdita di tempo, sarebbe come per un biologo scoprire ciò che Mendel ha già scoperto tanto tempo fa”. Solo che questa frase- stimolo è stata mal interpretata, tanto che gli scopritori di acqua calda sono molti ed usano l’espediente di chiamare le cose con un altro nome, oppure scherzarci. In realtà :Nullum est iam dictum,quod non sit dictum prius. Dopo aver cancellato e sepolto le tendenze artistiche tradizionali, il nuovo è arrivato al punto da eliminare se stesso. Tutte le forme d’arte trovano legittimazione, ci sarà sempre, un/una gallerista sprovveduto/ta, una fiera che offre in vendita “ nuovi prodotti”. Condizione per essere ammessi nello hortus clausus dell’arte, anche nelle fiere, è necessario uno sponsor. Il mondo dell’arte è disseminato di drop out pieni di talento, ma non in grado di offrire qualcosa nel perenne do ut des del mondo contemporaneo, certo non solo dell’arte. E’ il paradosso di Zenone, l’artista si documenta ma alla fine riesce a fare solo ciò che è stato fatto l’anno prima. Che cosa si aspettano i critici, che la macchina produttiva che l’anno prima aveva presentato novità schioccanti, l’anno dopo ripeta l’exploit? Il 1960-1970 è stato un decennio che ha visto il tentativo di riprogrammazione stilistica, non certo di rilevanti creazioni., non ha portato alla luce nessuna idea radicale, qualcosa di veramente persuasivo. L’arte si pone alla stregua dei film porno, gira e rigira le azioni sono quelle e nulla più stupisce, eccita, provoca. L’ossessione di quest’ultimo secolo di liquidare la precedente epoca, di permettere all’artista di annullarsi nel concetto, si è rivelato un sonoro fallimento. L’arte del decennio scorso è apparsa priva di quella che Baudelaire definiva la naiveté, ossia la capacità di creare opere grazie al proprio temperamento piuttosto che seguendo la moda del momento. L’arte che si basa su nient’altro che un concetto o l’uso di nuovi materiali e design, non può avere un progetto creativo vero. Misurando le cose con il metro del successo, o se vogliamo dell’identità visiva, non c’è molto da obiettare ai prodotti dei personaggi tipici del decennio, Noland, Stella, Kelly, Warhol, in Italia delle rimasticature in chiave ecologica e psicologica dell’arte povera. Gli artisti, nell’euforia narcisistica, si sentono esentati dal giustificare il loro lavoro, lasciano il compito ai critici che esibiscono la loro bravura nel dare senso al nulla.
piergiorgio firinu
Autopsia dell'arte
Il rapporto dell’artista con la propria opera è sempre problematico. Gertrude Stein scriveva: “ Il pittore non pensa di esistere per se stesso..vive nel riflesso dei suoi quadri”. Forse l’affermazione è lievemente esagerata, anche semplicistica. L’artista come e più delle altre persone, può essere afflitto di narcisismo, la nevrosi degli artisti e il loro egocentrismo sono proverbiali, in larga misura giustificati. Il percorso che porta alla realizzazione dell’opera costituisce una sorta di maieutica, l’opera rappresenta la liberazione da un’ossessione che subito riprende per la creazione successiva. Riflettersi nella propria opera dovrebbe significare mettere ogni volta in gioco se stessi, il giudizio sull’opera finisce per essere un giudizio sull’artista. Questo vale per gli artisti autentici. Oggi l’arte è posta al servizio delle strategie politiche di assessori, critici, manutengoli vari, che usano espressioni come incisività storica, attenzione critica, per mascherare l’ansia di protagonismo mondano. Troppi artisti per attirare l’attenzione fanno ricorso a un succes de scandale, la cosa grave e che purtroppo ottengono risultati. Il ricorso eccessivo alla provocazione ha contribuito a far si che l’avanguardia europea si sia esaurita da tempo. Futurismo,dadaismo,surrealismo, hanno interrotta la continuità con il passato,attuando un arte di protesta alla ricerca di peculiarità sociali. La specialità dei critici e degli storici dell’arte è stata di trovare le teorie per dare ad avvenimenti extrartistici le basi di uno status nel mondo dell’arte Nell’attuale dissolvenza di ogni riferimento certo, arte,poesia, filosofia, scoprono la loro comune assenza di immaginazione, si fanno forza, ma non riescono a nascondere questa radice scoperta. Secondo Leone Ebreo, teorico cinquecentesco dell’amore, la sapienza originariamente affidata ai versi e alle metafore del mito, si è andata deteriorando da quando Platone e ancor più Aristotele hanno cominciato a tradurla in prosa e in forme chiare; l’arte, come il mito, non può essere sottoposta a verifica razionale. Questa è la sua forza e il suo tallone d’Achille. La razionalità è sembrata da prima rivelare una certa verità sul percorso verso l’arte della mente creativa, ma poi, esattamente come il mito, ne ha rivelato tutta l’ inconsistenza ontologica, tanto che la diatriba sul sostantivo arte sembra non avere fine. La verifica della filosofia come dell’arte, costituisce contraddizioni in termini, in quanto il pensiero che giudica se stesso è pura tautologia. Nella dialettica del confronto sociale l’artista ha strumenti di difesa solo nel valore delle proprie opere, a patto di tenere a bada l’ansia di protagonismo e di guadagno. Stiamo parlando di sogni..Possedere l’arte senza amarla è una sorta di violenza. Il mito della libertà di creare trova il proprio limite nella capacità di pensare. Il sensibile, a differenza del razionale, non è costituito da formule, quindi non è codificabile. E’ questa la ragione per cui l’arte ha iniziato a morire quando si sono aperte le accademie e chiuse le botteghe degli artisti. Gropius, sosteneva che i razionalisti sottraevano l’arte al decaduto dominio dei geni e la proponevano come processo che si poteva analizzare, controllare, apprendere, con un corso alla Bauhaus. Così come si apprende, aggiungiamo noi, ad analizzare un cadavere dopo un corso di anatomia patologica. La morte dell’arte ha lasciato spazio al mito dell’arte. “E’ destino di ogni mito” , scriveva Nietzsche, “ di avanzare per gradi nei ristretti limiti di qualche pretesa realtà storica…”. Sostituire la sensibilità del pensiero con le proustiane “intermittenze del cuore” , si rischia di cadere nella zuccherosa ideologia che confonde l’arte reale con le intenzioni, l’arte diventa parodia di se stessa. Lo scambio simbolico ha lasciato spazio alla produzione per le Fiere, una per città, quattro per stagione. A differenza degli artisti del passato che avevano committenti, e quasi sempre pochi estimatori, l’artista contemporaneo non conosce il suo pubblico, se non in modo generico, è abbagliato dai riflessi del mercato. Ciò spiega la genericità che si riflette nell’opera. Non è pensabile che l’arte si riduca a soliloquio, a pura astrazione mentale, in un linguaggio che non è inteso dai più, quasi fosse dottrina esoterica. La produzione dell’arte cade nel vuoto di una cultura approssimativa, prontamente colmato da mondanità e mercato. L’opera nasce dal progetto di un singolo individuo, un piccolo punto vitale, come la sorgente di un grande fiume, la cui acqua sgorga da una minuscola fenditura nella roccia e cresce nel suo percorso, così il pensiero dell’artista nasce da una piccola intuizione, si nutre di presente, di cultura, produce i segni che meglio danno forma al pensiero, segue lo stimolo guidato dalla sensibilità. Se la sorgente è inquinata, difficilmente si depura nel percorso, anzi, diffonde il veleno. Siamo al presente.
piergiorgio firinu
Metafisica della creazione.
Sulla definizione, o sdefinizione dell’arte, dal titolo di un libro di Harold Rosenberg del 1972, è stato detto tutto e di più. L’ultimo arrivato è Joseph Margolis con un libro dal titolo domanda: “ Ma allora che cosa è un’opera d’arte? Lezioni di Filosofia dell’arte”. Qualcuno affermava che si parla troppo di qualcosa quando è ormai morta, finita. Vale in larga misura per l’arte. Ben prima di Margolis, gli scritti di Nelson Goodmann, Negel Warburton, Paul Virilio, Hermann Nohl, George Dickie, Arthur Danto, hanno tentato di dare risposte alla domanda di cos’è l’arte. E’ evidente come il susseguirsi di teorie, più o meno azzardate, non abbia giovato al “fare arte” in molti casi le teorie sono diventate alibi. E’ perlomeno pensabile che vi siano leggi psicologiche che facciano riferimento alla composizione chimica o alla struttura del cervello. Questo non ha alcuna incidenza sulle le leggi che determinano la creatività. Quando si parla di ciò che un individuo apprezza, capisce, ammira, si esce dalle leggi della comprensibilità razionale. Ciò che un individuo apprezza o rifiuta non dipende dalla sua capacità di comprensione, ma da fattori imponderabili. Scriveva Spinoza: “ …noi non desideriamo niente per il fatto che lo giudichiamo buono, ma viceversa diciamo buono ciò che desideriamo, e di conseguenza diciamo cattivo ciò che aborriamo…” La critica da il suo contributo nel seminare confusione. Il critico è colui che avvolge di parole un’opera, ne da la sua spiegazione, di fatto cambia la natura dell’opera stessa, induce il comune osservatore a vedere l’opera attraverso il filtro della sua interpretazione. Nei libri di critica si trovano molte perle. Leggiamo questo brano: “…ad esempio la luce al neon e la resistenza elettrica resa incandescente ,Povertà si potrebbe dire, come consapevolezza che in principio c’è l’energia,la vita come flusso, e che compito dell’artista è di aiutarle a scorrere più in fretta”. Inutile chiedersi come possa l’artista far scorrere “più in fretta l’energia”, anche come metafora l’espressione è priva di senso. Questo brano è stato scritto da un noto critico e docente, Renato Barilli, pubblicato sull’ Espresso nel 1967. Con installazioni e happening, a volte l’artista tenta di dare alla sue opere la parvenza di efemeridi, per simulare il distacco dal mercato. In realtà è un inganno una finzione perché la documentazione di ciò che viene fatto, è oggettivata e venduta a peso d’oro. In USA la Pop Art ha finto di criticare il consumo, di sottrarre l’opera alla mercificazione, in realtà non ha fatto altro che sublimare il consumo stesso. Che le parole messe in fila dal critico siano prive di senso non ha alcuna importanza, lo scopo non è la ricerca di senso, ma la promozione dell’opera, tanto più che è proprio il razionale che l’arte contemporanea rifiuta, assumendo sia prevalente il metafisico principio “dell’ intuizione dell’artista”, ovvero dell’ispirazione. A poco serve muovere obiezioni, se un individuo decide che il w.c. di casa sua è un opera d’arte e lo pone in salotto anziché nel luogo in cui di solito si trova, sono affari suoi. Altra cosa se lo stesso oggetto viene collocato in un museo, pagato dallo Stato, visibile dal pubblico dopo il pagamento di un ticket Ogni scelta personale, in quanto tale, è assolutamente libera. Ma è’ la critica che crea le premesse perché l’operazione di dislocazione dell’oggetto in luogo improprio si compia. E’ la critica che con speciose teorie assolutamente apodittiche agisce come gli illusionisti da circo: quello che vedi non è ciò che credi. Eppure attraverso simili processi “culturali” si sono riempiti i musei di orrori. Non c’è dubbio che i critici, ancor più dei filosofi, sono persone che hanno tesi da difendere. Le ragioni possono essere politiche, di carattere psicologico, (di solito i critici sono artisti mancati), più spesso le motivazioni sono legate al lucro. Di certo l’ansia di distinguersi gioca un ruolo non secondario, tanto per i critici quanto per gli artisti. Per averne conferma basta veder le opere che Andy Warhol realizzava appena uscito dal Carnegie Museum of Art, scuola d’arte che l’artista frequentò da ragazzo. Erano opere gradevoli, ma non certo di livello tale da suscitare entusiasmo. Solo quando Warhol iniziò a realizzare opere provocatorie ottenne l’attenzione dei critici. Questo inizio in surplace vale per la maggioranza degli artisti e lascia supporre che ci sia qualcosa d’insano nella cultura contemporanea, così ansiosa di provocazione, così assillata dal nuovo. E’ ragionevole l’affermazione di Philip Guston secondo cui la pittura necessità di ben altro che di se stessa. Così l’autoreferenzialità non appartiene all’opera, ma all’artista. A chi chiedeva a Warhol, diventato astuto promotore di stesso, perché “The girls of Chelsea” fosse un opera d’arte, egli rispondeva con sfrontata supponenza: “ perché è stata fatta da un artista”. Si arriva dunque alla conclusione raggiunta da alcuni filosofi che il tentativo di definire il sostantivo arte, e quindi le opere, costituisce un errore logico. Va da se che con la rinuncia si lascia grande spazio agli scopritori di acqua calda, e soprattutto via libera al mercato, oggi unico vero arbitro della situazione dell’arte. Non è un esito felice, ma coerente con lo strapotere del capitalismo ormai senza rivali, quindi in grado di imporre la propria visione mercantile e il più sfrenato darwinismo sociale a cui non sfuggono gli artisti costretti ad accettare i meccanismi imposti dalla pubblicità & marketing oppure ritrarsi oscuri nel proprio mondo; tertium non datur.
piergiorgio firinu
La Realtà negata..
L’arte e la politica hanno sempre avuto un nesso di relazione, anche se non sempre logico. L’arte è un significativo paradigma. Gli artisti come persone vivono in un determinato contesto, come artisti sono, o dovrebbero essere, produttori di simboli che hanno influenza sulla società e sull’insieme del contesto culturale in evoluzione. Oggi tutto è cambiato, scrive Harold Rosenberg: “ L’ambizione degli studenti d’arte d’oggi è quella di passare direttamente dalle aule delle accademie al museo..”. E questo nonostante la quasi totalità degli artisti, assuma atteggiamenti di contestazione. Pura apparenza. Era invece vera l’avversione di Jacques Louis David per l’Accademia, in parte motivata dal fatto che gli accademici gli avevano negato il Gran Prix de Rome, che egli riteneva di meritare. Si vendicò nel 1793 dopo il trionfo dei giacobini, insistendo per la chiusura dell’Accademia, favorendo la nascita di associazioni fra artisti, la principale delle quali era la “Commune des arts”, che venne soppressa, in parte a causa della adesione alla causa monarchica di alcuni membri. Vi era uno strano paradosso, quando ancora l’arte non era solo mercato ma anche pensiero. Molti artisti reazionari producevano arte d’avanguardia, o considerata tale, mentre artisti progressisti, ovvero di sinistra, producevano non di rado arte classica. Dopo Hegel anche Marx si soffermò su questo aspetto. Ed espresse stupore per il fatto che l’arte classica greca, pur collocata in un contesto sociale e politico del tutto mutato, conservava il suo fascino e parlava alla sensibilità dei contemporanei. Liberalismo, radicalismo,anarchismo, comunismo, socialismo, sono tutte derivate in larga misura dall’Illuminismo e dalla Rivoluzione francese. E tutte hanno subito l’influsso del movimento romantico, dal quale per altro, paradossalmente, si sono sviluppate molte dottrine che hanno dato vita a ideologie politiche spesso estremamente conservatrici nelle quali hanno avuto un ruolo di rilievo l’arte e l’architettura. Due contemporanei di Rousseau,l’Abbé Morelly e l’Abbé de Mably, sono espressamente citati da Friedrich Engels come due grandi figure dell’Illuminismo francese. Morelly, il cui “Code de la nature”, pubblicato nel 1755, è ritenuto il primo autore che abbia elaborato un’estetica fondato sul sensismo, vale a dire quel genere di estetica in seguito fatta propria da molti artisti che, inclinando verso il radicalismo sociale, esaltavano il realismo nell’arte. Dunque assistiamo a una contraddizione non da poco. Quando all’epoca di Stalin il realismo, con il suffisso “socialista”, venne incoraggiato contro le avanguardie che invece in nome della libertà e del progresso, contestavano l’arte classica. Inizia all’ora la declinazione negativa dell’espressione “accademico” dando origine a tutta una serie di contraddizioni logiche. Innanzi tutto perche denota grande presunzione voler negare ciò che hanno fatto i predecessori, cosa che avviene esclusivamente nel campo dell’arte, perché in nessun altro settore della cultura, si rifiuta tout court il passato, se mai lo si elabora in ragione dei tempi mutati. Ma soprattutto le maggiori contraddizioni nascono dal fatto che i contestatori delle Accademie sono diventati a loro volta accademici. Inoltre, questo è il punto cruciale, gradatamente è stato disgiunto il concetto di cultura dall’arte. Hanno avuta sempre maggiore prevalenza gli aspetti ludici, mondani, commerciali. Dunque ci troviamo di fronte a un totale fallimento delle teorie delle cosidette avanguardie, termine ridicolizzato da Roland Barthes che non accettava di associare un’espressione di origine militare all’arte. Di fatto però Barthes aveva torto, perché le avanguardie non si proponevano di dare un impulso evoluzionistico all’arte, ma scatenare una vera e propria guerra ai concetti estetici, alla figurazione, in breve a tutto ciò che è stato identificato nel corso dei millenni, con l’arte. In questo senso le avanguardie hanno avuto la meglio, sono riuscite, con l’appoggio della critica e storia dell’arte, ad imporre la loro povera visione della realtà. Il cadavere del’arte continua ad essere presente, mentre l’uso del sostantivo “arte” ha assunto la funzione di logo, per valorizzare ogni tipo di oggetto e attività. C’è anche l’arte del pedicure, che almeno è utile.
piergiorgio firinu
Gettate i vecchi nel cestino.
La critica d’arte, in buona parte affidata dai giornali a docenti e insegnati, sembra essere di basso livello proprio per gli stessi motivi per cui la scuola italiana è tra le peggiori del mondo. Nelle celebrazioni, o meglio esaltazione del Futurismo in quanto corrente artistica italiana, molto è taciuto. Innanzi tutto il Manifesto del Futurismo scritto da Filippo Tommaso Marinetti fu pubblicato il 20 Febbraio 1909 in Francia sul quotidiano Le Figaro, per una corrente artistica italiana non sembra essere un segno di coerenza. Il Futurismo fu parafascista, inneggiava al progresso, alla macchina in “L’uomo moltiplicato e il regno della macchina”. Soprattutto, e qui siamo all’autolesionismo, Marinetti e i futuristi, consideravano i professori in modo talmente negativo da schierarsi a difesa di uno studente siciliano, che aveva assassinato il proprio professore. Lidonni, questo era il nome dello studente, si vendico a dispetto delle leggi, scrisse Marinetti, contro un professore tirannico. I professori passatisti sono gli unici responsabili di questo assassinio, affermò. Va rilevato che già allora la sede della rivolta poteva essere l’Università, siamo nel 1909! “Noi futuristi invochiamo da tutti i giovani d’Italia una lotta ad oltranza contro i vecchi e i preti”. Il Manifesto del “Partito futurista italiano” propone di disporre che i giovani possano diventare senatori a 22 anni. Palazzeschi esorta a “trasformare i manicomi in scuole di perfezionamento per i professori che ci disapprovano”. Emblematico ciò che Marinetti scrisse in “Uccidiamo il chiaro di luna” del 1909; “ Vogliamo che i giovani seguano allegramente il loro capriccio, avversino brutalmente i vecchi e sbeffeggino tutto ciò che è consacrato dal tempo”. Nello scritto “Contro i professori” del 1910 Marinetti nega violentemente di essere seguace di Nietzsche, in realtà le sue polemiche hanno una chiara impronta nicciana basata sulla teoria del superuomo, come conferma l’aberrante esclamazione: la guerra sola igiene del mondo!”. Che personaggi che scrivono e inneggiano in questo modo possono costituire orgoglio per l’Italia, è cosa che solo una critica ottusa e reazionaria, vale a dire la critica militante, possono accettare. E’ c’è poco da essere orgogliosi se alle declamazioni di Palazzeschi sui manicomi segue nel 1925 il testo di Breton “ Lettera i primari del manicomio” in cui afferma: “ Noi non ammettiamo che s’intralci il libero sviluppo di una delirio; legittimo e logico come qualsiasi altra serie d’idee o di atti umani…Senza stare ad insistere sul carattere perfettamente geniale delle manifestazioni dei pazzi ….” Marinetti prende le parti di studenti espulsi accusando : “ quella misera nidiata di professorucoli bigotti..”. Quali che possano essere le opinioni, parafrasando la nota affermazione di Popper, i fatti e gli scritti restano, e sono eloquenti. Molte delle idee e degli atteggiamenti dei futuristi, 60 anni, dopo nutrirono le proteste degli studenti del ’68 che si appropriarono di slogan e tematiche futuriste, come fece Bifo nel 1977su radio Alice di Bologna. Si realizzarono comportamenti dipendenti da una diffusione meramente consumistica di linguaggi legati ad avanguardie up e underground. Alcuni personaggi erano grandi non per la loro pazzia, Nietzsche, Van Gogh, Nerval, Rimabud, Artaud , ma nonostante le loro sofferte turbe mentali. Sempre nel solco che divide i fatti dalle opinioni, non può essere considerata una opinione la condizione dei giovani oggi, 102 anni dopo l’enfasi futurista a favore dei giovani, che sicuramente non avevano un contenuto educativo, espressioni di palese ed esaltata malafede: “ “ Quando avremo 40 anni , altri più giovani e più validi di noi ci gettino pure nel cestino”. A questa cascata di parole in libertà è seguito il disastro della guerra, che evidentemente non è servita a nulla, infatti sono scoppiati il ’68, e una lunga scia di disordine fino al ’77, movimenti conditi di teppismo, a tratti sfociati nel terrorismo. Oggi il problema dei giovani non si è risolto, ma aggravato, con funamboliche chiacchiere le generazioni precedenti hanno rubato il futuro ai giovani in cambio di un po’ di benessere. I vecchi protestatari di allora non sono affatto finiti nel cestino, tutt’altro, hanno preso possesso di scuole, università, Stato, si sono stabilmente insediati in ogni sede di potere, luoghi in cui sono rarissimi i giovani. Forse era inevitabile, ma quello che più disturba è la mancanza di pudore, il loro continuare a blaterare sermoni senz’ombra di pudore, continuare a celebrare se stessi in arte, in politica, in ogni settore della società, senza provare il minimo senso di colpa per avere posto le premesse per la non-cultura contemporanea, impoverito la società, distrutto ogni senso etico.
piergiorgio firinu
L'arte dei Lumi
La voce “Arte” nel primo volume dell’Encyclopèdie pubblicato nel 1776, ritenuta , quantunque non firmata, opera di Diderot, riaffermava la tradizionale distinzione tra arti “liberarli” e quelle “meccaniche”, più o meno corrispondente a quella fra belle arti e mestieri. Ma, come era prevedibile in Diderot, l’autore lasciava chiaramente trasparire la predilezione soprattutto alle arti meccaniche o utili. Tuttavia nel supplemento all’Enyclopèdie aggiunto nel 1776 e nel 1777, comparve un’altra voce, nella quale la trattazione delle “arti liberarli” era stata affidata a Marmontel ,e conteneva un’ampia sezione intitolata “ Beaux Arts” , tratta dalla Allgemeine Teorie der Schonen Kunste, di Johann Georg Sulzer. Per quanto Diderot non avesse avuto nulla a che fare con questo supplemento, le idee in esso contenute finirono inevitabilmente per essergli attribuite. Questo supplemento, non solo insisteva nel voler dimostrare il valore sociale dell’arte, ma nella sezone dedicata alle “Beaux Arts” sosteneva che la grande epoca della libertà democratica , dell’utilità sociale dell’arte era stata quella dei greci e degli etruschi, quando l’arte aderiva interamente alle finalità dello Stato. Al termini di questo periodo, che aveva rappresentato l’età dell’oro per la libertà, i capi ei dignitari dello Stato separarono il loro interesse da quello della comunità e di conseguenza le arti belle cessarono di servire al bene dello Stato. Esse divennero arti di lusso, e tali sono rimaste al di là delle teorie decettive, perdendo di vista la loro autentica dignità. Se l’idea del declino dell’arte nel lusso, che richiama fortemente Rousseau inizia allora, è perché inizia in quel periodo il predominio della borghesia e pertanto l’arte assume la funzione di bene economico e strumento di propaganda politica, negli stessi anni Diderot aveva anticipato il fenomeno descrivendo il teatro come strumento atto ad indirizzare le opinioni popolari. Ben prima di Sulzer e non diversamente dal successivo pensiero di Marx, Rousseau aveva elogiato la società dell’antichità classica , soprattutto le repubbliche di Sparta e dell’antica Roma, considerate espressioni di libertà , tanto da indicare il popolo romano a modello di tutti i popoli liberi. L’ammirazione di Rousseau per le civiltà antiche , nasceva dalla considerazione che esse erano più vicine allo stato di natura, ancora immuni dai mali della civiltà che, già in quel suo tempo, andava profilandosi. La preferenza di Rousseau per le società primitive era dovuta in parte al fascino che su di lui esercitavano le teorie platoniche, anche se non era così eccessiva come Voltaire e Diderot volevano far credere nelle loro critiche a Rousseau. Nei fatti l’autore dell’Emile, scritto nel 1762, era più progressista che primitivista, nel libro egli affermava che il progresso è frutto del talento e del genio individuale , sviluppati con un’educazione migliore in un ambiente sociale migliore, anche se rifiutava l’idea sostenuta da Helvétius suo contemporaneo e, in seguito, dai radicali socialisti utopisti , Fourier, Owen, Cabet, secondo i quali l’individuo è solo ciò che l’educazione, compresa quella artistica, fa di lui. L’influenza di Rousseau sull’arte fu notevole, con particolare riguardo all’arte popolare
piergiorgio firinu
Ciò che è stato creato.
Da sempre l’opera d’arte è legata alle teorie dell’inconscio. La tesi è giustificata sia perché il processo artistico non è codificabile, sia perché è “inutile” . Questo è sostenibile fintanto che non si elimina il primato dell’inconscio a vantaggio dell’economia alla cui funzione l’arte a volte si piega. Il potere dell’immagine nella nostra epoca si spiega con il prevalere dell’apparenza. La pervasività dell’immagine non significa affatto maggior sapere, solo un condizionamento maggiore. Di fronte a ciò anche l’inconscio del quale Freud ha avuta molto difficoltà nel teorizzare la differenza del fantasma e dell’opera d’arte, diventa meno significativo. La tesi è: Freud poteva dire che tutto ciò che analizzava, gli artisti ne avevano avuta intuizione prima di lui. Egli afferma , in Gradiva, che non esiste un privilegio dello psichiatra sull’artista, quest’ultimo può benissimo esprimere, in tutta la sua profondità un problema inconscio, “ senza togliere nulla alla bellezza dell’opera”. L’atto di creazione resta addizionale, sublime, ma addizionale. J.F. Lyotard tenta di dare il cambio a Freud su questo punto, rendendo tutta la sua importanza alla distinzione tra inconscio e l’opera d’arte, ma cercando di articolarli rigorosamente. Egli denuncia in primo luogo tutte le interpretazioni in termini di liberazione del subconscio. Liberare il subconscio è assurdo, perché questo si tradurrebbe nell’interdizione del desiderio. E tuttavia, secondo Lyotard, l’artista si batte per liberare l’inconscio, quello che è propriamente un processo primario della creatività. Ma il fallimento, il configurasi dell’impossibilità di riuscire nel tentativo di attuare una liberazione consapevole, si traduce nella coazione a ripetere. Rothko ripeteva la stessa opera tanto che ebbe a dire, senza dubbio ironicamente, che poteva ordinare i suoi quadri per telefono. L’artista tenta di dare forma all’inconscio, la sua opera lo rende reale, per così dire rende il pensiero oggettivato, la rappresentazione ne fa ( ne faceva) una fonte di piacere estetico. Ma l’avere trasferito l’interesse dall’arte all’artista, non è privo di conseguenze. Pitture, disegni, installazioni e quant’altro, finiscono per rispondere a giudizi di valore, non al sentire di chi osserva. L’ opera d’arte , diventa esclusivamente il riflesso di un mondo visto, interpretato, solo attraverso la visione dell’artista, un solipsismo culturale piuttosto angusto. In fondo anche il Cubismo proponeva la visione multipla, ma sempre avendo l’artista come unico punto di riferimento. Questo processo è possibile in quanto supportato da una strabica interpretazione critica che pretende di spiegare il mondo dell’arte, quando in realtà non spiega nulla, ma tenta di supplire all’incapacità dell’arte ad esprimere se stessa, usando il proprio specifico linguaggio. E’ la mancanza di consapevolezza culturale a rendere possibile la mistificazione della critica. Per quanto concerne l’artista, la rimozione del filtro “repressivo” concede ampia libertà al prezzo di minore creatività. Se l’inconscio dell’artista non si traduce nella realtà, come gioco gnoseologico, diventa una mistificazione, una contraddittorietà auto denigrante, un rifiuto dell’inconscio di manifestarsi nella controreltà espressa dall’opera. L’inconscio non è superato, anzi neppure affrontato, semplicemente rimosso. La funzione dell’arte non è quella di offrire un simulacro del reale, di appagamento di un desiderio, l’artista interviene nella mancanza di realtà ed evidenzia quella mancanza. Nell’opera d’arte, le stesse operazioni di condensazione, spostamento, figurazione, sono un sintomo, travestono il desiderio perché intollerabile. L’informe è espressione del disordine inconscio. L’artista tenta di gestire un vuoto, una struttura di ricovero per l’inconscio. Pericolosa quanto invitabile analogia con il senso mistico, senza il quale l’arte resta pura materia formata. “ Cogliere in ciò che è stato creato un sintomo di ciò che è stato taciuto” dice Nietzsche. Ma tacere è un atto volitivo diverso dal silenzio di chi non ha nulla da dire.
piergiorgio firinu
Arte a perdere.
L’arte è l’utilizzo del linguaggio dei segni per esprimere significati altrimenti non esprimibili. Il significante come termine di significato e di valore. L’anarchia dei segni elimina il senso. Nel linguaggio scritto, Saussure attua una duplicazione calcolata della ripetizione. Nell’opera d’arte i colori si affiancano al segno per rimarcare il significato all’interno di una narrazione. Il sapere, come valore e conoscenza, deve essere in grado di utilizzare i simboli per esprimersi, creare forme immaginarie, protrarre una forma di conoscenza ulteriore. L’atto simbolico non è mai solo ritorno a una forma data, totalizzante in se stessa nella completezza del significato, pena l’alienazione. L’ermeneutica deve essere possibile per consentire il godimento dell’opera. Il discorso della significazione è inglobato nell’uso simbolico, in una organica economia della comunicazione. La terza dimensione è legata alla immaginazione, come tale è transitoria. Noi oggi abusiamo delle parole, dei segni, delle forme, in una anarchia priva di progetto. Il poetico deve poter creare con e nella materia il linguaggio, come avveniva nella ritualità delle società primitive. La forzatura, la simulazione del segno elementare, non legato al senso, è un artificio, un tentativo di supplire all’incapacità di comunicare. Il “ massimo di energia dei segni”, di cui parla Nietzsche, è l’esatto contrario di una artificiosa ricerca del segno elementare, che resta una simulazione. La critica all’efficacia simbolica, teorizzata da Lévi-Strauss in Antropologia strutturale, è ad essa collegata , oltre alla rappresentazione volgare della magia, i cui riferimenti si sprecano nella critica d’arte – E’ un’opera magica! – In realtà la significazione di un mito avviene mediante corrispondenza simbolica dei significati. L’efficacia del segno deve essere compresa come la risoluzione di una formula, facendo si che gli elementi significanti si scambino e si risolvano in una simbiosi propria del linguaggio dell’arte. L’impatto dei segni nella loro forza operativa deriva dall’ essere portatori di valori. Nessun segno nelle società primitive ha un significato autoreferenziale, in esso al contrario transitano analogie. L’operazione simbolica non è analogica: è risolutiva in quanto rimanda al rito, al significato sociale di una colore, della disposizione di un segno, che non è mai casuale, si serve della materialità del segno per indicare ciò a cui il rito rimanda. Si pone dunque la domanda se sia possibile, se abbia senso, l’arte nella società contemporanea sottratta alla spiritualità, che non è necessariamente sinonimo di religiosità, e sia totalmente compresa nell’ambito di una tautologia funzionale. Le forzature di senso dovute a ragioni che poco hanno a che vedere con l’oggetto, hanno carattere politico, complicità di genere, una buona dose di malafede. Capita di leggere un articolo di “critica” in cui è riprodotta la fotografia un opera d’arte astratta, appare la fotografia di una donna nel suo atelier, ed riportata la sua affermazione: “io copio la vita”. Frase assolutamente priva di senso in rapporto a ciò che vediamo. Se l’arte è sempre più spesso pretesto, i suoi significati sono legati al contingente, di fatto è un “prodotto” a termine, del quale dovrebbe essere indicata la scadenza. Tentativi in questo senso, fatti da artisti sufficientemente consapevoli, sono le opere che si autodistruggono. Ma allora la fruizione momentanea resta l’unica ipotesi di “utilizzo” dell’arte, e implica che la mercificazione attraverso il mercato e la museificazione, costituiscono comportamenti assolutamente reazionari, se non decettivi. Per coerenza l’artista dovrebbe pretendere che l’arte sia sottratta al lucro, alla speculazione monetaria. Al limite, considerate le forme d’arte sempre più diffuse, ripetitive, tanto varrebbe che l’artista si consideri esentato dal realizzarle, potrebbe limitarsi a descrivere semplicemente l’opera a cui pensa, imparare a costruire con il linguaggio la forma immaginata. In questo modo sottrarrebbe l’arte alle manipolazioni della critica.
piergiorgio firinu
Stereotipi d’avanguardia
Per quanto possano essere fallite le teorie di idealisti e utopisti, tra i quali vanno inclusi Marx ed Engels, sarebbe ingeneroso attribuire loro la colpa del fallimento. Come se, vedendo una persona travolta dalla corrente di un fiume, un uomo si buttasse generosamente per salvarla, non riuscendo nell’impresa,venisse accusato della sua morte. La verità è che i grandi pensatori idealisti, hanno quasi tutti peccato di ottimismo, deviati dalla considerazione positiva sulla natura umana. Tanto nelle fasi di difficoltà, quanto in periodi di benessere diffuso, sembra prevalere l’uomo zoologico, la sua natura imperfetta. Con la scienza e le complesse costruzioni ideologiche e religiose, tentiamo di esorcizzare, con scarsi risultati, aspetti della natura animale, gli impulsi che derivano dal cervello del serpente. Dobbiamo constatare che spesso la conoscenza, fornendoci la capacità di usare il linguaggio, ci mette in condizione di giustificare azioni che altrimenti apparirebbero turpi alla nuda evidenza, è così che non di rado la conoscenza alimenta il degrado. Arte, letteratura, politica, agitando la bandiera della libertà, oggettivamente ne danno una visione deformata. Come una strada asfaltata è bucata da un semplice e delicato filo d’erba, così le complesse costruzioni ideologiche e culturali, vanno in frantumi di fronte alle passioni primarie. Il problema del rapporto con la società e la sua evoluzione è affrontato dai filosofi, non sembra con grande successo. Hegel insiste sulla dialettica come già avevano fatto Kant, Fichte, Shelling, per loro come per Marx essa è una legge che opera egualmente nell’evoluzione logica dell’universo razionale e nella storia; e infatti per suo tramite quest’ultima diviene parte di un contenuto razionale. Hegel mise in diretta relazione con la tesi, l’antitesi e la sintesi i diversi momenti dell’arte, e cioè rispettivamente l’arte simbolica, l’arte classica e l’arte romantica. Ma tutto ciò è una costruzione astratta, un desiderio espresso in forma colta. La versione marxiana della dialettica non esaltava certo con enfasi l’arte romantica, in quanto Marx era ben consapevole che il romanticismo aveva le proprie radici nel solipsismo borghese, trovava nutrimento nella impetuosa crescita del capitalismo, espressione della borghesia. Per questo tanto Hegel come Marx confutavano l’estetica romantica , la sua esaltazione dell’unità organica del genio individuale, sostenendo invece un’entità sociale dialettica e dunque dinamica. La grande idea fondamentale del mondo che deve essere concepito come un insieme di processi, un continuo divenire dell’uomo nella società e della società tramite l’emancipazione culturale dell’uomo, si è rivelata un’utopia, la storia sembra avere seguito un percorso assolutamente contrario. In forme evolute ci ostiniamo ad esaltare le inclinazioni dell’uomo zoologico che sono spontanee. Sarebbe invece necessario andare contro alle tendenze naturali, non nel senso di fuggirle prima di averle comprese, ma piuttosto seguire un processo educativo che inevitabilmente comporta sacrifici e rinunce, per imparare a contenere gli impulsi, ed utilizzare la ragione. Si tende a dilatare l’aspettativa, le magnifiche sorti dell’umanità, ovviamente saranno altri a doverle garantire, la difesa di supposti diritti individuali e forme estreme di libertà, di fatto si traducono nel più assoluto solipsismo. Lapalissiana la contraddizione che ci ostiniamo a negare. Gli artisti si considerano anticipatori e interpretti di una realtà in divenire, mentre sono smentiti dalle loro opere. Non c’è dubbio che valori etici non maturano spontaneamente, ne possono essere garantiti da un immaginario demiurgo. Strutture e funzioni sistemiche del mondo occidentale possono forse produrre benessere ed una forma di libertà apparente. Quando noi sosteniamo che l’occidente ha creato benessere e in generale libertà e uguaglianza, ci riferiamo, tra inesattezze ed esagerazioni, ad una piccola parte del pianeta. Perché di fatto l’uguaglianza è solo nominale, come pure la libertà. Scriveva Seneca: la libertà comincia da noi stessi. Non si realizza con il più bieco egoismo. Oltre la metà degli abitanti del pianeta è ben lungi da avere un livello di vita accettabile. La questione principale è il prezzo che paghiamo nell’affidare la qualità della nostra vita esclusivamente al benessere materiale, creiamo un vuoto dentro di noi nel quale stiamo perdendo la nostra stessa identità umana. Non è un caso se il grafico delle malattie mentali raggiunge il vertice nei paesi nordici, dove vige il mito della libertà e benessere, così come vengono comunemente intesi in occidente. Ciò dovrebbe indurre a riflessione, come dovrebbe far riflettere il sistema dell’arte sempre più degradato, confuso al punto da non incidere più, ovvero incidere in modo negativo, sui processi sociali.. E’ in atto una regressione sempre più marcata della quale sembriamo essere inconsapevoli.
piergiorgio firinu
L’acuto dell’afono.
Ben prima di Jacques Monod è stato Democrito ad intuire che il mondo è composto di atomi le cui combinazioni producono i diversi oggetti, le diverse apparenze. Queste combinazioni sono casuali e sono dovute, secondo la volgarizzazione di Epicuro, al peso e alla gravità che facendo “cadere” gli atomi, li fanno muovere ed incontrare. La scienza si affanna a dare ordine a questa casualità che costituisce il cardine intorno al quale gravita, non solo la scienza, ma tutta l’esistenza umana, tutto ciò che esiste sul pianeta Terra. Se la natura agisce in base al “Caso e la necessità” come dovremmo reagire in quanto esseri pensanti? Abbandonarci al fatalismo nelle forme di ordinario cinismo? Oppure dobbiamo affidarci alla religione che presume: “non muove foglia senza che dio voglia”. O piuttosto affrontare il difficile tentativo di dare una giustificazione alla casualità? Non è del tutto da escludere che anche il nostro cervello, unico strumento che la natura ci ha fornito per decifrare la realtà, sia soggetto al meccanismo casuale delle sinapsi, agisca spinto da impulsi le cui origini sono di difficile interpretazione. Risolviamo la difficoltà includendo detti impulsi nella indefinita denominazione di “emozioni”. Questa sarebbe la spiegazione delle ragioni per cui la nostra vita, le nostre decisioni sono fitte di quelli che solitamente vengono considerati paradossi. Ad esempio, in base a quali parametri una persona può essere definita “artista”, al tempo dei greci la questione era chiara; l’artista era un artigiano che produceva manufatti di una certo valore e bellezza. Oggi la questione è molto più complessa. Dal romanticismo in poi è stato usata l’espressione “ispirazione” per giustificare la presunta o reale creatività di un individuo considerato artista. Ma che cosa è in concreto l’ispirazione ? Su quali basi teoriche, razionali, pragmatiche, magiche, possiamo tentare di interpretare il significato vero di ciò che definiamo “ispirazione”? L’impresa è difficile, tanto che, come spesso accade quando i dubbi prevalgono sulle certezze, abbiamo, come si dice, glissato il problema accettando una denominazione quanto mai incerta. Nei fatti abbiamo rinunciato a capire. E’ così che la metafisica cacciata dalla filosofia è entrata stabilmente nella storia e critica d’arte. La rinuncia alla comprensione non è senza conseguenze, apre la strada ad ogni forma di “arbitrio creativo”. L’esito finale di questo non ragionamento è: l’arte non può essere sottoposta a giudizi di valore. Sotto il profilo linguistico l’arte resta tale anche quando balbetta. Secondo Chomsky, tutte le lingue presenterebbero la stessa struttura profonda, la stessa forma. E’ impossibile non supporre che tra l’evoluzione privilegiata del sistema nervoso centrale dell’uomo e quella della prestazione davvero unica che lo caratterizza, non sia esistito un rapporto strettissimo per cui il linguaggio, che non dimentichiamo nasce prima di tutto come figurazione, non sarebbe stato solo il prodotto ma anche una delle condizioni iniziali della evoluzione umana. Quando noi parliamo di “ispirazione” diamo per ciò stesso la facoltà all’artista di creare una propria grammatica che prescinde da ogni rapporto con la sintassi logica, il reale, l’efficacia della comunicazione che è caratteristica imprescindibile di ogni linguaggio. Siccome l’artista è ispirato, è la tesi di fondo, la persone “comune” non può pretendere di capire il significato dell’atto o dell’opera. Ci penseranno i critici a costruire teorie ad hoc per spiegare l’impiegabile. Così ci troviamo della condizione di chi finge di ascoltare un acuto prodotto dal canto di un muto. Qualunque segno è una forma interattiva di comunicazione. Le nozioni della geometria elementare non sono rappresentate tanto nell’oggetto quanto nell’analizzatore sensoriale che lo percepisce e lo ricompone partendo da suoi elementi più semplici. Hanno dunque ragione Cartesio e Kant quando si schierano contro l’empirismo radicale, che nonostante ciò continua ad avere la meglio in campo scientifico, e nell’arte che tiene insieme due aspetti contradditori, empirismo e ispirazione. Da almeno duecento anni dura il dibattito, gli empiristi gettano discredito su ogni tentativo di esplorare, per rispetto verso noi stessi, le strutture costitutive dell’essere. E’ certamente vero che negli esseri viventi tutto deriva dall’esperienza, compreso l’innatismo genetico, sia quello stereotipato delle api che quello degli schemi innati della conoscenza umana. Ma non si tratta di esperienza reale che si rinnova per ogni individuo, a ogni generazione, bensì quella accumulata dall’intera ascendenza della specie nel corso della sua evoluzione. Il fatto, sottolineato da Chomsky, secondo cui il linguaggio è quasi sempre innovatore partendo da una grammatica del comunicare dalla quale nessuna “ispirazione” può prescindere.
piergiorgio firinu
L'ego dipinto
Quando osserviamo la tv o un film, con o senza effetti speciali, così come gli spot che presentano una realtà che on esiste, le menzogne dei politici, i falsi miti creati dai media, cadiamo in una sorta di trompe-l’oeil mentale, ci perdiamo in una realtà immaginaria, apparente, come la tenda di Zeusi dietro la quale c’è il nulla, anzi non esiste neppure la tenda. Nella sfida tra Parrasio e Zeusi, Lacan pone l’accento, non sul fatto che l’uva fosse perfetta, ma sul fatto che gli uccelli siano stati tratti in inganno. L’occhio è ingannato dalle apparenze, cosa più volte condannata da Platone. Ma l’inganno precede l’osservazione della pittura, stà nel voler vedere nelle cose dipinte una realtà che o non è rappresentata, oppure è rappresentata in modo decettivo. Tutto questo rientra nella necessità di autoinganno a cui l’umanità sembra essere da sempre soggetta. Gli stessi che guardano con occhio distratto la natura, provano stupore, ovvero restano incantati da un dipinto che rappresenta, spesso in modo rozzo, pensiamo a van Gogh, quella stessa natura. Coloro che si guardano dal frequentare ambienti popolari, sono affascinati dalla rappresentazione pittorica dei poveri, per esempio “ I mangiatori di patate” . Ciò accade perché l’essere umano è talmente insicuro da sentire il bisogno di cercare rassicurazione al proprio ego, in aspetti che possono apparire esaltazione di ciò che si presume essere retaggio comune dell’umanità, nelle opere d’arte egli trova conferma della capacità umana di rappresentare e in tal modo comprendere e dominare la realtà. Ci troviamo di fronte alla parafrasi speculare alla tradizione degli indigeni, i quali non vogliono farsi fotografare perché temono che, attraverso la raffigurazione della loro immagine, venga rubata la loro anima. E’ uscito da poco un libro nel quale alcuni studiosi sostengono il valore gnoseologico del disegno. Da un lato questo è un fatto scontato, quando dobbiamo spiegare la forma di un oggetto, la posizione di una casa, il tracciato di un percorso, ricorriamo a carta e penna. Ma è un mezzo pratico, un ausilio alla comprensione, ben lontano dalla riproduzione anche solo sintetica della realtà. La civiltà dell’occidente ama da sempre rappresentare se stessa, i propri vizi, ritiene in questo modo di esercitare una forma di dominio della realtà. Trattasi ovviamente di pura illusione, una sorta di superstizione, e tuttavia resta una necessità, una rassicurazione, che sta forse alla base della pittura. Francis Bacon, uno dei maggiori indagatori della profondità e del disfacimento dell’essere umano, forte anche della propria personale esperienza, era confortato da una non comune fiducia nella pittura, tanto da essere indotto a dichiarare: “ Alcuni credono che la pittura potrà morire, a mio avviso è possibilissimo. C’è una parte del nostro sistema nervoso che è avvicinabile soltanto attraverso la pittura; se quella parte muore, nessuno avrà più voglia di pittura”. Sembra che il processo sia in corso da tempo, da molto prima dell’ affermazione di Bacon. Una leggenda narrata da Plinio il Vecchio sulla nascita della pittura, racconta di una fanciulla di nome Dibutade, abitante a Corinto, per possedere l’immagine dell’amato, anche dopo che questi l’avesse lasciata, tratteggiò contro un muro i contorni della sua ombra: nacque così, dice Plinio, il disegno e con esso la pittura. Se mettiamo questa leggenda a confronto con la realtà di oggi, orinatoi, sacchi di rifiuti, barattoli di merda, rane crocifisse, ci rendiamo conto di quanto lontano sia tutto ciò che era alla base dell’arte, quando ancora l’umanità era in grado di apprezzare il bello, sapeva coltivare i sogni, pur consapevole della “difficoltà di essere migliori”. Oppure, più semplicemente, orinatoio, sacchi di rifiuti, barattoli di merda, sono la rappresentazione metaforica di ciò che siamo diventati.
piergiorgio firinu
L'arte dell'inganno.
L’intreccio tra arte e politica è stato una componente dell’evoluzione delle arti. Oggi a dominare è soprattutto il mercato, questo non stupisce affatto, considerato che il mercato e la finanza la fanno da padrone anche in politica. La questione non è sorta oggi, ma finalmente comincia ad emergere una maggiore consapevolezza. Dilaga in tutto il mondo la protesta contro la finanza che condiziona la politica degli Stati. E’ così da tempo, ma oggi il virus del malaffare si è fatto più virulento, specie in Inghilterra e USA. In questi giorni dilaga la protesta degli indignati. Tuttavia, nihil novi sub sole, le rivoluzioni politiche, hanno sempre visto in primo piano l’utilizzazione dell’arte come strumento di propaganda. George Sorel, un ingegnere che si dedicò al sindacalismo e alla politica, ed ebbe notevole influenza in Francia alla fine del ‘800, scrisse: “ l’artista è veramente artista solo nella misura in cui avverte l’energia della sua indipendenza spirituale”. Il prevalere del pragmatismo, il culto del tecnicismo, dell’utile, del pratico,ispirato da filosofi a partire dalla fine dell’800, tra quali spicca William James, filosofo pragmatico americano, in parte anche Bergson aveva una vena di pragmatismo nella sua filosofia ispirata al élan vital, ha cancellato ogni spiritualismo dall’arte. L’artista è stato in molti casi una sorta di attivista politico. Sorel scrive “ La valeur social de l’art”, in realtà ha in mente il valore di propaganda che l’arte esercita a favore della parte con cui si schiera, anche se in modo tutt’altro che adamantino. In questo senso un chiaro esempio è Pablo Picasso che si dichiara comunista ed è coccolato dalla borghesia che acquista i suoi quadri, lo accoglie nel jet set, fa di lui un personaggio, in definitiva favorisce il suo successo, di riflesso incide sulla sua collocazione nella storia dell’arte. Percorso analogo a quello di Marcel Duchamp, il quale, in fatto di ambiguità non aveva rivali. Sono prodromi al successo mondiale del borghese Filippo Tommaso Marinetti che nel 1909 diede vita a un movimento artistico “rivoluzionario e antiborghese” da lui chiamato Futurismo. Marinetti, che era stato influenzato dal simbolismo francese, nonostante fosse italiano, scrisse in francese il noto manifesto futurista che venne pubblicato a Parigi il 20 Febbraio 1912 sulla prima pagina del “Figaro”. Il manifesto era ricco di elogi alla ribellione, alla guerra, all’anarchia. Il brano più spesso citato è quello in cui tesse l’elogio della macchina e scrive: “ un’automobile da corsa..che sembra correre sulla mitraglia, è più bella della Vittoria di Samotracia. “Noi vogliamo, egli scrive, glorificare la guerra- sola igiene del mondo…”. Anche la musica ha subito un duro colpo. Luigi Russolo scrisse un libro dal titolo emblematico: L’arte dei rumori”, nel quale dichiarava: “ bisogna rompere il cerchio dei suoni puri, e conquistare la varietà infinita dei suoni rumori mediante apposite macchine. In questo modo apre la strada a John Cage, che si dichiara apertamente anarchico. Un altro manifesto dei Futuristi è dedicato al cinema, pubblicato nel 1916, con il titolo : “ La cinematografia futurista”. In effetti il cinema si prestava mirabilmente al movimento, soprattutto è un’impareggiabile strumento di propaganda che verrà ampiamente utilizzato dal fascismo. Con il cinema nasce il più formidabile strumento per la menzogna, ancora più del teatro, di cui Chanfort scriveva: “ il teatro è la prova che gli uomini anziché correggere i propri vizi preferiscono celebrarli”. Il cinema fa la stessa cosa, in modo ancora più efficace perché può predisporre una scenario di una realtà fittizia che sulla scena teatrale non è possibile. Nasce lo strumento dell’inganno, la sterilizzazione del reale, la messa in evidenza di una realtà virtuale che commuove senza esistere. La trascendenza spaziale della banalità, la raffigurazione cool e macchinale dell’iperrealismo mediante il quale la realtà è immediatamente contaminata dal suo simulacro. L’arte e l’industria possono finalmente scambiare i loro segni in una vertigine schizofrenica in cui anche i sentimenti diventano seriali. Andy Warhol può diventare la macchina riproduttrice di se stesso con il plauso della borghesia. Gli artisti manuali avevano il loro stile, un certo savoir-faire che li caratterizzava al di la dei loro limiti. Con l’avvento della serialità meccanica, la mistificazione di Duchamp e dei futuristi, dei Dada, gli artisti diventano patetici prosecutori del niente che l’arte è diventata. Annullando la realtà ontologica l’artista, assume il ruolo di inventore d’inganni, un personaggio seguito da mercanti e sponsor in stretto connubio fra loro, sostenuto da una critica prezzolata e ossessionata dal nuovo. Si è aperta l’era della post-arte.
piergiorgio firinu
L'esperienza del segno.
Quando un artista dipinge una montagna, cosa apprezziamo di più nella sua opera; il modo come è realizzato il soggetto scelto, oppure l’uso “simbolico” che del soggetto fa l’artista. In altre parole è più importante l’abilità tecnica e manuale che consente all’artista la realizzazione esatta del soggetto, oppure il concetto espresso dall’essenzialità del segno. Se è vera la prima ipotesi si apre un discorso scivoloso sul rischio del cartellonismo pittorico, e relativo trionfo dell’iperrealismo, se invece è vera la seconda ipotesi si entra nel labirinto nel quale sono possibili gli inganni della ragione. Questa dicotomia concettuale, apparentemente senza soluzione, nasce dal non avere affrontato il nodo relativo al significato del linguaggio dell’arte. Si è lasciata aperta la strada alla componente metodologica che porta alla falsificazione semantica e alla sovrapposizione letteraria, che con metodi parassitari si appropria dei soggetti rappresentati. In Arte e Illusone pubblicato nel 1959, Gombrich ha più volte sottolineato la rilevanza della critica popperiana all’essenzialismo anche per imprese intellettuali, come la filosofia dell’arte sia diversa da quella scientifica. A sua volta la riflessione di Gombrich è punto di riferimento e di stimolo per considerazione epistemologiche, come mostrano , seppur in prospettive diverse, le tesi di Feyerabend e Kuhn. Per ritornare al nostro esempio iniziale, cosa fa un artista quando rappresenta una montagna? Copia una particolare montagna, cioè un elemento singolo della classe, come fa il topografo, oppure più nobilmente, copia uno schema universale, l’idea di una montagna? Sappiamo che questo è un dilemma fittizio. La definizione della montagna dipende da noi. Ci è lecito veder una montagna nel cumulo fatto da una talpa o in qualunque altro rilievo. Questo non avviene se la nostra visione non è libera ma condizionata dall’interpretazione critica. L’idea che la realtà contenga apparenze del genere “montagna”, che osservando una montagna dopo l’altra, lentamente si possa apprendere a generalizzare, è un’idea fallace a cui si sono ribellate tanto la filosofia che la psicologia. I principi formali che la ragione percepisce, in filosofia vengono definiti “apriori” , non sono insiti nel nostro DNA nè soggetti ad arbitraria mutevolezza dell’opinione: essi sono invece calati nella nostra “personale” esperienza che può maturare attraverso lo studio, all’ impegno che mettiamo per andare oltre l’immediatezza della realtà. Va da se che una società che si affida alla mutevolezza del contingente, alla superficialità della sensazione, non sarà certo indotta ad approfondire i significati. Da un lato nella cultura contemporanea vi è la pretesa di oggettività, di rinuncia ai dogmi, dall’altro manca la capacità di tenersi lontano dalle chiusure troppo specialistiche, dagli stereotipi. Si sente spesso affermare che l’arte contemporanea “va capita”, quasi che l’esperienza estetica non sia di per se capace di informare sul proprio significato ma abbia necessità di un’ermeneutica che inevitabilmente finisce per essere arbitraria.
piergiorgio firinu
La resa
E’ stato posto molte volte il problema dello statuto della scienza. Come ha scritto Jacques Monod, “Il caso e la necessità” , “è evidente che, da Platone a Whitehead, da Eraclito a Hegel a Marx , la costruzione ideologica della scienza è presentata come fosse un a priori, mentre è in realtà a posteriori”. La scienza esiste solo a posteriori perché è conseguenza delle intuizioni e dell’approccio sperimentale. Di fatto quello della coerenza del discorso sulla scienza è uno dei tanti simulacri di significato, un simulacro oggettivo. Ci si può chiedere se tutte le varianze , le convenzioni, le simmetrie, formano in realtà una trama di significati che viene di volta in volta decifrata. Il problema che si pone è allora: convenzione o realtà oggettiva? Di fatto la scienza si organizza come qualsiasi discorso nel quale convivono logica convenzionale e realtà. La scienza rende conto delle sue scelte, le sottopone all’esame della conoscenza oggettiva. Nietzsche, il principe dei paradossi, scriveva: “ Abbasso tutte le ipotesi che hanno permesso la credenza di un mondo vero”. Esattamente speculare a Platone che accusa i pittori di creare illusioni. La resa dell’artista alla scienza, non ha risolto il problema dell’ontologia dell’arte,anzi ha aggravato il problema, facendo incorrere l’artista in una doppia negatività. Innanzi tutto l’artista, in quanto tale, non conosce la scienza se non a livello dilettantistico, se così non fosse si tratterebbe di uno scienziato prestato all’arte. Più precisamente, non conosce la scienza, più di quanto chi usa il computer, conosce i logaritmi che, attraverso il software, consentono al computer di funzionare. L’artista che usa la tecnica attua di fatto una sorta di autoemarginazione dalla realtà dell’arte, tracima in un ambito diverso, in quanto fa ricorso all’utilizzo di un linguaggio che non è il suo, che altri sanno usare meglio di lui. Pensiamo ai maghi degli effetti speciali che sanno produrre realtà immaginarie. La difficoltà che l’artista incontra nella sua battaglia per l’immagine, lo pone di fronte a riproduzioni seriali pressoché perfette, questa sorta di confronto impari è certamente irto di difficoltà, coinvolge soprattutto artisti figurativi. Anche se in realtà si tratta di un falso problema, perché il segno dell’artista, l’umiltà sensibile con la quale realizza le proprie intuizioni, non trova riscontro in una macchina per quanto perfetta. Il problema dunque non è solo dell’artista, ma anche dei fruitori d’immagini, spesso privi di sufficiente sensibilità che li renda in grado di capire la differenza. Così assume prevalenza la firma sotto il prodotto seriale, mettendo in ombra la qualità dell’opera. L’artista dovrebbe accettare la sfida accentuando la componente della manualità del suo lavoro, della capacità di dar corpo alla materia con la quale realizza le sue opere. Dalla rappresentazione mentale alla forma creata dall’immaginazione. Come teorizzava Marshall MacLuhan degli anni ’60 del secolo scorso, il mezzo è il messaggio. L’immagine realizzata con mezzi tecnici, non è creata, è prodotta. Il modello si estende nell’ambito d’applicazione delle categorie semantiche, dei proferimenti dei pensieri subito realizzati; i pensieri possono vertere sulle cose, ma non sono le cose, per questo il ricorso alla scorciatoia tecnica, si traduce nel lavorare per il re di Prussia, ovvero non realizza arte, semplicemente fa il verso alla scienza, rafforza l’idea che i confini tra arte e scienza possano essere annullati. In tal caso a vincere sarà la scienza. Tanto varrebbe affidare la preparazione degli artisti, anziché alle Accademie, ai Politecnici. L’insistito accostamento tra arte e design, è il primo passo in tal senso. Andy Warhol, non a caso, era prima di tutto un pubblicitario.
Educazione alla libertà
Socrate, partendo dall’affermazione “so di non sapere”, nei dialoghi con i suoi allievi, metteva ogni cosa in discussione. Per questo i democratici ateniesi lo condannarono a morte, ritenevano sobillasse i giovani confondendo loro le idee. Mettere in discussione significa avere una vera apertura mentale e porsi domande a 360 gradi, su di esse riflettere. Dalla politica all’arte vediamo oggi, a differenza di quanto appare, l’atteggiamento di apertura mentale è ancora meno frequente che in passato. Dalle verità rivelate della religione, siano passati agli assiomi laici. Non è detto che il passaggio sia stato positivo, soprattutto per le conseguenze pratiche. Si procede per apodismi, in una china verso il nichilismo con giustificazioni all’apparenza ragionevoli. Non c’è dubbio che la libertà è un valore, ma solo se collegato alla responsabilità. La libertà d’intellettuali, artisti, politici, economisti, giornalisti, categorie che più di altre possono contribuire a determinare comportamenti collettivi, senza responsabilità, produce danni enormi alla società. La natura umana come la Bibbia, che ognuno la interpreta come più fa comodo. Chi blatera di liberismo , a partire dagli economisti, dovrebbe rileggere Adam Smith, spesso citato a sproposito. L’autore del primo testo di economia politica considerava la società come un’enorme macchina dagli ingranaggi oliati dalla virtù. Inceppati dal vizio. Difficile negare che oggi la virtù, non solo è ignorata nei comportamenti privati e collettivi, è anche espulsa dal linguaggio. Il vizio è considerato indice di libertà individuale, parte dei “diritti umani”, avanzare riserve s’incorre nell’accusa di moralismo, ed è significativo che la morale possa apparire come insulto. La mitologia della libertà alimenta l’egoismo individuale. L’egoista non è quasi mai consapevole delle conseguenze delle proprie azioni, scrive Spinoza: “La nostra mente fa alcune cose altre invece patisce, cioè, in quanto ha idee adeguate fa alcune cose necessariamente, e in quanto ha idee inadeguate, certe altre necessariamente patisce”. La scuola sembra educare più alla ribellione che favorire la conoscenza, è certificato il basso livello della scuola italiana in tutte le indagini d’organismi internazionali. Questo è un problema molto serio, a cui si aggiunge la strumentalizzazione dei giovani da parte di chi dovrebbe educarli. Hans Jonas “ Il principio responsabilità”, descrive bene la relazione tra libertà e responsabilità. Non sembra che i suoi insegnamenti abbiano inciso sui comportamenti di giovani e adulti. Scrive Jonas: “ già il desiderio sta in contraddizione con la verità dell’uomo”. Seneca sosteneva che la libertà comincia da noi stessi, nel senso di controllare i nostri impulsi peggiori. Nell’antichità sono stati molti, oltre a Socrate, ad occuparsi della cura di se. Nota la difesa del matrimonio di Epitteto il quale vedeva nella famiglia un baluardo ai vizi e al disordine. Si adatta a molti la definizione che di Freud da Gide: “ Un imbecille di genio”. Il problema è che gli imbecilli, come scriveva Longanesi, sono attivi 24 ore su 24. Quando i media esaltano personaggi pervertiti di successo, lo fanno per aiutare a capire o semplicemente per vendere qualche copia in più? Quando l’artista, a corto d’immaginazione e d’idee, realizza un’opera pornografica o blasfema, lo fa per arricchire la cultura o per stuzzicare la pruderie, indurre ad acquistare l’opera? Si giustificano azioni ignobili sostenendo la loro funzione di contrasto al perbenismo, contro l’ipocrisia. Ma basta guardarsi attorno per capire che il perbenismo non esiste più da tempo. La tv in prima serata programma film con scene hard. La pornografia è un’industria che rende miliardi. Herbert Marcuse, uno dei Guru del ’68, scriveva: “ Non c’è posto nella vita civile dei nostri giorni per un amore semplice e naturale di due esseri umani di sesso opposto”. Era il 1955, l’anno della prima edizione di “Eros e civiltà”. Oggi una famiglia su due è, come si diceva un tempo, “irregolare”. Le ragazzine si prostituiscono e fanno sesso di gruppo nella indifferenza degli adulti, prontamente giustificate dalle psicologhe. La schizofrenia sembra essere considerata norma da chi sostiene la distinzione tra privato e pubblico. Come è possibile che un soggetti dediti alle peggiori depravazioni nel privato, quando accedono allo scranno di giudice, docente in cattedra, decidono operazioni economiche che incidono sulla vita di milioni di persone, tutti, come per miracolo, diventino equilibrati, altruisti, moralmente corretti, onesti. Chi pensa in questo modo, è in totale malafede, oppure ignora la realtà, come chi manifesta stupore quando la cronaca registra le conseguenze della cattiva educazione e mancanza di senza civico. Non è con teorie o con leggi, che si può invertire la tendenza. Si deve iniziare dalla scuola, con un’accurata selezione di insegnanti e docenti. Cosa oggi impossibile, visto che il diritto del singolo prevale sul bene collettivo. Non è cosa non nuova, già Goethe usava parole dure: “ meglio l’ingiustizia che il disordine”. Ruskin da parte sua sosteneva che non è l’uguaglianza a rendere giusta ed equilibrata una società, ma l’etica.
piergiorgio firinu
Tempo e pensiero
Il linguaggio espressivo caratteristico dell’arte è il modo in cui può avvenire lo svelamento pulsionale del pensiero Il linguaggio dell’arte ha una propria sintassi, si esprime attraverso un processo autonomo. Arte visiva si può dire indifferentemente di un quadro, scultura, opere teatrali. Per equiparare le diverse arti visive, pare esserci una differenza insormontabile: il tempo. Le opere figurative sembrano essere considerate statiche, mentre il cinema e il teatro hanno uno svolgimento dinamico. Si tratta di una convenzione errata. La fucina dell’anima ha bisogno di essere alimentata, il carbone è lo stimolo della fantasia che un’opera pittorica suscita in noi, a patto che ci ribelliamo alla passività a cui inducono televisione e cinema, caldi medium, secondo la definizione di MacLuhan. Dovremmo osservare la pittura e una scultura come opere da “completare” con la nostra partecipazione mentale. Quando contempliamo criticamente un’opera, è come se ricostruissimo il processo creativo, è necessario immedesimarci nel travaglio che conduce alla realizzazione formale. La compattezza dell’opera è solo apparente, essa è coagulata intorno a un’idea, conclusa in tutti i suoi elementi che noi non possiamo carpire fulmineamente con un’occhiata. Dobbiamo decostruire l’opera e ricomporla in tutta la sua complessità, inclusi i rapporti con la sua storia. Dobbiamo avventurarci cercando di seguire il percorso che ha compiuto l’artista. In questo modo l’opera d’arte è “motivata”, quindi completata da chi l’osserva. Tempo-pensiero come elementi attivi. Il dinamismo non è nell’immagine che abbiamo di fronte, ma nella dinamica mentale che è necessaria per il processo di comprensione. Tanto che i veri amanti dell’arte si recano molte volte ad osservare le opere che più li hanno colpiti, tesi alla comprensione. Pensiamo a Faustine, la danzatrice acquatica dell’opera di Raymond Roussel. Costruita dalle parole, prende forma, diventa “visibile”, grazie al pensiero immaginativo di chi l’osserva. Il diamante di Locus Solus è interamente aereo, come sospeso nell’aria. Quando lo slittamento di senso, fondamentale ma apparente, nelle frasi isomorfe, è nascosto all’interno della macchina della figurazione, osservare un’opera, comprenderla significa liberarne il senso. Il gioco consiste nello scoprire che il “senso” è plurale, i molti sensi, che sussistono nell’opera, ricreati dalla sensibilità di chi osserva. Consideriamo la pittura cubista di Braque o di Picasso, oppure delle pitture futuriste che furono con grande precisione rappresentate e descritte in più occasioni dal Longhi sulla “Voce”. Il Longhi ci guida a capire la disintegrazione del linguaggio proprio dell’arte attuata da cubisti e futuristi, ma, almeno nelle opere migliori e più meditate, l’opera di destrutturazione del linguaggio, equivale a un’analisi, è come se, venisse praticata una fenditura nella compattezza del “racconto” costituito dall’opera, ciò rende possibile entrare nel meccanismo, osservare dall’interno il procedimento che muove il pensiero creativo. La lezione della dinamica del pensiero è stata perfettamente colta da un critico preparato e avveduto. Lòànd Hegyi, che per la mostra di Salvatore Garau svoltasi nel 2009 al Museo di Saint Etienne, ha scelto il significativo titolo: “ Photogrammes avec horizon”. Fotogramma, nello svolgimento cinematografico è un susseguirsi di scene, ognuna delle quali ha senso se collegata a quelle che la precedono e la seguono, ma ogni opera ha anche una propria autonomia. Non vi è differenza dal cinema. La similitudine consiste nel fatto che il cinema, moderno strumento di comunicazione, ha un significato scena per scena, ma anche nell’epilogo. Lo spettatore frettoloso e impreparato, colui che segue distratto le scene, in realtà non vede il film, è teso verso l’epilogo, si sentirà appagato se l’esito è positivo, o comunque quello sperato. Allo stesso modo l’osservatore di un’opera d’arte, guarda il quadro nel suo insieme, trascura i dettagli, vale a dire ciò che costituisce il vero significato di un’opera d’arte, che può essere compreso solo sforzandosi di seguire a ritroso il lavoro dell’artista, nel caso di una intera mostra, seguendo la sequenza delle opere che avranno tanto più significato, quanto più saranno coerenti le une con le altre, in un libero svolgimento di racconto che tuttavia conserva per intero la propria ambiguità, vale a dire i vari piani di lettura. La comprensione sarà tanto più appagante e completa, quanto più saremo riusciti nell’impresa di paragonare propositi dell’artista e risultato. Se questo procedimento fosse adottato dai critici, e da un maggior numero di amanti dell’arte, forse si porrebbe un argine a certe brutture dell’arte.
Piergiorgio Firinu
Il segno sofferto
Studiare la storia dell’arte, nella versione dei vari autori, è sempre un’esperienza interessante, e un aiuto a capire il presente, non solo nel campo dell’arte, ma attraverso le vite degli artisti l’evolversi, e involgersi, della società nel suo insieme. Oggi sarebbero impensabili dibattiti su sfumature della tecnica adottata dal singolo pittore. La tecnica pittorica è stata archiviata come obsoleta tout court, il dibattito chiuso. I rari artisti che si ostinano a operare come pittori, sono trascurati dalla critica. E’ scomparsa la figura dell’artista bohemien. I tempi di produzione delle opere d’arte sono in linea con la frenetica produttività moderna, l’opera, anche nei non frequenti casi in cui è di qualità, raramente riflette la personalità dell’artista. Lo stile dei dipinti e dei disegni di Modigliani, per citare un esempio, obbedivano fedelmente a tutto l’atteggiamento dell’artista, ne esprimevano tutte le più sottili variazioni. Come per Cézanne , le figure, i volumi, diventavano incorporei, levitavano senza peso. Il ceruleo degli occhi si espandeva ad annullare le pupille e suoi personaggi sembravano avere il suo stesso sguardo, colti da un sogno triste, vagano lontano. Al contrario di De Chirico che cercava l’”occhio in ogni cosa”, Modigliani non ammette nelle sue opere sguardi che non siano assenti, introspettivi, il più possibile chiari e dolci, in fondo rassegnati, come lui. Dal Ritratto di Elvira del ’16-’17 al Ritratto di Jeanne del 1918, o Madame Vlaminck, al famoso Nudo Rosa, e all’autoritratto, c’ è sempre il medesimo abbandono, lo stesso sguardo sperduto. Modigliani amava le donne come solo un artista sa amare. Attraverso il sesso godeva del loro corpo, con le sue opere tentava di rubarne l’anima. Contemporaneo di Picasso, non aveva la brutale vitalità dello spagnolo,ne la “presunzione”. Cercava la classicità attraverso echi neorinascimentali, le sue sculture di teste sono un tributo al momento arcaico dell’arte nella sua forma più vera. Sul “Convito” Dannunzio scriveva: “ Il mondo, quale oggi appare, è un dono magnifico largito dai pochi ai molti, dai liberi agli schiavi: da coloro che pensano e sentono a coloro che non sanno e che non hanno”. Modigliani modificava la frase: “La vita è un dono; dei pochi ai molti; di coloro che sanno e che hanno a coloro che non sanno e che non hanno”. Un atteggiamento aristocratico, da nobile decaduto. La nobiltà di chi fa dell’arte e della poesia visiva, il suo principale blasone. Quando Amedeo Modigliani lascia la natia Livorno ha soli 22 anni. Nel 1906 è a Parigi, precedendo molti artisti che lo seguiranno. L’importanza dell’arte di Modiglioni sta tutta nell’incarnare un’idea grande e al tempo stesso tragicamente pessimista della vita, nell’incarnarla con così vibrante umanità e con tale obbediente rispondenza la mezzo plastico, da costituire un punto cruciale nella storia dell’arte contemporanea europea. Di certo nessun essere umano sceglie di trascorrere una vita difficile e travagliata, l’artista non fa eccezione, tuttavia non c’è dubbio che i percorsi mentali verso la creatività guidati dalla sensibilità, hanno spesso come conseguenza vite difficili. Picasso giocava al classicismo con una lucidità da prestigiatore e un grande fascino personale che ne faceva un eroe mondano. Ben diverso Modigliani, terribilmente serio, segue il proprio istinto verso l’autenticità del sentimento che lo agita, alla bruciante angoscia dei sensi irrequieti, alla pena per gli umili. Per Modigliani il segno è la prosecuzione stessa delle vibrazioni del suo essere, il colore è il riverbero della sua passionalità accesa, la pittura e il suo modo di vivere, di sentirsi vitale. Tutto ciò che lo fa vivere lo consuma. Quando si spegne non vi è clamore intorno a lui, come sarà per Picasso
Piergiorgio Firinu
Nevrosi espressiva
Il rifiuto dell’eredità del passato, il sospetto che tutto ciò che è tramandato sia necessariamente negativo, è ragionamento apodittico quanto mai diffuso tra gli artisti contemporanei. Una cultura piccolo borghese ha ormai permeato di se la cultura e il mondo dell’arte, creando una buona dose di contraddittorietà in quelli che vengono sbrigativamente definiti fattori creativi. Si creano miti effimeri. Chi ricorda Bouguereau, Regnault, Cabanel, che pure negli anni tra il 1860 – 70 erano gli artisti più desiderati e meglio pagati. La società di massa è frutto del cattivo gusto della borghesia onnivora, che ha dato origine a correnti artistiche come il Dadaismo, scaturito dalla disperazione per l’insufficienza pratica delle forme d’arte e di cultura. Il Surrealismo a sua volta si richiama in qualche modo al Dadaismo, sostituisce le cieca iconoclastia con il rifiuto delle correnti sotterranee della vita spirituale. Per questa strada si arriva alle forme compositive additive, e allo schema della serialità. Percorso che segue tutto l’iter travagliato dell’esperienza della modernità. Nelle opere di Kafka e Joyce, seppure programmaticamente non avevano nulla a che fare con il surrealismo, viene rappresentato nel senso più lato, il travaglio di una società inquieta e confusa. Con l‘immersione dell’arte nella piccola mondanità borghese, comincia il percorso a ritroso dell’arte contemporanea, aggravato dallo shoc causato dalla “scoperta” dell’inconscio, l’irragionevole connessione delle cose, delle persone, delle sensazioni, come appaiono, e come sono in realtà, come sono viste e vissute. Un enorme baratro nelle mente, se vissuto con la forza basica delle convinzioni, avrebbe anche potuto produrre risultati eclatanti. I dipinti di Giorgio De Chirico, Max Ernst, René Magritte, sono tentativi di raffigurare le visioni oniriche, ricerca, infruttuosa, di un nesso con la realtà, simile al sogno, che si traduce nella funzione improbabile, nell’accostamento insensato degli oggetti, la non sicurezza della realtà circostante. Se si prescinde dai caratteri secondari del Surrealismo e si considera come criterio dell’arte, in linea di principio, un immagine del mondo che si disfa e si scinde in sensazioni incontrollate, ne scaturisce una concezione dell’arte espressa in due stili diversi, scrittori come Proust, Kafka, Camus, Gide, Eliot, cantori di una modernità a cui è difficile dare significato e forma, si tracima al rimpianto, all’ansia distruttiva. Nonostante tutta la vis polemica Ernst Bloch si sforza di interpretare letteratura ed arte con maggiore indulgenza di quanto non faccia Gyorgy Lukacs. In epoca di stanchezza, in pause del discorso o in uomini sognanti, in fuga dalla realtà, si parla, si straparla, con parole improbabili, soprattutto in fuga da una realtà che sfugge alla comprensione, e si sottrae al dominio della ragione. Il valore pre-logico penzola sull’azione insensata, impone la propria effimera motivazione. Lo sviluppo dell’arte attuale mette in gioco l’ultimo residuo di autenticità, gioca con la forma ludica, avendo rinunciato al significato. Dopo questo percorso a-logico. Lo sviluppo dell’arte contemporanea entra nella fase propriamente critica della sua storia. Dissipato il dubbio sulla funzione pratica, di comunicazione culturale, non resta che affidarsi all’arte di basso valore, o arte anale. L’esperire estetico lascia il campo alla nevrosi espressiva, solipsismo e intimismo prendono decisamente il soppravvento, anche per una fraintesa ermeneutica dell’arte e della sua particolare posizione nella gnoseologia della cultura storica. Nella rilevanza del fenomeno, la cui etimologia è falsata dall’apparenza, viene considerato superfluo andare oltre il visibile, nel significato proprio del segno. L’emancipazione dalla tradizione diventa ipso fatto, un segno di progresso artistico. Le forme, nuove, “originali” dell’espressione diventano rapidamente scoloriti clichés. Il ready –mades, sbrigative e facili forme di comunicazione precostituita, con supposti significati dissacranti, subito adottati dalla borghesia. La sminuita funzione della soggettività, caposaldo della teoria politica borghese, si impone prima che altrove e nella maniera più impressionante nella teoria della storia dell’arte quale dichiarazione dell’irrilevanza della sincerità. La sincerità, che d’altra parte non è un concetto estetico bensì un concetto morale, per di più con radici nel romanticismo, nell’arte ha per presupposto che l’autore di un’opera agisce in prima persona. Concetto vanificato dal ready – made. Diderot ammetteva che l’Illuminismo aveva disconosciuta la coscienza scissa, egli non condannava il nipote di Rameau, ma soltanto la società le cui convenzioni producevano caratteri come quello. A considerare le cose nel loro aspetto più semplice, il problema è quello dell’antinomia tra fini e mezzi; l’etica borghese scambista, anche nel sesso, esaspera il valore, traduce tutto in moneta sonante. L’etica mercantile borghese consiste nel moralizzare il profitto, nel vedere in esso uno strumento di progresso, lo scambio come lo strumento più sicuro del progresso della civiltà, bagaglio mentale che risale al XV secolo quando Marsilio da Padova sosteneva: ciò che è buono per il mercante è, tutto sommato, buono per tutti. E’ da allora che questa concezione, mutatis mutandis, domina ampiamente tutti i rapporti sociali.
Piergiorgio Firinu
La magia del linguaggio
Sul filo della modernità Marshall McLuhan affronta il tema del linguaggio nei risvolti psicologici e sociali. Un volo di superficie come da tempo ci ha abituati la modernità. Il tema del linguaggio ha ben altro spessore e profondità, non può essere affrontato in modo esaustivo utilizzando una sola disciplina. La lingua, come scrive de Saussure, non è sottomessa direttamente allo spirito dei soggetti parlanti. Mallarmé anticipò la fede di Paul Valéry nella santità del linguaggio. La fede nella magia del linguaggio si esprime in fondo soprattutto nella natura allucinatoria del creare poetico che non si serve di costruzioni razionali. Fluttua dal paradossale al bizzarro, in particolare in poeti tardo romantici, come Baudelaire, Gérard de Nerval, Lautréamont, i simbolisti Rimbaud, Mallarmé, Valery. Nel cercare di comprendere un tempo storico lontano dalla nostra realtà, dovremmo tentare di affrontare le radici di una comunicazione che da parola si è fatta segno. “ In principio era il verbo” indica la strada di una conoscenza che il tempo e le contaminanti passioni umane hanno confuso. Nella Cabala è detto che esistono quattro livelli d’interpretazioni della scrittura: Pshat, il letterale; Rames,l’allusivo; Drash, il simbolico, e Sod, il senso segreto. A questi quattro livelli corrispondono pressappoco i quattro modi scolastici d’interpretazione: il letterale, il morale, l’analogico e l’anagogico. La tradizione cabalistica fa notare che le iniziali di questi quattro sensi, P,R,D,S, formano la parola PaRDeS, che vuol dire paradiso. Si aggiunga anche che i sensi delle scritture mutano con il tempo e in tal modo quanto costituisce il senso letterale di Mosè è divenuto il nostro senso segreto, e reciprocamente il nostro senso letterale è il segreto di Mosè. L’Età moderna, come forma di una nuova sensibilità, tenta di esprimersi attraverso la poetica, nella maniera più chiara e precoce di Baudelaire e di Rimbaud, il suo “ faut Etre absolument moderne”, sembra ignorare la volgarità insita nella modernità che tutto confonde e sovrappone. La “completezza dell’informazione” è un incessante flusso 24 ore su 24. Trattasi della più formidabile forma di omogeneizzazione che la storia abbia mai registrato. L’effetto è l’ottundimento, frastornati da tante notizie non sappiamo più distinguere, quindi scatta la difesa, una sorta di nichilismo, per ragioni di sopravvivenza. Gli storici della letteratura non possono, o forse non sanno, riallacciare i fili di un discorso che inizia dal verbo, un racconto come storia ed evasione che inizia molto prima dell’avvio delle sperimentazioni linguistiche. Il linguaggio della modernità, diventa additivo, non comunica nulla di veramente significativo, la narrazione della storia si trasforma in favola, la storia è finita. Più importante è la ricerca grottesca che si rispecchia e drammatizza in divagazioni inconsistenti. Joyce porta il suo Ulisse a perdersi nelle osterie, e fa dire a T.S. Eliot che, con Ulisse, Joyce ha ammazzato il XIX secolo. A differenza della concezione di Proust a cui il tempo appare rimpianto ” ….ciò che poteva essere e non è stato…” come scrive anche T.S. Eliot nei Quaderni. Le esperienze psichiche passate, sono alla base dell’immagine del mondo e del modo di sentire espresso in “ Recherche du temps perdu”. Ma tutta quanta la letteratura, per quanto profonda è solo la ricerca della parola giusta come scriveva Roland Barthes. Non si può andare oltre, non si può sondare ciò che davvero è più profondo nel balbettio dell’umano linguaggio, la ricerca di significato del segno linguistico si perde, prigioniero del limite che noi rappresentiamo, si ferma alla parola finalizzata, parliamo sempre e soltanto di noi stessi, nel banalizzante fluente rumore della modernità. “Fleurs du mal” aiutano Proust a ricostruire il ricordo, effimero e profondo, delle petit Madeleine. Uno sfarinamento di ricordi perduti prima di essere davvero vissuti. L’Impressionismo di Verlaine è una intellettualistica ricerca di spiritualismo. Impresa disperata perché ogni forma spirituale è incompatibile con la modernità. La trasparenza della spiritualità, la metafora della comunicazione , la sensazione che dietro ad ogni realtà immediata c’è un qualcosa di inafferrabile che va ben oltre il fenomeno dell’apparenza. I sogni deformi di una realtà che abbiamo solo l’illusione di controllare, nei rari momenti di consapevolezza ci turbano e ci portano a una riflessione che non può che essere autodistruttiva perché abbiamo difficoltà a riconoscerci nel mondo che pure abbiamo formato. Il linguaggio snaturandosi, ha creata una realtà nella quale non ci riconosciamo. E’ il concetto di alienazione denunciato da Marx e illustrato in molti testi da Gyorgy Lukàcs, nel pericolo delle forme stilistiche della rappresentazione, prese a prestito da Nietzsche, che ripudiava la troppa leggerezza, concetto di per se problematico di decadenza. A poco sono servite le aperture alla speranza di Bloch, tradotte nel linguaggio della modernità, hanno significato rinuncia alla responsabilità.
Piergiorgio Firinu
L’arte del commercio
Nella graduale dinamizzazione dei fattori stabili o quasi stabili della storia dei popoli e nella parziale trasformazione di dati immutabili in elementi mutevoli, che è connessa con la dissoluzione del carattere razziale omogeneo, l’impulso all’imitazione, sempre così importante nella vita sociale, svolge la parte principale. Le civiltà, in ragione della globalizzazione, perdono la loro peculiarità e mutano la loro tendenza di elaborazione culturale e di sviluppo, per cui si pretende che per loro natura, venendo in contatto con altre civiltà, assorbendo persone provenienti da civiltà diverse, conseguano un naturale arricchimento. L’imitazione può costituire motivo efficace per vivificare nuove energie, ma introduce il rischio che possa avere un tale impatto da modificare nel profondo culture secolari. Questo è successo in Africa, India, America Latina con la colonizzazione, questo accade oggi in Europa con l’immigrazione. Nel giudicare queste situazione può essere fuorviante paragonare modelli provenienti da strutture nate in situazioni storiche e socio culturali diverse. La tendenza iniziata all’inizio del secolo scorso di valorizzare taluni manufatti di arte africana, si è dimostrata sterile. Le diversità stilistiche sono appannaggio di ciascun popolo, sono legate alla storia di quel popolo, in questo senso hanno un significato che non è facilmente trasferibile in un contesto culturale diverso. A prescindere dall’apprezzamento estetico, il significato storico e antropologico difficilmente può conservare la stessa valenza, o essere tradotto nel linguaggio della situazione storica senza perdere le valenze proprie. Non c’è dubbio che, quanto più basso è il livello culturale, tanto più facile risulta l’innesto. E’ alto il rischio della predominanza legata a fattori economici e politici, alla modalità di distribuzione di prodotti che possono ridurre, fino a quasi cancellare, tradizioni popolari radicate da secoli. L’esempio di maggiore evidenza, apparentemente marginale, è rappresentato dalla canzone popolare. Oggi la grandissima maggioranza della musica di intrattenimento, detta musica leggera, è standardizzata su modelli e ritmi d’impronta afro-americana, dal jazz si è evoluta in musica rock. Sono praticamente scomparse le canzoni di tradizionali francesi e Italiane e di altri paesi, un tempo diffuse tra le popolazioni. Si tratta, è inutile negarlo, di una omogeneizzazione totale che crea i presupposti per altri più seri condizionamenti culturali. Situazione analoga si registra nel mondo dell’arte. L’influenza sulle correnti artistiche è passata dall’Europa agli Stati Uniti. Considerare componente normale l’attività artistica una pluralità di attività nella società, suscita una serie di domande alle quali vengono date risposte vaghe. Ad esempio non ci chiediamo più come l’arte incarni i valori di una società; piuttosto ci chiediamo come funziona il mercato dell’arte, come vengono comprati e vendute le opere, come si adattino gli artisti alle condizioni economiche del loro lavoro. Questo aspetto del mondo dell’arte è affrontato da Michael Baxandall, che tratta il tema dei contratti tra artisti e committenti che regolavano la produzione pittorica nell’Italia del XV secolo. La stessa materia, in relazione alla Francia, è trattata in uno studio di Raymonde Moulin. Tutti questi approfondimenti teorici si riferiscono ad attività svolte in un preciso contesto storico, in un determinato paese. Oggi simili riferimenti non sono più validi, in presenza di una mercato globale nel quale non prevalgono fattori culturali, ma l’incidenza del mercato. Non si può più parlare di arte fiamminga, italiana, francese. E’ difficile sostenere che questa uniformità costituisca un progresso, un fattore di maggiore ricchezza culturale, così come è difficile negare che il fattore dominante non è di carattere culturale ma economico. La pop art, termine coniato dal critico d’arte Lawrence Alloway, non perseguiva nessun fine essenzialmente artistico. La pittura di Roy Lichtenstein, Andy Warhol, Robert Rauschenberg, non aveva alcuna spontaneità, contrariamente a quanto sostenevano gl’interessati aedi e collezionisti creduloni, non aveva alcun valore pittorico, aveva un fine esclusivamente commerciale. Lo ammise con ingenua tracotanza il gallerista Leo Castelli, che nella sua galleria di New York, per primo presentò le opere di questi artisti. Tutto ciò fu sostenuto da chi elaborò la teoria secondo cui “ è arte tutto ciò che è considerato arte”, indifferente alla illogica tautologia che presuppone una sufficiente preparazione artistica - culturale di chi si avvicina al mondo dell’arte, mentre sappiamo che spesso vi è solo una notevole disponibilità economica. Fu Daumier che creò il prototipo della pop art partendo dalla fotografia e litografia, ma certo il segno grafico di Daumier aveva ben altra valenza e significato delle opere seriali prodotte dai pop -artisti.
Piergiorgio Firinu
Conformismo del rifiuto
L’ arte di massa è il prodotto del recente sviluppo tecnologico. In “ Le rebeliòn de la masas” Ortega Y Gasset si sofferma sugli effetti nefasti della nascita e sviluppo della società di massa, che consiste letteralmente nella tendenza ad ammassarsi, cosa che accentua il conformismo e la graduale perdita della capacità di decidere, di sottrarsi alle induzioni dei media. Il pubblico di massa non rappresenta un’integrazione, bensì al contrario del suo concetto apparente, una atomizzazione del gruppo dei ricettori. Esso consiste di fatto in singoli essenzialmente isolati tra loro. Potremmo parlare di solitudine di massa. Al cinema vi è una platea di persone, ma se si vuole godere lo spettacolo, è necessario che ognuna si isoli. A ben vedere lo sviluppo dell’antropologia sociale è conseguenza della scienza, che tende a parcellizzare la conoscenza. Non esiste più, se mai è esistito, un individuo in grado di conoscere e capire ciò che trascende la propria specifica materia. La scienza per approfondire la conoscenza è costretta a frammentarla. Questo stesso processo, influisce sul pensiero comune e finisce per essere assorbito dalla società nel suo insieme. Le opere d’arte di massa sono prodotte con sempre maggiore frequenza con metodi industriali. Ortega y Gasset scrisse “La deshumanizaciòn del arte”. Abbiamo a disposizione una quantità di mezzi di comunicazione, siamo ricchi di tecniche, strumenti veicoli d’espressione , però poveri di idee degne di essere comunicate. Il cinema non ha più bisogno di protagonisti, bastano gli effetti speciali. Tra i maggiori films di successo degli ultimi anni, non uno è stato prodotto con i sistemi di quello che un tempo veniva definito “specifico cinematografico”. L’attore che capacità di interpretare un personaggio, è superato. Si da voce a personaggi dei cartoni animati, animali, piante, ed è francamente stupefacente come tutto questo venga accettato con la più assoluta indifferenza. Si arriva al punto che un artista produce opere che hanno per oggetto personaggi dei fumetti, e queste opere sono vendute a carissimo prezzo. Chi propone un opere ne deve essere convinto, questo il punto dolente dell’arte contemporanea. La gestione delle emozioni è affidata alla suggestione dell’immagine artificiosa, si piange su personaggi immaginari, mentre si ignora il disastro sociale intorno a noi. La filosofia dell’ultimo secolo ha creato il dogma dell’empirismo, secondo cui i fatti sono oggettivi i valori soggettivi. Questo, nell’alveo del relativismo etico ha dato l’avvio alle proposte più bizzarre. Così, mentre i filosofi discutono, la ragione cade nel vuoto di una realtà immaginaria. Popper ha sostenuto che la scienza presuppone solo la logica deduttiva. Reichenbach ha tentato di fondare deduttivamente l’induzione. Carnap ha preteso di ridurre la scienza ad algoritmo. Quine ha sostenuto che le teorie scientifiche vengono scelte in base a misteriosi “condizionamenti osservativi veri”. E’ chiaro che di fronte a tale confusione concettuale e semantica, l’artista “colto”, non ha più una base sicura come quando Raffaello dipingeva “la Scuola di Atene”, si sente autorizzato a tentare con i poveri riferimenti del segno, punti di fuga che, malauguratamente, portano al nulla. S’innesca li rapporto arte/scienza, il supporto della tecnologia non fa altro che aggravare la situazione, perché lascia che a prevalere sia l’apparenza anziché il contenuto, l’apparenza è cosa diversa dalla forma. La spiegazione ex post di azioni a cui, solo con una buona dose di malafede, si può attribuire valenza artistica. Il successo consiste nell’adeguarsi a modelli dello stereotipo corrente. La regola è la standardizzazione secondo uno schematismo particolarmente repellente nell’arte, dove l’unicità dovrebbe essere la caratteristica peculiare. Come scrive Georg Simmel: “ quante più persone si uniscono,..tanto più basso deve essere cercato il punto che è comune ai loro impulsi e ai loro interessi”. In una società dominata dal pensiero femminile, può riscuotere successo una pubblicità in cui appare una donna incinta, con ben in vista il ventre enfiato dalla creatura che ospita, repellente sfruttamento del non nato, prassi divenuta abituale. I talenti “creatori” marciano attraverso le porte aperte dei luoghi comuni, non servono capacità artistiche, basta saper captare gli umori della massa, adottando forme di espressione che possono apparire trasgressive, ma in realtà ricalcano schemi ampiamente accettati e condivisi, domina l’anticonformismo di massa. Lo sfruttamento della democratizzazione serve a trasformare il cittadino in consumatore. Affronta il tema Dwight Macdonald in “ A Theory of Popular Culture”. Si dovrebbe capire che il buon gusto non è la radice bensì il frutto della cultura artistica; esso non rappresenta il dato primario, bensì il fattore di sensibilizzazione. Dopo Flaubert ogni piccola dattilografa che abbia un rapporto extraconiugale si sente una specie di Madame Bovary, genuina e incompresa. Prevale il linguaggio di Hollywood, dei bestsellers, la lingua franca dell’occidente, con il rischio che, come scriveva Coleridge: le masse più leggono più diventano ignoranti. Neppure l’emozione è lasciata al singolo, ma creata dalle storie ora bieche ora porno, ora zuccherose. Nessuno si commuove tanto sul destino di infelici eroi di celluloide i dei romanzi, quanto chi nella vita non prova la minima compassione per le sofferenze intono a lui. Cervantes, Voltaire, Swift scrissero libri divertenti, Mozart creò musica amabile, Watteau dipinse quadri che sono puro godimento per gli occhi; però nessuno di loro perse di vista la realtà, la serietà della vita, il pensiero della precarietà dell’esistenza, senza piagnistei o fughe dalla realtà, come accade oggi in cui un bambino può morire di freddo in una strada del ricco occidente, mentre un folto pubblico si commuove nel cinema accanto per le storie di personaggi dei cartoni animati.
Piergiorgio Firinu
L’arte delle scimmie
Oggi non c’è più arte popolare perché, come è stato rivelato dagli studiosi di sociologia, non c’è più il popolo, in particolare in Occidente. Nelle popolazioni delle città, come nelle zone rurali. I contadini sono diventati “imprenditori agricoli”. Con il dissolvimento delle tradizioni popolari, la poesia lirica, la forma più diffusa della poesia popolare è scomparsa, il mondo contadino ha subito l’omogeneizzazione, frutto dell’incidenza della tv e dei mezzi di comunicazioni di massa. Gli studiosi sembrano afflitti dalla sindrome di Carl Nilsson Linnaeus, tendono a classificare, distinguere, catalogare, ogni cosa, quasi che l’umanità sia costituita da categorie sclerotizzate, immutabili, una forma artificiosa di cesure. Nella realtà, storia, arte, cultura fluiscono in modo discontinuo, seguono rivoli di conoscenza che maturano dall’esperienza, nella consapevolezza, nei limiti che le situazioni storiche impongono. A cosa ci riferiamo quando parliamo di “arte popolare” Semplicemente a uno stadio di sviluppo culturale di gruppi umani che esprimono nelle forme proprie usanze e tradizioni, senza pretesa di universalità. Il parallelo tra ceto e cultura, è arbitrario, ed è in contrasto con la storia. Celestino V era un pastore che raggiunse il soglio pontificio. La grandissima maggioranza dei grandi pensatori provenivano dal popolo, così come gli artisti che hanno creato le maggiori opere della pittura rinascimentale. Andrea del Castagno era figlio di un contadino. Filippo Lippi di un macellaio. Il nome del Pollaiuolo deriva dal mestiere del padre che commerciava in pollame. Dovremmo arguire che le opere di questi insigni maestri devono essere considerate arte popolare. Gli individui sono mobili in ogni società, ed è solo l’intelligenza, lo studio, la cultura che consente loro di liberarsi dai condizionamenti della loro condizione sociale. Il principio è andato sfumando in seguito a teorie che hanno preteso di dividere le società in classi. Nella realtà storica moltissime persone hanno raggiunto i vertici della politica, della cultura, delle arti, provenienti dal ceto popolare. Nulla di ciò che l’essere umano accumula, produce, realizza, lo mette al riparo dall’avversa fortuna, nulla impedisce la sua mobilità sociale, verso l’alto e verso il basso, se non la malattia, la stupidità il vizio. L’intelligenza non si acquista. E’ l’etica che istruisce l’intelligenza e rafforza il carattere attraverso l’impegno. L’insistenza eccessiva sui “diritti” ha finito per ottundere le masse. Siamo assillati di luoghi comuni, verniciati di progressismo, che hanno finito per snaturare tutto ciò che costituisce impegno e volontà. Nel campo dell’arte è ormai consuetudine dar valore a forme rozze di espressione, in base all’assunto che l’arte è qualcosa di innato, spontaneo. Già Malraux affermava che il bambino si può comportare in maniera artistica però non è un artista, poiché egli è dominato dal suo “talento” ma non lo domina., alla stessa stregua delle scimmie pittrici. C’è un limite all’elogio della spontaneità e dell’emotiva creativa, limite che spesso tende ad essere superato, specie oggi che la società e sempre più femminilizzata, con il conseguente carico di emotività che esprime. Tutto ciò che viene considerato “spontaneo” è considerato, tout court, un valore. Questo atteggiamento incide in modo significativo, e negativo, nel campo dell’arte. Le doti individuali, la cui ragione ed origine sfuggono alla nostra “scienza”, ha permesso a uomini come Abrham Lincoln, nato in una povera capanna, non solo di raggiungere il vertice della nazione, ma di avere sufficiente determinazione, coraggio, intelligenza, da liberare l’America dall’onta dello schiavismo, prima di cadere vittima della follia omicida di un attore, certo Booth. La confusione tra natura e cultura ha radici ataviche. Gli studiosi sono concordi nell’accettare la tesi secondo la quale la vita ha origine da un’unica forma primordiale evolutasi nelle molteplici forme che conosciamo. L’evoluzione vitale è naturale, non dipende dalla nostra volontà. Al contrario, lo sviluppo della società nelle sue varie articolazioni, dipende dalla nostra capacità di capire e orientarci, sono la conseguenza di cultura e intelligenza., per questo i processi sociali sono spesso deviati da distorsioni ideologiche che finiscono per produrre situazioni di fragilità individuale e collettiva. Potremmo immaginare una sorta di passaggio del testimone, dalla natura alla cultura. I processi storici che hanno mutato la collocazione dei diversi gruppi sociali, hanno dato origine a distinzioni. Dai clan, all’aristocrazia,alle classi sociali. I cambiamenti solo in apparenza sono basati sulla forza, in realtà è l’intelligenza che da senso e continuità all’agire umano. Ed è per questo che l’enfasi sui “diritti” finisce per togliere stimolo all’intelligenza. E’ quasi un ossimoro il “diritto alla studio. Lo studio è azione squisitamente individuale, come tale deve essere sentita e compiuta, la società, in quanto tale, può solo tentare,tra enormi difficoltà, di dare a tutti la stesse chance di partenza. E’ un fatto che la società contemporanea è costituita da semicolti o incolti, pressati dal bisogno di sensazioni che non sanno interpretare. Il contadino di un tempo non si annoiava. Quando non aveva nulla da fare dormiva per ricuperare energie. Il vuoto spirituale genera noia, induce a comportamenti indotti, conduce all’aggregazione di gruppi legati da ansia di edonismo, in qualche caso autodistruttivo. Anche le visite alle mostre d’arte, cataloghi alla mano, sono spesso un modo di sfuggire alla noia, di adeguarsi, seguire scelte indotte dalla pubblicità. La gran parte dei visitatori, guarda ma non capisce, non gioisce di ciò che l’arte comunica, anche perché non sa collocare ciò che vede nel contesto nel quale è stato prodotto.
Piergiorgio Firinu
Sfida della modernità
La produzione di opere artistiche dipende , come processo storico-sociale, da una quantità di fattori eterogenei. Essa avviene in corrispondenza a condizioni culturali e naturali, geografiche ed etnografiche, temporali e locali. Biologiche e psicologiche, economiche e di adeguamento allo status sociale. Nessuno di questi presupposti si fa valere sempre nel medesimo senso; ciascuno acquista il suo significato particolare a seconda della configurazione in cui si abbina con gli altri fattori di sviluppo. Così come i tipi etnografici si differenziano in modo corrispondente alla collocazione sociale , anche le ideologie contengono diversi contrassegni a seconda dei talenti e delle inclinazioni degli individui che le sostengono. Tutti questi fattori prendono parte alla creazione artistica e acquisiscono il carattere completo attraverso i condizionamenti reciproci. La rappresentazione che un gruppo sociale si fa del proprio passato, può agire di rimbalzo nei rapporti sociali e culturali nel presente. Misurati sulla totalità dell’esperire artistico, essi non sono altro che astrazioni che mettono in chiaro come la metafisica, detta dell’impulso creativo, sia un favola creata da romantici in buona fede, e proseguita dai mercanti per ragioni di bottega. Può sicuramente esistere una qualche propensione individuale alla sensibilità estetica, che spesso però viene enfatizzata a dismisura. Nulla dimostra in concreto la particolare intrinseca ragione che possa indurre a definire l’opera d’arte una creazione e non semplicemente capacità pratica. Questa considerazione è fondamentale per sfrondare il campo da teorie pseudo critiche volte ad attribuire un alone quasi magico alla semplice produzione di oggetti. Se nel progetto culturale si attribuisce il primato alle straordinarie e misteriose forze del processo creativo, questo dipende, escludendo i casi di mala fede, e la incapacità di sottrarsi ai condizionamenti che la ragione subisce confrontandosi con la sensibilità. La critica d’arte, spesso metodologicamente confusa, il cui prototipo è la teoria dell’ambiente di Taine, consiste nella mancanza di un principio di distinzione tra fattori dello sviluppo naturali, culturali, stilistici. La concezione romantica, condivisa da Richard Wagner, per cui l’”uomo storico” non consegue la sua arte e la sua cultura dalla natura, bensì la sviluppa in una dura lotta con essa, è altrettanto acritica come il determinismo di Comte, e ancora più negativa perché crea una irreale dicotomia. In realtà l’uomo che immagina forme e segni per dar senso al proprio pensiero, non è né figlio viziato della natura né suo figliastro. Ogni tendenza all’emancipazione è immancabilmente connessa alla cultura del tempo e del luogo in cui si sviluppa. Ciò che è difficilmente accettabile è la presunzione di superare, con atto volitivo, ciò che il tempo e la storia hanno sedimentato. Nella graduale dinamizzazione dei fattori stabili, o quasi stabili, della storia dei popoli e nella parziale trasformazione dei dati immutabili in elementi mutevoli, che è connessa con la dissoluzione del carattere razziale omogeneo, l’impulso all’imitazione, determinante nella vita sociale, svolge una parte sempre più importante. Le civiltà vanno gradatamente perdendo le loro caratteristiche specifiche e mutano la tendenza allo sviluppo contaminate, non solo da diverse influenze, ma sopratutto dalla crescente superficialità propria della cultura contemporanea che si affida in modo prevalente all’effetto emozionale, epidermico, più che al pensiero. In questo modo, galleggiando sulla superficie delle cose, le civiltà perdono le loro peculiarità e mutano le loro tendenze. L’imitazione rientra nei motivi principali. Sembra sfuggire il fatto che l’imitazione, non solo è l’esatto contrario della creazione, ma soprattutto porta a una progressiva omogeneizzazione di forme di espressione e stili. Nel giudicare queste situazioni la cosa più fuorviante è il paragonare culture storiche diverse, dando per scontato una sorta di reciproca alimentazione alla crescita culturale. Non è affatto così. Intanto perché la superficialità di certe culture le rende permeabili ad ogni tipo di influsso, ma soprattutto perché i criteri etnologici, il gusto, la storia, gli stili, non sono intercambiabili e non si nutrono a vicenda, piuttosto si escludono. Tanto è vero che oggi si riscontra una notevole uniformità nella produzione artistica, non solo nelle forme tecnologiche, web art, e fotografia, ma anche in tutte le espressioni dell’arte contemporanea caratterizzata da una notevole uniformità stilistica, che certo non è smentita dai dettagli ed opere delle quali è difficile percepire ragioni ed ispirazioni. La sfida della modernità consiste essenzialmente nel fatto che, essendo tecnicamente tutto, o quasi, possibile, la fantasia inaridisce perché manca la capacità di affrontare le sfide di una rappresentazione in grado di riflettere la realtà dei tempi in cui viviamo. L’eccesso ottunde.
Piergiorgio Firinu
Il mestiere dell'artista
Il riconoscimento, o collocazione socio-culturale dell’artista, non è sempre stata quella di oggi. Per quanto possa apparire paradossale, la considerazione dell’attività dell’artista, coincide con la diversa considerazione delle forme di vita incolte, della valorizzazione del lavoro manuale che ha inizio con il rinascimento. Il legame tra arte e artigianato si attenua, mentre prende vigore il rapporto degli artisti con gli umanisti. Ciononostante gli artisti del primo Rinascimento sono ancora in maggioranza persone di bassa condizione sociale; ancora per un tempo considerevole continuano ad essere considerati soltanto artigiani migliori e praticamente non si distinguono dai maestri piccolo borghesi e dai garzoni delle corporazioni. Andrea del Castagno è figlio di un contadino, Filippo Lippi di un macellaio, i Pollaiuolo deriva il nome dall’occupazione del padre, che commerciava in pollame. Nelle biografie degli artisti dell’epoca la modestia dell’origine, come costituente stereotipica della leggenda dell’artista, viene spesso esagerata ed è un segno della situazione mutata il fatto che essa non sminuisca in alcun modo il prestigio di un uomo che è apprezzato per le sue opere. Però l’ascesa sociale degli artisti nel loro complesso, nonostante l’apparente mancanza di pregiudizi e l’incomparabile prestigio di maestri come Michelangelo, e del livello di vita principesco di Raffaello e di Tiziano, procede ancora lentamente, anche perché, come diceva Filippo Lippi, “io sono le mie opere” e dunque l’artista dell’epoca ,a differenza degli artisti di oggi, non è assorto nel realizzare la propria ascesa sociale, ma la qualità delle proprie opere. Resta il fatto che la maggior parte degli artisti, ancora nel XVI secolo, conducono un’esistenza modesta, anche se non si può più parlare di miseria come cent’anni prima. E’ caratteristico della situazione sociale, che anche la famiglia di Michelangelo, come scrive nella sua cronistoria il Condivi, ritiene umiliante abbracciare il mestiere dell’artista. La maggioranza degli artisti effettivamente, fino al XVIII secolo, proviene dagli strati inferiori della società. Solo a partire dall’Illuminismo i figli del ceto medio superiore e addirittura della nobiltà operano in numero rilevante come scrittori di mestiere, e, solo occasionalmente come pittori e compositori. Le possibilità di successo e di guadagno degli artisti figurativi, sono sostanzialmente migliorate, a partire dal XVII secolo, in Italia, Francia, Fiandre. Artisti come Bernini, Rubens, Rigaud, Lebrun, ottengono onorari e considerazioni, anche se nessuno viene acclamato “divino” come Michelangelo e Raffaello, e corteggiato da re e imperatori, come Tiziano; La più onorata posizione sociale degli artisti nel loro complesso, fa seguito alla crescente richiesta d’arte da parte delle Curie e delle monarchie, nonostante fenomeni ancora presenti, come la posizione precaria dei pittori olandesi e la quasi completa dipendenza della produzione artistica dalla corte di Francia, ha basi morali e materiali più solide di quanto non si fosse mai verificato prima. Nel secolo successivo la situazione migliora ancora, in quanto cresce il numero di collezionisti di opere d’arte. Così diventano un ricordo le botteghe di artisti del Quattrocento, che erano considerate vere e proprie scuole d’arte, che sicuramente richiedevano più impegno e fatica, ma erano anche più formative delle Accademie d’Arte che vennero dopo. Nelle botteghe del Vasari e dello Zuccari venivano appresi i principi del mestiere d’artista, e le stesse difficoltà prima accennate, servivano da ulteriore sprone, una sfida a superare i maestri, cosa che in moltissimi casi, come la storia dell’arte registra, effettivamente avvenne. La tensione tra libertà creativa e influenza del maestro, era una strana alchimia culturale capace di portare a risultati sorprendenti. Non sorprende invece che il Vasari, artista e scrittore eclettico, il primo manierista perfettamente cosciente della sua peculiarità stilistica , sia stato il fondatore della prima Accademia di Belle Arti.
Piergiorgio Firinu
Ombre della Ragione
Nell’infanzia dell’umanità, i badanti culturali dei popoli bambini, li intrattenevano con favole mitologiche, spesso dal contenuto cruento. Orfeo ed Esiodo, sono stati i primi cantori delle gesta degli dei. L’arte dava forma alla bellezza come simbolo e modello. Gli illuminati percepiscono il mondo per quello che è : un gioco di Dio. La mitologia narra la lotta tra gli dei per la supremazia., teogonia che si trasforma. Fanete, costituisce il personaggio centrale dell’antropogonia orfica. La contrapposizione dei generi è già presente nella preistoria della civiltà, anzi nell’origine del mondo Come scrive Luc Brisson, le donne costituiscono ambiguità per eccellenza. Fanete ha se stessa come madre, trasmette il potere alla Notte, sua moglie e figlia. L’origine di tutte le sofferenze dell’uomo è Pandora , la donna che l’ironia degli dei si è compiaciuta di offrire all’uomo per punirlo di avere accettato il fuoco rubato da Prometeo. Non è mai del tutta chiara l’origine dei contrasti, frutto del capriccio degli dei. Il formarsi graduale della radice del potere. Nelle “Opere e i giorni” , Esiodo descrive lungamente la diffusione delle diverse razze umane che, come ha dimostrato J.P. Vernant , si organizzano nell’ambito di una logica e di un’etica dicotomica, giustizia e dismisura, principio e pretesto per il formarsi di oligarchie e aristocrazie che si appropriano del timone della storia. L’avversione di Platone per l’arte pittorica, fonte d’illusione, è distorta e inficiata dall’ottimismo sul potere della ragione, la quale non è soltanto “schiava delle passioni”, come sosteneva Hume, ma spesso serva del potere a cui fornisce giustificazione. Il potere ricambia con la gratificazione della fama. Se è vero, come scriveva Diderot a proposito della ragione, che paragona ad un uomo che, camminando in un bosco di notte abbia solo una torcia che illumina parte del cammino, la butti via sostenendo che non rischiara abbastanza. E’ altrettanto vero che l’uomo può buttare la torcia spaventato dalle ombre che provoca, preferendo procedere con prudenza in silenzio, nel buio. Può essere una scelta, rinunciare alle illusioni della ragione, come fanno molti popoli asiatici, anche perché in nessun caso la Storia registra il dominio della Ragione, sempre prevalgono la superstizione e la forza. Nel libro “ I due corpi del Re” Ernst H. Kantorowicz, sostiene la singolare tesi che, al di là del corpo naturale, mortale, soggetto alle malattie e alla vecchiaia, il sovrano dispone di un corpo “politico”, invisibile, incorruttibile. Un altro mito frantumato dalla storia, forme, riti,pretesti che il potere inventa per far breccia nell’immaginario collettivo. Oggi il potere ha perso ogni carisma. Nel momento in cui la modernità ha virato verso la concretezza, forte del progresso scientifico che ha fagocitato anche l’arte, ormai lontana dalla celebrazione del mito e/o nel rendere omaggio alla storia, si è abbandonata a un effimero mercificato qualunquismo. L’incipit del primo trattato dell’economia politica di Adam Smith consacra il potere dei bottegai. All’inizio essi tentano di conferire un contenuto etico alle loro lucrose attività, ma presto abbandonano ogni ritegno, non appena si sentono abbastanza forti. La borghesia ha creato i propri miti, che non nascono più nelle corti e nei confronti culturali, ma nei teatri di posa, nelle redazioni di tv e giornali. La cultura diventa null’altro che comunicazione. Tante voci che si sovrappongono, si contrastano, una cacofonia della quale è pressoché impossibile capire il senso. La società di bottegai per eccellenza, l’Inghilterra, affida ai propri filosofi la compilazione di lettere e testi sulla tolleranza, allo scopo di giustificare se stessa. Parafrasando Chamfort : anziché correggere i nostri vizi si affanniamo a giustificarli. Il clamore dell’inno alla libertà di filosofi e intellettuali, impedisce di sentire il rumore dei cannoni che l’esercito inglese usa per assoggettare popoli e nazioni. Ormai il processo è inarrestabile, Così Winston Churchill può tranquillamente affermare che la democrazia e una pessima forma di governo, ma migliore di tutte le altre. E’ trascorso quasi un secolo da quella affermazione. A quel tempo la “democrazia” era a compartimenti stagni chiamati nazioni. La pressione dei poveri del terzo mondo ci mette oggi di fronte all’evidenza delle nostre illusioni. Il potere ha perso ogni carisma, è un commercio di consensi, strumentalizzazione dell’informazione. Si adotta lo stesso metodo con il quale si vende ogni altro tipo di merce, utilizzando l’inganno e la pubblicità. Dietro le affermazioni di un’astratta libertà, si cela l’imbonimento intorpidente del consumo, merci, sesso, droga. La ragione non è presente nelle scelte. Anche l’arte ha abdicato alla propria funzione, diventando merce tra le merci, ridotta a gioco ludico. Il cielo stellato sopra di noi non è più visibile, per le luci artificiali e la cappa d’aria sporca prodotta dall’effetto serra. L’arte non inventa più mondi, si perde nei dettagli quotidiani. L’estetica, anche per l’assonanza con etica, e relegata fuori dalla realtà, come parte di un sogno obsoleto.
Piergiorgio Firinu
Auto da fè
Non sarebbero possibili gli studi di iconologia di Erwin Panofsky su opere di arte contemporanea. Uso ed abuso di ready made costituisce dimostrazione della povertà semantica e della forzatura etimologica del linguaggio dell’arte contemporanea. Resta il dubbio ciò dipenda da quella che viene definita “fallacia intenzionale”, che però presuppone cultura e conoscenza tecnica tali da permettere una deviazione motivata e consapevole anche se, pur sempre di deviazione si tratta. Forse si dovrebbe imporre agli studenti delle accademie, come libro di testo, l’opera di Martin Heidegger “Cosa significa pensare”. Di certo non risolverebbe il problema del degrado dell’arte contemporanea, ma forse eviterebbe che, dal piacere estetico, propugnato fino a ieri, si passasse al disgusto estetico. Oggi infatti il rapporto opera rappresentazione è di disarmante banalità, quasi quanto le teorie che la giustificano. Di recente, una critica di lungo corso, ha sostenuto che l’azione di Duchamp, presentare un orinatoio come opera d’arte, fosse un modo per invitare a guardarlo come forma e manufatto”. Teoria spuria che presuppone che, solo in quanto elevati a livello d’opera d’arte, forme e manufatti siano osservati. Osservati come e perché, è un altro discorso. Leonardo per primo sottolineò il piacere estetico che poteva procurare la contemplazione di una macchia sul muro, ma poi andò oltre, dipinse l’Ultima Cena e la Gioconda. Se ci limitassimo alla contemplazione delle macchie sui muri, renderemmo superflua la mediazione della pittura, quindi dell’artista. Il che è esattamente quanto accade con il ready made. La scelta del trovarobato artistico, viene spacciata, da gran parte della critica d’arte, come scelta, motivata, usando un linguaggio da sofisti bizzarri. Vi è una distanza siderale tra ciò che oggi viene considerata arte, e le opere del passato. E’ necessario chiarire che, le opere oggi definite “arte d’avanguardia”, in realtà sono reazionarie, regressive, segni rozzi e insignificanti. Non si tratta solo di scelta dell’artista. O meglio, la scelta è determinata da almeno due fattori: cultura e gusto acquisito. Anche chi preferisce gli hot dog compie una scelta, può farlo per economia e comodità , ma anche perché ignora la cucina francese o italiana, sulle scelte personali non si discute. Accettiamo pure l’idea che gli artisti seguano il genius loci in base al proprio gusto, l’ipotesi resta sicuramente deprimente. Lichtenstein riproduce i suoi fumetti zoomati, Warhol sfrutta il suo genio pubblicitario e riesce imporre i suoi ritratti seriali. Questi artisti, spinti dalle nuove produzioni, sono diventati quasi dei classici. Prima o poi, si riscriverà una storia dell’arte che ci permetterà di capire perché un paese di antica civiltà artistica, patria di Michelangelo, Leonardo, Caravaggio, si sia lasciato plagiare da ciò che avveniva in altri paesi, dando corso a un clamoroso e ingiustificabile auto da fè. La forza della globalizzazione è solo parte della spiegazione, neppure è pensabile l’autarchia, dal momento che l’evoluzione può avere molti sviluppi, non costituiti necessariamente dalle scelte deleterie che sono state attuate. Non tutti conoscono l’opera compiuta dagli USA a sostegno dei loro artisti. Guarda caso, Warhol aveva il suo maggior mercato in Italia. L’arte ridotta a qualcosa di molto simile alla scelta di un vestito che dura una stagione. Anche se poi, in ragione degli enormi capitali in gioco, alcuni artisti, vengono “stabilizzati” dal mercato. La caduta nel banale, il dibattersi nel tentativo di dare significato ad opere e azioni che spesso neppure corrispondono alle intenzioni, segna la storia dell’arte dell’ultimo secolo. Il ready made, non solo non ha contenuto concettuale, ma ne è la negazione, in quanto devia l’ermeneutica, dall’esame della creazione al preesistente, tanto è vero che le opere hanno necessità di un supporto critico che orienti l’osservatore, il quale spesso non capisce, ma si adegua, pubblicità docet. Allo stesso modo i vari happening sono l’opposto di un’opera, in quanto non sono metafore ma vere rappresentazioni, anche se dozzinali. Viene infatti ignorato un problema di grande importanza: la relazione tra spettacolo, arte, opera plastica. Pensiamo allo stile romano di raccontare mediante figure, momenti di un’azione rappresentata da scene. Oppure a opere come “La Passione” di Hans Memlic, che raffigura la vicenda scenica della passione di Cristo (Torino. Galleria Sabauda). L’opera rappresenta una folla di persone che si muovono all’interno di una struttura scenica, case, scale, torri. La lettura dell’opera, come dovrebbe essere di ogni opera d’arte, è possibile a più livelli, è significativo che il primo livello possa essere “letto” senza la necessità di un testo critico. La critica contemporanea, anziché fare il proprio mestiere, si presta a fornire alibi. Per scoprire nel pensiero creativo le condizioni di possibilità, deve esistere un background di conoscenza. Più che la critica, quasi sempre impreparata, è la filosofia di tipo analitico, che dovrebbe prendere in esame opere e operatori per scoprire il vuoto da cui scaturiscono i conati artistici del genere presente nell’esposizione della Whitechapel di Londra. Sculture come “ Bunny Gets Snookered”, di Sarah Lucas sono dello stesso livello del lampadario costruito con tampax presentato alla Biennale di Venezia. La filosofia del linguaggio severa, a volte all’eccesso, quando si tratta di analizzare determinati testi, diventa generosa, troppo generosa, quando volge la propria attenzione ai fenomeni estetici. Questo perché fa propria l’apodittica teoria, ormai luogo comune, in base alla quale la creazione dell’artista non può essere sottoposta a giudizio di valore. Ciò che, nonostante tutto, lascia spazio a un ottimismo residuale, è che il grafo del progresso non si sviluppa sempre in avanti, in modo rettilineo, come vorrebbe l’etimologia della parola, ma un certo punto inizia un movimento a spirale di ritorno all’indietro.
Piergiorgio Firinu
Il genio umile
Fino al XII secolo, il pensiero europeo è quasi completamente chiuso alle speculazioni fisiche. Per la maggior parte, i chierici si attengono alle prescrizioni che l’Enchiridio di Agostino dava ai cristiani nel secolo IV: diffidare dei testi pagani e, in ogni cosa, appoggiarsi alla Rivelazione. Così, se si tiene conto del fatto che a partire dal II secolo , le ricerche scientifiche degli Antichi segnano il passo, si osserva una crisi quasi millenaria. Come sottolinea Thomas S. Kuhn, è evidente che questo oscuramento inferisce in quelle che chiamiamo discipline positive, dinamica, astronomia, cosmologia, e anche in tutto lo scibile della conoscenza. Il dubbio che oggi, all’inizio del terzo millennio, viene avanzato da non pochi storici, è se quello che è considerato un ritardo nello sviluppo, sia da considerarsi totalmente negativo. Il problema di fondo resta sempre il distacco dalla natura, la discontinuità del percorso di conoscenza. Supponiamo per un attimo che si riuscisse a prolungare la vita degli esseri umani fino a 200 anni, ma senza nel contempo trovare una soluzione al problema della nutrizione, e al modo di porre un limite al progressivo depauperamento delle risorse, alla salvaguardia dell’eco-sistema, che aumenta in misura esponenziale per il solo fatto che aumenta la popolazione terrestre, con il conseguente aumento dei consumi. Cosa accadrebbe? Un problema che non è stato ancora seriamente affrontato e valutato nella sua reale gravità. Molto importante è anche il modo con il quale gli esseri umani affrontano le questioni della convivenza, la produzione intellettuale, l’arte. Fino al rinascimento non vi era una radicale discontinuità tra le varie discipline. Copernico contrapporrà il suo sistema ad altre ipotesi, con convinzione ed umiltà. Per definire meglio l’ambiente del tempo in cui la rinascita culturale e dell’arte ha “svegliato” l’Europa, basta considerare l’opera di Leonardo da Vinci. Alexandre Koyrè ha polemicamente contrapposto le ipotesi degli interpreti del geniale Fiorentino. Per gli uni egli fu uomo di lettere, ma dotato di una intuizione acuta e di una invenzione artistica e tecnica prodigiosa; per gli altri, Pierre Duhem ad esempio, egli fu, al contrario, un instancabile lettore che mediò con originalità le diverse cognizioni del Medioevo. Diffidando della unilateralità di queste tesi, Alexandre Koyrè traccia di Leonardo un ritratto particolarmente significativo dello stato d’animo che è alla base della nuova immagine del mondo. Scultore, pittore, disegnatore, architetto, ingegnere, artigiano, meccanico, appassionato di ricerche fisiche, di questioni matematiche , sperimentatore accanito, inguaribile sognatore , Leonardo sembra simboleggiare tutto ciò che gli artisti contemporanei non sono. Egli ha una volontà instancabile per indagare il visibile, svelarlo nella sua complessa struttura, non solo, sotto profilo della conoscenza scientifica, ma soprattutto attraverso la sensibilità artistica. Per lui la pittura e la scultura, sono si opere d’arte, ma sono soprattutto rivelazione dell’essere prezioso della natura. Come precisa Koyrè, Leonardo non ha imparato dai libri, ha arricchita la propria conoscenza teorica e pratica, con umiltà pari al suo genio, nella bottega del Verrocchio, dove si ritrovano e lavorano intellettuali, artisti, artigiani. E’ questo l’ambiente in cui si forma il pensiero creativo degli artisti e degli scienziati del Rinascimento. E’ in quell’ambiente che si affrontano problemi di geometria , dove il Fiorentino escogita le sue straordinarie invenzioni. Mentre lavora alla scultura scopre e indaga la struttura del corpo umano, individua altrettanti modi che collegano la materialità, il sociale, e la lettura matematica della realtà fenomenica. Le macchine che egli progetta richiedono un sapere tecnico, ma soprattutto una visione ampia dei rapporti tra i campi della conoscenza. Attraverso Leonardo si compie la fusione tra l’auditus, il sentire, e il visus, il vedere. La pittura, linguaggio della sensibilità e della conoscenza, è la sola capace di dare forma al sogno e al pensiero nello stesso tempo. Non è affatto vero che oggi è tramontata la pittura, in quanto mezzo obsoleto di riprodurre la realtà. Anche perché la realtà, vista con gli occhi dell’artista, assume forme che nessun mezzo tecnico può riprodurre. Quello che è finito, non è una particolare forma di proposizione del sapere, è finita la capacità di usare il sapere con la necessaria umiltà, stimolare l’intelligenza per approfondire gli aspetti della conoscenza che la scienza non può sondare, rinchiusa com’è nell’empiria e legata alla praticità funzionale. Tale è precisamente il progetto cartesiano di dominio, prima ancora che comprensione della natura. Tale metodo passerà nella tecnica del sistema capitalista e sarà alla base della rivoluzione industriale del XIX secolo. Finirà per influenzare in modo rilevante l’arte, sia che questo principio di pragmatismo venga accettato o respinto, metterà in gioco una progressiva permeabilità anche nell’arte del concetto funzionale. Di lì alla mercificazione il passaggio diventa inevitabile.
Piergiorgio Firinu
Duchamp e dintorni
Hegel ha teorizzato la morte dell’arte. Le avanguardie del secolo scorso ne hanno celebrato il funerale. I necrologi sono stati redatti da critici e storici dell’arte. Come spesso succede, i necrologi non sono veritieri perché mettono l’accento solo sugli aspetti positivi del/la defunto/ta. Sicuramente uno dei più attivi seppellitori, è stato Marcel Duchamp. Nato a Blainville nel 1887, da una famiglia della piccola borghesia, aveva due fratelli, anch’essi si dedicarono all’arte con scarso successo, e tre sorelle che, pare, avessero grande influenza su di lui. Attualmente uno dei fratelli, che usava lo pseudonimo Jacques Villon, è stato riscoperto, una sua mostra è attualmente al Van Gogh Museum di Amsterdam. Marcel, dopo avere seguito per qualche tempo la corrente fauve-espressionista con una serie di ritratti e gruppi di famiglia di non eccelsa qualità, nel 1913 passa all’utilizzo di ready-mades, giustifica questa sua scelta con una tesi a dir poco banale: le macchine sono già fatte, il problema è di vedere se è possibile farne un uso estetico. Al di là della motivazione banale, la scelta è senza dubbio originale, e tuttavia non pare possa bastare a dar valore alle opere che seguiranno nei passaggi successivi della sua produzione. “Ruota di bicicletta”, “Attaccapanni”, il celeberrimo “Orinatoio”, lo “ Scolabottiglie” sono i suoi primi “capolavori”. Seguono “ Macinino da caffè” ed infine, arriva “L’aria di Parigi”. Contrariamente alla vulgata corrente, tutta l’opera di Duchamp dimostra che egli più che un artista, era un intellettuale che odiava l’arte, forse perché consapevole di non essere dotato. Questa tesi trova conferma nello sfregio inflitto alla Gioconda, opera di Leonardo, il quale sosteneva: “ Sapere non è che un mezzo per fare”. Scriveva il poeta Paul Valéry: “ Leonardo ha la pittura per filosofia”. La mancanza di talento è la vera ragione che induce Duchamp a sfregiare l’opera leonardesca disegnando sul volto della Gioconda un paio di baffi, quasi a voler cancellare il sex – appeal dell’immagine femminile, non pago della volgare profanazione, sotto il ritratto Duchamp scrive cinque lettere in caratteri cubitali, L.H.C.O.Q. Tale scritta vorrebbe essere un motto di spirito, in realtà è simile alle frasi scarabocchiate nei gabinetti pubblici, infatti le lettere, attraverso un’omofonia intraducibile in altre lingue, suonano come una frase di estrema volgarità: “essa ha caldo al culo”. Qualcosa del genere ripete anche per “Belle halein, eau de voilette del 1919. In questo caso l’oggetto da profanare è di natura eterea, il profumo. Ci sono persone che, per uno strano gioco della natura umana, riescono a coinvolgere altri nelle loro imprese. Hitler è riuscito a farlo con un intero popolo, intellettuali e filosofi inclusi. Più modestamente Duchamp ha plagiato intellettuali e critici che hanno accettato le sue bislacche teorie e con i loro scritti le hanno accreditate, favorendo l’azione di propaganda che ha influenzato l’arte moderna, nonostante, anzi proprio perché, egli non avesse la minima capacità tecnica per emergere utilizzando gli strumenti propri dell’arte. Quindi ha fatto di inadeguatezza virtù, grazie anche ad una grande abilità affabulatoria, che gli fece ottenere l’appoggio incondizionato di due affezionati discepoli. Francis Picabbia, il quale mise a disposizione dell’amico-maestro la sua fortuna e una buona capacità pubblicitaria che utilizzò anche per se stesso. L’altro allievo fu lo statunitense Man Ray, che però, a tratti, seppe mantenere una certa indipendenza, anche sul piano della produzione artistica. Nel 1923 Duchamp fece confluire l’insieme delle sue progettazioni mentali in un’opera dal titolo “ La sposa messa a nudo dai suoi scapoli, anche”, Il titolo, con la chiusura “anche” in francese “m’aime” lascia trasparire l’allusione erotica. L’opera è più nota come “il grande vetro”, il supporto sul quale è realizzata. Difficile descrivere l’opera in dettaglio, soprattutto perché di fatto si tratta di un work in progress mai ultimato. Sulla scia di Duchamp a Zurigo, intorno al Cabaret Voltaire, un gruppo di artisti prese a riunirsi ed è a loro che si deve la denominazione DADA. E’ controversa l’origine della scelta del nome. Alcuni sostengono che avvenne aprendo a caso un dizionario, mettendo il dito casualmente su una parola, per altri invece la scelta fu fatta in riferimento alle parole regressive, infantili, tipiche dei poemetti di Hugo Ball, uno dei componenti del gruppo. Del sodalizio faceva parte Tristan Tzara tra i più risoluti predicatori della morte dell’arte. Si scagliò contro Cubismo e Futurismo e sostenne che l’arte Dada non era affatto moderna ma si rifaceva alla religione dell’indifferenza, quasi di tipo buddista. O poteva essere considerata un microbo, osservava un altro componente del gruppo, Hans Richter: “come accade ai batteri o agli insetti, una volta che il pubblico si è assuefatto a un’arma di sterminio bisogna pur inventarne un’altra”. Tzara diceva anche: “ chi è molto frustrato può diventare un criminale o un artista”. Non c’è dubbio che con simili precursori, quello che è successo in seguito all’arte contemporanea, era inevitabile. Forse però il nichilismo di Duchamp e dei suoi seguaci non è arrivato ad immaginare che i collezionisti borghesi, dopo aver museificato la ruota di bicicletta, orinatoio e il resto dei suoi “capolavori”, sarebbero arrivati al punto da collezionare la merda a caro prezzo. Oggi l’arte è soggetta ad un riflusso reazionario, con il ritorno a pittura e scultura, realizzate però in forme rozze e approssimative e soggetti spesso pornografici. Il mercato è il vero deus ex machina dell’arte oggi, la critica fa da cassa di risonanza e riflette la mancanza di cultura del tempo in cui viviamo.
Piergiorgio Firinu
Informare o stupire?
Ogni discorso sull’arte di traduce, nella migliore delle ipotesi, in tautologia, dal momento che il linguaggio dell’arte dovrebbe avere una propria autonomia, ogni sovrapposizione verbale si riduce all’espressione delle opinioni del critico o storico, cosa positiva se compiuta con misura e competenza, senza divagazioni fantasiose. Purtroppo nei testi di storia e critica d’arte si trovano vere perle frutto dell’enfasi dell’autore. Due esempi: “…concrezioni plastiche autonome volte a riplasmare l’universo, ma partendo da una legalità antropocentrica….” E ancora dello stesso celebrato critico: “…l’artista si sente autorizzato a scoprire la morfologia del mondo della vita, come questa si da….” Da circa 30 anni, chi scrive, mette in luce queste allucinate e fantasiose descrizioni di ciò che nell’opera non c’è, nullum est iam dictum, quod non sit dictum prius. Sembra verificarsi il sistema tipico dell’antica dottrina Tantra che non soltanto utilizza un proprio linguaggio peculiare, ma insiste sulla convinzione che nei libri divulgati, gli insegnamenti profondi devono essere esposti in modo tale che sia possibile la comprensione esclusivamente agli aderenti alla setta. Per questo viene elusa la chiarezza perché l’interpretazione sia possibile solo con l’assistenza di una guida qualificata. Tuttavia questa ipotesi, plausibile alla luce delle circonlocuzioni verbali contenuti nei testi, e smentita da una variante che semplicemente rende ancor effimera l’arte e ciò che su di essa si viene pubblicato. Qualche tempo fa un ragazzo scrisse: “ voglio diventare famoso per poter fare l’artista”. Frase significativa che indica il livello d’inquinamento “mondano” raggiunto nel mondo dell’arte. La stessa confusione è presente in molti campi ed è accresciuta dalla confusione tra libertà delle scelte personali, e la loro esaltazione dei media. Non c’è dubbio che in privato vi è ampia libertà di azione, ma quando questi fatti approdano sui mezzi di comunicazione, occupano le prime pagine dei giornali, hanno grande risalto nei tg, a quel punto la questione diventa pubblica, e costituisce un oggettivo atto di violenza indiretta. La privazione di libertà si verifica anche quando vengono “imposte” opinioni attraverso la ripetizione di fatti presentati in modo accattivante e fornite da motivazioni plausibili contro le quali non tutti i lettori hanno sufficienti anticorpi. Il risultato è che, opinioni e visioni particolari, spesso urtanti, diventano prima notizia, poi verità acquisite. In teoria si possono rifiutare nello stesso modo in cui per sfuggire ciò che accade all’esterno, ci si può chiudere in casa ed evitare cosi di vedere ciò che accade nella strada dove si svolgono esibizioni volgari e oscene. A chi protesta si risponde: basta non guardare. Se un minus habens decide di crocifiggere una rana, presenta questo come opera d’arte, è un problema di chi compie il gesto, del suo gusto, della sua sensibilità e cultura. Ma quando la direttrice di un museo accoglie l’opera, i media fanno da cassa di risonanza all’avvenimento, l’indignazione non deriva dall’atto in se, ma dalla pubblicità che ne viene fatta. In questi casi la giustificazione degli addetti ai lavori è di solito la seguente: “ è una notizia e come tale va resa pubblica”. Accantonando i dubbi che ogni atto insensato costituisca notizia, resta il fatto che ogni minuto nel mondo accadono una quantità di fatti, la scelta delle notizie è affidata all’arbitrio del gregge a cui è affidata l’informazione. Va da se, che ciò che viene pubblicato sui media, concorre in modo rilevante, concorre a formare la pubblica opinione, come ben ha documentato Jurgen Habermas in “Storia e critica dell’opinione pubblica”. Si va rafforzando l’impressione che la tanto decantata libertà di stampa, altro non sia che la pretesa di imporre le proprie opinioni, di fronte alle quali il comune cittadino è indifeso. E’ vero che può non leggere il giornale o spegnere la tv, ma a parte il fatto che sarebbe già un limite alla libertà, in contrasto con la tesi corrente, a volte può capitare di cadere nella trappola che si chiama: curiosità; sempre che vi sia cultura e consapevolezza sufficienti per una scelta sufficientemente consapevole, il che non è scontato. In caso contrario è come accusare la lepre di avere messo il piede nella trappola piazzata dal cacciatore, sostenendo che poteva posare il piede da un'altra parte(!?). Il circo Barnum della stampa ha bisogno di clienti, per conquistarli sembra essere disposto a tutto. Lo scopo dunque non è la democrazia, eventuale effetto collaterale, ma arricchire. Non è un caso che, tra i protagonisti della scena internazionale, oltre ai big della finanza, spiccano i tycoons dell’industria editoriale e giornalistica, che in non pochi casi si sono dedicati alla politica. Si dice che ciò che non appare sui media non esiste, quindi ciò che esiste è prodotto dai media. Difficile negare la responsabilità di critici e storici dell’arte, che danno spazio eccessivo a trasgressioni ed eccessi, per lo stato dell’arte contemporanea.
Piergiorgio Firinu
Luce purissima dell'Infinito
E’ paradossale che Baruch Spinoza, considerato fatalista, materialista, dissacratore della Scrittura e di ogni religione, corruttore della morale e di ogni convivenza umana abbia scritto “Etica”, uno dei suoi testi fondamentali, in larga misura ancora attuale oggi. Nato ad Amsterdam nel 1632, morto all’Aia all’età di 45 anni, venne espulso, quando aveva solo ventiquattro anni, dalla “nazione ebraica”, con sentenza che, tra l’altro, così recitava: “… Sia maledetto il giorno e maledetto la notte, maledetto quando si sdraia e maledetto quando si alza, maledetto quando esce maledetto quando entra….”. Il secondo Settecento produsse una quantità impressionanti di testi che condannavano non solo la sua opera, ma la persona stessa di Spinoza. “ Sputa su questa tomba! Qui giace Spinoza, ma insieme vi sia sotterrata la sua parola, sicchè la peste delle anime non continui a mietere vittime”. Filippo Mignini, uno dei maggiori studiosi al mondo del filosofo olandese, anni fa pubblicò un saggio introduttivo alla filosofia di Spinoza e tutte le sue opere. L’attualità di Spinoza, non è data solo dalla riscoperta della natura e dal grande bisogno di etica che comincia a profilarsi nelle nostre società scompaginate dall’egoismo individuale, ma soprattutto dalla chiarezza con la quale ha saputo individuare i “ vuoti” della natura umana. La radicalità del filosofo che brucia il Dio delle religioni rivelate alla luce purissima dell’infinito, che nega ogni forma di antropoformismo nella concezione di Dio. Certo, nell’epoca dei filosofi da best seller, ci vuole un minimo di attenzione e uno sforzo per liberarci dai luoghi comuni che ci assillano. Quando Albert Einstein professava di credere nel Dio di Spinoza, nel contempo escludeva di aver fede in un Dio “ che si preoccupa del destino e delle azioni degli umani”. Ci sono pagine di Goethe che danno conto del suo incontro con la filosofia di Spinoza. “ dopo che mi ero guardato attorno in tutto il mondo per trovare un mezzo per forgiare la mia strana natura, mi imbattei alla fine nell’Etica, vi trovai acquietamento delle passioni, e parve che mi si aprisse un’ampia e libera veduta sul mondo sensibile e morale. Ma quel che mi avvinse di più fu lo sconfinato disinteresse che traspariva da ogni sua massima. Quelle parole singolari “ chi ama Dio davvero non deve pretendere che Dio a sua volta lo ami” riempirono tutta la mia facoltà di riflessione”. Goethe ha saputo spiegarci con poche scarne parole perché Spinoza è così importante nella storia del pensiero. Anche Borges, nei versi che ha dedicato all’ebreo “di tristi occhi e di pelle olivastra “ è riuscito ad aiutarci a capirlo. L’Etica contiene molti insegnamenti del tutto adatti a spiegare taluni comportamenti dei contemporanei. Come quando scrive: “….noi non desideriamo niente per il fatto che lo giudichiamo buono, ma viceversa diciamo buono ciò che desideriamo. E di conseguenza diciamo cattivo ciò che aborriamo….”. Abbiamo difficoltà a riflettere ed è limitata la nostra incapacità di distinguere, perché le forme in cui si articola la ragione non possono prescindere dallo strumento che la serve, per cui l’uomo zoologico finisce per prevalere. Hume arriva a sostenere che “la ragione è serva delle passioni. E’ più facile giustificare i nostri vizi che avere ragione di essi. Ed è davvero un guaio che persone volgari, di gusti perversi, abbiano l’abilità dialettica di capovolgere la realtà delle cose. L’intelligenza dei filosofi trova un limite anche nell’ambizione. Spinoza, a differenza della maggioranza dei filosofi, ieri come oggi, preferiva svolgere l’umile lavoro di molatore di lenti e mantenere la libertà di pensare e scrivere secondo le proprie convinzioni, si sottraeva all’ambizione, per non pagare la propria libertà con il denaro degli altri. Non rientrava nella categoria citata da Cicerone: “ I filosofi mettono il loro nome sul frontespizio dei libri che scrivono sul disprezzo della gloria”.
Piergiorgio Firinu
Melanctha e le altre
Ci sono persone che lasciano solo una flebile traccia nella storia della cultura, forse perché anticipano troppo i tempi. Prima sono trascurati perché troppo in anticipo, poi perché i temi che hanno trattato sono ormai scontati. Gertrude Stein fu una di queste persone. Nata ad Allegheny, in Pennsylvania, studentessa di psicologia e di medicina, si diceva che William James la considerasse l’alunna più geniale incontrata nel corso della sua carriera. Nel 1908 la Stein pubblicò un’opera narrativa dal titolo “Tre esistenze”. Per la pubblicazione si affidò a un piccolo editore, anche per questo l’opera non ebbe grande diffusione, ma passando di mano in mano , si conquistò una certa fama. Sul frontespizio delle “Tre esistenze” , era stampata una frase di Jules Laforgue. Il libro apparteneva alla corrente che in quel periodo era definita “realista”, il realismo della Stein era un realismo di tipo nuovo. Il libro conteneva tre racconti lunghi, tre storie di donne, due delle quali erano domestiche di origine tedesca, la terza una ragazza mulatta. La caratteristica di questi racconti, specialmente se paragonati a un’opera tipicamente naturalista come “ Un coeur Simple” di Flaubert, in cui il lettore avverte che la figura della vecchia serva di famiglia è contemplata come da una grande distanza e documentata con sforzo, mentre la Stein ha saputo identificarsi con i suoi personaggi. In uno stile che appare libero da ogni influenza, l’autrice sembra avere imprigionato, con la sensibilità tipica dei veri artisti, il ritmo stesso e le cadenze di pensiero delle tre protagoniste. Essa trasmette a chi legge la sua partecipazione in modo così vero che ci scopriamo a partecipare intimamente alla vita della buona Anna e della dolce Lena, fino a dimenticare la loro condizioni e guardare il mondo dal ristretto angolo del loro orizzonte, allo stesso modo che leggendo le vicende di Melanctha ci immergiamo così profondamente nel suo mondo da dimenticare che esso è popolato da afro-americani. Questo fa della storia narrata dalla Stein uno dei primi e migliori tentativi che un narratore americano di pelle bianca abbia compiuto per tentare di penetrare l’anima dei neri americani. Era ancora lontani i tempi in cui la rabbia dei neri avrebbe dato uno scossone all’integrazione, anche con i libri di George Jackson “ I fratelli Soledad” e i due testi di Eldridge Cleaver “ Anima in ghiaccio” e “ Dopo la prigione”. Tutti pubblicati negli anni ’60 del secolo scorso. Come il saggio di Frantz Fanon “ Dannati della Terra”. Il significato ultimo delle storie della Stein e totalmente diverso, impregnato di tenerezza, oltre alla anticipazione dei tempi storici, è diverso anche dalla narrativa realista dell’epoca. La Stein non si interessa alle protagoniste dal punto di vista delle condizioni sociali di cui esse potrebbero essere esemplari rappresentanti, ma vede in esse tre tipi fondamentali di femminilità. La generosa Anna, in cui la devozione si combina con il senso di dominio, la sognatrice e passiva Lena, per la quale è naturale lasciarsi sfruttare dagli altri, permettere che la sua vita sia relegata all’ombra di altre vite, l’appassionata e complicata Melanctha, che perdeva sempre ciò che aveva per il bisogno di tutte le cose che vedeva. Nell’opera di Gertrude Stein si avverte la straordinaria percezione di quegli organismi, contradditori e mai scomponibili, che sono le persone umane. “Tre esistenze” , malgrado la scarsa diffusione, esercitarono una notevole influenza . Carl Van Vechten ne scrisse, Eugene O’Neil e Sherwood Anderson, ne parlarono con ammirazione. Nel secondo libro della Stein, “The Making of Americans” , si ritrovano i ritratti psicologici di Picasso e di Matisse, la descrizione dell’atmosfera che Francis Scott. Fitzgerald, avrebbe descritto nel suo romanzo “Belli e Dannati”. Siamo lontani dal clima della America di quegli anni, lo stile è diverso da quello degli esordi. Siamo immersi in un mondo in cui le eroine del primo romanzo di certo non si sarebbero trovate a loro agio. Infatti quello che colpisce nel leggere questo, come altri romanzi dell’epoca, è il cambiamento radicale avvenuto nella società e nelle singole persone in un brevissimo arco di tempo. Sembra che il progresso, come Faust, abbia dato benessere e un’effimera felicità, in cambio ha posto un’ipoteca il futuro. Arte e romanzi di oggi, più in generale la mentalità contemporanea è immersa nel presente, quasi una sorta di stordimento, nessuno scrive, parla, immagina il futuro a partire dai giovani, l’incertezza del futuro sembra rendere frenetico ma superficiale il presente.
Piergiorgio Firinu
Nel segno dell'Utopia
Nel manifesto del partito comunista Marx ed Engels hanno citato espressamente, oltre a Fourier, Saint-Simon e Robert Owen, un gruppo di “socialisti critico-utopistici” detti icariani, un gruppo fondato dal socialista riformatore francese Etienne Cabet il quale, come molti socialisti , era rimasto colpito dalla congiura organizzata da “Gracchus” Babeuf, pubblicata nel 1828 da uno dei cospiratori, Filippo Buonarroti, colui che a tutti gli effetti può essere considerato il primo rivoluzionario di professione. Cabet fu costretto all’esilio dal governo di Luigi Filippo. Resto in Inghilterra dal 1834 al 1839. La lettura dell’ Utopia, di Tommaso Moro, ebbe una grande influenza su di lui. Cabet credeva che il fine dell’arte fosse l’utilità sociale. Egli sosteneva che solo l’arte avrebbe potuto produrre degli individui armonicamente adatti alla vita sociale. Fu Cabet che forgiò il neologismo “comunismo”, utilizzato da Marx. Come tutti gli utopisti, Cabet considerava importante il rapporto con il passato e, come Marx , credeva nel valore della storia e dell’arte di coloro che ci avevano preceduto, soprattutto Marx era un fervente ammiratore dell’arte dell’antica Grecia che suscitava riflessioni sull’incongruenza di un’arte nata in contesti storici totalmente diversi dai quelli del suo tempo, e tuttavia ancora capace di suscitare tanta emozione. Cabet, su consiglio di Owen, decise di creare una città nuova nella quale dare forma anche alle sue idee sull’arte. Scelse il Texas, ed acquistò un milione di acri di terra. Alla nuova città diede il nome di Considerant. Purtroppo il suo tentativo non ebbe successo per dissidi con il gruppo dei suoi seguaci. Dopo molte vicissitudini, Cabet si trasferì nel Missouri dove morì nel 1856. Il genere d’arte più ammirato da Cabet , come dai seguaci di Saint- Simon e di Fourier fu il realismo-romantico, nel quale arte e morale si bilanciavano e tendevano all’utilità sociale, come del resto Diderot aveva teorizzato e messo in pratica nelle sue opere letterarie. Il realismo romantico fu di gran voga fra gli artisti francesi d’avanguardia tra il 1825 e il 1850, momento di massimo fulgore anche del socialismo utopistico. Questo sovrapporsi di realismo e romanticismo non costituiva motivo di perplessità, tanto che il critico Jacques Barzun, aveva teorizzato che tutta l’arte romantica era ispirata dal realismo. A quel tempo la borghesia, dopo la rivoluzione del 1830, controllava accademie d’arte ed ogni manifestazione ufficiale in campo artistico. Essa disponeva dei mezzi economici per finanziare gli artisti che accettavano l’ortodossia borghese. Gli artisti che rifiutavano lo status quo, in particolare gli esponenti del romanticismo, si consideravano all’avanguardia, nel senso di essere radicali in campo artistico, indotti a ribellarsi alla società dominata dalla borghesia. Questo loro atteggiamento finì per influire anche nei loro comportamenti sociali e sulle loro opere. Esponente di rilievo di questa cerchia, fu Victor Hugo, che seguiva per molti aspetti la strada indicata da Rouseau. Lo stesso atteggiamento coinvolgeva anche alcuni fautori de “l’art pour l’art”, movimento stimolato dal romanticismo e divulgato soprattutto da Théophile Gautier, già discepolo di Hugo. Dopo la morte di Saint-Simon venne fondato il “Cénacle”, di cui facevano parte Sainte-Beuve, il poeta Afred de Vigny, il pittore Louis Boulamger; in seguito si associarono lo scultore Barye, David d’Angers, e il pittore romantico Delacroix. Molti gli artisti e scrittori gravitavano intorno al Cénacle. Stendhal e Balzac, quest’ultimo che era lo scrittore preferito da Marx, il suo romanzo “ Comédie Humaine” ebbe un successo enorme. Balzac nei suoi libri descrisse la vita di almeno quattordici pittori e scultori, dando a sei di essi il ruolo di protagonisti. Nel suo breve racconto del 1831, intitolato Le Chef d’oeuvre inconnu” , narra di un pittore che distrugge tutte le sue opere per affrancarsi dalla natura alla ricerca dell’assoluto. Balzac aveva un brutto carattere. Durante un pranzo, su invito da Heine, poco mancò che venisse alle mani con Eugène Sue, per divergenze di carattere politico. Sue fu definito “il creatore del romanzo socialista”, lodato a criticato, a fasi alterne da Marx e da Engels. Il suo romanzo più noto “Les Mystères de Paris” , 1842, contiene la prima descrizione di un ideale fabbrica giardino. Anche George Sand si accostò alla dottrine socialiste aderendo alla dottrina sansimoniana. Questa breve silloge sull’origine delle avanguardie, evidenza la distanza che le separa dall’arte contemporanea. Ridotta a un confronto competitivo nell’arena dei media, dove la qualità conta meno del riuscire a provocare shock con espedienti pubblicitari di dubbio gusto.
Piergiorgio Firinu
Teologia della modernità
Tra le infinite derive che la storia a volte produce, non di rado appare una figura bizzarra che per indecifrabili coincidenze ottiene fama e potere. Diventa preoccupante quando, come accade nel tempo presente, le figure bizzarre sono molte, la loro bizzarria è motivo di successo. Mai come oggi è vera l’affermazione di un filosofo arabo del ‘200. “ L’essere umano è problema a se stesso”. Certi fenomeni si moltiplicano in ragione della decadenza di un’epoca, ne ravvisano le ombre, ne amplificano le incongruenze. Sembra allora che, come giochi di bimbi, portino allegria e semplicità. In realtà si tratta di regressione, manca l’aspetto di genuina spontaneità. Il secolo scorso è stato definito il “secolo breve”, in realtà è stato un secolo di decadenza etica, sulla scia dell’ultima parte del diciannovesimo secolo. La figura ridanciana e corrotta, che assume un potere eccessivo, può essere criticata. Ma come criticare, in regime di democrazia, chi quel potere conferisce? Un numero sempre maggiore di persone sembra attratto dalla recita trasgressiva del nostro tempo, in pochi sembrano ravvisarne ragioni e origini. Viviamo talmente avvolti nella contraddizione, da non sapere più districarci, capire le nostre stesse azioni. Tutto si dilata con la presa di potere della borghesia. I fievoli lumi che avrebbero dovuto illuminare il mondo, hanno fallito. L’arte ha inconsciamente anticipato tutto questo, incluse le contraddizioni di una linguaggio balbettante. Artisti come Emil Nolde, nato nel 1867 a ridosso della stagione simbolista, nelle sue opere disprezza l’eleganze stilistiche degli artisti precedenti, affronta le superstiti tracce della figurazione con rabbia selvaggia, disarticolandole, stendendo il colore con ostentata disinvoltura, si compiace di manifestare goffaggine, imperizia, come nei dipinti infantili, antenato di Basquiat. Non vi è nulla di spontaneo in questo, nulla di genuino, ciò nonostante la sua pittura, come quella di artisti simili o peggiori, è celebrata, sono molti gli artisti che si sono accaniti contro l’arte, come il gruppo Die Brucke, ispirato da Nolde. Forse un giorno si riscriverà la storia dell’arte, lontani dalle suggestioni di una modernità ancipite. Ogni volta che assistiamo a questa recita trasgressiva, scorgiamo la stessa stravaganza che Sventolio nella Vita dei Cesari ritrovava in Nerone, in Caligola, in Eliogabalo. E’ come se ad un tratto la storia retrocedesse, e la voce di un popolo ne ascolti deliziato i motteggi, gli insulti, la derisione, senza avere la consapevolezza che il potere, l’arte, la cultura si burlano di quella che è l’essenza stessa dell’umano: il rispetto della ragione. Quel costrutto ilare si abbandona a miti, crea una sorta di teologia della mondanità. Abbandonato ogni possibile, remoto legame alla ritualità del sacro, l’esistere diventa sostanza greve. In uno di quei momenti in cui sembrò che la storia fosse felicemente in marcia, uscì il saggio “ Il Ramo d’oro”, dell’antropologo e storico delle religioni, lo scozzese James George Frazer , dedicato ai Saturnali e alla crocifissione di Cristo. La sua sembrò una stranezza. La provocazione che un ateo lanciava contro il cristianesimo. Frazer, come in un gioco di scatole cinesi, immaginò che la crocifissione di Cristo potesse ricondurre al Purim, una festa ebraica che mostrava evidenti legami con le Sacee babilonesi e i Saturnali romani. Durante i Saturnali romani veniva incoronato un falso re al quale si concedeva ogni capriccio prima di metterlo a morte tagliandogli la gola. Se il prescelto rifiutava di interpretare la parte del finto re, veniva in ogni caso ucciso. Questo macabro rito era praticato anche sotto il regno di Serse. E’ descritto nel Libro di Ester. Edgard Wind, studioso d’arte, legato alla scuola di Warburg, nel 1938 analizzò la morte di Aman, riconducendola a un affresco di Michelangiolo, e ad alcuni versi di Dante. In quell’affresco, un dettaglio della Cappella Sistina, l’esecuzione del Visir raffigura un uomo crocifisso. La maschera grottesca del potere è oggi meno identificabile, perché frammentata in caste che possono manipolare i media, dotate di enormi disponibilità economiche. Il popolo, diventato “gente”, “cittadino” “ consumatore”. È privato dei riti nella loro forma originaria, indotto a credere di essere padrone delle proprie azioni che, per quanto turpi, non suscitano riprovazione. Renè Girad, in “La violenza e il sacro” descrive il trattamento a cui erano sottoposti i pharmakos nell’antica Grecia, dove ebbe origine la civiltà occidentale e con essa la nascita della tragedia. Destini paralleli, in cui le pulsioni profonde dell’uomo zoologico, si trasformano in miti, si tenta di esorcizzarle con le parole, si affidano all’interpretazione di artisti. Permane il bisogno di violenza, del capro espiatorio, ineliminabile bisogno di ogni gruppo umano che non è stato cancellato dalla civiltà. Il pharmakos, non aveva altra colpa, se non quella di essere stato scelto, non è chiaro da chi e perché, su questo punto mancano dettagli, veniva da prima frustato sugli organi genitali, era sempre scelto tra i maschi, torturato, beffeggiato ed infine ucciso. Nessuna scultura di Fidia, ne pittura di Zeusi o Parrassio, ha mai rappresentato il rito.
Piergiorgio Firinu
Sine ira et studio
Qualche tempo fa su un quotidiano un giurista, orientato politicamente a sinistra, sostenne che l’attuale presidente del consiglio ha esercitato grande e negativa influenza sul costume nazionale, contribuendo in larga misura alla tendenza esibizionistica di ciò che il denaro può offrire. Non ho elementi per negare o confermare la fondatezza di simile affermazione, credo tuttavia che il concetto possa essere capovolto. La società esprime i propri rappresentanti, coloro nei quali si identifica. Se la società italiana in questi anni è decisamente peggiorata , nel linguaggio, abitudini, abbigliamento, sul piano del costume in generale, la ragione non credo possa essere riportata all’influenza di un solo uomo, vorrebbe dare a costui eccessiva importanza. Vi è una complicità che parte degli intellettuali, artisti, dal cinema e tv. Nihil novi sub sole. La storia, come scrisse G.B. Vico, consiste in corsi e ricorsi,accade qualcosa di simile nella storia dell’arte, che è riflesso, ma anche condizionata dalla società in cui gli artisti operano.Se mai c’è da lamentare un’eccessiva adattamento, l’opportunismo. Scriveva Rudolf Wittkower : “ Tutta la storia dell’arte è, in sostanza, storia di simboli, tratti dalla società in cui gli artisti si trovano ad operare”. Il linguaggio metaforico dell’arte eleva ed incide sulla natura della rappresentazione. Quanto più un’opera è volgare, tanto più rinuncia alla metafora e quindi non è più arte, ma se la società nel suo insieme fa della volgarità la propria cifra, gli artisti, tra i quali i mediocri sono maggioranza, si adeguano. Gli psicologici e analisti possono essere abili nel diagnosticare i sintomi, ma non possono dirci perché tali sintomi si traducono in qualche caso in opere d’arte di altissima fattura, in altri di abominevoli volgarizzazioni. L’influenza sulle masse, e legata a una pluralità di fattori, la maggior responsabilità ricade sugli uomini di cultura, su creatori d’immagine, i così detti opinion maker, coloro che concorrono a creare l’immaginario collettivo. Attribuire al solo Hitler lo sfacelo della Germania è una sciocchezza. Chiediamoci piuttosto: com’è possibile che uno dei più importanti filosofi del secolo scorso, Martin Heiddegger, abbia aderito la nazifascismo? E’ triste constatare la confusione tra ribellismo e senso critico, L’incapacità di resistenza sul piano culturale e di costume da parte di persone comuni e intellettuali La contestazione degli artisti è solo apparente, in realtà le opere che dovrebbero contrastare lo status quo, risultano perfettamente in linea al costume corrente. Coazione e ripetere espressa nello slogan “ epater les bourgeois”, ormai privo di senso e di efficacia, nulla stupisce tutto è monetizzano, anche, se non soprattutto, ciò che è laido. Cose dette e ridette, “repetita iuvant”? Il denaro è una sorta di sinéddoche del nostro tempo. E’ cresciuto in misura esponenziale lo spirito gregario. Lo si vede in modo eclatante nelle manifestazioni dei tifosi di calcio, esagitati e urlanti, nei partecipanti ai concerti rock, nei rave party, simboli dell’idiozia del nostro tempo, che non è affatto criticata, al contrario, celebrata dai media che concorrono in misura rilevante ad incoraggiare i comportamenti peggiori, salvo poi stupirsi delle conseguenze. L’arte è specchio di tutto questo. Riflette il conformismo di massa, la spasmodica ricerca del nuovo, l’ansia di originalità a tutti i costi. Non una originalità delle idee, solo nell’apparenza. E’ diffuso l’edonismo esasperato. Da bambini recitavamo la filastrocca “ Com’è bella giovinezza che sen fugge tuttavia, chi vuol essere lieto sia, nel doman non v’è certezza”. Questo è diventato filo conduttore del nostro tempo, vissuto per altro in modo maldestro, come il figlio di colui che scrisse la filastrocca. Quando nel 1513 Leone X fu eletto al soglio di san Pietro, dopo la morte di Giulio II, si comportò seguendo l’invito del padre, sperperò la fortuna accumulata da chi lo aveva preceduto, quando morì le casse dello stato erano vuote. Tuttavia, durante il regno di questo papa dissoluto, operarono artisti di grande valore a partire da Raffaello Sanzio da Urbino. Uno dei pochi meriti di Leone X, fu la scelta di Raffaello a cui affidò l’esecuzione di opere. Il perché della scelta non è chiaro, considerato che lo stesso papa negò commissioni a Leonardo da Vinci. La condotta dissennata del papa portò al tracollo le finanze dello Stato Pontificio. All’ambiente coltissimo di Giulio II, Leone X preferì la cerchia aristocratica dei Medici, in cui le donne avevano un ruolo preponderante, ossia la cricca che guidava il regime dispotico di Firenze. Per dare un’idea della decadenza di quel periodo, basti dire che il ministro della giustizia in carica, era un buffone di corte, certo fra Maiano. La conseguenza fu l’aumento della pressione per l’imposizione della vendita delle indulgenze affidata ai banchieri Fugger, questo scatenò l’ira dei nobili tedeschi e diede forza alla Riforma di Martin Lutero,che tanta parte ebbe nel modificare il panorama politico dell’Europa. Resta il fatto che , nonostante il disordine e corruzione, gli artisti non si lasciarono deviare, l’arte ebbe in quel periodo uno sviluppo straordinario. Fu l’epoca di Raffaello e Michelangelo, ma anche del Bramante, di Sebastiano del Piombo e molti altri artisti di grande valore. Non era applicabile all’arte il detto “ Sic volo, sic iubeo”, cosa che oggi, nella subdola forma del mercato e nella diffusa inconsistenza culturale ed etica degli artisti, si verifica continuamente. Parafrasando Verulamio, la modernità è come un fiume che accoglie e trasporta ciò che è leggero e lascia affondare ciò che è pesante. I paralogismi attraverso i quali si tende a giustificare opere e comportamenti non fanno che aggravare la situazione di una civiltà che ha smarrito il senso delle proprie stesse ragioni di essere.
Piergiorgio Firinu
Ombre e miti
Molti anni fa, in uno scambio epistolare, l’allora direttore di Repubblica mi scrisse : “ ci sono conservatori che si credono progressisti”. Andrea Romano, considera il libro di Scalfari “Per l’alto mare aperto”, un libro contro la modernità. Cambiano le forme, molto meno la sostanza. Secondo Cassirer l’essere umano è un animale simbolico, le ombre della caverna, descritte da Platone, con la modernità hanno mutato segno, l’incompletezza della conoscenza, il perdurante bisogno di miti, hanno assunto sfumature diverse, l’aurea ha abbandonato non solo l’arte ma l’intera società i cui riferimenti sono effimeri, non di rado negativi. Tutto questo comporta perdita di senso ed aumenta l’entropia sociale, alimenta soprattutto il maggiore e più deleterio dei miti: la libertà come diritto, anziché come conquista. Sulla modernità è stato scritto molto. Quasi sempre partendo dal presupposto che la modernità possa “anche” esprimere paradossi. Nel 1990 Antoine Compagnon ne considerò cinque, per le edizioni Seuil: “ Les cinq paradoxes de la modernità”. Prima di lui Marshall Barman, si tenne sul generico per le edizioni Simon & Schuster nel 1982 “The Experience of Modernity”. Segui nel 2002 Paul Virilio che per le Edizions Galilée pubblico “ Ce qui arrive”. Sono alcuni dei testi che hanno affrontato il tema della modernità. Viene in mente l’affermazione di Rimbaud: “ absolument moderne”. Non è stata considerata a sufficienza l’ipotesi che la modernità non si limiti ad esprimere paradossi, sia in se stessa un paradosso. Ci ostiniamo a considerare razionali gli esseri umani, senza approfondire la realtà di ciò che è definito “razionale”, ignoriamo il grande peso dell’emotività, sentimento che ognuno può giudicare in modo diverso, ma resta difficile negare sia l’opposto della razionalità, anche perché l’emozione esclude l’esercizio della volontà, qualità che Hume definiva “una sensazione”. Esaminiamo alcuni aspetti del “progresso”. Gli idrocarburi sono indispensabili al mantenimento del tenore di vita a cui siamo avvezzi. Purtroppo però l’estrazione e trasporto comportano frequenti disastri che colpiscono in modo, probabilmente irreparabile, l’ecosistema. La società fino a ieri era divisa, tra establishment al potere e classi sociali lavoratrici e povere, che spesso la contestavano. Oggi un ministro della Repubblica italiana, in assoluta incoerenza, dichiara “ ho sempre saputo di vivere in un paese barbaro”. Docenti universitari, magistrati, politici, contestano il sistema del quale sono, o dovrebbero essere, l’asse portante. Gli accademici contestano l’arte. Scrittori contestano la letteratura. Le case di moda, simbolo del lusso e dello stile, si sono dotate di fondazioni per l’arte e tramite queste sponsorizzano artisti quasi sempre speculari al loro mondo. “ …l’arte non esprime né bellezza né idee ma solo i nostri bassi impulsi” questo è quanto avrebbe dichiarato un celebrato artista americano, Paul McCarthy 65 anni, all’attivo diverse biennali, opere in importanti musei, sponsorizzato da una casa di mode italiana. Non c’è dubbio che la borghesia è sempre più vittima del proprio masochismo. Le dichiarazioni sopra citate, non sono tratte da un trafiletto pubblicato da una rivista underground, ma sul giornale della Confindustria italiana, con gran risalto, accompagnato da elogiative espressioni della critica di ruolo. Le opere di taluni artisti esaltano ciò che fingono di criticare. Arrivano ad eleggere a dignità d’arte l’immondizia, e altri prodotti escatologici., tutto è ovviamente prontamente monetizzato. Quaranta secoli di filosofia non hanno avuto grande successo nel tentativo di ordinare il pensiero e la cultura, né sono riuscite a dare maggiore contenuto di razionalità alle nostre azioni, anche perché, la percezione delle cose fisiche non comporta definizioni a priori, e l’aspetto fisico, ovvero l’apparenza, prevale su tutto oggi più di ieri. L’arte è da tempo, più che altro una convenzione mercantile. Compro perché mi piace, non importa capire. Duchamp sosteneva che l’arte non è che ready-made, cioè assemblaggio di manufatti a partire dai quali l’”artista” fa del bricolage. “ormai la mano non ha più niente con cui rompere, e si può essere artisti senza saper nulla di arte” sosteneva Baudelaire. Dunque, non resta che elevare il livello di profanazione. L’anno in cui fu istituita, in Gran Bretagna, la legge Sex offenders Acts, destinata a reprimere la pedofilia e l’industrializzazione sadica del commercio sessuale, aveva luogo, alla Royal Academy di Londra, la prima esposizione Sensation, in cui troneggiava , in mezzo alle centodieci opere esposte dal pubblicitario Charles Saatchi, il ritratto celebrativo dell’infanticida Myra Hyndley. Arte dunque come apoteosi della perversione nel gran clamore mondano e l’esaltazione sui mezzi di comunicazione.
Piergiorgio Firinu
La vera natura delle cose
Nel diciottesimo secolo predominò l’aspetto oggettivo della ragione, la filosofia razionalistica si sforzò soprattutto di formulare una dottrina dell’uomo e della natura capace di svolgere la funzione intellettuale appannaggio un tempo dalla religione. Dal Rinascimento in poi gli uomini tentarono di formulare una dottrina che, spiegando la natura umana, stabilisse fini e valori. La filosofia si gloriava di essere lo strumento per spiegare e rivelare il contenuto della ragione in cui si specchiava la vera natura delle cose e da cui si potevano derivare le giuste norme di vita. Spinoza pensava che, chi sa penetrare l’essenza della realtà, la struttura armoniosa dell’universo, non può non amare il mondo in cui vive; per lui la condotta etica è determinata interamente da questa profonda comprensione della natura, così come la nostra devozione per una persona può essere determinata dal fatto che sappiamo comprenderne la grandezza. I timori e le passioni meschine incompatibili con il grande amore per l’universo che si identifica con il logos secondo Spinoza svaniranno non appena la nostra comprensione sarà abbastanza profonda. Anche altri grandi sistemi razionalistici del passato insistono su questo punto: nella natura delle cose la ragione riconosce se stessa e da questo riconoscimento scaturisce il giusto comportamento dell’uomo. Ad inficiare il rapporto ragione/natura, ha contribuito la filosofia pragmatica che ha aperto la strada ad una sorta di cinismo funzionale. La teoria lockiana della conoscenza è un esempio di quell’ingannevole lucidità di stile che unifica gli opposti semplicemente confondendoli. Di questo è rimasta traccia nella contemporaneità, in cui le parole decettive superano per quantità ed efficacia i fatti. Per dirla con Valéry, il mondo moderno è fatto ad immagine della mente dell’uomo. Il modo contemporaneo è reso fragile anche dalle cattive idee che si trasformano in decisioni. Non sempre le cattive idee cadono nel ridicolo, specie quando come nell’arte implicano coinvolgimento economico senza soluzioni di riversibilità, nel senso non è possibile recuperare le somme spese in opere d’arte senza valore, se non continuando a sostenerne la credibilità. Il grande dibattito sull’arte contemporanea, che a tratti si assopisce, è comunque privo di chiarezza, apodittico, senza una vera logica. La nostra è l’epoca del big business, in cui tutto, l’arte inclusa, è dominato dall’economia. Abbiamo messo in piedi un meccanismo di autodistruzione attraverso il progresso. L’uomo ha sempre meno capacità di resistenza . Il pessimismo sociale si manifesta con una crescente entropia. L’individuo contemporaneo ha di gran lunga maggiori vantaggi dei suoi avi, ma non ha futuro. Dal momento in cui nasce l’individuo, si sente ripetere: c’è un solo modo per farsi strada nel mondo, per realizzare pienamente se stesso; consiste nel mirare al possesso. Denaro, posizione sociale, visibilità, sono questi gli unici attributi significativi della nostra era. Fin da bambino l’essere umano percepisce la disumanizzazione del mondo che lo circonda. La madre che si trasforma in qualcosa di molte simile a una nurse. Mai tante madri hanno assassinato i propri figli. Con la perdita dell’istinto, abbiamo perso tutto ciò che all’istinto era connesso. Il sesso trasformato in tecnica ginnica. La nascita di un figlio non passa più attraverso il naturale dolore, nella maggioranza dei casi avviene tramite intervento chirurgico. Quando il bambino è costretto a misurarsi con la realtà si trova impreparato, supplisce con l’aggressività. La cultura, un tempo arma preferita della borghesia in ascesa, oggi è un prodotto industriale, come l’arte, il cinema, la pornografia. La rivoluzione culturale incitava a portare l’arte nelle strade. Uno degli slogan del ’68: “ Se la polizia si installa nelle Beaux-Art, le Beaux-Art si installano nelle strade”. Questo non ha portato a modificare il rapporto fra artista e pubblico. Il narcisismo intellettuale degli artisti, la pretesa di mutare il mondo con il continuo ricorso alla provocazione, ha reso semplicemente la provocazione qualcosa di abituale. In molti hanno nutrito l’illusione che le cose non sarebbero state più le stesse, hanno creduto nel concetto di arte come sviluppo della personalità, hanno poi scoperto che era un espediente, usato per favorire la crescita del mercato. L’immaginazione al potere, esprimeva una posizione transitoria, tutte le situazioni che riguardano gli esseri umani sono transitorie, resta il fatto che dietro allo slogan “ siamo realisti, crediamo nell’impossibile” vi era un sogno, un’utopia progettuale. Lo scopo non era liberare le persone da inesistenti catene, ma piuttosto liberare la mente da condizionamenti e inganni di meccanismi senza altro fine se non quello economico. Ha prevalso la realtà. Aveva ragione Lautrèmont: “ la poesia fatta da chiunque non è più poesia”. Forse per questo non è insolito per gli artisti contemporanei istruire l’osservatore sul modo di “leggere” le loro creazioni; orientandone i pensieri, nel tentativo d’impedire che chi guarda, chi legge, capisca ciò che vede e legge. La ragione non sembra prevalere, il mondo si frantuma in una pluralità di piccoli meschini egoismi. Arte e poesia sono segni grafici nei pannelli economici, del fatturato di editori e gallerie. La moneta falsa dell’arte contemporanea, per ora, continua ad avere corso.
Piergiorgio Firinu
Dalla bottega all'Accademia
Il riconoscimento, o collocazione socio-culturale dell’artista, non è sempre stata quella di oggi. Per quanto possa apparire paradossale, la considerazione dell’attività dell’artista, coincide con la diversa considerazione delle forme di vita incolte, della valorizzazione del lavoro manuale che ha inizio con il rinascimento. Il legame tra arte e artigianato si attenua, mentre prende vigore il rapporto degli artisti con gli umanisti. Ciononostante gli artisti del primo Rinascimento sono ancora in maggioranza persone di bassa condizione sociale; ancora per un tempo considerevole continuano ad essere considerati soltanto artigiani migliori e praticamente non si distinguono dai maestri piccolo borghesi e dai garzoni delle corporazioni. Andrea del Castagno è figlio di un contadino, Filippo Lippi di un macellaio, i Pollaiuolo derivano il nome dall’occupazione del padre, che commerciava in pollame. Nelle biografie degli artisti dell’epoca la modestia dell’origine, come costituente stereotipica della leggenda dell’artista, viene spesso esagerata ed è un segno della situazione mutata il fatto che essa non sminuisca in alcun modo il prestigio di un uomo che è apprezzato per le sue opere. Però l’ascesa sociale degli artisti nel loro complesso, nonostante l’apparente mancanza di pregiudizi e l’incomparabile prestigio di maestri come Michelangelo, e del livello di vita principesco di Raffaello e di Tiziano, procede ancora lentamente, anche perché, come diceva Filippo Lippi, “io sono le mie opere” e dunque l’artista dell’epoca ,a differenza degli artisti di oggi, non è assorto nel realizzare la propria ascesa sociale, ma la qualità delle proprie opere. Resta il fatto che la maggior parte degli artisti, ancora nel XVI secolo, conducono un esistenza modesta, anche se non si può più parlare di miseria come cent’anni prima. E’ caratteristico della situazione sociale, che anche la famiglia di Michelangelo, come scrive nella sua cronistoria il Condivi, ritiene umiliante abbracciare il mestiere dell’artista. La maggioranza degli artisti effettivamente, fino al XVIII secolo, proviene dagli strati inferiori della società. Solo a partire dall’Illuminismo i figli del ceto medio superiore e addirittura della nobiltà operano in numero rilevante come scrittori di mestiere, e, solo occasionalmente come pittori e compositori. Le possibilità di successo e di guadagno degli artisti figurativi, sono sostanzialmente migliorate, a partire dal XVII secolo, in Italia, Francia, Fiandre. Artisti come Bernini, Rubens, Rigaud, Lebrun, ottengono onorari e considerazioni, anche se nessuno viene acclamato “divino” come Michelangelo e Raffaello, e corteggiato da re e imperatori, come Tiziano; La più onorata posizione sociale degli artisti nel loro complesso, fa seguito alla crescente richiesta d’arte da parte Curie e dalle monarchie, nonostante fenomeni ancora presenti, come la posizione precaria dei pittori olandesi e la quasi completa dipendenza della produzione artistica dalla corte di Francia, ha basi morali e materiali più solide di quanto non si fosse mai verificato prima. Nel secolo successivo la situazione migliora ancora, in quanto cresce il numero di collezionisti di opere d’arte. Così diventano un ricordo le botteghe di artisti del Quattrocento, che erano considerate vere e proprie scuole d’arte, che sicuramente richiedevano più impegno e fatica, ma erano anche più formative delle Accademie d’Arte che vennero dopo. Nelle botteghe del Vasari e dello Zuccari venivano appresi i principi del mestiere d’artista, e le stesse difficoltà prima accennate, servivano da ulteriore sprone, una sfida a superare i maestri, cosa che in moltissimi casi, come la storia dell’arte registra, effettivamente avvenne. La tensione tra libertà creativa e influenza del maestro, era una strana alchimia culturale capace di portare a risultati sorprendenti. Non sorprende invece che il Vasari, artista e scrittore eclettico, il primo manierista perfettamente cosciente della sua peculiarità stilistica , sia stato il fondatore della prima Accademia di Belle Arti.
Piergiorgio Firinu
Di cosa parliamo
Un interessante libro del minimalista americano Raymond Carver, è titolato “ Di cosa parliamo quando parliamo d’amore”. La domanda non è affatto minimalista, ma fondamentale, tanto che potrebbe essere estesa: di cosa parliamo quando parliamo di democrazia, di tolleranza, di arte. La generale tendenza a conservare la stessa denominazione a ciò che cambia radicalmente natura, è una ragione non secondaria di confusione che partendo dal linguaggio dilaga nella società. Rientra nel novero della logica parziale, che consiste nell’affrontare un discorso scegliendo il punto più favorevole allo sviluppo della tesi che ci interessa sviluppare. Il faraone Amenothes IV ha legato il suo nome come primo innovatore dell’arte. Il Celebre scultore Bek era insignito del titolo “allievo di sua maestà” . L’arte di allora esprimeva amore per la vita, della natura del bello. La tendenza, come sappiamo, fu proseguita dai Greci. Cosa rimane di tutto questo nell’arte di oggi, ricca di teorizzazioni spurie che tentano di deviare il senso dalla realtà che osserviamo. Un idea condivisa da molti intellettuali: i buoni artisti non servono la verità meglio di quanto la servono i buoni carcerieri, i buoni banchieri o le domestiche che sanno fare il loro mestiere. Se cercassimo di obiettare che la professione dell’artista è più nobile, non solo allo stato dei fatti diremmo una palese menzogna, ma ci verrebbe risposto che l’osservazione è priva di senso; si può istituire un confronto fra l’efficienza di due domestiche confrontando la rispettiva pulizia, onestà e abilità, nessun confronto e possibile tra domestica e artista, e neppure tra artista ed artista. Oltre tutto la “ consacrazione” di un artista è opera di poche persone, frutto di una buona dose di casualità, notevole mancanza di chiarezza, considerato che lo stesso significato del sostantivo arte, nella eccezione moderna, non è chiaro. Parafrasando la nota domanda di Pilato: “ cos’è la verità? “ Dovremmo chiederci cos’è l’arte. Il problema è stato risolto dagli americani con la tesi nichilistica: “ tutto è arte” Dunque l’arte è diventata espressione senza senso; se tutto è arte nulla è arte. Se non c’è arte come possono esserci artisti. Siamo nel novero dei peggiori paralogismi. Le belle frasi diventano slogan consunti adatti alla pubblicità, rivelano la loro vacuità non appena si vuole approfondirne il senso, e si tenta un confronto con le cose. Il fatto che il linguaggio sia costituito da molte parole svuotate di significato, è la miglior prova che, quando parliamo non sappiamo di cosa parliamo. Questo è di per se una aspetto deprimente della comunicazione nell’odierna “società civile”, lo diventa ancora di più quando si vuole spacciare la mancanza di senso come un attributo di libertà. A questo punto, non serve studiare gli stereotipi contenuti nella critica e storia dell’arte, tanto meno affidarsi al senso comune. Un certo signor E.G. Bisseker il 6 Luglio del 1943 scrisse al Daily Sketch proponendo di radere al suolo Roma, le cui antichità giudicava inutili e ingombranti. Nella “civilissima” Svezia fu avanzata l’ipotesi di limitare la storia dell’arte all’ultimo secolo Sarebbe interessante, ma forse inutile, andare alla radice di simili involuzioni socio-culturali. Parafrasando Tacito “atque ubi solitudinem faciunt pacem appellant”. Abbiamo azzerato ogni valore, tradizione, rispetto di noi stessi e degli altri e chiamiamo tutto questo libertà. L’arte si adegua. Il senso della bellezza è legato a mille delicatissimi fili. Se questi fili vengono recisi, il piacere può continuare, ma resta privo di senso e di vita. Scriveva Lev Tolstoj: “ Le foglie di un albero ci danno più gioia delle radici”. Il fatto che qualunque aspetto della cultura moderna, venga posto sullo stesso piano, le forme ripugnanti e disgustose vengano prontamente accettate, non significa affatto che abbiamo “abbattuto i tabù” come scioccamente molti intellettuali sostengono, significa molto più semplicemente che si è smarrito il significato di un percorso umano durato millenni. Al progresso delle forme tecniche che potrebbero servire ad “illuminare” la mente, si accompagna un processo di disumanizzazione legato alla prevalenza degli aspetti edonistici e materiali. Il Deus absconditus di Calvino si è dileguato precipitando in una china di empirismo pragmatico, il cui presupposto era: abolita la metafisica, conoscenza tecnica e il pragmatismo avrebbero risolto i problemi e soddisfatto i bisogni. Ed ecco che si riaffaccia la domanda: di cosa parliamo quando parliamo di bisogni? L’arte è un bisogno? Se è così, alcuni ne godono part time. Vendere a milioni di euro opere di artisti viventi, a parte il discorso su valore e mistificazione, significa dare ad alcuni la possibilità di “possederle” , tenere nelle proprie case opere d’arte. A tutti gli altri questo privilegio è negato. Diventare padrone di qualcosa ci dispensa dall’essere padroni di noi stessi. L’ansia di possesso, l’abbruttimento che ne deriva, costituisce quella che Marx definva “idiozia di mestiere”. Ma d’altra parte nell’era atomica c’è ancora spazio per la ragione? Agli inglesi non riuscì di distruggere Roma, dovettero accontentarsi di distruggere Dreda magnifica città ricca di arte e di storia. Picasso non ne rappresentò la distruzione e il massacro che ne seguì, non sarebbe stato polite, verso i suoi collezionisti inglesi e americani, bastava Guernica. I vincitori scrivono la storia e commissionano l’arte. L’onesto Truman facilitò la conclusione della guerra, massacrando milioni di civili inermi, lanciando atomiche su Hiroshima e Nagasaki. Dopo la guerra i sensibili artisti americani non si dettero pensiero per ciò che era accaduto. Diedero vita alla celebrazione del consumo con la Pop Art. A prescindere dal profetico coccodrillo di Hegel, se anche l’arte non fosse morta, lasciando dietro di se ingombranti ectoplasmi, la domanda è: ha senso oggi?
Piergiorgio Firinu
L'errore di Russell
Il formalizzarsi della ragione ha implicazioni teoriche e pratiche di vasta portata. Per la concezione soggettivistica, il pensiero non può essere di nessuna utilità per stabilire se un fine è desiderabile in se. L’arte contemporanea in questo senso è la massima espressione di libertà, con riferimento alla così detta “creatività”. Questo motivo di carattere generale della creazione artistica, è per lo più un’arma di difesa ad uso del soggettivismo, spesso semplicemente una forma di pubblicità. In ogni modo il soggettivismo degli artisti è, almeno in parte, conseguenza del crescente numero di coloro che s’improvvisano creatori d’arte, prescindendo dalla noesi sulla materia. La situazione degli artisti è strettamente legata al mercato che scatena concorrenza, una caratteristica tipica del modo di pensare borghese. L’affollamento sulla scena dell’arte, finisce per far considerare indice di “genialità” comportamenti esibizionistici, disordine, eccentricità, aspetti che non hanno alcun rapporto con la sensibilità artistica, dalla quale deriva la capacità creativa. Dal momento che la validità degli ideali, i criteri con i quali vengono realizzate le opere d’arte, sfuggono ad ogni valutazione razionale ed etica, prevalgono criteri mercantilistici, tutto ciò che è funzionale all’autopromozione. Le decisioni fondamentali, non solo degli artisti, sono determinate da fattori diversi, non da cultura e ragione. Questo distorce l’attenzione dalla necessità che la forma sia referente a se stessa, ragione principale dell’autonomia dell’arte, tutt’altra altra cosa dalla libertà dell’artista che sclerotizza concetti solidificandoli in forma, il risultato è: forma sgradevole, concetto oscuro. La critica da tempo non ha più rapporto con la funzione che la stessa etimologia della parola indica. Il critico rappresenta il livello medio del gusto e l’opinione diffusa. L’artista quindi si barcamena in una sorta di galleggiamento tra provocazione e luogo comune, favorito dal pregiudizio diffuso secondo il quale non si possono esprimere giudizi sull’opera d’arte. “Un giudizio di fatto, - sosteneva Russell, uno dei più oggettivi tra i filosofi soggettivisti, - è suscettibile di possedere una qualità chiamata “verità”. Com’è noto anche i filosofi sbagliano. Russell fa un’affermazione in apparenza scontata: “ Quello che è orribile, io lo vedrò come orribile”. Nella realtà di cose orribili sono pieni i musei e le case dei ricchi progressisti borghesi. Dunque vale l’affermazione di Matisse: “ si vede attraverso gli occhi, ma si valuta con il cervello”. Il cervello però deve essere nutrito, il pensiero può servire a qualunque scopo, buono o cattivo. L’arte non ha scopo, questo limite per taluni diventa un vantaggio, rende possibile la lettura di un’opera a vari livelli. E’ diffusamente praticato il metodo che rende plausibile tutto, prescindendo dal valore culturale, avendo prevalenza il responso del mercato. La ragione non ha mai guidato la realtà, artistica o sociale; ma adesso è stata depurata così a fondo da ogni tendenza o preferenza specifiche, ch’essa ha rinunciato persino a giudicare, non solo l’arte ma l’insieme della dialettica sociale lasciando spazio a una sorta di darwinismo senza filo conduttore. Tutto è visto e valutato in una prospettiva di utilità di breve periodo. I primi filosofi che concepirono l’idea di ragione, pensarono ch’essa potesse servire a qualcosa di più che non a regolare i rapporti tra mezzi e fini; la consideravano strumento capace di comprendere i fini, addirittura a stabilirli. Socrate morì per aver sottoposto a critica le idee più comunemente accettate dalla comunità, critica dialettica del pensiero, come la definì Platone, ripreso da Hegel, per questo egli si scontrò con le idee democratiche, con il relativismo mascherato da progressismo, ma in realtà subordinato a interessi personali, professionali; in altre parole si battè contro la ragione soggettiva. La way of life ateniese è la stessa, mutatis mutandis, oggi imposta dall’impero americano, riflette il progressismo di facciata oggi come ieri. Il male della ragione è assai più grave delle deformazioni evidenti che oggi la caratterizzano. La ragione ha senso solo se aiuta a riflettere sui mali che l’uomo ha prodotto. L’ubi consistam di una realtà che sta sfuggendo al controllo. Nell’era moderna la ragione ha rivelato la tendenza a dissolvere il proprio contenuto oggettivo. Nella Francia del sedicesimo secolo venne proposta l’idea di una vita tutta dominata dalla ragione; Montaigne adattò il concetto alla vita dell’individuo, Bodin a quella delle nazioni e De L’Hòpital lo praticò in politica. Questo concetto di ragione era più umano ma nello stesso tempo più debole. Gli umanisti non vedevano nulla di strano nel fatto che persone soggette allo stesso governo professassero idee diverse. Lutero la cui dottrina è considerata da Weber feconda per il capitalismo, sosteneva invece fosse necessario “ disciplinare e castigare la bestia umana” . Le forme dell’industrialismo estremamente sviluppato, base del potere della borghesia, hanno finito per privare della libertà l’individuo, condizionarne i pensieri e le azioni, l’idea di dignità è diventata un concetto oscuro, forse inutile, un simulacro di libertà certo difficilmente praticabile in un’epoca in cui tutto e mercificabile, inclusi gli esseri umani che sembrano sentirsi liberi soprattutto quando fanno ciò che tutti fanno. Il pensiero approssimativo, confuso, è diventato prodotto necessario all’industria culturale e dell’informazioni, cardini sui quali si regge la fabbrica dell’ anticonformismo di massa.
Piergiorgio Firinu
Il giardino di Voltaire
Il connubio tra storia ed arte è sempre stato foriero di eventi straordinari. Quando, sotto il regno del figlio di Carlo V, Filippo II, detto impropriamente, il re prudente, avvenne la scissione della cultura nei Paesi Bassi, allora sotto il dominio spagnolo, si verificò una sollevazione di popolo. Tutto il paese si ribellò, il Nord con successo, il sud inutilmente. La borghesia, seguendo, more solito, i propri interessi, difese soprattutto il sistema delle corporazioni e i privilegi connessi. La favorevole posizione sul mare, predestinava il paese ad essere al centro di traffici mercantili tra il settentrione e il mezzogiorno d’Europa, le guerre che costrinsero la Spagna a fare acquisti presso il nemico, l’insolvibilità di Filippo II, che nel 1596 provocò la rovina dei banchieri italiani e tedeschi, tutto questo fece si che Amsterdam diventasse la più importante Borsa d’Europa. Ma nonostante la ricchezza di cui disponevano i borghesi non seppero apprezzare il valore dei loro pittori. Tuttavia siccome nel ‘600 in Olanda molta gente guadagnava denaro e l’esuberanza di capitali che non si sapeva come utilizzare, finì per orientare un gran numero di persone all’acquisto di opere d’arte. John Evelyn, il collezionista e mecenate inglese, nei suoi ricordi, parla dell’attivo commercio di quadri ch’egli ebbe modo di osservare nel 1641 alla fiera di Rotterdam. Ce n’erano, egli scrive, moltissimi e per lo più molto a buon mercato. Questo fu conseguenza anche della libertà conquistata dagli artisti che portò all’anarchia del mercato e diede luogo al fenomeno della sovraproduzione. Fu così che anche grandi artisti come Rembrandt e Hals furono ridotti a vivere di stenti, dal momento che l’ignoranza dei borghesi non sapeva distinguere il valore delle opere d’arte. Per sfuggire alle angustie della miseria, non pochi artisti, anche molto validi, furono costretti a ricorrere a qualche altra fonte di guadagno. Van Goyen commerciava in tulipani, Hobbema era esattore, van de Velde aveva un negozio di telerie, Jan Steen e Aert van de Velde erano bettolieri. Sembra proprio che i pittori fossero tanto più poveri quanto più erano bravi. Rembrandt conobbe anche giorni felici, ma Hals non piacque mai molto , le sue opere non raggiunsero le quotazioni, per esempio dei ritratti del non eccelso pittore van der Helst. Anche Vermeer, uno dei più grandi maestri olandesi, dovette sempre lottare per sopravvivere. Per completare il quadro basti dire che Hobbema dovette rinunciare a dipingere nei suoi anni migliori. Anche in Francia, a poco a poco la borghesia s’impadronì di tutti gli strumenti della cultura. Voltaire, Rousseau erano in contrasto tra loro, in quanto rappresentavano due diverse visioni dell’ideologia borghese, ma entrambi avevano i loro seguaci nella stessa borghesia. Così nel mondo dell’arte. Crozat, il più grande collezionista del secolo, veniva da una famiglia di mercanti; Bergeret, il protettore di Fragonard era anch’egli un commerciante. L’egoismo della borghesia è ben espressa da Voltaire, suo intellettuale di punta, che afferma : “ mais il faut cultiver notre jardin”. La borghesia era abile nel creare favole che hanno retto nel tempo. Come l’aneddoto su Maria Antonietta. A Jean-Baptiste Colbert, ministro delle finanze, segnalava che il popolo aveva fame, la regina avrebbe risposto: “ date loro delle briosce”. Mitologia politica. La stessa origine della Rivoluzione francese del ’89 , non è stata affatto provocata dalla miseria, da uno Stato economicamente esausto, piuttosto dal crescente appetito della borghesia, dall’ansia dei ricchi cittadini che miravano al potere disposti a ricorrere ad ogni mezzo, anche cruento. Infatti la violenza venne adottata dai giacobini, progenitori del radicalismo politico. Anche se la borghesia, attenta prevalentemente ai propri interessi, abbandona la Rivoluzione, non appena si accorge che l’uguaglianza dei diritti veniva presa sul serio dagli intellettuali promotori della Rivoluzione. L’arte dell’epoca non risente del radicalismo politico, al più può mutare il contenuto, non la tecnica e l’uso degli strumenti tradizionali. Ma il sasso era lanciato ed è da quel momento anche gli artisti, prigionieri della propria libertà, iniziano ad affrontare il mercato con tutte le esigenze di innovazione che questo comporta. E’ il fattore economico, non politico o stilistico, che da allora condiziona il mondo dell’arte. L’arte si frammenta e si fa confusa nell’intento di esprimere l’individuo contemporaneo atomizzato dalla società borghese. L’ossessivo perseguimento dell’interesse personale isola le monadi una dall’altra , ma nello stesso tempo tende a renderle sempre più simili l’una all’altra. All’artista contemporaneo si offrono forse possibilità che non avevano coloro che ci hanno preceduti, ma le prospettive concrete sono a scadenza sempre più breve. Idoleggiare il progresso conduce in definitiva alla sua negazione. Da tempo si è rinunciato al tentativo di distinguere la verità dalla realtà. La realtà è virtuale, alla verità è negata la stessa esistenza.
Piergiorgio Firinu
L'arte e l'artista
Una delle caratteristiche del sistema dell’arte contemporanea, è il prevale del personaggio-artista, sulle sue opere. A questo si aggiunge quasi sempre la quasi assenza d’intervento diretto e di manualità, nella realizzazione dell’opera. Basta l’idea, il pensiero si dice.. Siamo agli antipodi dell’antichità classica quando l’artista pensava ed eseguiva quasi sempre per intero la propria opera, spesso in anonimato. Gli antichi avevano risolto l’intima contraddizione fra il disprezzo del lavoro manuale e l’alta valutazione dell’arte, separando l’opera dall’artista, cioè onorando l’opera pur disprezzando l’autore. Se confrontiamo questa concezione con quella contemporanea, che innalza l’artista al di sopra dell’opera, abbiamo l’ennesima prova della irrazionalità del mondo contemporaneo, perché ogni opera dovrebbe essere valutata per se stessa, mentre invece la firma dell’artista ha funzione di logo, ed la base della valorizzazione della singola opera. Non viene quasi mai tenuto conto della inevitabile diversa qualità delle opere di uno stesso artista. Oscurata l’immagine dell’artista perfettamente riflesso nell’opera, noi ci rendiamo conto quanto si presti all’inganno l’esaltare l’artista anziché la sua produzione. Come possiamo presumere che la miliardaria americana Katherine Sophie Dreier, avesse una chiara compressione del funambolico Marcel Duchamp, dei processi mentali e del valore delle opere che erano il frutto del suo pensiero. Eppure è grazie al suo denaro, e alla introduzione nel mondo dei ricchi newyorchesi che è stato possibile all’”artista” francese ottenere successo, già prima della sua partecipazione all’Armory Show nel 1913, che attirò su di lui l’attenzione e lo portò alla ribalta del mondo dell’arte. E’ colui che elevò a dignità artistica un orinatoio, aprendo la strada alle peggiori espressioni delle nascenti avanguardie. La differenza tra l’opera e il personaggio può essere enorme, come afferma Veblen. Non è un caso se la storia dell’arte dell’ultimo secolo, segna il trionfo della pubblicità e del denaro sulla cultura. All’azione di Duchamp è stato attribuito un apodittico valore concettuale, mentre in realtà ha dato l’avvio a una concezione metafisica dell’atto creativo, e una sorta di investitura quasi sacerdotale all’artista. Tanto è vero che da allora ogni opera d’arte è stata sottratta al giudizio di valore ricorrendo alla tautologica affermazione: “ è arte ciò che è stato fatto dall’artista”. Il secondo passaggio è stata l’ancor più radicale affermazione: “tutto è arte”. Non si insisterà mai abbastanza nel sottolineare che l’affermazione “tutto è arte”, in apparenza un’enunciazione “democratica” , di apertura, mentre in realtà è la premessa che rendere possibile l’esatto contrario. Troviamo conferma di ciò nelle varie Biennali, Quadriennali, Fiere, dove non solo si attua una discriminazione tra artisti, ma addirittura tra Gallerie, le quali per essere ammesse alle fiere considerate più importanti, devono avere esposto gli artisti che vanno per la maggiore, il riferimento alla qualità è francamente un non senso, vista la produzione contemporanea. Si è aperto quindi un circuito infernale, una sarabanda commerciale e mondana della quale poche persone tengono le fila. Tanto è vero che la “barbara” America, grazie alla sua potenza economica è riuscita ad imporre i propri artisti. Parafrasando la nota frase di Marx “le idee dominanti sono le idee del paese dominante”. I produttori di oggetti americani, sono tanto convinti di essere espressione delle migliori forme d’arte che Jim Dine, un artista famoso e mediocre, intervistato da una tv italiana, ha affermato” quando vengo a Roma non vado a vedere le opere degli artisti del passato, io sono nel presente e guardo solo le cose che mi riguardano da vicino”. Sembra fare il verso a Warhol nell’esprimere un’efficace peana all’ignoranza. Eppure sono personaggi simili che dominano la scena dell’arte internazionale. La storia si ripete, Nel XVI secolo, quando si doveva decidere a chi affidare la decorazione del Municipio di Amsterdam fu preferito un oscuro pittore, certo Flinck, al geniale Rembrandt. La ragione era che Flick era ben introdotto negli ambienti della ricca borghesia della capitale olandese. Oggi succede all’incirca la stessa cosa. I mediocri, purchè ben introdotti negli ambienti mondani, hanno la meglio su artisti di valori, che in Italia sono in gran numero ma vengono ignorati. Ovviamente questo avviene perché intellettuali e critici europei, italiani in particolare, sono proni agli USA, paese che si è addirittura servito della CIA per far breccia nel mercato europeo, con la pop art. Pochi sanno che il più florido mercato per Andy Warhol è stata l’Italia. Un critico italiano che va per la maggiore è arrivato a sostenere che Andy Warhol può essere considerato il Leonardo del XX secolo. Costui non scrive per L’Eco di Val Beria” ma sui maggiori giornali nazionali. La civiltà occidentale nata in Grecia, all’inizio del primo millennio a.C. fu creata da poeti, filosofi,, artisti del valore di Zeusi, Fidia, Prassitele, Parrasio, Polignoto, e molti altri. Di tutto questo non è rimasto nulla nel mondo dell’arte oggi, dominato dalla tecnologia, dal mercato e da una sconfinata ignoranza. Il New Yorker di qualche anno fa, mette in bocca a un giovanotto con i capelli lunghi che ospite ad un cocktail, interpellato sull’arte, affermò: “ Non so nulla dell’arte, però so che cosa è” E’ probabile che quel giovanotto sia oggi un artista o un critico di successo.
Piergiorgio Firinu
Illuminazione di un disastro
L’interesse egoistico, l’amor di se, certe teorie della legge naturale, certe filosofie edonistiche, hanno contribuito al trionfo del capitalismo. Nell’era industriale l’idea dell’interesse egoistico, ha preso sempre di più il soppravvento, ed è diventato uno dei motivi essenziali per lo sviluppo della società che si è articolata sulla falsa riga del capolavoro di Bernard Mandeville “ The grumbling hive: or knave turn’d honest”. In esso era inserito un poemetto dal titolo “ La favola delle api , ovvero vizi privati e benefizi pubblici”. L’etica è stata oscurata dalla ideologia borghese per la quale ciò che conta è il guadagno, il benessere materiale. La presa di potere della Borghesia da corpo alla tesi che i vizi sono segno di libertà e soprattutto hanno un’importanza decisiva sulla conquista della ricchezza nella società. Queste tesi prevalsero, in assoluto contrasto con il pensiero di Shaftesbury e altri filosofi. Dunque l’idea di fondo del comportamento consumistico ed edonistico, parte da lontano, inevitabilmente coinvolge sempre di più anche gli artisti. Non viene considerata con sufficiente attenzione l’insania di una civiltà i cui cittadini acquistano milioni di libri della scrittrice J.K. Rowling, creatrice del personaggio di Harry Potter, mentre trascurano testi importanti e formativi. E’ impensabile che simili generalizzanti tendenze, non abbiano influenza sul pensiero, sull’arte e tutte le forme di comunicazione sociale. Ed è francamente ridicolo che una scrittrice come Naomi Wolf si soffermi, suscitando ovviamente l’attenzione e approvazione dei media, su “ una società schiava dei suoi segreti”. Ma quali segreti! Se c’è una società priva di pudore è la società contemporanea, in cui l’esibizionismo più sfrenato è prassi. L’unica cosa riservata oggi è la prognosi medica Si defeca anche in pubblico. E’ paradossale che da un lato si faccia continuamente appello alla politically correct, una sorta di nuova inquisizione organizzata dalle femministe americane, e contemporaneamente si manifesti ossessione per la privacy. Come si fa a sostenere, come fa la Wolf, che siamo schiavi dei nostri segreti. A leggere con attenzione la Wolf, emerge l’eterna ossessione femminile sulla sessualità, si confonde soddisfazione sessuale e libertà. Cadono a proposito due citazioni “ non c’è nulla di tanto stupido che non sia stato detto da un filosofo”. Unita all’affermazione di Chamfort:” Vi sono sciocchezze ben presentate come vi sono scemi ben vestiti”. La Wolf è vittima del problema che scaturisce dall’incontenibile soggettivismo femminile che ha finito di permeare di se l’intera società, anche facendo perno sui cosidetti “diritti individuali”, la definizione e giustificazione dei quali richiederebbe un approfondito esame che qui non è possibile. Vale la pena notare che, quando si sostengono i “diritti individuali”, si trascura il fatto che per rendere effettivi i diritti si devono mettere i cittadini nelle condizioni socio-economiche tali da permetterne loro la fruizione, siccome questo raramente avviene, l’accentuazione sui diritti individuali, finisce per essere null’altro che retorica, un espediente del potere, messo in atto dalla borghesia per poter creare le premesse che consentano, a chi se lo può permettere, di fare i propri comodi. Il carattere innaturale, sforzato, spesso spasmodico che distingue la società di oggi, trasforma tutto in spettacolo spersonalizzante. Ritornando a Chamfort “ l’uomo può aspirare alla virtù; non può ragionevolmente pretendere di trovare la verità”. Dunque, dal momento che la virtù è abolita, la verità è introvabile, tutto diventa legittimo. Chi cade nell’illusione della possibile, totale libertà, rischia di finire tra i drop out. Artisti e intellettuali, dotati di una buona dose di cinismo, sanno invece gestire molto bene le proprie doppie e triple verità, coltivando il solipsismo. Costoro influenzano la società. Il sistema totalizzante del pensiero consumistico e mondano finisce per coinvolgere ogni attività. Si potrebbe dire che il pensiero stesso è stato ridotto al livello dei processi industriali. L’imperialismo intellettuale di coloro che hanno la gestione o possono esprimere le loro opinioni sui media, non si limitano a propagandare principi astratti, ma applicano l’ideologia ufficiale, base della difesa dal potere che non è più appannaggio della politica, ma degli agglomerati finanziari. Dunque cedendo alle lusinghe della mondanità e del denaro, fingendo di attuare una critica, in realtà aiutano il vero potere, quello economico, a consolidarsi. L’arte non anticipa i tempi ma li segue zoppicando, vale dire si adegua, il propellente per la “creazione” diventa il fattore monetario e mondano, basato su un egocentrismo davvero disarmante. Gli artisti hanno perso capacità e volontà di attuare una vera critica al potere. Non osano celebrarlo e non sanno, o non vogliono contrastarlo. Il risultato è un galleggiamento, mentre godono il benessere che il potere concede loro. Era molto più efficace e sottile la critica di Caravaggio, il tipico bohémien ostile alla cultura, alieno da ogni speculazione e da ogni teoria, ma capace di usare la propria sublime arte per contrastare il potere nella misura in cui è consentito a un artista. Infatti il Caravaggio è il primo, forse l’unico, artista moderno che è stato rifiutato a causa del suo valore. I Tupac Amaru del progresso e della libera espressione, sembrano trascurare il fatto che per fruire della libertà di espressione, è prioritario avere qualcosa da esprimere, è su questo fronte che gli intellettuali dovrebbero agire, invece di blaterare di ideologismi innocui .Sul frontale del padiglione centrale della Biennale di Venezia, attualmente in corso, campeggia l’opera di un artista, Josh Smith, naturalmente statunitense, il quale, con tremolante scrittura, traccia la parola “illumination”. Si potrebbe immaginare sia la versione contemporanea, mediata dalla frase che Rabelais pone sul frontale dell’Abbazia di Teleme: “ fa ciò che vuoi”. Ai tempi di Rabelais fare ciò che si voleva esponeva a un rischio, di certo non portava onore, gloria, denaro. In questo senso il progresso è stato davvero molto.
Piergiorgio Firinu
Linguaggio dell’arte
I corsi e ricorsi ipotizzati da G.B. Vico, sembrano profilarsi anche nell’arte. La pittura dell’Asia orientale, sotto molti aspetti, è più vicina alla nostra concezione dell’arte, come sostiene Arnold Hauser. Gli artisti egiziani consideravano l’arte astratta, rigorosamente formale, senza fini illusionistici, più vicina al naturalismo, alle espressioni essenziali che oggi scopriamo nell’arte di Anish Kapoor. Essendo un linguaggio non legato al territorio, l’arte può suggerire affinità particolari. Il vasto quadro della vita che si sviluppa, contiene frammenti del mondo antico anche nell’arte contemporanea. Le gradi dimensioni, a cui tende molta arte contemporanea, sotto questo aspetto, ha riscontro nell’iconologia buddista. Attorno all’uomo l’arte antica, nella sua età più bella, dispone la luce e l’ordine, impone alle figure un’armonia nata dalla ragione. Nel raffronto con la scultura della religione buddista sono rappresentate figure che traspaiono serenità e distacco, divinità impassibile, atleta perfetto o un dio fatto uomo. Wolfflin riconosce il fenomeno utopico che si ripete nella storia dell’arte e risponde a una legge universale di periodicità. Egli crede che la storia dell’arte sia governata da una sua logica , da una propria necessità. Ma questa teoria non riesce a spiegare perché l’evoluzione dell’arte proceda dal rigore alla libertà. Altri studiosi, tra i quali Nofsky, ritengono che un mutamento stilistico possa essere determinato solo dall’esterno. Tuttavia le forme essenziali della vera arte, restano lontane da ogni inquinamento soggettivo, che, in quanto tale, è personale ed episodico. Alla luce della storia emerge in tutta la sua irrilevanza reazionaria la pretesa di un presunto riscatto del femminile. La verità storica dimostra che l’influsso femminile è sempre stato determinante nell’arte, e ancor di più nella storia. Nella quotidianità poi incidono ragioni di carattere fisiologico e psicologico. Pensiamo all’episodio, spesso rappresentato da artisti, in cui il grande Aristotele, cavalcato dalla bella Pancaspe , concubina preferita di Alessandro Magno, che volle ridicolizzare il filosofo inducendolo a procedere a carponi mentre la donna gli sedeva sulla schiena, impugnando una frusta. Virgilio sospeso nella cesta. Sansone vittima di Dalila. Anche questo fa parte della mitologia dell’occidente, mentre la cultura orientale rifugge dalla rappresentazioni d’immagini, quindi anche della bellezza femminile. Mentre la cultura indiana, non esita a ricorrere a rappresentazioni di carattere sessuale, come nel kamasutra. Nella cultura indiana l’idea della donna è l’esatto opposto delle madonne del rinascimento italiano, mentre risulta molto simile a certe immagine d’arte contemporanea. L’arte che oggi viene dall’oriente e dalla Cina non sovverte affatto i canoni dell’arte dell’occidente. Quanto più diventa rozzo il nostro linguaggio, approssimativa e standardizzata la nostra arte, tanto più rende possibile forme stereotipate, perfettamente adatte alla globalizzazione. Il ricco background della storia dell’arte occidentale può tranquillamente essere ignorato. La semplicità di certa arte femminile d’avanguardia, è un falso mito, la millantata manualità, è in realtà frutto di un lavoro fatto dalle macchine. La manualità vera, era in atto quando si costruivano le grandi cattedrali ,come quella di Chartres, scultori, tagliapietre, muratori, lavoravano gomito a gomito, non vi era posto per inutili enfasi. Uguale semplicità, metodo, capacità artigianale, si esprime nel lavoro degli artisti che realizzarono le cattedrale di Reims, Amiens, la cattedrale di Parigi, Sens, Saint-Sulpice-de Favières. Non è certo un caso che spiritualità ed arte si ispirino ed ispirino le forme sublimi nelle quali la materia assume le forme della bellezza. Infatti oggi, che le forme più trite e vuote del materialismo trionfano, anche la bellezza è archiviata come obsoleta. Si crea lo spazio per l’arrivo dei “barbari”. Con una differenza non di poco conto.. Quando i barbari invasero i territori dell’impero romano, arrivavano da territori in cui l’arte aveva avuto modesto sviluppo, essi erano attratti dalla grandezza e bellezza di Roma, anche se ormai Roma era in preda alla corruzione e a costumi sibariti. Oggi i “barbari” arrivano da paesi egemoni, e tuttavia la loro arte, pur essendo priva di significato, di forza espressiva, s’impone nell’intero occidente. Anche la Cina, che si avvia a uno sviluppo che la porrà ai vertici del pianeta globalizzato, al momento è ancora soggiogata dalla civiltà dell’occidente. La storia, come la natura e la vita, non accetta il vuoto. Mentre i confini dell’impero franavano a Roma si celebravano feste e orge, nella tranquilla certezza che la sua supremazia non sarebbe mai finita. Alle Biennale di Venezia, Kassel, l’arte è pretesto per baccanali di mondanità, manifestazioni che tentano di tenere in piedi ciò che è crollato da tempo, i simulacri dell’arte ormai priva di vitalità. L’efficienza è l’unico criterio moderno di valore, come sostiene Horkheimer, l’unica giustificazione dell’esistenza stessa dell’individuo. Saper guadagnare la protezione di gruppi potenti, saper fare una certa impressione sugli altri, sapersi vendere bene. L’errore del pensiero tecnocratico da Saint-Simon a Veblen, consiste nell’aver sottovalutato la somiglianza delle qualità che assicurano il successo, alle inclinazioni razionali degli esseri umani.
Piergiorgio Firinu
Elogio della ripetizione
Fino a non molti anni fa, buona parte della storia del pensiero era costituita da un interrogativo sulla natura umana. A volte in modo crudo “Uomini e no” di Vittorini. “Se questo è un uomo” di Primo Levi. Di solito in modo più sfumato, articolato e complesso come la filosofia in oltre duemila anni di storia del pensiero. In questi ultimi anni sembra che anche questo interrogativo abbia perso significato, sicuramente non è più argomento per l’arte. Prevale il nichilismo, la negazione, l’adozione di un etica è opinabile, giustificata dalla perentoria affermazione: la verità non esiste. Anche la virtù è riferimento del tutto obsoleto. More solito, gli artisti si adeguano, nelle loro opere sembrano voler mettere l’accento sugli aspetti più degradanti della natura umana, con una sorta di compiacenza. Intellettuali e artisti hanno reazioni diverse ma convergenti. La tendenza generale è considerare vizio, perversione, devianza, conquista della libertà individuale. Quando taluni comportamenti deflagrano in crimini che suscitano scalpore, allora si cerca un capro espiatorio, i genitori, la società, la situazione di degrado. Tutto senza riguardo per contraddizioni e paradossi. Compiamo una quantità di azioni senza preoccuparci di cercare le ragioni del nostro agire, azioni inutili, spesso nocive, pervasi dall’ansia del progresso che ci rende ipercinetici. Una frenesia inutile ci solleva dal fastidio di pensare. Gli abitanti di Konigsberg regolavano gli orologi sulle passeggiate di Kant. Egli visse i suoi 80 anni di vita senza mai lasciare Konigsberg, se non per brevi periodi. Quanto pensiero nella sua immobilità! Non molto diversa la vita di colui che scrisse “Elogio della ripetizione” Soren Aabye Kierkegaard visse solo 42 anni, sempre nella Copenaghen dov’era nato. Oggi i cieli sono solcati da aerei ad ogni ora del giorno e della notte, una massa di persone percorre il pianeta in lungo e in largo. Le città non hanno un attimo di requie dal rumore delle auto che le percorrono. Tutto questo agitarsi ci rende simili a robot. Come i cani del fisiologo russo Ivan Pavlov siamo condizionati, invece che alla campanella, rispondiamo alla sollecitazione dei media, i quali influenzano le nostre azioni, provocano le nostre emozioni, determinano le nostre scelte. Viviamo nell’era della comunicazione di massa e forse mai nella storia dell’umanità c’è stato tanto conformismo. Un sorta di conformismo negativo con totale capovolgimento di valori, il mito della trasgressione e della competitività. Non siamo padroni delle nostre azioni. Nel 1978 Maurizio Calvesi scrisse un saggio con un titolo che è un ossimoro “ Avanguardia di massa”. Era il periodo in cui il linguaggio dell’avanguardia artistica cessò di essere elitario per farsi settario. Cessata la preminenza del pensiero, iniziò a prevalere l‘occupazione dello spazio, il presenzialismo, l’happening, il rumore. In quel preciso momento cessa di esistere la giovinezza come periodo della vita, così com’era stata vissuta dalla generazione che ci hanno preceduto, si creano le condizioni per una generalizzata età della sragione. La politica anticipa e accompagna il fenomeno. Non si aiutano i giovani assecondandoli in tutto. Vietato vietare è una pietra tombale sul’educazione com’era stata concepita dalla pedagogia, disciplina diventata obsoleta. Lenin diceva: per diventare adulti è necessario imparare, imparare, imparare. Ma per imparare è necessario che qualcuno insegni, che qualcun altro presti attenzione, e tutto si svolga nel rispetto reciproco, con la dovuta calma. Dal ’68 tutto questo è stato capovolto, complici i nuovi mezzi di comunicazione, Internet in primis, sono i giovani che insegnano agli adulti. Basta un colpo di genialità, un pizzico di fortuna e si entra nella classifica dei più ricchi del pianeta e siccome dopo avere abolito tutti i valori il denaro è l’unico vero valore rimasto…vale il detto di Vespasiano “Pecunia non olet”. Tutto è vissuto in una crescente quanto inutile frenesia. Neppure sull’Everest si può trovare la pace che Kant e Kierkegaard trovavano nelle loro città. Purtroppo i giovani non subiscono il rumore, la confusione, l’annullamento di se: li cercano. Sembra abbiano paura di restare soli con se stessi. E’ archiviato il rifiuto polemico del tecnicismo, al contrario arte e tecnica finiscono per identificarsi. La faticosa alchimia del pensiero raziocinante ha lasciato il posto a una incessante rincorsa del nuovo sempre più nuovo. E dunque oggi se ponessimo la distinzione tra uomini e no, ci troveremmo in difficoltà, anche per la sovrapposizione di generi e ruoli. E’ drammatico che ciò accada nella più assoluta inconsapevolezza degli effetti collaterali. Mentre tutto confluisce nel solco di un pressante immotivato agire.
Piergiorgio Firinu
Ascoltare il colore
“E’ cominciato così. Io,io non avevo proprio detto nulla. Nulla…” e’ l’incipit del “Viaggio al termine della notte” di Louis-Ferdinand Céline. Un romanzo di 519 pagine comincia con una negazione. L’arte è un problema delicato, difficile da affrontare, chiarire, spiegare, tra fenomenologia psicologica e conflitti di comunicazione. Quando parliamo di “opera d’arte” il primo dubbio che sorge è : l’arte significa realmente qualcosa? Céline, nonostante la sua genialità, è stato considerato un reprobo e condannato. I suoi scritti sono tutt’ora disponibili, eloquenti segni del suo valore di scrittore. Le ragioni della sua condanna devono invece essere spiegate, collegate a situazioni e ragioni politiche particolari. Lo scrittore non ha mai fatto politica attiva, semplicemente egli non era in linea con l’opinione politica dei vincitori. Così la seconda parte della sua vita è stata un inferno. Quasi la stessa sorte è toccata a un grandissimo poeta; Ezra Pound. The Cantos non è stato apprezzato in tutta la sua potenza espressiva, ma giudicato attraverso il filtro della politica, nell’ottica, anche in questo caso, dei vincitori. Difficile spiegare come possono uomini così geniali esprimere giudizi negativi verso un popolo e in questo modo esporsi alle critiche. E’ noto che, in rapporto al loro numero, gli ebrei hanno sicuramente il maggior numero di geni. Tuttavia, se l’arte significa qualcosa, quel qualcosa, dovrebbe riguardare la valutazione degli autori, a prescindere dalle loro idee e dalla contingenza politica. Ma forse l’arte non significa nulla, non ha alcun senso , almeno nell’eccezione che diamo a questa parola. E’ uno strumento politico, come dimostrano le femministe americane. Un tempo si poteva dire che l’arte è bellezza, oggi sarebbe impossibile sostenere simile tesi. La bellezza delle parole. Il poeta dovrebbe poter sempre leggere in pubblico le proprie opere. Il suono della voce, il dettaglio delle inflessioni, le pause. Tutto ciò è qualcosa di sublime. Non sempre è chiara la distinzione fra poesia e arte figurativa. Leonardo da Vinci, riprendendo la definizione simonidea della pittura come poesia muta e della poesia come pittura parlante, apre la controversia sulla dignità delle arti che durerà secoli, ed anche Lessing avrà modo di intervenire. Gli happening degli artisti sono comunicazioni, in qualche caso rozze, molto meno efficaci della poesia recitata dall’autore. L’arte e bellezza sono ormai cose diverse , nessuno più cerca, ama, capisce la bellezza, che non è solo soddisfazione degli occhi, ma godimento mentale, un pensiero, come un tormento che lavora nelle ossa e ci forma. Oggi tutto si risolve in due opposti: immagine patinate, spesso di corpi femminili, logo per eccellenza, ovvero in brutture che vorrebbero essere provocanti e sono invece solo squallide e insignificanti immagini di abiezione. Non per questo sfuggono all’onnivora ansia di possesso, di collezionisti con molto denaro e poca sensibilità. L’intensità degli interessi e delle attività coscienti svanisce a poco a poco, producendo una sorta di apatia, un’evoluzione regressiva, un abbassarsi verso stadi infantili e arcaici, una specie di degenerazione. Viene spinto in avanti non l’istinto, istinto sarebbe pensiero pulito, una fonte primordiale, un vissuto, un racconto di forme immaginate, linguaggio fatto di segni essenziali, personali. Invece prevalgono i condizionamenti deteriori, l’omologazione del peggio. Potremmo sottoporre le immagini laide ad analisi, tentare di scoprirne la simbologia. Sarebbe un tentativo destinato a fallire. Nelle accademie non si acquisisce altro che la capacità di realizzare forme. La creazione, parola come poche altre impegnativa, non s’impara, si vive se si riesce a far silenzio intorno alla propria anima. L’artista è colui che sa creare il silenzio dentro di se. E’ certamente importante comunicare con il prossimo, ma più importate è comunicare con se stessi, una comunicazione non vaga, affrettata, subito monetizzata, come oggi accade. Essere artista non significa creare oggetti, ma coltivare dentro di se la forza, per dare voce alle parole primordiali. Anche se l’arte rappresenta, nella vita delle nazioni e delle diverse epoche , un processo di autoregolamentazione spirituale, ciò avviene sempre a livello individuale. Come l’attrito provocato dall’archetto sulla corda del violino produce un suono dolce e armonioso, così lo stridore dell’anima sensibile dell’artista in contrasto con la volgarità del mondo produce l’arte migliore. Per volgarità non s’intende necessariamente qualcosa di negativo, ma venale, utile, concreto, necessario. Va da se che l’artista in sintonia con il suo tempo, non produce stridore, ne suono, non produce null’altro che oggetti per il mercato globale. Nel linguaggio della modernità l’aquila di Giove è un aeroplano; la lotta con il drago, uno scontro ferroviario. La cosa più difficile per un artista è non essere al passo con i tempi. Per questo deve avere il coraggio di pagare uno scotto, correre il rischio di non essere considerato un artista, ma solo un individuo “fuori dal mondo”. E’ anche vero che in molti si fingono strani per farsi credere artisti. Viviamo una sola vita, è ben nota la debolezza e la vanità umana, sono davvero pochissimi gli artisti disposti a pagare il prezzo per essere se stessi. Meglio accettare i compromessi, entrare in scena, recitare la parte che il caso e la necessità ci assegnano. Oggi il vecchio Calderon della Barca forse non sarebbe contento nel sentire il suo bellissimo verso: “ siamo fatti della stessa sostanza dei nostri sogni” è utilizzato per reclamizzare un automobile.
Piergiorgio Firinu
Autonomia espressiva
Il problema intorno a cui si volge la disputa degli universali non è solo il problema centrale della filosofia, il problema filosofico per eccellenza, da cui derivano tutte le questioni filosofiche fondamentali, empirismo, idealismo, relativismo, assolutismo, individualismo, storicismo, che ne sono una variante, ma allo stesso tempo è la quintessenza delle questioni vitali che nascono da un sistema culturale di fronte a cui si è costretti a prendere posizioni non appena se ne diventa consapevoli. Invece, come molti problemi cruciali, è stato abbandonato senza essere risolto. E’ prevalso il pragmatismo, ragione per cui è diventato irrilevante stabilire i cardini sui quali si articola il pensiero. Tale mentalità ha coinvolto l’arte, vittima della frammentazione della conoscenza. Il nominalismo, stretto parente del pragmatismo, non nega la realtà delle idee, ma le considera inseparabili dalla realtà empirica. La funzione del nominalismo corrisponde quasi esattamente a quello della sofistica, ed entrato a far parte della critica e storia dell’arte a partire dalla cultura antica. L’evoluzione della sofistica moderna, confluisce nel nichilismo, e favorisce l’affermarsi dell’effimero nell’arte. Tale tendenza viene rafforzata dalle filosofie illuministiche che concepiscono tutti i valori come relativi, mutevoli, transitori. Parafrasando Diderot, in contraddizione, si potrebbe dire che, se anche fosse vero che non esistono valori eterni, nell’arte come in qualunque altro ambito della società, si dovrebbe riconoscere che è pur necessaria una regola, un punto di riferimento, per non regredire alla stato brado dei primordi dell’umanità. Il lume della ragione, la torcia nel bosco usata come metafora da Diderot, è costituita dalle regole contro le quali sembrano accanirsi vecchi e nuovi cantori della modernità. Tra l’assoluto e l’inesistente, ci dovrà pur essere una transazione ragionevole, che diventa impossibile se per principio si stabilisce che ognuno è perfettamente in grado di darsi regole, leggi e norme. L’antropologia e la storia ci dicono che non è così. L’arte non è più protagonista di una cultura del significato, non è più stimolo alla sensibilità, ma semplicemente vittima di una controversia che in apparenza non la riguarda. Se l’ipostatizzazione romantica si sottrae al vaglio della razionalità, adducendo la spontaneità della creazione, il pragmatismo contemporaneo finisce per sottrarre l’arte al vaglio della plausibilità logico-estetica. L’atto della creazione diventa irrilevante se le ragioni di valorizzazione dell’opera, sono esterne, anzi estranee all’arte. L’artista moderno evita, in genere, di affrontare il tentativo di giustificare la propria opera, forse in molti casi non ne avrebbe capacità, tanto meno saprebbero dare sostanza alle proprie motivazioni. Così la critica ha piena libertà ermeneutica, in supporto al mercato si traduce in esaltazione, di qualunque discutibile forma d’espressione. L’arte, come la scienza, si avventura su un terreno malsicuro quando afferma il proprio diritto alla totale libertà, senza curarsi dell’effettiva corrispondenza dell’intenzione con il risultato. L’ingiustificato timore che all’arte possano essere posti dei limiti, coglie gli artisti proprio in un periodo della storia in cui il linguaggio è diventato uno scomposto balbettio. L’arte contemporanea non ha alibi, non deve opporsi all’accademia, essendo essa stessa accademia, ne deve contrastare il filisteismo borghese, che la osanna, la collezione indiscriminatamente, con essa orna le proprie dimore. Non si vuole ammettere che l’oscurantismo ha mutato segno e spesso si chiama “libertà ‘espressione”. Può apparire un paradosso solo a chi è distratto o ne trae vantaggi. I metodi sperimentali, la provocazione, non sono eccezione, ma norma, tanto che un’artista accorto come Emilio Isgrò, ha dichiarato di volersi sottrarre alla generalizzata provocazione. In effetti, dai cadaveri in formaldeide, alle più laide rappresentazioni di atti sessuali, non sembra esserci limite al macabro, al cattivo gusto. Il radicale mutamento dei rapporti umani avvenuto nell’ultimo secolo, è frutto di un pragmatismo miope, vagamente contradditorio, preceduto da teorie di pensatori in tempi e di orientamenti diversi, a partire da Platone, Leibniz, De Maistre, Emerson e Lenin. L’Empiriocriticismo, fondato da Ernesto Mach che utilizzò il neologismo creato da Richard Avenarius, è fatto proprio da Lenin. Sarebbe difficile ricostruire le conseguenze del pragmatismo sull’arte e più in generale sullo sterilizzarsi del pensiero della nostra civiltà dominata dal principio funzionale. L’empirismo distrugge i principi che potrebbero giustificare arte e scienza e l’empirismo stesso. In sé, l’osservazione non è un principio ma uno schema di comportamento, un modus procedendi, che in qualsiasi momento potrebbe condurre alla propria negazione. Si realizza il paradosso di una dottrina filosofica che contiene in se la propria negazione, così come l’arte,abbandonando le mimesi per il concetto, nega la propria funzione nella presunzione di concretizzare nella forma significati che possono emergere, se emergono, solo, da una sovrapposizione ermeneutica che si avvale dell’ausilio verbale, ovvero l’arte afflitta da presunzione autarchica ottiene l’opposto: la perdita della propria autonomia espressiva.
Piergiorgio Firinu
Il genio umile
L’erudito Pierre-Daniel Huet, nel 1670 scrisse “Traité de l’origine des Romans” . Di fatto un testo contro il romanzo contro il quale è intentato un processo che dura più di un secolo. Gia nel 1626 con il titolo “Tombeau des Romans où il est discouru” un certo Francan si scaglia contro il romanzo reo di stravaganza e licenziosità. Tutto questo a noi appare da tempo ampiamente superato dal percorso imprevedibile della cultura e della politica. La non integrabilità dei caratteri di Dostoevskiy: Tu non sei quello che sembri essere”. L’io scisso, non riducibile a unità, è il sosia, il cui schema, con molti altri requisiti di tale caratterizzazione e con tutta la complessità psicologica di un residuo, logoro byronismo. L’elemento saggistico s’impone nella maniera più frequente nel romanzo moderno. Come descrizione della storia della propria nascita così come in Faux-monnayeurs di Gide. Ha un carattere riflessivo e saggistico anche il grande e incompiuto romanzo di Robert Musil “L’uomo senza qualità”. Un tale posizione prospettica, sebbene diversamente orientata, contraddistingueva anche il punto di vista di Proust e dava alla sua arte un carattere saggistico. “A la recherche du temps perdu” è uno dei primi romanzi il cui contenuto riguarda esclusivamente la memoria del proprio vissuto. Michel Butor è il primo a dichiarare univocamente quello che tanti prima di lui hanno sentito e cui hanno alluso, cioè che non è il romanziere a creare il romanzo bensì il contrario. Il romanzo diventa officina e poesia contemporanea, nel senso in cui è stato notato del Work in Progress di Joyce. Tuttavia l’efficacia artistica resta condizionata dalla dialettica fra autoinganno consapevole e inconsapevole. Nel Nouveau roman si fanno molte illusioni sulla funzione infraumana,morale e sociale della letteratura. Robert- Grillet sosteneva che, dopo il crollo dell’”ordinamento divino” l’arte è limitata a un gioco. Ogni arte concreta, riferita all’oggetto, cioè ciascuna, con eccezione della musica, dell’architettura e della pura ornamentalistica, agisce attraverso l’illusione del gioco della realtà. La sincerità, che d’altra parte non è un concetto estetico bensì un concetto morale e per di più romantico, libera l’artista dal vincolo della realtà. L’arte diventa priva di pretese, discreta, provocatoria ; impara ad accontentarsi di mezzi modesti. Già per Stendhal la bellezza era semplicemente una promessa di felicità. Walter Benjamin dichiara che la partecipazione della felicità, al bello, sarebbe troppa bontà. Il rifiuto dell’eredità del passato compenetra tutta l’arte contemporanea. A nulla vale la meraviglia di Marx sul perdurare dell’efficacia dell’arte greca in un contesto profondamente modificato. La fuga dalla favola, la riduzione dell’opera d’arte a documento, per altro solo parzialmente attendibile, avvia all’impronta esistenzialistica della vita. “Aspettando Godot” di Samuel Beckett, diventa un paradigma della nuova letteratura, anche se l’opera non ha praticamente azione; il suo contenuto consiste nel vano lottare con una situazione che resta invariata. Prende piede l’antieroe. Diventa ridicolo colui che tenta di modificare una realtà immodificabile. “La cantatrice calva” di Eugène Ionesco è un altro esempio di teatro dell’assurdo che certifica la perdita di senso delle parole che esprimono una realtà in disfacimento. E’il principio della negazione dell’eroismo era già presente nel Don Chisciotte, ma allora c’era ancora un residuo di ironia. Dal romanzo psicologico di Dostoevskij che rappresenta un anticipazione dell’Espressionismo a “L’étranger di Abert Camus, che afferma un sinistro diritto all’esistenza. L’assurdità e la contraddizione serpeggia in tutte le espressioni dell’arte. L’assurdo di distingue dall’oscuro solo per le decifrabilità della parola che da senso al non senso, al dovere all’impulso istintuale che nasce dall’antica e ormai paradigmatica figura di Antigone che ondeggia tra dovere e inclinazione, così come gli eroi delle tragedie di Corneille che si risolvono in una lotta condizionata dalla scissione. La disintegrazione della personalità, nella quale l’antagonismo delle inclinazioni, dei legami, della fedeltà a se stessi, scatena un conflitto che porta alla alienazione. Shakespeare sapeva poco del rapporto tra Amleto e sua madre, ignorava il complesso di Edipo. Beckett non sapeva chi era Godot, ne cosa stesse aspettando, altrimenti, come lui affermò, lo avrebbe detto. L’artistico è dunque del tutto insensato. L’incommensurabilità di cui parla Goethe è soltanto un modo per dire la stessa cosa. Ci perdiamo in un oceano di parole di forme tra le quali cerchiamo il senso della nostra vita, ricavandone sempre maggiore confusione.
Piergiorgio Firinu
Fenomenologia oggettiva
L’opera d’arte aspirava un tempo a dare il proprio contributo alla ricerca della natura della realtà. Oggi non esiste più alcun vivo rapporto con l’opera, nessuna diretta spontanea comprensione della funzione espressiva, nessuna capacità d’intenderla nella sua totalità, come immagine di ciò che un tempo si chiamava verità. L’artista è in parte artefice, in parte vittima di questa situazione di stallo. Questo processo di progressiva sterilità creativa è legato al formalizzarsi e soggettivizzarsi della ragione che trasforma le opere d’arte in beni di consumo, il godimento di esse in una serie di emozioni casuali, mondane che non hanno nulla a che fare il costrutto vero di un opera nel senso compiuto: fruizione culturale di un pensiero creativo godibile come significato e forma. E’ il prezzo pagato dal mercato che determina il valore di una mercanzia e quindi la produttività di un dato tipo di lavoro. A partire da Machiavelli, Hobbes e una serie di filosofi, teorici della società borghese, fino a Veblen, hanno finito per privare di valore tutto ciò che non è tangibile, materiale. Di conseguenza l’arte si è adeguata, è uscita dalle chiese per entrare nelle case dei borghesi. Il pensiero moderno ha cercato di costruire su queste basi una dottrina filosofica, il pragmatismo. Questa filosofia è stata esaminata criticamente da molte scuole di pensiero, dal punto di vista del volontarismo da Hugo Munsterberg. Sotto il profilo della fenomenologia oggettiva nel complesso saggio di Max Scheler. Max Horkheimer dal punto di vista della filosofia dialettica. Ma ogni forma di teorizzazione soccombe di fronte alla naturale propensione umana agli aspetti utilitaristici e ludici, che sono poi i principi che hanno permesso all’occidente di prevalere, sotto il profilo materiale, su civiltà molto più antiche, che non hanno saputo, oppure non hanno voluto dare priorità all’aspetto materiale dell’esistenza umana. Il nucleo del pragmatismo è rappresentato dalla dottrina secondo cui, idee, concetti, teorie, non sono null’altro che schemi o progetti di azione, e quindi sono veri solo quando e in quanto hanno successo. In una analisi dell’opera di William James, Pragmatism, John Dewey illustra i concetti di verità e significato. Citando James, egli dice: “ Le idee vere ci guidano in ambiti verbali e concettuali utili e direttamente a termini sensati..”. Un idea spiega Dewey, è un abbozzo tracciato a partire da cose esistenti, un intenzione ad agire in modo da sistemare quelle cose in un certo modo”. Ecco liquidati secoli di creazioni, invenzioni, fantasie creative per loro natura astratte e non funzionali. Se non fosse stato il fondatore della scuola Charles S. Peirce , a dirci di avere “imparato dalla filosofia di Kant” , si sarebbe tentati di negare ogni pedigree filosofico a una dottrina tanto celebrata quanto banale nel suo costrutto logico filosofico. Sarebbe interessante tentare di approfondire le teorie di Dewey e James, per stabilire dove nascono le idee, per definizione astratte. Chiarire perché alcuni hanno idee creative ed altri no. Ma forse non vale pena spingerci tanto lontano. E’ un fatto che l’involuzione della filosofia americana va di pari passo con l’involuzione dell’arte negli USA. Ciò nonostante gli Stati Uniti hanno un vantaggio. “Il tempo”, ha scritto Verulamio, “è come un fiume che trasporta ciò che è leggero e lascia affondare ciò che è pesante”. Il pragmatismo degli USA ha fatto si che il paese diventasse il più potente e tecnologicamente avanzato del pianeta, pur restando rozzo e barbaro. Solo chi ha vissuto nel middle west degli Stati Uniti sa cosa significa una vita assolutamente banale, triste, fatta di abbandonza e vuoto. A salvare la situazione c’è la natura, ma questa non è frutto del pensiero umano.
Piergiorgio Firinu
Bambini sapienti
L’evoluzione era utile al nostro organismo, al suo adattarsi nella sua nicchia ecologica. Il processo, confinato alla sequenza genetica, s’inceppa quando la distanza dalla natura si accentua. Tanto i ragni quanto i castori sono splendidi architetti, ma i castori non imparano dai ragni, perché a differenza dell’uomo non sono nelle condizioni di scegliere i propri modelli e trasmettere il sapere. L’uomo progredisce, non solo in ragione della propria intelligenza, ma anche nella possibilità di trasmettere la propria esperienza. Ora cosa succede quando l’umanità rifiuta di utilizzare esperienze a conoscenze pregresse? E’ questo che avviene nella società contemporanea in cui la vertigine della tecnica ha creata l’illusione che l’esperienza, la cultura, la conoscenza del passato siano, tout court, obsolete. In pochi settori come in quello dell’arte appare evidente la cesura tra passato e presente. Marx amava l’arte antica e restava perplesso di fronte a all’interrogativo a cui non sapeva trovare risposta: perché l’arte, la poesia, la letteratura, la filosofia greche, nate in determinate condizioni socio- politiche offrono ancora piacere artistico e sono dai più riconosciuti come norma e modello irraggiungibile? Con minor coerenza del solito Marx suggeriva che la nostra reazione di fronte ai prodotti dell’antica civiltà greca fosse determinata dalla nostra nostalgia per l’infanzia dell’umanità. Forse a Marx sfuggiva l’inflessione romantica nel richiamo alla nostalgia, parola che è composta da due termini greci “Nostos”, il tornare a casa, “Algos” , sofferenza struggimento. Il termine fu coniato da un medico svizzero alla fine del XVII secolo. Il richiamo di Marx sembra voler supporre che, mentre altre nazioni sono state come bambini cattivi oppure bambini precoci, i Greci hanno incarnato l’ideale dell’infanzia “normale” con tutto il suo eterno incanto. Marx però non ha spiegato sotto quale aspetto geni come Tucidide o Euripide potessero essere definiti simili a bambini, quali fattori sociali spiegassero l’interpretazione che egli aveva tratta da Schiller. La metafisica degli assoluti che si nutre di presunzione e ignoranza alimentata dal senso di inadeguatezza, invece d’essere affrontato, viene aggirato. Quando l’Europa rifiuta le proprie radici, non compie un gesto di libertà, ma di conformismo il cui back round è la cultura pseudo illuminista. Sir Joshua Reynolds pronunciò un discorso nel quale riferendosi a Michelangelo affermava: se io dovessi rifare il mondo da capo, avanzerei sulle orme di quel grande maestro: baciare l’orlo della sua veste, afferrare la più piccole delle sue perfezioni costituirebbe gloria e pregio sufficiente per un uomo ambizioso. Henry Moore si esprime in termini diversi, ma il suo sentimento di gratitudine per ciò che Michelangelo ha fatto non è meno esplicito: credo che il mondo abbia guadagnato enormemente dalla circostanza che il Papa ha fatto dipingere da Michelangelo la Cappella Sistina. L’ammirazione esplicita di due sommi artisti implica ammirazione, ma anche senso del limite, cultura e conoscenza. Qualità che certo non costituiscono il patrimonio di quanti assatanati da un idea parossistica di progresso pretendono di azzerare la storia e cancellare ciò che, dal confronto, farebbe apparire nella giusta dimensione conati di pensiero che producono oggetti, o ricuperano oggetti, presentati sotto specie artistica. Se consideriamo che l’arte è frutto della civiltà nella quale l’artista vive, non possiamo sottrarci allo sconforto. Il gioco dei rimandi verbali non modifica, non può modificare, forma e sostanza delle cose nella loro concreta realtà.
Piergiorgio Firinu
Nichilisti, collezionisti, rei
In molti casi l’artista è influenzato dal gusto del mecenate, ma molto spesso egli gioca la carta della provocazione, attua uno sbilanciamento che tenta di motivare con teorie spurie. Ci sono casi in cui gioca un ruolo importante il “fascino” dell’artista non necessariamente connesso alla sua arte. A suggerire motivazioni interviene il critico, che agisce come promotore dell’artista. Il gusto, essendo concetto vago, finisce per non avere molta importanza. Può invece assumere importanza l’aspetto emotivo, specie quando mecenate, gallerista, critica sono donne. Basta leggere la biografia, non proprio edificante, di Peggy Guggenheim. L’azione provocatoria, anche quando viene promossa in buona fede come stimolo alla riflessione, raramente sortisce l’effetto che l’artista si propone, è subito accettata dal mercato e in breve tempo l’opera “provocatoria” trova posto in musei ed istituzioni. Platone era contro l’arte pittorica perché fonte di illusioni. Oggi l’illusione non è più argomento dell’arte d’avanguardia, ma manca anche il senso di rispetto per l’osservatore, ha successo la provocazione, prassi che costituisce incitamento per migliaia di sprovveduti emuli. Nell’antico Egitto gli artisti rifuggivano dal tentativo d’ingannare l’osservatore, ed avevano grande rispetto per coloro che osservavano l’opera, stesso rispetto degli artisti dell’estremo oriente. L’occidente ha abbandonato ogni principio costitutivo dell’arte, tanto che non sono pochi coloro che pensano che l’unica forma di avanguardia artistica possibile oggi non possa che essere un attento e critico ritorno al passato, un’accresciuta attenzione per forme e contenuti dell’arte classica, rifuggendo dagli espedienti provocatori, approfondendo cultura e conoscenza delle tecniche. L’artista deve riappropriarsi degli strumenti e delle forme proprie dell’arte, con esse affrontare gli aspetti della modernità che stimolano la sua fantasia, quindi tentare di rappresentarla con la carica critica utile a stimolare riflessioni. Purtroppo il mondo degli artisti, in un’epoca di capitalismo senza cultura, non trova impulso ad un vero mutamento, quindi non sa esercitare la funzione sociale propria dell’arte. Più comodo affidarsi al panegirico di propaganda personale, ripetere all’infinito azioni provocatorie che non significano nulla. Oggi più di ieri la reputazione di un artista finisce per dipendere dal rango del suo protettore, con una sostanziale differenza. I mecenati di un tempo erano dotati di gusto e cultura, i borghesi di oggi, nella grandissima maggioranza dei casi, sono arricchiti senza cultura. Ecco spiegato il successo di artisti che realizzano opere costituite da incrostazioni di mosche, squali in formaldeide, e altre simili amenità. Queste opere sono acquistate da collezionisti al prezzo dei capolavori di Tiziano. La lotta dei giovani, appare di solito anche come “conflitto generazionale”, è annullata, resa impossibile dagli estremismi estetici e culturali dei “maestri”, dalla inadeguata preparazione fornita dalle accademie. Se,come sostiene Richard Hamann: “ ogni volontà artistica acquista significato e vigore nell’aprirsi la strada tra le difficoltà. Ogni opera d’arte scaturisce dalla tensione tra la volontà dell’artista e le resistenze che incontra”. In un clima di totale, incolto permissivismo, l’artista perde ogni stimolo, semplicemente si adegua. Dunque: spazio a cartellonisti e giocolieri del segno. Psicologicamente disarmato il giovane artista è indotto a usare se stesso come cavia, come gesto di estrema ribellione. Oppure rassegnarsi alla degradazione generalizzata. Cosa può motivare la fede in un linguaggio artistico la cui sintassi è fatta di urlati abbruttimenti. Dove trova spazio l’improduttivo conflitto di una coscienza precocemente degradata, privo della lucidità necessaria, di sufficiente forza di volontà per contrastare l’esistente. Anche il teatro è riflesso passivo di una realtà che rincorre, l’arte non anticipa i tempi, li segue zoppicando. In Beckett la scrittura appare in evidente forma nichilizzatrice. Brecht a volte cade nel “formalismo socialista”, la cui crudezza fa da contraltare all’evasività nullificante di Jonesco e Beckett che, più sono astratti, vuoti, incomprensibili, nichilisti, tanto più sono applauditi. Anche in questo caso resta il dubbio: se il pubblico abbia difficoltà a capire, oppure ci si trovi di fronte a una sorta di masochismo, un ideologico complesso di colpa. L’artista e l’intellettuale dovrebbero essere fondamentalmente problematici, porre questioni attraverso linguaggio e la forma. Invece paradossalmente si applaude l’artista che evidenzia incongruenza, limiti, vizi, aberrazioni sociali, per poi proseguire verso il peggio. Il dubbio: l’applauso non è altro che conferma dell’alienante conformismo della società in cui viviamo, oppure c’è un difetto di comprensione e un surplus di cinismo. Il capitalismo dominante, dimostra tolleranza, convinto di essere sempre nel giusto, perché “liberale e progressista”. Forse l’applauso, non esprime ammirazione, ma disprezzo, l’artista è considerato alla stregua di un buffone, a cui è consentito burlarsi del “re”. A partire dalla seconda metà del XIX secolo, l’influenza della potenza economica USA si è fatta determinante nel mondo dell’arte, influendo su gusti e tendenze. I mercanti USA hanno imposto i propri artisti mettendo in campo imponenti mezzi economici. L’Europa in generale, l’Italia in particolare, si sono prontamente adeguate. Harold Rosenberg nel 1972 ha pubblicato “ The De-definition of Art”, il testo tratta l’arte d’avanguardia in generale. Nelle 54 illustrazioni, c’è un solo artista italiano, Bocconi, un’opera della collezione dell’Automobile Club d’Italia. Altra eccezione è un’opera di Matisse del Museo Nazionale di Oslo. Tutto il resto fa riferimento esclusivamente ad artisti e gallerie del nord America. 48 delle quali con sede a New York. Il libro è stato prontamente pubblicato in Italia nel 1975 da Feltrinelli. L’idea che l’arte abbia valore universale, che gli artisti di ogni paese religione e credenza, abbiano la stessa dignità e importanza, eclusivamente in base alla qualità del loro lavoro, accettata in teoria, è smentita dai fatti. La scelta è effettuata dai mercanti. Lo sciovinismo impera. Il testo citato non ha per riferimento quanto accade in una determinata città. Se il titolo fosse “Arte a New York” sarebbe coerente. Il libro ha la pretesa di trattare l’arte d’avanguardia di quel periodo. Evidentemente per Rosenberg l’arte è solo quella che si produce, si espone, si vende a New York. Siccome libri di questo genere sono numerosi, l’idea ha finito per imporsi. Galleristi e artisti italiani si sono affrettati ad occupare il loro piccolo spazio nella grande mela, con risultati tanto enfatizzati quanto modesti. L’arte del capitale trionfa nella capitale del capitalismo, tristissimo bisticcio di parole che purtroppo riflette una ancora più deprimente realtà: anche nel campo dell’arte siamo succubi dell’impero americano. C’è da sperare che presto il vento muti.
Piergiorgio Firinu
Ragione funzionale
Le realizzazioni contemporanee del progresso sociale, hanno superato di gran lunga le speranze dei filosofi e statisti che nel corso della storia hanno espresso programmi utopistici; eppure incombe su tutti un senso di paura, di delusione, oggi il futuro dell’umanità sembra molto più incerto di quanto non fosse nell’età più oscure in cui l’utopia progettuale fu formulata. Nel momento stesso in cui le conoscenze tecniche allargano l’orizzonte di espressione e di azione dell’uomo, diminuisce l’autonomia individuale, la capacità del singolo di difendersi dall’incombenza di un apparato politico - economico-produttivo in grado di attivare una propaganda di massa. Le capacità d’immaginazione, la creatività degli artisti, invece di illuminare la mente, tende ad esprimere forme degenerate e solipsistiche di limitatezza e tristezza infinite. Il processo di disumanizzazione in corso sembra coinvolgere in primo luogo artisti, scrittori, intellettuali; così il progresso rischia di distruggere proprio quello scopo che dovrebbe realizzare; l’idea dell’uomo compiuto. Quando chiediamo all’uomo comune di spiegare che cosa intende con il termine “ragione”, quasi sempre vediamo esitazione, imbarazzo. Se insistiamo per una risposta ci sentiremo dire che “le cose ragionevoli sono le cose di evidente utilità”. Ovviamente aumenteremmo l’imbarazzo del nostro ipotetico interlocutore se chiedessimo di chiarire cosa è utile cosa è superfluo. E dunque, la spiegazione del ragionevole entra in stallo. L’idea che un fine possa essere ragionevole in se , in forza della virtù che conosciamo, o crediamo di conoscere, che esso possiede in sé, indipendentemente da un vantaggio soggettivo, è completamente estranea alla ragione soggettiva, che in modo apodittico giustifica l’azione in base a considerazioni di interessi generali non meglio chiariti. Quando l’artista realizza opere che rappresentano un frammento di realtà, egli, o altri per lui, quasi sempre si dilunga nel tentativo di collocare l’insignificanza oggettiva in un contesto più ampio, adducendo ragioni di critica estetica, sociale, risvolti psicologici non riscontrabili in ciò che è davanti ai nostri occhi. Questo significa che la soggettività rende arduo comunicare i supposti valori o disvalori che vorrebbe rappresentare, anche se poi, la blandizia dei critici e il mercato, pongono in secondo piano significato e concretezza formale. La differenza tra razionalità funzionale e sostanziale, nel senso in cui queste parole sono usate dalla scuola di Max Weber, il quale aderì però in modo completo alla tendenza soggettivistica da non concepire nessuna razionalità, neppure quella funzionale, capace di distinguere un fine dall’altro. Se istinti, intenzioni, decisioni dell’artista, sono a priori irrazionali, la ragione sostanziale diventa uno strumento solo di correlazione , e quindi è essa stessa essenzialmente funzionale. A questo punto si pone la questione fondamentale: funzionale a cosa. Il rapporto tra i diversi modi di concepire la ragione, non è semplicemente di opposizione, ma di fini. Il funzionale è un metodo non un fine. La ragione nel suo senso proprio di logos, o ratio, è sempre in rapporto con il soggetto e la sua facoltà di pensare. Tutti i termini usati per indicare la ragione erano in origine espressioni soggettive; così il temine greco logos ha la stessa radice di dire, e indica la facoltà soggettiva del parlare. La facoltà soggettiva di pensare fu l’agente critico che distrusse la superstizione; ma nel denunciare la mitologia come falsa oggettività, cioè come creazione soggettiva, si dovette far uso di concetti considerati appropriati, in questo modo si è creata una nuova oggettività. Nel platonismo la teoria pitagorica dei numeri, che aveva le sue origini nella mitologia astrale, si trasformò nella teoria delle idee che cercò di definire il contenuto ultimo del pensiero come oggettività assoluta al di là del pensiero, benché in rapporto con esso. La crisi contemporanea della ragione consiste fondamentalmente nel fatto che il pensiero è diventato incapace di concepire l’oggettività, ha cominciato a negarla sostenendo che si tratta di una illusione. Il processo si è allargato gradualmente , indotto dal pragmatismo funzionale, dall’edonismo e da un’idea astratta, nel senso di una libertà non realizzabile, ha finito per investire tutti i concetti fondamentali che, svuotati del contenuto, hanno finito per essere solo involucri formali. In altre parole, soggettivizzandosi, la ragione si è anche formalizzata. Funzione e formalizzazione hanno radici nel contingente, finiscono per esprimere una visione di corto respiro, tese a un risultato immediato. Questa forma di rinuncia all’utopia progettuale si traduce nel campo dell’arte, nella banalizzazione del reale, nella pretesa di dare espressione a una soggettività priva di significato ontologico. L’aspetto ludico-mondano prevale sulle potenzialità gnoseologiche dell’arte. Dalla commistione di strumenti e mezzi, si è passati alla confusione dei generi; arte, moda, design, sono sempre meno distinguibili. E’ dubbio che simile sovrapposizioni espressive valorizzino l’arte .
Piergiorgio Firinu
Feci arte
L’attuale guerra in Libia è solo l’ultimo degli episodi di soprafazione dell’occidente nei confronti di popoli che, al di là della retorica ufficiale, vengono considerati con sufficienza, ai quali abbiamo la pretesa d’imporre la nostra idea di democrazia. In realtà quei popoli sono eredi di civiltà molto antiche. Non avremmo i computer senza la scienza di Muhammad Ibn Musa al-Khawarizmi che inventò l’algebra alla fine ‘500. La sua scienza servì come base, cinquant’anni dopo al monaco inglese Jhon Napier per l’invenzione dei logaritmi. Il concetto di “selvaggio” è espresso così nell’ Encyclopèdie: “ Popoli barbari, che vivono senza ordinamento civile senza leggi, senza religione e non hanno fissa dimora”. Definizione scritta quasi contestualmente al periodo in cui vi era un tripudio di testi sulla tolleranza, Voltaire, Hume, Locke. Gli spagnoli intanto avevano compiuto il genocidio di Aztechi e Maya in America per impadronirsi dell’oro, che quei “popoli selvaggi” non consideravano prezioso, il bottino veniva spedito a Carlo V, e poi a suo figlio Filippo II, e rese possibile il secolo d’oro della Spagna. L’illuminismo, in mancanza di testimoni degni di fede, farà ricorso alla fantasiosa “ragione” per stabilire alcune “verità”. Raynal, Buffon, de Pauw, hanno negato che i selvaggi del Messico e del Perù abbiano potuto costruire palazzi. Solo dopo che Jussieu e gli accademici, tornati dall’America, hanno dato la loro testimonianza, Buffon e gli altri hanno dovuto ricredersi. Aztechi e Maya erano popoli antichi con un proprio ordinamento sociale, proprie leggi e religioni, ma nulla di tutto questo è bastato a salvarli dal genocidio che gli spagnoli attuarono senza pietà. Non diversamente si comportarono gli inglesi. Mentre i loro filosofi in patria sproloquiavano di tolleranza, le truppe di sua maestà britannica, massacravano ,soggiogavano, depredavano popoli che consideravo incivili. Segui lo sterminio dei pellerossa, nativi del continente nord americano. Queste verità non sono scritte nei libri di storia, oppure sono scritte in forma decettiva. Ancora nel 1961 Frantz Fanon descrisse in “ I dannati della terra” i misfatti coloniali. L’immigrazione di massa è una sorta di nemesi. Come scrive Chatelet: la storia insegna una cosa sola, che non insegna nulla. Nel secolo dei lumi vi è un grande interesse per il selvaggio, a partire dalla pubblicazione nel 1703 dei Dialogues del barone de la Montan, l’attenzione per il selvaggio permea tutto il secolo. Bougainville mette in bocca a un vecchio tahitiano un discorso d’addio a Diderot, tra lo scherzoso e impertinente, il linguaggio del selvaggio è pieno di consapevolezza: “ Siamo innocenti, siamo felici; tu con la tua scienza puoi solo nuocere alla nostra felicità. Noi seguiamo il puro istinto della natura…” Già prima Montaigne aveva data la parola ai “selvaggi” anche se da un punto di vista sostanzialmente diverso. Eccettuato Rousseau, nessuno mette in dubbio che la socialità sia un fatto di natura. Chi non condivide questa idea diventa un reprobo. Henry David Thoreau, si laureò all’università di Harvard, Boston, scrisse Walde – Vita nei boschi – e nei boschi andò a vivere. Per questo fu considerato tutta la vita un eccentrico e venne imprigionato, perché si rifiutava di pagare le tasse che considerava ingiuste. Verrebbe da supporre che la nostra civiltà non tollera coloro che amano la natura e non si accodano al pensiero unico di volta in volta mutante per blocchi compatti. Non bisogna disturbare la “scienza” impegnata costantemente a deturpare la natura, distruggerla, appropriarsene, sembriamo intenzionati a proseguire sulla stessa strada, nonostante i ricorrenti disastri. Allo stesso modo con i popoli che non corrispondono ai nostri parametri di civiltà, buon governo e democrazia, ci riteniamo autorizzati a intervenire con massacri a fin di bene. Circa un secolo dopo l’addio del vecchio tahitiano a Diderot, ci penserà Paul Gauguin ,uno dei nostri geni, a portare insieme alla sua arte, di cui gli isolani non sapevano che farsene, anche la sifilide. Il celebrato pittore contribuirà ad infettare buona parte di Thaiti. Un’arte non si impossessa della vita, come scrive Henri Focillon, nella migliore delle ipotesi la esprime. Se disuguaglianza e proprietà nascono insieme, come sosteneva Rousseau, e non era l’unico, significa che nel momento in cui l’arte diventa patrimonio privato contribuisce alla disuguaglianza. Pensiamo all’arte africana, ispirata da antichi miti, credenze, con radici nell’animismo religioso, rappresentava tutto ciò in cui credeva la tribù, era parte della vita di quei popoli, il fattore estetico era solo uno degli aspetti. Che cosa rappresenta l’arte oggi, non è dato capire, forse esprime semplicemente il cattivo gusto e l’ansia di accaparramento della borghesia. Mentalità ben espressa da una delle “grandi collezioniste americane”. Electra Havemeyer Webb che scrisse: “ Quando si è collezionisti, si compra e poi si può chiudere l’oggetto acquistato nel cassetto di un comò o lo si ripone imballato in una cassa, non importa; quello che conta e sapere che lo possiedi”. Non sono necessari commenti a simili aberranti affermazioni. Oggi come ieri si denunciano i mali prodotti dalla disuguaglianza , dall’eccesso della ricchezza, soprattutto la moltiplicazione dei bisogni fittizi. Turgo capovolge il senso e vede nella uguaglianza dei selvaggi un segno d’inferiorità. Raynal a sua volta fa l’elogio della proprietà privata generatrice di progresso. L’arte prontamente si adegua. I sociologi dell’arte non hanno messo in evidenza che, se è vero che l’arte religiosa e celebrativa di un tempo non raffigurava il popolo, è altrettanto vero che il popolo poteva liberamente fruirne visitando chiese, palazzi, edifici pubblici. L’arte di oggi non solo è distante dalla natura, ma anche dalle persone, quello che un tempo era detto “il popolo”. E’ paradossale vedere come vengono saccheggiate chiese , trafugate opere religiose, cori lignei, altari, confessionali, tutto si riversa sul un mercato “clandestino”, ed è utilizzato in funzione di arredamento nelle case di ricchi, spesso atei. Non c’è dubbio che lo sviluppo figurato di una concessione religiosa non appartiene solo al cristianesimo. Le mirabili sculture ispirate al buddismo, tutte le rappresentazione delle divinità indiane sono di grandissima suggestione. L’iconografia buddista si svolge intorno alla raffigurazione di divinità impassibili, la vita come commentario e simbolo di una filosofia che non ha riferimento al sacro, ma allo spirituale, oltre, alla copiosità di avvenimenti distribuiti in cicli definiti: jatakas, o esigenze interiori. La lenta agonia dell’arte occidentale ha come conseguenza la produzione di forme aberranti, raffigura tutto ciò di triviale e laido. E’ di questi giorni la notizia che uno scultore tedesco ha eseguito una scultura con una poliziotta intenta a orinare. Non l’unico caso. Questa è l’arte oggi. La sintassi della forma ha creato un vocabolario che sopravive alla sintassi, anche ora che ha perso ogni vitalità. Bisognerebbe agire con l’arte come i cercatori d’oro,i quali setacciano tonnellate di sabbia per trovare una pepita. L’arte di oggi ha rinnegato la verità accodandosi a certa filosofia, non ha più la forza della rappresentazione, tanto meno della protesta, essa è prigioniera di una sorta di coazione a ripetere. Sostiene Vezelay: i contemporanei odiano il bello perché li mette in stridente confronto con la loro bruttezza interiore.
Piergiorgio Firinu
Effetti collaterali
Dibattere a favore o contro la parità uomo donna equivale a discutere sulla differente importanza del cielo e della terra, intesi non come entità metafisiche, ma nella loro materiale concretezza. Detto questo non è un caso se capitalismo, trasgressione, femminismo, arte, sono spesso abbinati. Quando le prime avanguardie si batterono contro quella che consideravano arte accademica, religiosa e celebrativa, affermavano che l’arte doveva esprimere i sentimenti e cultura popolare. E in effetti le prime opere furono orientate in questo senso. Ma nel breve volgere di tempo la natura del processo di creativo, legato a uno stato di inquietudine , conflitto, senso di ribellione, si tradusse in autoreferenzialità. Quale significato si dovrà mai attribuire al “capolavoro” di Pablo Picasso, Les Demoiselle d’Avignon del 1907 che, non a caso, occupa un posto d’onore nel Museo d’Arte Moderna di New York. Esaltazione delle case di tolleranza e della prostituzione? La storia del collezionismo dell’arte contemporanea, registra una massiccia presenza femminile, specie negli Stati Uniti, dove mogli di miliardari a capo di trust monopolistici, avevano disponibilità economiche e tempo per dedicarsi al costoso “hobby” del collezionismo. Potter Palmer, Stewart Gardner, Lousine Havemeyer, Geltrude Stein, Katherine S. Dreiser, Electra Havemeyer, Abby A. Rockfeller, Peggy Guggenheim, sono alcune delle donne che influenzarono il collezionismo americano. Aline B. Saarinen, critico del New York Times, in uno slancio di megalomane solidarietà femminista, arriva ad attribuire a Lousine Elder in Havemeyer, il merito di aver dissuaso Degas dal rinunciare alla pittura acquistando per 500 franchi un pastello dell’artista ridotto alla disperazione dalla miseria. Molte di queste donne furono attive nel promuovere il movimento femminista che dall’Inghilterra si era diffuso in America. Tuttavia vale la pena notare che, nonostante fossero numerose le donne attive nella vita sociale e nel collezionismo, erano poche le artiste che entrarono nelle collezioni americane. La questione dovrebbe essere meglio approfondita. Tra le ricche collezioniste, spicca Lousine Havemeyer, che ereditò dal marito, capo del monopolio dello zucchero, una fortuna colossale, e fu tra le maggiori attiviste del movimento per l’emancipazione femminile. Oltre a lei si distinsero, Lucrezia Mott e Elizabeth Staton, entrambe miliardarie. La fine dell’800 e l’inizio del ‘900’’ fu il periodo in cui era molto attivo il movimento femminista, nello stesso periodo il lavoro degli uomini nei campi, nelle fabbriche, e soprattutto nelle miniere della Pennsylvania, era estremamente duro. Non si contavano gli infortuni sul lavoro dovuti alla condizioni in cui gli uomini erano costretti a lavorare con turni massacranti di lavoro. I proprietari delle miniere e delle terre e delle fabbriche in cui questi uomini consumavano le loro vite, erano i mariti delle donne che spendevano somme enormi in oggetti, opere d’arte, costruzione di favolosi palazzi, addirittura castelli, come quello sulle sponde del lago Michigan costruito dai Potter Palmer. Tutto questo suscita una domanda: quanto l’arte può influenzare la società? Il femminismo è in realtà un movimento reazionario, l’arte, così come è andata configurandosi, finisce per essere una attività irrilevante al fine di un maggiore sensibilità sociale. A proposito del femminismo, va rilevato che la proposta di voto alle donne venne presentata a un convegno a Seneca Falls, New York, nel 1848, poco dopo che il diritto di voto per gli uomini era stato concesso indipendentemente dal ceto sociale e dalle proprietà possedute. Diversa la situazione nella Russia sovietica dove il problema del femminismo non si pose, le donne avevano pari dignità e pari oneri. Come scrisse Lenin: la conoscenza non ha genere, richiede solo un minimo di creatività. Quindi stupisce che, nonostante il grande potere economico e politico delle donne nella società americana, il numero di donne che emersero nei settori della scienza, della cultura e dell’arte, sia stato assolutamente modesto. Le scrittrici attiravano l’attenzione soprattutto per l’argomento scabroso dei loro scritti, come avvenne con Mary Therese MacCarthy che scrisse “Il Gruppo” “Cioccolata a colazione” ed altri testi che per l’epoca potevano considerarsi di contenuto pornografico. Non sembra trovare risposta il problema se debba essere attribuita maggior importanza al superamento delle classi, stabilendo una reale uguaglianza tra le persone, oppure se effettivamente possa essere considerato preminente il rapporto tra generi. Oggi più di ieri la situazione economica è la vera discriminante, realtà che non sembra essere accettata nonostante sia di solare evidenza. D’altra parte non stupisce che gli USA abbiano dato l’avvio a una serie di fenomeni negativi che hanno influenzato il mondo. John Quin, nato nel 1870 a Sandusky, una cittadina dell’Ohio, diventato uno dei più importanti avvocati e collezionisti d’arte degli USA, scrisse: “detesto la banalità di questo paese, la sua rozzezza, la mania della velocità, la mancanza di gusto, la frenesia di accumulo di denaro”. La ricchezza spropositata dei collezionisti USA ha avuto influsso negativo sull’arte. Il cattivo gusto dei ricchi nababbi, l’ansia di mondanità delle loro mogli, ha assunto un peso preponderante nell’orientare le scelte dell’arte in un periodo di contrasti e trasformazioni sociali, culturali, artistiche. L’arte è stata trasformata definitivamente merce. In base alla legge di Jean-Baptiste Say: “la produzione crea la propria domanda”, gli artisti che sono stati messi nella condizione di produrre, hanno trovata ospitalità nelle sontuose sale dei musei, hanno avuto enorme vantaggio rispetto a quelli che sono stati ignorati. Ad esempio furono rarissimi gli artisti italiani dell’epoca che entrarono a far parte delle collezioni americane. Si attuava la legge di Gresham: “ la moneta cattiva scaccia quella buona”. Il danno all’arte deriva anche dell’anomala, esagerata, quotazione delle opere che ha reso impossibile alle persone normali acquistare opere d’arte. Infine, essendo il mercato dell’arte all’epoca, appannaggio quasi monopolistico delle miliardarie americane, gli artisti da loro scelti, trovarono posto nella storia dell’arte che, come la storia dei popoli, è scritta dai vincitori. Oggi le opere degli artisti favoriti dai ricchi americani, hanno raggiunto quotazioni stratosferiche, certi artisti sono diventati icone collocate nei santuari dell’arte detti musei, sarebbe impossibile metterli in discussione. E’ paradossale che personaggi che consideravano se stessi rivoluzionari siano diventati mostri sacri, sui piedistalli del conservatorismo nell’arte. Il critico e filosofo Alexandre Kojève ha scritto: “..Picasso riesce a fare un quadro solamente una volta su cento in cui mette i colori sulla tela”. Forse non è un caso se fu un ex clown, Sagot, il gallerista che per primo fece conoscere le opere di Picasso a Leo Stein, che con la sorella Gertrude, fu tra i principali propagandisti del pittore catalano. Non si sottolinea mai a sufficienza come l’influenza degli americani segnò in modo negativo tutto il successivo sviluppo dell’arte in Europa. In l’Inghilterra dominava la l’utilitarismo di John Stuart Mill, in America il pragmatismo dei filosofi del ventre, con William James capofila. Queste correnti di pensiero furono determinanti nel successivo sviluppo del pensiero sociale e politico che condizionò l’arte riducendola all’infimo livello in cui oggi si trova.
Piergiorgio Firinu
Teoria dell'intenzionalità
Oltre alle bugie, sembra che anche le ideologie abbiamo le gambe corte, nel senso che prima o poi si arriva al redde rationem. Vi è una sorta d’inganno relativo all’uguaglianza nel pensiero etico e politico dell’occidente, che abbonda di richiami alla uguaglianza, trascura il fatto, rilevato da Pisier-Kouchner, che l’avvento del suffragio universale coincide con quello del declino della legge. Per sfuggire ai dettami della legge si mette in ridicolo la legge stessa e suoi riferimenti etici, operazione che lascia aperta la strada alle manifestazioni di libertà, intesa come edonismo e mercantilismo le cui radici lontane sono già nelle teorie di Marsilio da Padova. Frammentato tra generi, il meccanismo di dominanza si ammanta di buone intenzioni; democrazia e libertà sono i cardini dell’ideologia dell’occidente, la cui applicabilità ha la stessa concretezza del paradiso. Aumenta quindi il ricorso a succedanei edonistici che diventano l’unica espressione di libertà. Per questo la distanza tra propositi e realtà non trova compimento nella storia. Nel 1830 l’abate Migne, nel Dizionario degli errori,anticipava le confutazioni dei marxisti, in primo luogo di Lenin, e accusava Kant di essere agnostico in materia di conoscenza, inutile e astratto in materia di morale. E’ significativo che in Francia, nazione nota per il gran potere concesso alle cortigiane e alle concubine del “re”, ieri come oggi, una finta preoccupazione morale abbia conquistato tutte le sfere della produzione intellettuale, ed abbia un ruolo importantissimo fin dalla prima metà del ‘900. Ma è una morale per così dire unidimensionale, in una tautologia che teorizza “l’uguaglianza tra uguali”, messa in crisi dall’immigrazione. Così come nella vicina Inghilterra dove si sprecano gli inni alla tolleranza, mentre la arroganza razzista era già manifesta nelle espressioni del poeta ufficiale dell’Inghilterra vittoriana, Rudyard Kipling, cantore della superiorità dell’uomo bianco, adulto e civile, “che con la sua intelligenza industriosa , il suo coraggio e la sua generosità, si propone come modello e padrone dei popoli del mondo intero”. Nella civilissima Inghilterra, considerata la patria della democrazia e del femminismo, ancora XIX secolo la pedofilia fosse legale e, come scrive Reay Tannahill, in “Storia dei costumi sessuali”, erano centinaia i ragazzi di 12 anni o meno, che si prostituivano per le strade di Londra. Negli stessi anni la polizia di New York, stimava in 20000 gli adolescenti disponibili sul mercato del sesso. Ancora più sviluppato il concetto di libertà apparente, nei testi dei teorici tedeschi che si avvalgono di metodi originali, per esempio fenomenologici. E’ quasi divertente leggere Max Scheler che confuta Marx, o più esattamente, tenta di superarlo dandogli un contenuto che non ha altra originalità che quella di presentare in modo più ingegnoso il quadro dei valori tradizionali disposti secono la solita gerarchia ; il metodo si riduce a desumere da Edmund Husserl la teoria dell’intenzionalità per assicurare il realismo dei valori senza compromettere la posizione del soggetto. Da allora tutte le filosofie dei valori si dibattono nelle stesse acque. Quali che siano le fonti a cui si abbeverano , la psicologia fenomenologica, la psicologia animale e la reincarnazione etologica propugnata da Konrad Lorenz, la cosmologia razionale di Teilhard de Chardin, oppure il cinismo scientifico di Jacques Modod. Le varie ermeneutiche e sociologie sono prigioniere nella camicia di Nesso tra libertà e sottomissione senza la quale le leggi non hanno valore. I’uguaglianza è soltanto un mito che serve mascherare gli interessi privati di pochi. Tocqueville afferma che il potere si rafforza con l’aspirazione all’uguaglianza perché gli esseri umani preferiscono l’asservimento nell’uguaglianza alla libertà senza uguaglianza. L’occidente, con una buona dose d’ipocrisia, ha risolto il problema perché ha capito che basta promettere l’uguaglianza, e al più concedere l’uguaglianza formale. E’ significativo che il marxismo, negli sviluppi a cui lo condusse l’ortodossia sovietica, abbia esattamente l’uguaglianza come filo conduttore, e tuttavia non sfugga alla dicotomia tra, l’eroe positivo, descritto nei romanzi di Ilya Ehrenburg e nella pedagogia di Makarenko, che si distingue dalla massa e funge da simbolo. Ideologia morale e coscienza morale, l’una tenta con scarso successo di riprodurre l’altra con il gioco delle istituzioni giuridiche e pedagogiche. Intanto una certa idea di giustizia langue inapplicata, sommersa nel mare delle buone intenzioni. Oggi, nell’epoca che si richiama all’ideologia della scienza”, anche la morale, passata al vaglio di una distorta ragione e diventa problematica. L’arte, che dalla ragione si è sempre detta lontana, annaspa alla ricerca di un qualche appiglio che la giustifichi . L’idea di libertà propugnata da Bayle e da Kant vacilla sotto la spinta dell’autonomia della volontà. Nella nostra era, le rivoluzioni nel mondo occidentale non sono più possibili, frenate dai cavalli di Frisia dei consumi e dei vizi diventati diritti. Così, mentre si inneggia all’uguaglianza, ci si perde in un intimismo solipsistico senza pari. Il mondo femminile, con la sua epidermica sensibilità, ha preso il sopravvento. L’inquieto terzo mondo si dibatte nelle contraddizioni tra desiderio ed emulazione dell’occidente, nella corsa alla soddisfazione consumistica che non può essere soddisfatta nei paesi d’origine, non solo per ragioni economiche, come dimostrano le sommosse nei ricchi paesi arabi, ma per ragioni culturali, religiose, e per le tradizioni secolari, spazzate via dal miraggio del consumismo che spinge masse di persone verso il bengodi dell’occidente. Dopo il colonialismo, anche oggi provochiamo danni dei quali non siamo disposti a pagare il prezzo, incluse le conseguenze che seguirebbe all’esplosione dei consumi che metterebbero in crisi la disponibilità delle risorse del pianeta. Incapaci di liberarci dal compulsivo consumo del superfluo, finiamo per trasmettere agli altri popoli questa nostra sindrome. Siamo ben lontani dalla filosofia che ispirava gli antichi filosofi greci. Si narra che Aristarco di Soli, rimase 58 anni a contemplare la vita delle api senza fare null’altro. Intenzione, azione, risultato, tre termini dei quali non sappiamo trarre la necessaria consequenzialità, circondanti come siamo da morosofi.
Piergiorgio Firinu
Teleologia della libertà
L’esame dello sviluppo storico artistico dimostra che i valori si influenzano gli uni con gli altri. Il filo conduttore è il gusto dell’epoca, che a sua volta nasce da situazioni culturali ed economiche. Le opere d’arte prescindono dal pensiero politico progressista o conservatore. Non c’è dubbio che un artista avrà tanto maggiore successo quanto più saprà rappresentare i valori del suo tempo, anche quando sarà così abile da dar l’impressione di andare, come si suole dire, controcorrente. E’ altrettanto certo che l’origine sociale dell’artista ha un’influenza notevole nella sua concezione artistica. Non è infatti pensabile che una persona costretta a un lavoro che consente un minimo di sopravvivenza, possa avere possibilità e modo di dedicarsi all’arte. Questo spiega l’origine borghese, quasi sempre piccolo borghese, degli artisti, oggi come ieri. Il fatto che un artista che aderisce all’idee del socialismo, piuttosto che a idee politiche reazionarie, non fa di per se un artista migliore. Valori sociali e valori artistici non corrispondono, non si presuppongono a vicenda e non si lasciano dedurre gli uni dagli altri; essi sono semplicemente incommensurabili. E tuttavia, come scrisse George Orwell nel suo Critical Essays del 1946, , fra loro deve esserci “ un qualche nesso”. Il paradosso inevitabile dell’arte consiste in parte nella circostanza che questo nesso di valori è per l’estetica altrettanto determinante quanto la loro incommensurabilità. Utilità sociale e significanza artistica non hanno alcun rapporto. Il problema ha radici culturali nella sensibilità e nella cultura, o forse sarebbe più appropriato dire avevano, dal momento che a partire dall’inizio del secolo scorso, è prevalsa una situazione in cui ha maggior peso la risonanza mondana che gradatamente ha eclissato il fattore culturale. Ruskin e William Morris procedevano dal presupposto che la buona arte può venir prodotta soltanto in una società “sana”, accanto alla giusta concezione che il senso della responsabilità sociale crea un’atmosfera favorevole all’arte. Va da se che il concetto di “sanità sociale” è enormemente complesso, in continua mutazione, pertanto ogni volta soggetto a tentativi di definizione; di certo nella nostra epoca tecnologica, il concetto di libertà, principio di una società sana, non è legato a fattori etici. Senza dubbio tutti valori possono essere, apparenza, giustificati con l’abile uso del linguaggio. Un filosofo che voglia giustificare le proprie passioni, saprà trovare riferimenti e teorie per dare al proprio agire, non solo una base razionale, ma una giustificazione sociale, la teleologia della libertà, il rapporto tra fini e senso della propria vita. Il risvolto negativo della cultura di massa consiste nel fatto che non si pone traguardi ideali, piuttosto cerca giustificazioni alle proprie preferenze personali. Così accade che il carattere utopico di ogni dottrina artistica, dal momento che l’arte non è codificabile, cosa contraria al concetto stesso di arte, lascia ampio spazio alle più strampalate teorie che costituiscono la base di una agire artistico che contribuisce al degrado generale. E’ in questo alveo d’incertezza che si depositano le uova del serpente, un’insidia alla sostanzialità umana in contrasto con secoli di tentativi filosofici per contribuire alla formazione di un essere umano migliore. E’ infatti difficile sostenere che, in parallelo ai progressi della scienza e della tecnica, è progredita la qualità umana, la sua completezza e felicità. E dunque appare quanto meno triste che innumerevoli opere d’arte, letteratura, teatro, cinema, esprimano una sorta d’ineluttabilità dell’infelicità umana, quando le soluzioni all’incongruenza si possono trovare almeno in parte nell’accettazione di valori che nascono dall’oggettiva realtà di una vita che impone regole e ritmi che certo non possiamo regolare tramite computer. Purtroppo mai come oggi la maggior parte degli artisti è in perfetta sintonia con il loro tempo, terrorizzati dal mancato riconoscimento sociale. In tutta la letteratura classica Euripide è stata l’unico tra i grandi che abbia avuto davvero un orientamento che oggi definiremmo di ideologia progressista, infatti non ha riscosso successo tra i suoi contemporanei. Ciò non ci deve indurre a confondere la situazione di difficoltà di molti artisti, van Gogh, Modigliani e altri che operavano in epoca in cui il mercato dell’arte, pur essendo già determinato dal gusto borghese, non aveva ancora assunto gli aspetti mercantilistici di oggi, era dunque un periodo di trasizione non favorevole agli artisti. I grandi periodi rivoluzionari della storia, non hanno coinciso con i rivolgimenti dell’arte. David era un artista classico di grande successo. La rivoluzione Russa portò al realismo socialista. I Futuristi ebbero impulso dall’ideologia fascista e furono entusiasti sostenitori del progresso dell’industria, dall’esaltazione delle macchine. Così, nell’era del trionfante consumismo, ebbero successo gli artisti della Pop Art. Non sempre vi fu lo stesso grado di tolleranza verso gli artisti. T.S. Elio ed Ezra Pound furono senza remissione classificati come reazionari, mentre Balzac, non solo fu osannato dalla critica, ma fu uno degli artisti preferiti da Marx, nonostante che forma e contenuto dei suoi romanzi non possano certo essere classificati come progressisti.
Piergiorgio Firinu
Il gusto: Creso in America
Forse nessun campo come quello dell’arte, è ricco di luoghi comuni, e affermazioni apodittiche. A partire dalla non meglio definita “ispirazione dell’artista”. L’idea, smentita dalla realtà storica, sulle ragioni dell’approccio al collezionismo che si vuole disinteressato, quando è noto che l’interesse è di natura economica, del tutto legittimo. Il collezionismo femminile è particolarmente motivato da ambizione mondana, ragioni che motivano il collezionismo di opere d’arte. Basta leggere i resoconti delle trattative tra Bernhard Berenson e Mrs. Stewart Gardner. E’ illuminante osservare la genesi del collezionismo in USA, il diffondersi in quel paese dell’arte contemporanea di origine europea. Balzano agli occhi la preponderante presenza femminile. La prima grande manifestazione di arte contemporanea, la “World’s Columbian Exposition”, fu organizzata a Chicago da Mrs. Berthe Potter Palmer moglie di un ex droghiere. Costui si era arricchito con speculazioni immobiliari. L’esposizione avvenne nel castello dei coniugi. Costruito intorno al 1893, la dimora costò una somma enorme. Avrebbe senza dubbio potuto essere realizzata da Le Duc. Era una sorta di tempio della ricchezza e del cattivo gusto. La Chicago dell’epoca era la culla di operatrici sociali, tra le quali spiccava Jane Addams. Tutte si dedicavano all’arte e agli artisti in modo continuativo, visto che i ricchi mariti mettevano loro a disposizione ingenti somme di denaro. Il livello culturale si desume anche dal fatto che, agli ottomila visitatori della W.C.E. venne fatto dono un cucchiaio che nella parte concava aveva in rilievo la riproduzione del castello dei Palmer, dov’era avvenuta la manifestazione. Oltre al castello, i coniugi Palmer possedevano un albergo, il Palmer House, come il castello, era un inno al cattivo gusto, tanto che Rudyard Kipling che vi soggiornò lo definì’ “un enorme conigliera dorata”. Fu quello l’ambiente nel quale Gertrude Stein ebbe il primo approccio con l’arte europea, l’allora paffuta ragazzina di San Fracisco, fu particolarmente colpita dalle opere di Degas e Pissarro. Tra i nuovi ricchi americani era una gara soprattutto nel costruire magioni sfarzose e non solo, visto che a Naschville è stata contruita una copia esatta del Partenone di Atene William Henry Vanderbilt, aveva un patrimonio di 90 milioni di dollari, messo insieme con traffici marittimi e le ferrovie, fece costruire a New York, nella Fifth Avenue, un palazzo in stile tardo gotico francese. Isabella Stewart Gardner, nota soprattutto per la lunga teoria di amanti tra artisti, alcuni più giovani di 20 anni, scrittori, e personaggi del mondo dell’arte e della cultura. Costei fece costruire un palazzo fastoso a Boston. McCormick, la terribile figlia di John D. Rockefeller, viaggiava su una Rolls-Royce color prugna con autista in livrea dello stesso colore. Anche in viaggio la Palmer non perdeva occasione per esibire la sua ricchezza. Le cronache dell’epoca raccontano che durante un viaggio verso l’Europa con la nave a vapore Kaiser Wilhelm der Grosse , la Palmer fece il suo ingresso nel salone dove veniva eseguito un concerto, con una tiara di diamanti grossi come nocciole, un corsage tempestato di diamanti , un solitaire grosso come una palla da tennis, un pettorale di diamanti, al collo una collana con triplo filo di perle. Per comportamenti personali ognuno risponde a se stesso della propria condotta. Ciò che interessa mettere in chiaro, attraverso queste notazioni storiche, è il livello di gusto e cultura dei personaggi, che influirono in modo rilevante sull’evolversi del collezionismo alla fine dell’800 in USA, periodo in cui ebbe inizio il percorso del collezionismo americano. La cosa riguarda anche l’Europa, in quanto quelle inclinazioni del gusto, si tradussero in seguito, in massicci finanziamenti all’arte autoctona e in ragione della potenza economica americana, ebbero un notevole riflesso in Europa con le conseguenze che conosciamo. Partendo dal fatto che i collezionisti d’arte non sono spettatori passivi di quanto accade, ma attraverso gli acquisti e il mecenatismo, esprimono le loro condizioni, fanno valere un certo tipo di gusto, non c’è da stupirsi se, quanto accadde allora, fu preludio a quanto doveva accadere in seguito. Con una differenza; alla fine dell’800 gli USA non avevano ancora l’influenza che avrebbero avuto in seguito, soprattutto dopo la seconda guerra mondiale. Considerato il livello culturale dei ricchissimi collezionisti e i loro gusti, non sorprende che i galleristi ne assecondassero le scelte. Il primo ad aprire una galleria d’arte moderna a New York nel 1832, fu Luman Reed, ex droghiere, guarda caso lo stesso mestiere che aveva esercitato il marito della miliardaria Palmer. Oltre a Luman ad interessarsi attivamente dell’arte contemporanea furono Thomas Jefferson Bryan e James Jackson Jarves. Alla morte di Reed, nel 1836, i suoi amici misero insieme 13000 dollari per acquistare le opere della galleria sperando di costituire una galleria permanente a New York, ma non riuscirono nel’intento e furono costretti a cedere l’intera collezione alla New York Historical Society. Più o meno la stessa sorte toccò a Thomas Jefferson Bryan, il quale fece acquisti in Europa e mise insieme 381 opere di antichi maestri, in maggioranza fiamminghi e francesi. Il valore dei dipinti, vista la poca preparazione di Jefferson, era piuttosto diseguale. Egli creo una galleria d’arte con il suo nome e impose il prezzo di 25 cents ai visitatori. Alla sua morte, nel 1870 anche la sua collezione finì alla New York Historical Society che, a quanto pare, era un’istituzione straordinariamente disponibile. Il più importante dei tre principali precursori del collezionismo in USA, James Jackson Jarves, trascorse dieci anni in Italia, durante i quali mise insieme una ricca collezione di primitivi italiani, dipinti con fondo oro. La collezione gli costò circa 60000 dollari. Nel 1859 egli li avrebbe ceduti volentieri per un terzo del prezzo pagato alla sua città natale Boston, per costituire il primo nucleo di un museo. L’offerta non interessò gli amministratori locali e neppure a quelli di New York ai quali egli offrì la stessa opportunità. Ridotto in difficoltà economiche nel 1867 egli propose l’intera collezione, costituita da 119 opere, alla Yale University, a garanzia di un prestito di 20000 dollari.. Si trovò presto in difficoltà nel pagare gli interessi e la Yale University mise all’asta tutte le opere. L’asta andò deserta e l’Università di Yale fu in certo modo costretta a fare un offerta di 22000 dollari. Con simile risibile somma si aggiudicò opere del Pollaiolo, del Sassetta, Gentile da Fabriano. Fu forse il più vantaggioso affare del nostro tempo sul mercato dell’arte. In compenso a Chicago si spendevano somme enormi per arricchire la collezione del Palazzo delle Belle Arti, nelle cui sale erano esposte opere con scene bibliche in cui occhi acquosi e bovini bastavano a definire il carattere mistico dei personaggi. V’erano cosacchi in baldoria, contadini seduti al desco e duelli piccanti rappresentati nei minimi dettagli. Ma soprattutto una lunghissima sequela di nudi femminili reclinati, inginocchiati, di schiena, sdraiati; nudi sovrastati da sciami di Cupidi, tanto che, un pur non raffinato collezionista come J.P. Morgan, durante una visita al Palazzo di Belle arti, disse che la selezione pareva essere opera di un comitato di cameriere. Il cattivo gusto si esprimeva anche nella esposizione di opere di un certo valore. La Palmer esponeva una lunga teoria d’impressionisti su pareti arredate con pelli di leopardo. E’ davvero terrificante che una genia di collezionisti del genere sia riuscita ad imporre il proprio gusto all’Europa, e alla fine imporre la Pop Art. Al di là delle speciose argomentazioni critiche, la Pop Art non è altro che la celebrazione del consumismo, in se stessa e nel significato di riferimento, e tuttavia ha trovato ampia accoglienza nei collezionisti europei che costituivano mercato più florido per gli artisti americani. Il resto è storia di oggi.
Piergiorgio Firinu
Nostalgia della Bellezza
Diderot, spesso definito il primo critico d’arte nel significato moderno del termine, riteneva che l’arte dovesse avere una funzione sociale , e perciò fu uno dei più importanti precursori del moderno funzionalismo nell’architettura, per quanto abbia scritto relativamente poco in questo campo. La pittura che più ammirava, e sulla quale si soffermò molto nelle sue opere, era il realismo moralistico preromantico di Greuze, che egli considerava socialmente utile perché, come rappresentazione letterale e contemporanea della vita quotidiana del popolo, poteva essere compreso da tutti ed educare impartendo una lezione morale. Questa annotazione, rende chiaro quanto sia stata grande e fuorviante l’illusione dell’illuminismo sulla reale tendenza e interesse delle masse. La voce “Arte” nel primo volume dell’Encyclopédie, pubblicato nel 1751, ritenuta dagli studiosi, quantunque non firmata, opera di Diderot , riaffermava la tradizionale distinzione tra arti liberarli e quelle meccaniche , più o meno corrispondente a quella fra belle arti e mestieri. Tuttavia nel supplemento all’Encyclopédie, aggiunto nel 1776 e nel 1777, compare un’altra voce, nella quale la trattazione delle “arti liberarli” era stata affidata a Marmontel , e che conteneva una lunga sezione intitolata “ Beaux Arts” tratta dalla Allgemeine Theorie der Schonen Kunste, di Johann George Sulzer. E per quanto Diderot non avesse avuto nulla a che fare con questo supplemento, le idee in esso contenute finiscono naturalmente per essergli attribuite. Il supplemento non solo insisteva sul tentativo di dimostrare il valore sociale dell’arte, ma nella sezione dedicata alle “Beaux Arts” sosteneva che la grande epoca della libertà democratica ,dell’utilità sociale dell’arte era stata quella dei greci e degli etruschi, quando l’arte aderiva interamente alle finalità dello Stato. Ed era ispirata dall’estetico, ovvero dalla bellezza della forma. Al termine del quel periodo che aveva rappresentato l’età dell’oro per la libertà, i capi e i dignitari dello Sato separarono il loro interesse da quello della comunità, e di conseguenza “ le arti belle cessarono di servire al bene dello Stato si trasformarono gradatamente in merce, divennero arti di lusso, e ben presto si perse di vista la loro autentica dignità”. E’ quanto mai significativo che, da una diversa angolazione, anche Karl Marx abbia espresso grande apprezzamento per l’arte greca, ponendosi il problema di come fosse possibile che opere d’arte, nate in una situazione politica e sociale assolutamente diversa dall’epoca in cui viveva Marx, potessero esercitare ancora un tale fascino e attrazione. Domanda di una puerilità disarmante, vista la statura intellettuale di chi la formulava. La risposta è davvero elementare e si riallaccia alla non progressività dell’arte. Detto in altre parole, il bello è bello in ogni contesto e in ogni epoca, mentre le cervellotiche creazioni artistiche sono legate a un determinato periodo storico-culturale e, a prescindere dal loro supposto valore, diventano incomprensibili, e quindi non fruibili poste un contesto diverso. Se l’idea del declino dell’arte nel lusso richiama fortemente Rousseau, quella dell’arte al servizio del bene dello Stato prefigura una nozione di propaganda che venne poi adottata dai regimi fascisti e comunisti, ed ha tuttora una strascico nell’arte contemporanea sia pure con tutte le ambiguità tipiche della nostra confusa era. E’ degno di nota il fatto che ben prima di Sulzer e non diversamente dal successivo pensiero di Marx, Rousseau avesse elogiato l’arte classica e le repubbliche di Sparta e dell’antica Roma, considerandole espressione di libertà, tanto da indicare il popolo romano come modello di tutti i popoli liberi. Di fatto Rousseau più che un progressista è attratto dal primitivo. Nell’Emile, pubblicato nel 1762, reca come sottotitolo “De l’èducation”, egli afferma che il progresso è frutto del talento e del genio individuale , sviluppati mediante un educazione migliore in un ambiente sociale migliore, anche se rifiutava l’idea sostenuta da Helvétius suo contemporaneo e, in seguito , da certi radicali come i socialisti utopisti Fourier, Owen, Cabet, secondo cui l’individuo è solo ciò che l’educazione, compresa quella artistica, fa di lui. Rousseau è stato il primo convinto sostenitore dell’evoluzionismo sociale; e dato che per lui la storia era, conseguentemente il principale soggetto di ogni studio, molti suoi seguaci furono inclini a considerarla di grande importanza per l’arte. Nonostante Voltaire fosse rivale di Rousseau, quando scrisse la voce “Storia” per l’Encyclopédie, si preoccupò di stabilire l’autenticità delle origini , così che si ritrovò a incoraggiare un atteggiamento di rispetto per le culture primitive che lo stesso Marx doveva giudicare superiori a tutte le altre. Voltaire, non diversamente da Gian Battista Vico, considerava la Storia una scienza , ma Vico fu forse il primo a vedere nell’arte un importante aspetto dello sviluppo sociale, egli contribuì in misura rilevante alla formulazione , contenuta nella storia universale pubblicata nel 1756 e intitolata “Essai sur les moeurs” in cui viene evidenziato come la storia della civiltà si rispecchia in specie nelle opere d’arte da essa prodotte.
Piergiorgio Firinu
Colt e pennello
In questi ultimi anni sono stati scritti molti libri su natura e significato dell’arte, libri intelligentissimi le cui parole non hanno però significato, ma solo la funzione di rilevare positivamente ciò che esiste, un girare in tondo, con richiami a ciò che è stato per giustificare ciò che è, il tutto riducendo la visione agli ultimi decenni. Tiziano è archiviato, il riferimento ora è Duchamp. E’ stato messo in evidenza che, nella misura in cui l’arte diventa insignificante, l’artista assume maggiore importanza. Le insipienti affermazioni programmatiche, danno l’impressione di un procedere a caso. Interpellato perché un’opera del tutto insignificante come The girls of Chelsea poteva essere considerata un’opera d’arte, la risposta di Andy Warhol è stata: “ Prima di tutto è stata fatta da un artista, e in secondo luogo si rivela arte”. Difficile immaginare una maggiore povertà di logica e di linguaggio, una maggiore insignificanza tautologica. Eppure c’è chi supera tale miseria linguistica, e riesce ad andare oltre l’insipienza. David Smith scriveva nel 1953: “Per far nascere un’ opera d’arte valgono più il provincialismo, la grossolanità, l’incultura, che non la raffinatezza e il decoro”. Citiamo artisti americani, perché l’America è il paese che più di altri ha influenzato l’arte a partire dagli ultimi 50 anni. George Catlin, si limitò a dipingere scene del west e contribuì con la sua pittura far conoscere gli indiani d’America, disse: “ L’arte creativa ha più possibilità di scaturire dalla grossolanità e dal coraggio, che non dalla cultura”. Subito dopo, forse, trasse la Colt dal cinturone. E’ tuttavia difficile immaginare come “grossolanità e coraggio” possano tradursi in arte. Se riuscissimo a dare un peso specifico alla stupidità scopriremmo che è molto più pesante dell’intelligenza, ed essendo anche molto più abbondante, diventa chiaro perché la civiltà tende a scendere sempre più in basso. Come già aveva scritto Plinio nella Naturalis Historia, non è con l’occhio che si vede, ma con il cervello. Dunque un cervello involuto vede quello che vede e rappresenta quello che sa. Non è difficile capire perché hanno successo opere di assoluta banalità, meno facile accettare è l’influenza nefasta dell’incultura americana sul continente europeo, in paesi ricchi di storia come l’Italia. In origine, i primi, e per molto tempo i soli, a dare lavoro agli artisti furono sacerdoti e principi dell’antico Egitto. Gli artisti erano considerati alla stregua di operai. La tesi che attribuisce alle avanguardie la scoperta del formalismo geometrico è ampiamente smentita dalla storia. Le forme della vita sono impersonali e stazionarie, le forme artistiche vi corrispondono. Hornes sottolinea l’ostinato spirito conservatore che caratterizza lo stile e accompagna l’economia di una primordiale società agricola. Gordonn Childe nei suoi studi ha accertato che tutte le ceramiche di un villaggio neolitico sono uguali. L’accostamento all’arte americana dimostra che, mentre nelle ere primordiali vi era coerenza tra produzione artistica e livello dell’evoluzione della civiltà, le corbellerie spacciate come arte negli anni ’70 del secolo scorso, non hanno alcuna giustificazione storica e culturale, dal momento che nascono in una società progredita. L’arte rischia di essere soltanto espressione di decadenza, con prevalenza di motivazioni mercantilistiche e mondane. E’ un falso storico affermare che le donne siano sempre state escluse dal mondo dell’arte, è vero esattamente il contrario. Approfondite indagini antropologiche hanno dimostrato che l’arte religiosa era affidata ai sacerdoti e loro aiutanti, l’arte vera e propria era invece predominio delle donne, che avevano il compito quasi esclusivo di realizzare opere d’arte decorativa di raffinata esecuzione. Hornes collega il carattere geometrico dell’arte neolitica soprattutto all’elemento femminile. Lo stile geometrico, egli sostiene, “ è in primo luogo uno stile femminile, è reca i segni di ciò che è dolce, lineare, rassicurante”. Ci troviamo quindi di fronte a una serie di mistificazioni, dovute a ignoranza della storia dell’arte, ad una sostanziale ad arretratezza culturale. Come scrive Nelson Goodman: “ nella vita i problemi scaturiscono spesso dalle nostre debolezze; in filosofia essi traggono origine dalle nostre rinunce”. La massima perversa per la quale è giusto tutto ciò che è accettato dalla opinione comune, teorizzata da Arthur Danto e George Dickie , trova riscontro nell’accettare per convenienza, il responso del mercato. La coscienza umana è elusiva, soggetta a mutamenti, troppo facilmente ridotta al silenzio dalle difficoltà e dalle tentazioni. Parlare di coscienza e consapevolezza, diventa semplicemente una metafora ,quando si rinuncia a priori di giustificare i propri giudizi e scelte. Negli USA il pragmatismo, con John Dewey e W. James ha avuto uno sviluppo più che in altri paesi, ha ottenuto, tra l’altro, il risultato di ridurre tutto a interesse materiale, superando un limite che neppure Marx ha mai raggiunto. Creando conseguentemente una sorta di ignavia che, assommata a una cultura approssimativa, ha permesso che l’arte venisse gradatamente influenzata dalla più banale e peggiore produzione, dominata dal mercato, ridotta a merce di consumo.
Piergiorgio Firinu
La cosa umana
La massima latina "nomina sunt consequentia rerum", il nome della cosa è la cosa stessa sono inseparabilmente fusi; la mera parola o immagine cela in se stessa un magico potere grazie al quale ci è dato di appropriarci dell'essenza della cosa. E basta soltanto volgere questa intuizione dal reale all'ideale, da ciò che appartiene alla cosa a ciò che appartiene alla funzione, per scoprire effettivamente in essa un fondo di vero. L'acquisizione del simbolo costituisce sempre un primo e necessario passo per l'acquisizione della conoscenza obiettiva dell'essenza. Il simbolo costituisce per la conoscenza, per così dire, il primo stadio e la prima prova dell'obiettività perché, grazie ad esso, viene offerto un punto fermo al mutare del contenuto della coscienza, viene determinato e messo i rilievo un elemento permanente. Nella funzione simbolica della coscienza, quale si attua nel linguaggio, nell'arte, nel mito, si elevano dal flusso della coscienza determinate forme fondamentali che permangono sempre uguali, in parte di natura concettuale, in parte di natura puramente intuitiva; al posto del contenuto fluente sottentra l'unità chiusa in sé e in sé permanente nella forma. Il bisogno dell'ancoraggio dell'identità di specie svolta dal simbolo, è dimostrata dal fatto che ogni epoca, ogni stagione umana, crea i propri simboli. Si può in ipotesi sondare il livello della cultura di massa e l'innesto tra ragione e coscienza, proprio dall'osservazione dei simboli più diffusi nell’universo giovanile, e non solo. In contrapposizione al dilagare della tecnologia, vi è una fuga dalla razionalità dalla quale, essendo stato espulso ogni elemento di sacralità, o anche solo spirituale, non può che indurre al nichilismo fino all'annientamento. Il percorso del solipsismo materialistico chiude il cerchio con il consumo dell' uomo cosa. Deprivato da ideali e ragione chiuso nel cerchio della propria angoscia, nome della cosa, simbolo di una umanità che ha perso la speranza. Il dio di Heidegger non si è curato di noi.
Piergiorgio Firinu
Le opinioni degli altri
I Sumeri, sono stati il primo popolo che gli storici pensano abbiano utilizzata la scrittura per trasmettere le loro parole alle generazioni successive, coloro che li hanno preceduti usavano il disegno per dar forma a pensieri, evocazioni, sogni. Non vi era ombra d’inganno nelle prime pitture di Altamira e Lascaux, solo un bisogno di espressione spontanea. Oggi invece i libri di storia dell’arte contengono lunghe premesse, che servono a inquadrare le opinioni dell’autore e dare credibilità all’assunto. Non di rado emergono dettagli risibili. Renato Barilli “Arte contemporanea” (Feltrinelli 1984), pagina 11, della prefazione, scrive: “ …stanchezza per aver sperimentato troppo a lungo certi caratteri formali di segno opposto…”. La frase serve da premessa per giustificare le sperimentazioni delle avanguardie. La narrazione della storia dell’arte ha spesso un alto contenuto letterario. Il racconto è coinvolgente come un romanzo, come un romanzo parte da una realtà possibile e la sviluppa secondo la fantasia dell’autore, il quale con abilità, sovrappone alle opere la propria interpretazione “creativa”, sicchè, coinvolti nel racconto del romanzo-critica, la cui logica è predisposta nelle premesse, finiamo per abbandonare ogni difesa e lasciare che il nostro cervello assimili le opinioni dell’autore. Da quel momento le opinioni dell’autore diventano le “nostre” opinioni. Molto raramente è possibile una verifica diretta, l’osservazione delle opere dal vivo, nella maggior parte dei casi dobbiamo limitarci ad osservare fotografie. Anche il singolo artista subisce lo stesso processo di condizionamento. Non si spiegherebbe altrimenti perché, in determinati periodi storici, prevalgono modelli molto simili, perché gli artisti contemporanei abbiano, nella quasi totalità, accettato le nuove regole. Il lento processo che consisteva nell’accumulare conoscenza ed esperienza, non è più attuale. Ovviamente non significa che non sia più necessario. La frenesia dei tempi, la pressione del mercato, inducono alla rapida produzione di oggetti, spesso si tratta di produzione seriale. Orson Welles è stato buon profeta. Egli ha scritto: “ I grandi eventi tecnologici possono cambiare le nostre vite ma non creeranno una nuova forma d’arte. Possono creare una generazione di critici d’arte che diranno: “ questa è arte! “. “ . Le riserve che Isaia Berlin manifestava a proposito della filosofia, dovrebbero, a maggior ragione, valere per critica e storia dell’arte. Non c’è dubbio che l’elaborazione di spurie teorie, favorisce il deteriorasi del linguaggio dell’arte, della sua specificità, la capacità di dare forma al pensiero, pur innovando i mezzi di espressione. Realizzare opere che non ricalchino vecchi schemi, certamente è impresa ardua, talmente ardua che ha indotto alla resa la grande maggioranza degli artisti, e li ha indotti ad avventurarsi su strade che, con ogni evidenza, portano lontano da forme di espressione individuali, si affidano di preferenza a schemi meccanici e/o ad escamotage omologati, con una particolare attenzione all’attualità mondana. Da tempo non ha più alcun effetto la provocazione, ma questo non sembra aver indirizzato gli artisti su percorsi espressivi davvero originali, piuttosto li ha indotti in molti casi ad alzare il tiro, facendo ricorso al blasfemo, alla scurrile, adducendo che l’artista opera in una zona franca e gode della libertà d’espressione. Non c’è dubbio che le idee sono il mezzo più efficace per trasformare il mondo, l’arte inclusa, ma è necessario giungere a un esito tangibile che, nell’arte visiva, non può che essere materiale, e solo su questa base può e deve essere valutato. Gli effetti subliminali di decenni di teorie critiche, l’ossessione dal nuovo, dal progresso, si traducono in condizionamenti psichici, dai quali nasceranno idee che verranno utilizzate da artisti, intellettuali, filosofi, come giustificazione nel segno di un infinito, gattopardesco, ripetersi. Tutto ciò è in totale contrasto all’idea di libertà di pensiero, al contrario favorisce la passività. Sembra azzardato sostenere che il kitsch, il cattivo gusto, il “ già visto” e “già fatto” , se usati consapevolmente, possono essere nuovamente fruibili, e grazie alla decontestualizzazione assumono significati diversi. Se non vogliamo confondere arte e magia, dovremmo ammettere che tra le molti doti dell’artista non c’è quello di modificare le proprietà il iletiche delle cose.
Piergiorgio Firinu
Arte pro-paganda
Nel 2008, nello stesso periodo in cui scoppiò la più grave crisi economica dal 1929, venne battuta ad un’asta a Londra, un’opera di Damien Hirst, costituita in uno squalo in formalina. L’opera fu venduta alla riguardevole cifra di 26 milioni di sterline. Il valore dell’arte come mezzo di propaganda è stato riconosciuto fin dall’inizio del ‘700. Ci volle invece molto più tempo per rendersi conto della latente forza propagandistica, del significato e dell’efficacia ideologica delle creazioni artistiche, insieme alla consapevolezza, che al di là delle teorie gli artisti perseguono mezzi pratici, che essi spesso tradiscono, più di quanto dichiarano. Questo è un passo decisivo e veritiero del pensiero critico di Hauser. Il meccanismo fu già riconosciuto anche dai filosofi dell’Illuminismo francese, anzi fin dall’illuminismo greco. Il principio machiavelliano della doppia morale, la distinzione di Montaigne tra verità “ al di là e la di qua delle montagne”, la psicologia dell’ipocrisia e dell’autoinganno, espressa come verità dai moralisti francesi La Bruyère, La Rochefoucauld, Chamfort. Si è dovuta attendere la scoperta della razionalizzazione dei motivi e dei comportamenti che solo la psicanalisi chiamò per nome, anche se erano già noti molto tempo prima. Non importa quanto ci sia di ingannevole e riprovevole nei comportamenti, l’importante è che si rispettino le convezioni mondane in uso, anche se prive di ogni principio etico. I valori della contemporaneità sono esattamente speculari ai valori di un tempo. Si pensa che l’intellettuale, l’artista, agiscano in maniera sbagliata, in realtà essi, secondo la loro ottica, agiscono in maniera giusta, ubbidiscono alla loro falsa coscienza, non pensano in maniera sbagliata in rapporto all’obiettivo che si pongono, quindi agiscono in maniera corretta, in adesione ai valori che per loro costituiscono una priorità. E’ chiaro che il loro scopo è semplicemente motivato dal desiderio di ottenere influenza, prestigio, vantaggi sociali, entrare nel novero di coloro che ottengono successo mondano. La critica favorisce l’intento provocatorio, ed ha piena consapevolezza di essere espressione dell’ideologia della classe dominante alla quale il critico ed artista appartengono. I gruppi che dispongono del potere e della ricchezza, non potendo sollevare pretese dirette sui loro privilegi, mascherano loro interessi e scopi, principi, norme, abbellendoli e idealizzandoli. L’arte si presta in modo perfetto, consente ai ricchi di presentasi come benefattori degli artisti, come mecenati, in questo modo, non solo curano i propri interessi speculativi, ma attribuiscono legittimazione allo sperpero ostentativo, ovviamente con l’avvallo dell’artista che beneficia della magnanimità dei collezionisti, al di la di retoriche e spurie teorie, l’artista nutre l’ambizione di far parte delle èlite dominanti. L’arte stimola gli interessi del ceto che, per così dire, possiede il monopolio su di lei già attraverso il semplice rispecchiamento, la gratificazione sociale che deriva dalla presunta sensibilità al progresso. La esibizione della capacità di accogliere le nuove tendenze, fa parte di questo gioco decettivo. In questo modo non si ottiene solo il riconoscimento dei propri valori sociali, ma s’impone il gusto, si determinano le tendenze. Alla fine di questo ciclo, si monetizza il tutto, atteggiandosi a benefattori della cultura si ottengono vantaggi economici rilevanti. L’artista, la cui esistenza, carriera, benessere, dipendono dalla benevolenza del mecenate, si presta a questo gioco, diventa di fatto portavoce e strumento del ceto a cui sono legate le proprie fortune. Molte delle rappresentazioni della realtà, possono apparire obiettive, anzi, in molti casi, l’artista sembra esprimere critica e rappresentare le esigenze dei reprobi, di rappresentare il disagio della società. Si attua la suprema finzione, l’inganno perfetto. Non sarà mai il reprobo ad acquistare l’opera, non sarà mai l’opera a modificare minimamente i rapporti sociali. Il significato gnoseologico, la particolarità della creazione artistica, anche quando sembra contestare l’ideologia dominante, in realtà la supporta, per il solo fatto di esprimersi, in “apparente” libertà. Anche al buffone di corte era dato di avere confidenza con il re. L’allocazione di classe dell’artista è un’evidente camicia di Nesso nella quale è imprigionato. La sua critica, la sua apparente violazione delle convenzioni, rientrano in un gioco delle parti. Esattamente come il giullare di corte era tollerato perché faceva ridere, divertire, il re, l’artista è inserito in un articolato sistema dell’arte, che arricchisce mentre diverte chi lo sostiene. L’interesse non è frutto occasionale a posteriori, bensì per così dire, una sorta di après-la-lettre. In passato alcuni re dimostrarono rispetto per gli artisti. Si narra che Carlo V smontò da cavallo per raccogliere il pennello che era caduto dalle mani di Tiziano. Giulio II della Rovere, il Papa guerriero,era più brusco con Michelangelo, lo sollecitava a completare lavori minacciandolo. Era il tempo in cui i committenti erano principi e re, l’arte era celebrativa, ma anche di grande raffinatezza e maestria. Negli ultimi 150 anni l’arte è entrata in sfera di ambivalenza, il nuovo modo di pensare sembra basato sulla cattiva coscienza, surrogata da spurie teorie. Ci furono grandi intellettuali che tentarono di dar vita al pensiero che smaschera, alla disamina del disvelamento, non accettando il semplice riferimento all’intenzione. Non a caso Marx, Nietzsche, Pareto si incontrarono su questo terreno come contemporanei, anche se per il resto erano agli antipodi. Sembra valere oggi nel mondo dell’arte, la nota affermazione di Marx: “ essi non lo sanno ma lo fanno”. L’artista è spesso privo di incultura, non sembra avere nulla da dire, ma si presta, forse proprio per questo, ad essere supporto di una classe il cui unico valore è il denaro.
Piergiorgio Firinu
Conoscenza eidetica
Quando nel 1735 Alexander Gottlieb Baumgarten sviluppò una teoria a cui diede il nome di estetica, in realtà non fece nulla di nuovo, si limitò ad ampliare e definire quello che per i greci era eidè, forma, da cui deriva eidos, forma più idea. Se, come è stato scritto l’estetica ha una cattiva reputazione, ciò deriva dalla psicogorrea di critici ed artisti che hanno trasformato una questione importante e pratica, che non ha alcuna ambiguità epistemologica, essendo estranea al concetto di episteme, espressione che gli inglesi traducono in scientific knowledge, denota un sapere fermo, stabile, cioè definitivo, dunque quanto di più lontano possa essere dall’arte. E’ vero che etimologia del verbo greco sthanomai: “ percepisco con i cinque sensi”, è la radice etimologica di estetica, ma percepire non significa creare, dunque la trasposizione di estetica riferita all’agire dell’artista non implica solo la capacità di percepire, ma tradurre la percezione in opere che possano essere interpretate da chi osserva. A parere di Schopenhauer , l’arte è una forma superiore di conoscenza, essa ci permette di gettare lo sguardo oltre al velo rappresentato dall’esteriorità dei fenomeni , verso la realtà che si nasconde dietro le apparenze sensibili delle cose. Considerato il ben noto pessimismo di Schopenhauer, simile opinione sull’arte è incoraggiante. Purtroppo oggi è invalso l’uso di declinare con inflessione negativa ciò che si vuole contestare, infatti l’estetica, ovvero l’arte “bella”, è diventata in molti saggi, estetismo, trasformata in questione di lana caprina, utilizzata per ogni sorta di manipolazione critica, allo scopo di giustificare le brutture dell’arte contemporanea. Orson Welles fu profetico quando scrisse: “ I grandi eventi tecnologici possono cambiare le nostre vite ma non creeranno una nuova forma d’arte. Possono creare una generazione di critici d’arte che ci diranno: “ questa è arte!”. E’ inevitabile che una società superficiale e volgare come la nostra, proceda per truismi e pleonasmi, all’insegna del motto “enrichissez-vous. Tuttavia la stessa avidità finisce per far mancare il bersaglio. Critici ed artisti sono persone che hanno qualcosa da difendere e dunque le loro tesi sono funzionali ai loro interessi. La filosofia dell’arte dovrebbe essere semplicemente un appello a fornire una spiegazione nei termini e su una base accettabile. Il minimalismo concettuale presta il fianco a una serie di atteggiamenti che non sono contrapposizioni, ma semplici rifiuti apodittici. L’arte corre il rischio d’annientarsi completamente nel vuoto assoluto di un soggettivismo puro. Il linguaggio dell’arte è ridotto ad un incomprensibile soliloquio. Come scrive Nelson Goodman: “ ..come succede con la coscienza, essa è elusiva, soggetta a mutamenti e troppo facilmente ridotta al silenzio dalle difficoltà o dalle tentazioni”. Le difficoltà sono quelle che ogni vero artista si trova a dover affrontare quando la sua creazione non è affidata esclusivamente alla provocazione, ed è mosso da intenti di ricerca, per dare forma ad un pensiero maturato nella riflessione. In “ Teoria critica”, Horkheimer afferma: “..Chi non è giunto al punto di padroneggiare i più sottili dettagli tecnici, non dovrebbe aprir bocca sul Greco e Tintoretto..”. Se davvero fosse applicato questo principio, pochi artisti e critici potrebbero disquisire sull’arte. Si dovrebbe attuare il principio espresso da Wittgenstein “ Su ciò, di cui non si può (non si sa) parlare, si deve tacere”. Il linguaggio dell’arte contemporanea, letteratura, teatro, arti figurative, barcolla drogato dall’incapacità di vedere oltre la materia. Nella Critica dell’economia politica, Marx si richiama alla validità soprastorica dell’epica omerica e scrive “..la difficoltà non è nel fatto di capire che l’arte e l’epica greca si siano riallacciate a determinate forme dello sviluppo sociale. La difficoltà è che ci danno ancora godimento artistico e vengono tutt’oggi considerati norme e modello irraggiungibile”. L’antica funzione della mimesi, esprimeva nelle forme più svariate la realtà. Nel linguaggio contemporaneo c’è un sorta di rifiuto della realtà, a cui si aggiunge l’increscioso incidente della modernità, che rende tutto “arte-fatto”, i corpi, il linguaggio, le rappresentazioni. Quando Brecht, ispirato dall’urgenza delle istanze di cambiamento, oppure nella constatazione della schizofrenia del linguaggio di Beckett, dove apparentemente non c’è parola di mutamento, ma una feroce critica della realtà. Cosi la denuncia è presente nel linguaggio emotivo e sensuale del Werther e nel “Fleurs du Mal” di Baudelaire, come nella durezza espressiva di Sthendhal e di Kafka. L’arte per essere autentica e consapevole deve essere sgravata dal peso mondano dell’accettabilità. Secondo Herbert Marcuse: “ Se mai l’arte è coscienza collettiva, lo è per tutti gli individui che vogliono fare la sforzo di pensare, vale la dedica che Nietzsche pose sul frontespizio di “ Così parlò Zarathustra” “ Per tutti e per nessuno” A parere di Collingwood l’arte nella sua forma di intrattenimento, o quando suscita stupore, diventa predominante è chiaro sintomo di decadenza morale. Platone nella Repubblica pone il problema delle Idee, se in esse debba prevalere l’intelligenza o il piacere. Sembra che la cultura contemporanea non abbia dubbi in proposito.
Piergiorgio Firinu
Simbolo e senso
Nella psicologia della forma della vita artistica, Thomas Mann si chiede come si può inserire nello stile di vita borghese , in una società tesa al consumo e a tutto ciò che è materiale, un tipo d’uomo la cui natura sensibile dovrebbe filtrare la fenomenologia sociale. Lo squilibrio tra fenomeno e sensibilità rischia di produrre patologie. Prima di Mann affrontarono il problema Flaubert, Henry James, ci volle la nascita della Bohème, della “Veste Rossa” di Gautier, della birreria di Courbet e la solidarietà del proletariato culturale con la prostituta, l’impartecipe manipolazione dei sentimenti, che agli occhi della borghesia diede agli artisti quell’ombra maudit. La cultura ha prodotto il paradosso per cui popolani come Rousseau erano di fatto reazionari, mentre grandi borghesi come Voltaire avevano atteggiamenti progressisti. D’altra parte la borghesia metterebbe in discussione, se negasse il diritto di artisti e intellettuali alla critica, il suo stesso diritto all’esistenza poiché una classe sociale che non fonda il suo dominio sul sangue e la nascita, bensì su principi di ragione e diritto, non può negare la validità di questi principi senza minare le basi stesse su cui poggiano i suoi privilegi e mezzi di potere. Va da se che tutto è in forma teorica, nella realtà dei fatti la situazione di classe, o più semplicemente economica, resta salvaguardata dai meccanismi sociali, tra i quali il principio ereditario, in base al quale, a meno di gravi e irreparabili forme autodistruttive, che pure si verificano, un patrimonio accumulato con intelligenza, spregiudicatezza e lavoro, passa alla generazione successiva che ne gode i privilegi senza aver altro diritto che quello di nascita, esattamente come nelle dinastie aristocratiche dei secoli scorsi. Chateaubriand, Lamartine, La Rochefoucauld, Chamfort erano nobili che criticavano la nobiltà, senza rinunciare ai privilegi Tolstoy aveva idee socialiste, distribuì parte dei suoi beni, ma restò Conte. Dostoevskiy era un reazionario, non aveva nulla da distribuire, se non la sua sublime capacità di descrivere le debolezze umane, come fecero Zola, Flaubert, Baudelaire, Barbey d’Aurevilly. Mentre altri artisti, non si limitarono a descrivere i limiti della natura umana, ma li vissero sulla propria pelle. E’ il caso di Rimbaud, Verlaine, Tristan Corbière, Lautrèamont, Van Gogh. Generazioni di artisti passarono la vita nei caffè, bordelli e manicomi. Per Diderot, l’artista conduceva addirittura una esistenza extraumana. Thomas Mann, stigmatizzò come i parenti spirituali dell’artista, le esistenze problematiche , ambigue, malfamate, tutti i deboli, malati e degenerati, gli avventurieri, truffatori e delinquenti. Non c’è dubbio che, nel momento in cui la società elimina ogni divieto e rende lecito, anzi esalta tutto ciò che costituiva trasgressione, rende per ciò stesso l’artista un individuo perfettamente integrato. Francis Bacon fu insignito del titolo di baronetto dalla regina Elisabetta. Privato della possibilità di trasgressione sociale, l’artista può integrarsi, come fanno i più, fingendo di utilizzare la sua arte in senso critico. Può perdersi negli eccessi. Oppure non gli resta che accanirsi contro il passato. Se fino all’800 vigeva la convinzione che ogni arte autentica avesse il suo fondamento nella fedeltà alla tradizione, a partire dal 19° secolo si verificò un ribaltamento, per essere “creativo” l’artista doveva liberarsi di tutte le tradizioni vincolanti. In realtà, perché ci sia contrapposizione, è necessario innanzi tutto conoscere ciò a cui ci si contrappone, la forza e l’efficacia del cambiamento si realizza solo attraverso una feconda tensione tra valori diversi. Non è il caso dell’arte contemporanea che procede a balzi immaginifici privi di riferimenti reali, con scarse basi culturali, spesso attraverso il citazionismo, del tutto a sproposito vengono tirati in ballo opere ed artisti del passato, per nascondere l’insignificanza di opere contemporanee. La funzione svolta dalla tradizione, i riti di passaggio, possono anche essere irrilevanti, il simbolo esiste prima del senso che gli viene attribuito. L’uso è quasi sempre più antico del costume, perché nasce dalla necessità. Le forme artistiche sopravvivono all’attualità dei bisogni a cui devono la loro nascita. Però l’ansia innovativa contemporanea, può essere paragonata a chi voglia correggere il senso di una frase senza conoscere la lingua a cui quella frase si riferisce. Origine, educazione, tradizione sono forme sociali che fanno parte della dimensione del tempo in cui ci troviamo a vivere; esse rappresentano rapporti interumani dei quali solo in parte è possibile una scelta, salvo ricorrere alla fuga della realtà, che crea le condizioni di cui parlava Mann. Ma il paradosso degli artisti contemporanei è che si guardano bene dal fuggire, sono ben dentro a una realtà mondana, topi nel formaggio che fingono di disprezzare.
Piergiorgio Firinu
Con le migliori intenzioni
L’ideologia ereditata ed inculcata nell’infanzia ha radici troppo profonde per venir affrontata senza conflitti, in particolare da parte degli artisti. Oscar Wilde sosteneva: le peggiori opere d’arte sono frutto delle migliori intenzioni. L’eccesso di sensibilità porta ad un intimismo che rasenta la paranoia. Francesca Woodman ha fotografato se stessa dai 13 ai 24 anni prima di suicidarsi gettandosi da un grattacielo di New York. L’intimismo non è un problema solo femminile, ma è soprattutto femminile, come si evince dalle opere di Cindy Sherman e molte altre protagoniste dell’arte contemporanea. Speculare all’intimismo è l’esibizionismo, una reazione che scaturisce dalla necessità del riconoscimento di sé. Ci troviamo di fronte agli effetti di teorie sociali, assimilate male, che determinano, non solo l’orientamento ideologico, ma anche il gusto ed i condizionamenti di genere. L’intimismo, nella sua forma estrema diventa paranoia, finisce per ridurre la visione del mondo, distorta e frammentata in quanto filtrata da un ego travagliato, instabile, che induce l’artista a considerare se stessa come paradigma. Essa vuole comunicare il proprio sentire per due ragioni speculari, da un lato, cerca conferma al proprio ego, dall’altro si auto convince che la sua visione abbia valore universale. Mentre gli artisti engagè del secolo scorso, si battevano contro le disparità di una società divisa in classi, potevano quindi contribuire al raggiungimento di obiettivi politici e sociali, l’impegno di genere non sembra orientato alla modifica in senso positivo delle relazioni sociali, può solo produrre conflittualità. Per quanto il concetto di natura sia residuale nella società contemporanea, resta pur sempre un barlume insopprimibile di natura umana. Dunque, l’intimismo, oltre ad essere frustrante per l’artista, se raggiunge un qualche effetto sociale, è solo nella direzione di una maggiore entropia, frustrazione diffusa, mentre resta scarsa le possibilità di modificare situazioni, solo in parte prodotte da cultura e politica. Per quanto l’artista tenti di sottrarsi ai condizionamenti sociali e/o di genere, vi riesce raramente, quando davvero si isola, si trova con una personalità scissa, e rischia la schizofrenia. Nel Medioevo è stato inventato l’amore cavalleresco, l’avvocato di Rouen, Corneille, ha inventato il concetto nobiliare di onore della società nella Corte di Versailles, l’artigiano della corporazione di Anversa Van Dyck ha dato volto alla aristocrazia inglese, ciascuno di questi artisti ha “creato” qualcosa traendo ispirazione da Humus della società di cui era parte. L’artista cresce e matura in una scuola senza pareti che si chiama società, alla quale può dare il proprio contributo anche attraverso la critica, ma non può sperare di cancellare, attraverso la sua opera, la storia. Questo sarebbe un obiettivo velleitario. In definitiva rientra nella dinamica dell’essere sociale il fatto che le diverse forme dei rapporti interumani sono necessari. L’autismo culturale porta alla completa estraniazione dell’individuo, che diventa vittima della propria mutevole immaginazione, la quale, privata di riferimenti, si trasforma in allucinazione. E’ noto che Marcel Proust era preda a molte fobie, viveva in una stanza insonorizzata, tuttavia conservava il senso di una psicologia prospettica e una chiara memoria delle cose, tanto che, pochi come lui, hanno saputo descrivere un mondo tra fiaba e realtà. E’ ovvio che, come scriveva Marcuse, la dimensione estetica non può limitarsi a convalidare un principio di realtà. Come l’immaginazione che ne è la facoltà psichica costitutiva, il regno dell’estetica è essenzialmente non realistico. Però oggi ci troviamo di fronte al rifiuto dell’estetica da parte degli artisti, mentre ogni accadimento sociale ha pretese estetiche. Il concetto stesso di opera d’arte come creazione culturale poggia sulla conoscenza nella forma viva del reale filtrata da una particolare sensibilità che coagula il tutto in una forma che costituisce l’opera, la quale appartiene e non gli appartiene all’artista. Tanto meno gli appartiene quanto più esprime un valore condivisibile da moltitudini. Non è dato che un artista rappresenti e/o descriva il mondo galattico, ne che realizzi opere solo per se stesso, le ammiri in solitudine. Cosa diversa è la collocazione sociale dell’artista, il quale, se è troppo assorto nella contingenza mondana, realizzerà opere che potranno avere un successo effimero come il pensiero che le ha prodotte, di conseguenza saranno prive di valore non appena muterà il contesto.
Piergiorgio Firinu
Ippopede stellare
Il sole fa fondere la neve, ma non subisce mutamenti in questo processo. L’essere umano invece è, per così dire, modificato dalle proprie e altrui azioni e si ritrova diverso, è anche condizionato da fattori biologici, fisiologici, psicologici. Nell’opera d’arte, come in ogni opera dell’uomo, c’è il riflesso di tutto ciò. L’artista subisce l’influsso di agenti sociali molto più di quanto riesca ad influenzarli, l’arte è un fenomeno sociale che non può essere neutro. Fenomeno deriva dal greco, significa “le cose che appaiono”. Quando si parla di arte, si è soliti considerare una sorta di influsso sensibile che colpisce la società. In realtà sappiamo che non è così, lo sapevano gli antichi greci consideravano gli artisti “demiourgòs” , l’equivalente dei nostri artigiani, erano molto più considerati i pastori e i fabbri. Salomone affida ai fabbri fenici la costruzione del tempio di Gerusalemme. Nel medioevo le Gilde, costituite da scalpellini, fabbri, falegnami, tutti artigiani di grandissimo valore che lavoravano in anonimato, hanno costruito magnifiche cattedrali, castelli, ed altri edifici d’inestimabile pregio. Si dice che sul frontale dell’Accademia di Platone campeggiasse la scritta: “ Vietato entrare a chi è digiuno di geometria”. Tra gli assiomi di cui sono costellate storia e teoria dell’arte, il più radicato è forse : l’arte non è soggetta a progressi. I fatti provano la verità di questo assunto, tuttavia, per le modalità in cui si realizza, non è detto possa essere considerato positivamente. Nell’antica Grecia, astronomi, matematici ed altri studiosi, non si limitavano ad enunciare teorie, ma le argomentavano in forme precise e articolate. Eudosso nel rispondere alla richiesta di Platone di “salvare i fenomeni”, sviluppò una teoria matematica estremamente sofisticata e complessa. Per spiegare il movimento dei pianeti fece ricorso alla figura dell’ ippopede, parola che significa “ceppo per cavalli”, perché serviva a tener fermi i cavalli, aveva la forma di un 8. La teoria di Eudosso, per quanto presentata in forma articolata a convincente, partiva da un presupposto errato, collocava la terra al centro dell’universo. Sono stati necessari migliaia di anni prima che, nel XVIII secolo, Galilei e Keplero, dessero una corretta soluzione al problema. Dobbiamo osservare che gli studiosi che hanno affrontato i problemi impostati dai greci, non hanno fatto tabula rasa di ogni teoria, ma hanno approfondito gli studi delle antiche ipotesi scientifiche, fino a trovare le corrette soluzioni. Esatto contrario di ciò che è successo nel campo dell’arte che, certamente non è importante quanto i problemi astronomici, i quali hanno enorme influenza sulla nostra vita perché determinano la conoscenza dei fenomeni fisici senza i quali il progresso della scienza non sarebbe stato possibile. L’arte, non essendo determinante per lo sviluppo della civiltà, è stata oggetto di molte teorie risibili, se pure esposte in modo elaborato e convincente, con linguaggio colto e sofisticato, alla cui base però si trovano quasi sempre concetti apodittici. Si è giunti a rifiutare in toto tecniche e teorie dell’arte dei grandi maestri del passato, per imporre forme di espressione giudicate al passo con i tempi. Un atto di presunzione le cui conseguenze non si sono ancora manifestate in tutta la loro gravità. Tra arte e società esiste un’interazione dialettica, tuttavia non sempre sono chiare le ragioni per le quali hanno origine le tracce di un sviluppo artistico nel cui alveo finiscono un gran numero di artisti di modesta levatura culturale, cosa che li rende soggetti ai condizionamenti di situazioni che riscuotono, più che altro, successo mondano, ma la cui produzione artistica ha poco a vedere con un serio impegno culturale, vale a dire la ricerca di soluzioni alla comunicazione del segno identificabile come arte.
Piergiorgio Firinu
Metafisica della creazione
E’ iniziata dal Manierismo ed è proseguita nel Romanticismo la tendenza degli artisti ad esprimersi in modo complicato e stravagante, nella convinzione che si diventa interessanti e attraenti nella misura in cui si utilizzano forme artificiose ed oscure. Ogni artista si esprime partendo dall’esperienza ed insegnamento acquisito, occorre molto tempo prima che egli maturi uno stile proprio. Le vere rivoluzioni artistiche sono ben altro che i proclami e le enunciazioni di principio, e meno che mai delle improvvisazioni. Contrariamente a quanto sembra pensare una gran parte della critica afflitta da “pedofilia”, è nella vecchiaia che i grandi artisti, Tiziano, Michelangelo, Rembrandt, Shakespeare, Beethoven, Goethe, hanno dato il meglio di se. La creazione di un proprio linguaggio richiede applicazione ed esperienza, attitudini che sembrano estranee all’arte contemporanea. I mezzi espressivi tradizionali possono anche essere sostituiti, ma all’interno di processo di apprendimento e di crescita che è l’opposto dell’improvvisazione. In ogni forma d’arte elementi naturali e artificiali sono mescolati. La creazione artistica, è in realtà utilizzo e/o assemblaggio di materiali diversi tanto che si potrebbe dire che il ready made si traduce in tautologia. Il mestiere dell’artista consiste anche nell’uso appropriato della materia dalla quale deve ottenere l’amalgama che costituisce l’opera. Quando c’è il giallo, il blu e il verde hanno smesso di esserci. Gli elementi rendono possibile l’intero, ma non lo compongono. La radicale separazione della visualità dal resto dell’esperienza conoscitiva, la rinuncia al noetico, da vita a formule artificiali il cui valore è fittizio. Si tende a supplire a questa carenza facendo della firma dell’artista una sorta di logo, tendenza borghese per eccellenza, frutto di cultura effimera che persegue l’originalità ad ogni costo. Il culto del genio, in cui culmina l’arte moderna, da cui l’artista fa discendere il diritto a ribellarsi alla tradizione, alla dottrina, alla regola, porta con se il capovolgimento dei valori in seguito al quale si comincia a porre la persona dell’artista al di sopra della sua opera. Se, in origine, simile processo aveva il senso di contrapposizione a una società composta da classi, ed era frutto di un atteggiamento ideologico, che spiega la partecipazione degli artisti alle rivoluzioni politiche del 18° e 19° secolo, la contemporaneità si contraddice, perché, anche dopo avere rinunciato alla ideologia, non ha rifiutato la “metafisica della creazione”, piuttosto ne ha fatto oggetto di pubblicità & marketing. La routine e l’improvvisazione, considerati fino a ieri i maggiori pericoli dell’arte, si sono fusi con la ricerca della provocazione, ma sempre all’interno di una costante che permetta di identificare il “prodotto” garantito dal logo, per rendere superflua la ricerca del significato. In breve, giudicare unilateralmente il genio come principio fondamentale, conduce alla distruzione dell’armonia tra opera e personalità. La dottrina di Hegel “astuzia della ragione” , viene utilizzata in modo fraudolento per coprire l’assenza di significato. Avremmo dovuto imparare da Kant e convincerci che l’estetica, in qualunque cosa voglia essere considerata arte, non ha valore in se, ma per il suo essere parte di una comunicazione socio-culturale. E’ in questa tensione fra unità e differenziazione, immediatezza e mediazione l’essenza dell’arte. In assenza di questa tensione l’arte si riduce a forme artigianali, riscattate da artificiose e improprie valorizzazioni.
Piergiorgio Firinu
Ignoti a noi stessi
Per la totalità della vita si dovrebbe intendere l’immediato nesso logico ed esistenziale in cui l’essere umano è coinvolto con tutti i suoi talenti ed inclinazioni, interessi ed aspirazioni, con l’intero suo pensare e volere. La sola enunciazione rende palese la quasi impossibilità per i contemporanei, distratti da rumori e tentazioni, raggiungere se stessi attraverso il pensiero. Cechov espresse in maniera convincente la ragione per cui scelse l’arte. Egli scrisse “ l’arte da un aiuto morale perche rivela agli uomini in quale modo sono fatti”. Forse egli peccava d’ottimismo. La sua espressione ricalca la poetica espressione di Lope de Vega: “ siamo fatti della stessa sostanza dei nostri sogni”. L’arte forma il substrato del comportamento estetico normativo soltanto nella misura in cui resta in connessione con la vita concreta. Le primissime creazioni note dell’arte, le pitture rupestri della prima età della pietra, i modelli primigeni di tutta l’attività artistica, avevano una funzione evocativa, quasi magica, i primi cacciatori li consideravano una sorta di trappole in cui la selvaggina avrebbe dovuto cadere. La trappola era tanto più efficace, quando più il tracciato della figura era aderente all’immagine dell’animale. L’ideologia del gruppo era omogenea. Da tempo è in atto il tentativo di separare l’una dall’altra le sfere della cultura, questo può attirare, dare risultati a livello delle analisi delle strutture e della posizione gnoseologica, ma sul piano della creazione porta alla sterilizzazione. La creazione artistica non è una lotta per l’esposizione di “idee”, bensì il tentavo di rimuovere il velo posto alla realtà dal pregiudizio. Ogni artista sogna di prendere possesso della realtà e conservarla. Van Gogh diceva: “il mondo è una schizzo incompleto”, sta all’arte completarlo. Freud, viceversa, vedeva nell’arte, così come nella nevrosi, un fallimento dell’adeguamento alla realtà. Goethe esprime la natura nella forma ermeneutica della poesia. Così come le più significative opere degli artisti, in ogni tempo, in ogni popolo. Omero, Dante, Shakespeare, Cervantes, Rubens, Rembrandt, Stenthal, Balzac, Dostoevskij, Tolstoj, Cézanne, van Gogh, Proust. E’ lungo l’elenco di coloro che hanno tentato di scrutare l’anima, di cercare una luce di bellezza, un brandello di verità. Tentativo che viene in parte vanificato, nel momento in cui inizia la distinzione, quando si comincia a credere e insegnare, che l’arte non ha nulla a che fare con il vero e con il falso, con il buono e con il cattivo, separare l’arte dal resto della realtà, scinderla dall’intero della vita normale, è un modo per farla morire, privarla del nutrimento. Per idealisti e romantici l’arte era un semplice sfogo dell’anima e in ultima analisi restava autoreferente. Da un lato si pretende che la natura del creare artistico sia automatica, l’atto creativo come un sorta di miracolo e come tale inspiegabile. Su queste basi poggia l’idea mistica della creazione, da cui deriva che l’opera d’arte è sottratta ad ogni giudizio di merito e/o di valore. Peccato che tanta enfasi si esprima di fatto nella realtà mondana e del mercato, in quel caso vengono abbandonati gli inganni dell’emozione. L’artista contemporaneo spesso presuppone di poter fare a meno della cultura, che invece dovrebbe essere nutrimento, stimolo e guida alla creatività. L’art pour l’art è una tautologia che porta alla psicogorrea e al solipsismo. L’artista in molti casi sublima, sopperisce con l’arte alle sue umane debolezze. Diceva Flaubert: “Il poeta parla soltanto di ciò che non è” L’arte parte dall’espressione sensoriale chiara, vivida, perché non può esistere pensiero senza sensazione, ma poi prosegue. Il sapore delle madeleine descritto da Proust, e stato condiviso da generazione di lettori. L’arte non è altro che la capacità di condivisione attraverso la sensibilità. Colore, forma, parole, sono mezzi attraverso cui il creativo comunica e rende condivisibili le sue sensazioni.
Piergiorgio Firinu
Strategia del conformismo
La vera esperienza artistica presuppone il fascino formale dei mezzi utilizzati, l’impeccabilità tecnica dell’esecuzione, l’effetto sensoriale immediato. La condizione preliminare della qualità artistica e delle funzione che vanno adempiute da parte dell’arte è la forma riuscita. Tutta l’arte comincia con essa, anche se non tutta l’arte cessa con essa. Senza soddisfarle, l’arte non può rispondere a nessun obbligo extraestetico. L’efficacia artistica ha una soglia estetica, una misura formale minimale che occorre raggiungere per entrare nella sfera dell’arte, ma sono ben lungi dal bastare per penetrare nella sua sfera più intima e alta. La circostanza che il vero e il giusto politico, sociale e umanistico si afferma in arte solo in opere formalmente riuscite, non significa il primato assiologico bensì semplicemente il sine qua non ontologico della qualità estetica. Valori umani e sociali che non appaiono in una forma esteticamente riuscita, sul piano artistico non ci sono. La priorità della forma nei confronti del contenuto dunque non significa un formalismo unilaterale, bensì al contrario significa che la forma per mediare il contenuto deve essere pronta e a disposizione. Il primato assiologico del contenuto a sua volta non significa una svalutazione della forma, poiché si tratta di un contenuto che arriva all’espressione adeguata soltanto in una forma particolare e in nessun altra e che nel corso del processo muta tanto spesso quanto la forma di cui si serve. Ciò che fa un artista non è la cosa che intraprende e descrive, a raccontare e a lodare, a rappresentare, ma solo la maniera in cui lo fa; ciò che rende grande un artista è la rappresentazione della cosa in modo che sia unanimemente percepibile ad ogni livello di sensibilità. Forma e contenuto sono due cose completamente diverse, le più diverse che si possano pensare, sebbene siano pensabili soltanto in un rapporto reciproco. Questa processo dialettico è un procedimento nel quale non soltanto l’arte è un prodotto dell’artista, ma anche l’artista è espresso nel proprio prodotto. Per questo Hegel sosteneva che le opere appartengono e non appartengono all’artista. La loro diversità, anzi contrarietà, è semplicemente ineliminabile dall’arte. Non ci possono essere opere d’arte di pura forma e altre di semplice contenuto. Si cadrebbe nel formalismo più insignificante, oppure nel concettualismo più oscuro. Non c’è dubbio che il processo di alchimia mentale che precede l’operare artistico, è influenzato in misura rilevante dalla situazione socio-culturale in cui opera l’artista, e alla sua capacità di sottrarsi alle suggestioni sociali, agli imput motivazionali extra artistici. L’olismo, cioè il prevalere del sistema sull’individuo, secondo la versione di Durkheim. Nel suo libro “La struttura dell’azione sociale” Talcott Parsons analizza le determinazioni linguistiche ed artistiche che egli definisce di adeguamento. L’artista, specie se dotato di modesta cultura, tende ad adeguare la sua azione artistica al modello sociale di riferimento. I modelli sociali delineati da Sombart e Hirschman studiano una situazione sociologica che attraverso forme elementari che essi definiscono di psicologismo di contrasto, portano i suoi membri a praticare la strategia del conformismo mascherata da adesione a un gruppo, a una teoria, un’ideologia, un atto di protesta che in realtà risulta del tutto inefficace e sterile, interessato più alla visibilità che alla protesta tendente al cambiamento. La fragilità culturale di simili posizioni, rende effimere le stesse basi motivazionali che diventano facilmente malleabili ed esposte a influenze esogene permeate di opportunità sociale. Ne consegue un appiattimento creativo che oggettivamente, al di la delle declamazioni teoriche, risulta prono alle esigenze mercantilistiche. Non c’è dubbio che la maniera in cui l’artista esprime le sue opere, rientra nel novero di ciò che l’artista ha da dire. Se l’artista contemporaneo si esprime in modo incomprensibile, l’incomprensibilità, l’inarticolatezza, l’ambiguità del suo linguaggio formale, sono legati alla sua incapacità di dare forma alle proprie idee. In altre parole, la confusione formale deriva dalla confusione culturale dell’artista. Quando Degas chiese a Paul Valéry perché nonostante le buone idee non riuscisse a scrivere buona poesia, la spiegazione data da Valery è che le poesie non si fanno con le idee, ma con le parole. Per buone idee non s’intende ovviamente idee morali, anche se su questo punto sarebbe necessario un discorso a parte, ma idee capaci di comunicare. Tanto che l’affermazione di Valéry trova un contraltare nella convinzione espressa da Oscar Wild, ripresa da Andrè Gide, secondo cui “con i buoni sentimenti si fa spesso della pessima letteratura”. Un opinione legittima, anche se sarebbe forse necessaria un riflessione sul significato di “buoni sentimenti”. L’arte dovrebbe svolgere la funzione di elevare la sensibilità non degradarla.
Piergiorgio Firinu
Imitazione del nulla
Il linguaggio formula il pensiero e lo ordina. Non esiste linguaggio sincero, al di là dell'intenzione, la limitata conoscenza della cosa di cui parliamo conferisce precarietà semantica alle nostre parole. Calibriamo le nostre espressioni sulle nostre impressioni. Ogni linguaggio, incluso quindi quello dell'arte, è innanzi tutto un fatto sociale. Nessuno, a meno che sia afflitto da squilibrio mentale, parla da solo, produce esclusivamente per se stesso. Pretendere di dare all'arte un impronta didattica con forzature semantiche, è un atto di violenza che non esprime altro che l'impotenza espressiva di chi la compie. Nello sviluppo del discorso possiamo scegliere tra sincerità, con il rischio di andare incontro a rifiuto, oppure aderire a ciò che sappiamo essere gradito. Vi è una terza soluzione: l'ambiguità, fingere di esprimere ciò che non sentiamo. L'argomento è stato oggetto del testo di Roland Barthes in “Frammenti di un discorso amoroso”. E' una forma di nichilismo del quale Nietzsche ha dato la seguente spiegazione: “ Valori superiori che si sviliscono non rispondendo alla domanda: a che pro?” Secondo E. Lorck, al fine di spiegare ad altri ciò che intendiamo dire possiamo usare tre modi diversi. Possiamo esprimere in modo chiaro e diretto il nostro pensiero. Possiamo far precedere il discorso da una premessa. Possiamo scegliere parole che sembrerebbero nostre, ma sono adattate per superare la difficoltà che abbiamo di far partecipe della nostra esperienza una terza persona. Il linguaggio dell'arte contemporanea è complicato dalla pretesa di annullare la natura, ovvero di utilizzarne un frammento come un'opera, adducendo il significato simbolico. La tendenza ad usare manufatti e forme meccaniche seriali, sembra voler baypassare l'intelletto che trasmette il gesto alla mano. Le sculture contemporanee sono realizzate per lo più in fonderie, su flebili tracciati suggeriti dall'artista. Vi è un paradosso mai chiarito davvero, non solo gli artisti sembrano accanirsi contro l'arte, semplificando all'estremo, o semplicemente ignorando le regole di coerenza tra significato e forma, con la necessaria, e umile, attenzione al significato. Questo tipo di atteggiamento non era e non è appannaggio di coloro che potrebbero essere considerati outsider, maudit, ma da parte di accademici, artisti affermati, capi scuola, come Kazimir Malevic, per citare un precursore, rimasto coinvolto nella contraddizione di mirare al traguardo di suggerire l'opposizione alla macchina, intesa come civiltà della progressiva automazione, attraverso un potenziamento di un principio opposto alla macchina, in termini bergsoniani, sarebbe come voler attingere all'intuizione attraverso le leggi meccaniche dell'intelletto. Da ciò in pratica una forma mutilata di comunicazione linguistica, una carenza di affidabilità di significato. Tipica in questo senso l'opera forse più suprema di questa disperata ricerca di annullamento della comunicazione, il quadrato bianco su bianco del 1918. Il danno che deriva da simili fantasiosi ed astratti percorsi mentali con carenze comunicative, è che incoraggiano il proscelitismo imitativo, che non solo ripete il vuoto di una formula a tutti gli effetti non riuscita, ma lo fa insiceramente, nel senso detto da Nietzsche. Così non solo si creano pregiudizi, ma ci si ostina nel mantenerli, come scriveva tre secoli fa Pierre-Daniel Huet. Su questo flebile filone, s'innesca la pretesa provocatoria il cui unico risultato è di ridurre gradatamente la sensibilità. Le opere che nascono al solo scopo di stupire, anziche comunicare, vengono presto a noia. Le fantasie perverse non hanno bisogno di stimoli. Scriveva Barbey d'Aurevilly, nella prefazione a Une vielle maitresse: “ ho conosciuto persone dall'immaginazione tanto perversa che si sentivano sferzare da un fuoco di desiderio guardando le ciglia abbassate delle Vergini di Raffaello”. Dunque il linguaggio è efficace in base alla sensibilità del ricettore. La rumorosità volgare costituita da immagini e rumori della modernità in cui siamo immersi, ha come unico vantaggio di creare gli anticorpi per resistere al peggio che verrà, ma dovrebbe anche indurre gli artisti, anziché immergersi nella mondanità superficiale e incolta, a ritrovare la strada per indicare altre possibili soluzioni, non rinunciando al tentativo di attuare la profezia di Dostoevskij: “La bellezza salverà il mondo”.
Piergiorgio Firinu
Il frutto bastardo
Non sembra essere stato rilevato a sufficienza che le teorie filosofiche e politiche che accompagnarono la nascita delle avanguardie artistiche, non hanno avuta consequenzialità nel successivo evolversi delle forme dell’arte. La prassi degli artisti, senza mai rinnegare formalmente le premesse teoriche che ispirarono l’arte “sociale”, di fatto le ha tradite, quantomeno disattese, lasciandosi cooptare da logiche mercantilistiche, dalle quali, solo negli ultimi anni, alcuni gruppi, socialmente motivati, sembrano voler prendere le distanze. Nei suoi ultimi anni Saint–Simon, colui che coniò il termine “avanguardia dell’arte”, volse il suo interesse agli aspetti spirituali e religiosi dell’uomo e della società. Egli riteneva gli artisti, che definì “sacerdoti di nuovo tipo” fossero idonei a far avanzare l’umanità verso il progresso, toccandone i sentimenti più profondi. Mentre in origine, quando ancora era incline al meccanicismo, Saint-Simon limitava il compito dell’artista alla divulgazione delle idee introdotte dagli scienziati, nella piena maturità, su “Opinions littèraires, philosophiques”, pubblicato nel 1825, poneva gli artisti al vertice di una elitaria trinità composta da artisti, scienziati e artigiani-industriali. Nelle Opinions , Saint-Simon dava dell’artista una definizione molto ampia, indicandolo come un “homme à imagination”, e dichiarava che il termine comprende tutti i maestri di morale e “ abbraccia simultaneamente le opere del pittore, del musicista, del poeta, del letterato, in una parola tutto ciò che abbia sensibilità per il suo oggetto”. In un dialogo tra un artista e uno scienziato, o savant, Saint-Simon faceva dire al primo: “ Siamo noi artisti a farvi da avanguardia”. La potenza delle arti, secondo Saint-Simon è infatti la più rapida e immediata. Scriveva: quando desideriamo diffondere nuove idee tra gli uomini le scriviamo nel marmo e sulla tela, ed in questo modo esercitiamo un influsso elettrizzante e vittorioso. Non poteva immaginare, il vecchio saggio, che l’egoismo, quello che egli definiva “frutto bastardo della società”, avrebbe avuto il soppravvento. L’alta concezione dell’arte che aveva Saint-Simon è stata minata alla base già nel concetto romantico de “l’art pour l’art” che in effetti teorizzava un solipsismo in potenza che si sarebbe manifestato nelle forme espresse dal nichilismo della avanguardia cinquant’anni dopo. La rivista anarchica uscita in Svizzera nel 1876, 51 anni dopo la morte di Saint - Simon, era denominata “Avant-garde” ed aveva esclusivamente un contenuto politico, anche se Petr Kropotkin, che era il capo redattore, aveva un profondo interesse per le arti, tanto che con le sue idee influenzò molti artisti, fra i quali il gruppo di pittori detti neo-impressionisti, i cui esponenti Seurat, Signac, Pissarro, Luce, erano anarchici. Il neologismo “ avanguardia” coniato da Saint-Simon ebbe risonanza anche in Messico, dove fu pubblicata una rivista denominata “La Vanguardia” della cui redazione facevano parte i pittori Siqueiros e Orozco. Anche il dandy per antonomasia, Oscar Wild, si proclamava anarchico. L’impegno sociale degli artisti diventò gradatamente solo formale. Nella Parigi di fine ‘800 inizio ‘900, gli artisti più che essere convinti della pratica dell’impegno sociale, preferivano assumere atteggiamenti “progressisti” , ma erano ben lieti, come Pablo Picasso, di essere beniamini delle potenti èlite economiche, loro mecenati, e non mancavano di essere presenti nelle occasioni mondane, allo scopo di crearsi l’immagine di personaggi, cosa che giovò non poco alla loro carriera. E’ in questo clima che si dissolse il sogno di Saint–Simon, il quale aveva immaginato l’artista, come creatore di un’utopia sociale, capace di forgiare un’idea di progresso culturale civile, disposto a dare il proprio contributo per favorire la maturazione culturale e spirituale delle masse. Il sogno di Saint–Simon , è stato sostituito dalla realtà dell’artista osannato dalla borghesia, che si finge maudit, per far meglio i proprio interesse e dare libero sfogo alle proprie perversioni, dietro la foglia di fico di un comodo, quanto astratto, concetto di libertà, l’artista finisce per fornire alibi alla depravazione borghese. Sono stati molti i new rich, che hanno saputo coniugare prestigio sociale e mecenatismo, speculazione economica mascherata da ”amore per l’arte”. In questo modo si sono realizzate enormi fortune, come la famiglia Guggenheim, il cui oculato mecenatismo ha consentito di consolidare la propria fortuna, raggiungere una fama che dura tutt’oggi. Siamo lontani anni luce dalla realtà descritta da Francis Henry Taylor nell’ottimo studio “ Artisti, principi e mercanti” pubblicato Giulio Einaudi nel 1954. Trova conferma il detto “ Veritas filia temporis”. Nell’attuale dèbacle dell’arte contemporanea, non siamo ancora a redde rationem, troppi e troppo importanti gli interessi in gioco, ma non c’è dubbio che le teorie ancipiti, sostenute dal ristretto brian trust del sistema dell’arte, prive di ubi consistam, sono destinate a un epilogo disastroso in cui soccomberà l’idea stessa di arte così come è stata concepita fin dai tempi dell’antica Grecia.
Piergiorgio Firinu
Emozione e linguaggio
Come Aristotele ha fatto notare per la prima volta, il passo che conduce al linguaggio umano è stato è stato compiuto quando il suono significativo ha acquistato il primato rispetto al suono emotivo; un primato che dal punto di vista della storia del linguaggio si esprime anche nel fatto che molte parole delle lingue più evolute, che a prima vista sembrano semplici interiezioni, si dimostrano ad una analisi più attenta formazioni regressive derivate da strutture linguistiche più complesse, da parole e preposizioni avente significato concettuale. La regressione del linguaggio è sempre sintomo preoccupante di decadenza culturale e sociale. Da questo punto di vista dovrebbero suscitare maggiore attenzione i linguaggi giovanili utilizzati per Internet e/o per la più diffusa forma di comunicazione gli sms. Il concetto di sintesi non è regressivo quando necessario a formulare complesse preposizioni logiche, come ad esempio nella Ideografia – scrittura delle idee- di Frege, o in altre forme di comunicazione simbolica. Indica regressione quando ha carattere di sintesi semplificatoria, funzionale e imprecisa. Il linguaggio umano infatti si è sviluppato attraverso tre stadi: espressione mimica, espressione analogica, espressione simbolica. Determinati fenomeni linguistici, ma anche l'espressione funzionale della formazione del linguaggio, ha un suo ben determinato e caratteristico percorso logico che corrispondente ad altri campi, come quello artistico e della conoscenza. E' noto che la complessità del linguaggio non sempre è determinato dalla complessità e ricchezza culturale. Nella sua grammatica della lingua Ewe, Westermann enumera per il solo verbo camminare, non meno di 35 figure fonetiche di tal genere, ciascuno delle quali esprime una particolare maniera e qualità del camminare. Fenomeni del tutto analoghi si riscontrano negli idiomi degli indigeni americani. Discorso a parte meriterebbe l'esame dei suoni onomatopeici studiati da Hermann Paul e prima di lui dai filosofi del XVI e XVII secolo che avevano creduto di trovare nella onomatopea la chiave per risalire alla lingua fondamentale ed originaria dell'umanità.
Piergiorgio Firinu
Il gergo arido
Il linguaggio come la verità è figlio dei tempi. Nell'era della comunicazione globale il linguaggio si frantuma in gerghi. Vi è una forma di diffusa agnosia. La conoscenza si ferma alla funzionalità degli oggetti. L'atteggiamento, in parte dovuto alla complessità degl'aggeggi d'uso, coinvolge un numero crescente di persone. Insegnava Humboldt "L'uomo è in relazione alle cose come gliele presenta il linguaggio". Eccesso di concisione, deformazione sintattica, danno una immagine della realtà approssimativa e deformata. Tale deformazione si compie non solo attraverso la comunicazione verbale, ma anche attraverso le immagini. L'accesso al mondo della "raffigurazione" può essere raggiunto sempre soltanto attraverso la porta della "rappresentazione", ma questa presenta due diverse forme originarie non riducibili luna all'altra. Tale stato si presenta in forma non diversa nelle arti visive. L'arte contemporanea raffigura un mondo di forme già presente. Manca un vero originario "produrre". L'artista ha abbandonato la capacità di utilizzare l'intuizione per dar forma alle cose, non semplicemente dedurla, come determinazione aderente alla realtà, ma delineando l'immagine traendola da una sorta di utopia progettuale dalla quale si origina il progetto formativo. La trasformazione ingenua dell'immagine del mondo rappresentata in tanta pittura, ha lasciato il posto a opere che si fermano all'apparenza, ovvero diventano cronaca del contingente. Fenomenologia del concetti di cosa. Visione alterata. Realtà limitata all'espressione dell'oggettività. La raffigurazione trascura l'"oltre". Linguaggio e raffigurazione, espressioni del nichilismo contemporaneo. La coscienza animale si ferma al mondo tangibile, l'uomo contemporaneo rifugge dallo spirituale, regredisce anch'egli alla percezione della sola apparenza. L'umano non è rappresentato in nessuno dei suoi aspetti sensibili. Una sorta di nominalismo monco, limitato alla funzione, "nomen dat esse rei" , ridotto allo schema. Parole e immagini non sono più portatrici della "funzione rappresentativa". Attraverso la parola l'uomo si è esentato dal dover immaginare le cose, ma l'arido schema è regressione alla natura animale che non possiede capacità di rappresentazione "raffigurazione percettiva". Aprassia, al di fuori del più immediato valore d'uso la "cosa" non è più riconosciuta. L'arte si riduce alla catalogazione del mondo così com'è.
Piergiorgio Firinu
Azioni e conseguenze
L’esperienza insegna che raramente siamo in grado di determinare le conseguenze delle nostre azioni. Pareto sosteneva che la condotta “è la risultate di gusti e ostacoli”. Per John Rawls “i principi che muovono le nostre azioni, devono essere scelti in base alla conseguenze che provocano”. Ma cosa succede se la scelte sono ispirate soprattutto a edonismo e eudaimonismo individuale? Secondo David Hume “ senza i principi di fedeltà e lealtà il mantenimento dell’ordine sociale diventa impossibile”. Si può tentare di superare il problema con la manipolazione delle coscienze utilizzando i potenti mezzi di comunicazione oggi disponibili, cosa che ai tempi di Hume non era possibile. L’efficienza che sembra ispirare le magnifiche sorti delle nostre società, per molti filosofi non è attuabile. Il già citato Rawls sostiene l’impossibilità di adottare un principio d’efficienza che possa far stare bene un gruppo sociale senza danneggiarne altri. E’ quanto sosteneva Pareto, il primo a introdurre il “principio di efficienza”. Ma l’aspetto più allarmante della inconsapevolezza delle nostre azioni è dato anche dall’accanimento con il quale formuliamo e diffondiamo teorie assolutamente esiziali adducendo a giustificazione il valore supremo della libertà, privo di ogni riferimento alla responsabilità. I tempi della storia sono lenti, e non facilmente reversibili. Gli esiti delle teorie introdotte in questi ultimi 30 anni, li vedremo quando sarà forse tardi per porvi rimedio.
Piergiorgio Firinu
Arte e curiosità
Attraverso la storia dell’arte emergono vicende politiche ed episodi curiosi. Il banchiere Rothscild amava farsi ritrarre in fogge strane. Nell’opera “Auf dem Wege nach Smala” di Horace Vernet , James Rothschild è ritratto nell’aspetto di un ebreo fuggiasco. Egli avrebbe posato anche per Delacroix nelle vesti di un mendicante affamato. Un giovane allievo del pittore, impietosito alla vista di tanta miseria, gli avrebbe dato un franco. Il giorno dopo alla porta del giovane artista si presentò in livrea un domestico dei Rothschild per consegnare una lettera nella quale era scritto: “ Stimatissimo Signore, allego il capitale che mi ha dato sulla porta dello studio del Signor Delacroix, con gli interessi composti. Insieme alla somma di 10.000 franchi. Può incassare l’assegno presso qualsiasi Banca. Firmato James de Rothschild. Contrariamente a quanto scrive Walpole, Enrico VIII possedeva una modestissima collezione d’arte, ben lontana dalle raccolte di Carlo V e Francesco I. Il monarca inglese nutriva forte predilezione per il pittore Holbein di cui possedeva ben 150 dipinti. Holbein gli era stato presentato da Erasmo da Rotterdam al quale si era trovato a fianco contro Lutero. Enrico VIII pubblicò un opuscolo polemico “Assertio septem scaramentorum” che gli fruttò il più vivo applauso del Papa; chi avesse letto l’opera fruiva di una indulgenza di dieci giorni. Inoltre nel 1521 Leone X conferì al monarca inglese il titolo di “Fidei defensor”. Quel riconoscimento fu tanto apprezzato che nel 1544, quando già da un pezzo Enrico aveva fondato la Chiesa Anglicana, il parlamento inglese decise di dichiarare ereditario il titolo, tanto che ancora oggi la regina Elisabetta è insignita del titolo Defensor of the Faith. La collezione d’arte di Enrico VIII non contava nessuno dei grandi artisti italiani rinascimentali, unica eccezione Pietro Torreggiano, il tempestoso scultore fiorentino, noto soprattutto per avere rotto il naso a Michelangelo in una lite di bottega.
Piergiorgio Firinu
Simbolo e rappresentazione
Nel percorso di studio della semiologia, dell’arte, e più in generale della comunicazione, arriva il momento in cui ci si pone la domanda cruciale: qual‘è lo scopo dei simboli visivi? Sbarazziamoci subito della troppo sottile distinzione semantica per cui l’arte, essendo evocativa non discorsiva, non comunica ma rivela. E’ questa la conclusione a cui pervenne, tra gli altri, Susanne Langer nel suo saggio “ Sentimento e Forma” del 1953. Le affermazioni della Langer sono inesatte, hanno costituito pretesto al dilatare della componente emotiva mettendo la critica in stallo. Impossibile esprimere un giudizio su un’emozione. Tuttavia è perlomeno dubbio che ogni emozione sia un opera d’arte, anche se sembrano in molti crederlo, visto vi è un continuo ricorso a immagini shock. Al pari della Langer hanno errato quei filosofi per i quali il fine di tutte le arti è la comunicazione. L’impasse della problematica filosofica deriva dal porre la domanda in modo errato. Invece di chiederci genericamente qual è la funzione delle arti, dovremmo limitare l’esame alla singola opera. La nostra modestia avrà come premio il raggiungimento di maggiore chiarezza. Il solo accenno al problema ci riporta però alla realtà odierna, nella quale il minimalismo limita, quando non elimina, la funzione di simbolo. Materializzato il simbolo perde la sua funzione, diventa rappresentazione. Per questa via avviene l’oggettivo impoverimento dell’opera che si trova spesso sullo stesso piano della pubblicità avendo adottato gli stessi espliciti mezzi. Ciò facilita l’omologazione, conseguentemente la perdita del valore simbolico a vantaggio di quello rappresentativo. Lo abbiamo visto quest’anno a Kassel. Lo scopo dei simboli sta infatti nella loro efficacia di sintesi, di evocazione di significati non presenti nell’opera. E’ noto che il linguaggio dell’arte si presta a diversi piani di lettura. L’aspetto immediato ci fa dire che un’opera è piacevole. Mentre i significati non sempre immediatamente percepibili costituiscono il contenuto originale. E’ questo secondo aspetto a dare valore all’opera, rendendola inimitabile.
Piergiorgio Firinu
Mostri
Nell’universo pulsante in continua trasformazione la specie umana è soltanto il frammento del “grande corpo” le cui leggi e realtà conosciamo solo in parte e non siamo in grado di dominare minimamente. Per superare il senso incombente d’impotenza, talora conscio ma più spesso inconscio, la nostra specie ha escogitato diversi palliativi, il più importante dei quali è la religione. Anche l’arte funziona come valvola di compensazione alla nostra angoscia escatologica. Essere frammento significa non avere alcun potere di determinare il destino della specie. Charles Bonnet nell’ opera Palingénésie philosophique sostiene che le catastrofi fanno parte della trasformazione e sono evoluzioni ampliamente previste e insite all’intero sistema solare. Non sono quindi fenomeni occasionali e fortuiti come noi siamo portati a supporre. L’evoluzione si serve inoltre di quelli che egli definisce “mostri senza futuro” . Soggetti naturali che non hanno completata la loro evoluzione, ma sono stati un anello transitorio del salto evolutivo. L’ipotesi che anche la specie umana possa appartenere alla serie dei “mostri senza futuro” non è considerata cosi peregrina dagli studiosi della genetica evolutiva. Va da se che se consideriamo le cose in quest’ottica i cosiddetti “comportamenti devianti” perdono rilevanza e tutto è davvero possibile. Si spiegano allora taluni comportamenti dei popoli primitivi tramandati nei secoli e solo di recente abbandonati, perché rassicurati dal nostro “sapere scientifico”. Le conclusioni a cui giunge la scienza non sembrano tuttavia così rassicuranti, e soprattutto appaganti per il nostro ego. Siamo solo “materia in continua evoluzione” e anche la nostra forma attuale è provvisoria. Forse l’ossessione di ritrarci ha motivazioni inconsce e profonde. Sentiamo il bisogno di tramandare le nostre sembianze. L’arte, attraverso l’elaborazione estetica tenta di sottrarsi alla bruta, profonda realtà. Dedicarsi a celebrare l’apparenza transitoria significa prolungarla in immagine. Per questo i primi graffiti nelle caverne evocavano gli animali la cui cattura significava sopravvivenza fisica. La debolezza dei contemporanei trova conferma anche nella indulgente rappresentazione della propria degradazione, indice di rassegnazione, ammissione di debolezza vitale. La rappresentazione della propria decadenza da parte degli artisti è in definitiva la rinuncia all’arte come elevazione, come espressione di speranza. Solo l’artista che riesce ad esprimere bellezza, da prova di coraggio, di resistenza all’inevitabile dogmatismo deterministico della natura, tenta di testimoniare attraverso l’arte che l’uomo non è solo materia.
Piergiorgio Firinu
Origine dell'arte astratta (3)
Dopo Kandinskij e Mondrian, di cui ci siamo occupati negli scritti precedenti, il terzo “inventore” dell’arte astratta, Malevic, sembra essere approdato molto presto ai confini estremi della pittura e al rifiuto di ogni senso, fra il Quadrato nero su fondo bianco del 1915 e il Quadrato bianco su fondo bianco esposto nel 1918. Ma la combinazione di nichilismo russo e di astrattismo è anche in lui singolare. La carriera di Malevic, dai quadri impressionisti del 1903-4 agli ultimi ritratti del 1933-34, fu un’accelerazione. La sua opera avanguardista risale al 1915-20: nel 1916 lanciò il suprematismo; nel 1917 si legò all’avanguardia politica ma cadde presto in disgrazia e ritornò al realismo fino alla sua morte. Il modo in cui Malevic ha bruciato le tappe è sorprendente, quasi avesse intravisto subito il limite ultimo dell’arte astratta. Detto questo, una volta raggiunto questo bianco su bianco, Malevic, come già Kandinskij e Mondrian, cercò di giustificarsi. Nell’opera di Malevic “Suprematismo: il mondo della non oggettività” è evidente l’influenza del cubismo, così come, per l’aspetto provocatorio, quella del futurismo diventano, dopo il manifesto pubblicato su “Le Figaro” nel 1908, un movimento internazionale. Ma è il nichilismo russo del XIX secolo a ispirare più profondamente questa pittura dell’assenza di oggetto. Numerosi sono i tratti comuni al suprematismo e al nichilismo, che abiurano ambedue gli oggetti di fede senza rinunciare alla fede. La spogliazione nel campo dell’arte si basa sulla convinzione che la verità si trova nel nulla; la disperazione deriva dal desiderio di un mondo che non sarà mai abbastanza nuovo; e il sogno di una redenzione attraverso l’arte rimane: “Nel vasto spazio del riposo cosmico – scrive Malevic – ho raggiunto il mondo bianco dell’assenza di oggetti che è la manifestazione del nulla svelato”. Malevic, quando rievoca il proprio percorso, ricorre ancora a un frasario mistico. La pittura è stata sottratta al mondo, essa è silenzio, al di là del reale. Ma per Malevic si tratta forse della fine della pittura o piuttosto dell’abbozzo di un mondo nuovo? Accontentiamoci di rilevare ancora la coincidenza fra una pittura decisiva nella storia e una filosofia antiquata usata per legittimarla. Lo stesso miscuglio, lo stesso divario e la stessa tensione non si ritroverebbero forse nella maggior parte degli artisti contemporanei veramente innovatori, Proust, Joyce, Eliot, Pound, Kafka? E’ facile che l’arte nuova comporti qualche arcaismo. E’ così che in don Chisciotte, reagendo contro il conformismo del romanzo cavalleresco, Cervantes ha dato vita al romanzo moderno.
Piergiorgio Firinu
Origine dell'arte astratta (2)
Per Kandinskij un quadro astratto è molto lontano dal non avere significato, la dottrina spiritualista gli fornisce il mezzo per sostenere che ha un senso. Dunque argomenti antichi per sostenere un balzo nella modernità. Il caso Mondrian è ancor più eloquente. Quando nel 1914 approdò all’astrattismo, lo fece da missionario. Di origine puritana, di convinzioni teosofiche, non smise mai di sognare la sua pittura, indissociabilmente, una purezza estetica ed etica. La dottrina alla quale fece appello non fu lo spiritualismo, ma una morale in nome della quale la convergenza del bello e del bene potesse rappresentare l’ambizione della sua pittura. Mondrian era stato profondamente segnato dalla sua infanzia calvinista, dall’esitazione sulla propria vocazione, a un certo punto della sua vita aveva pensato di diventare predicatore, poi verso il 1900 scopri la teosofia. La sua adesione al cubismo nella Parigi del 1912 rafforzò la sua attrazione per la pittura. La natura e il suo “disordine” gli erano insopportabili, in particolare detestava il verde dei prati, per lui si potrebbe addirittura pensare che considerasse la rimozione della natura l’estrema sublimazione artistica. Attraverso un linguaggio piuttosto incomprensibile dalle valenze pseudo religiose, Mondrian giustificò a posteriori le ragioni che lo avevano spinto a dedicarsi all’astrattismo a partire dalle gelide nature morte che dipingeva da molti anni. Secondo la teosofia, alla quale anche Kandinskij faceva riferimento, l’uomo si riscatta attraverso l’azione, s’innalza al di sopra del mondo fisico per raggiungere la sfera spirituale. La teosofia che permise a Mondrian di ricongiungersi con la spiritualità, fu la condizione della sua pittura. Egli scriveva: “ L’arte benché un fine in se, come la religione, è il mezzo attraverso il quale possiamo conoscere l’universale e contemplarlo sotto forma plastica”. Teorie neoplatoniche per giustificare la pittura avveniristica del XX secolo.
Piergiorgio Firinu
La cultura è pre-giudizio
L'homo sapiens ha una storia evolutiva che può considerarsi breve, in rapporto al nascita della vita sulla terra. In circa 200mila anni, grazie alle sue capacità di adattamento, ha compiuto il percorso, dall'età della pietra al computer. Questa stessa velocità evolutiva porta il sapiens verso l'estinzione, anche per l'uso indiscriminato delle risorse e la distruzione di migliaia di specie della fauna e della flora, che hanno una precisa funzione nell’equilibrio dell’eco-sistema. Siamo in presenza di un paradosso. Strumento dell'evoluzione è stato innanzi tutto il linguaggio. E' la parola, logos, la chiave di tutta l'evoluzione. Richard Rorty ha definito il 900 il secolo della svolta linguistica. Chomsky ha intuita la grandiosità insita nel linguaggio, ma ha trascurato i limiti dell’acquisizione della conoscenza, e gli usi sempre più limitati della lingua, della sua ricchezza e complessità. Gli SMS, che qualche buontempone ha considerato positivamente, sono, in molti casi, esempio di degenerazione linguistica All'inizio è prevalsa la logica platonica della mistica circolarità del segno linguistico. I pitagorici consideravano pericoloso comunicare la conoscenza, per il rischio di un possibile cattivo uso. Anche nelle religioni indiane e cinesi, una folta letteratura esoterica e sapienziale invita alla prudenza nella diffusione della conoscenza. Questo vasto argomento non può essere qui trattato, ma è evidente che, nel mondo in cui viviamo, la prudenza degli antichi sapienti è pleonastica. Quale relazione esiste tra, i limiti fisici del nostro pianeta, e la dimensione culturale di massa che determina natura e misura dei consumi. Il linguaggio è manifestazione di un sintomo. Da un lato vi è la degradazione dell'ambiente dovuta alle attività antropiche, fuori controllo, spinte dall'eccesso di consumo. Dall’altro gli scienziati inventano tecniche che portano all'uso di strumenti sempre più complessi, che hanno breve durata e finiscono nelle discariche. Per altro solo un ristretto numero di persone sa capire, e gestire, le tecniche che usa, così come solo un ristretto numero di persone sa capire il significato del linguaggio di cui si serve. Chi usa la tastiera del computer, e fruisce del software del correttore automatico, non ha, in genere, la più pallida idea dei processi matematici che rendono possibile la scrittura e la comunicazione via Internet. La radice prima del limite è il linguaggio, per cui, così come la maggioranza delle persone usa strumenti che non conosce, allo stesso modo usa parole di cui ignora il significato. Parole semplici come “ trovare” hanno una complessa etimologia, surclassata dal significato convenzionale corrente. In questo modo il linguaggio diventa pura convenzione, e prescinde dalla conoscenza. Questo dato sembra sfuggire agli aedi del progresso, pronti a condannare il “pre-giudizio”, senza rendersi conto che in realtà, a partire dal linguaggio, il “pre-giudizio”, è la base stessa della comunicazione sociale. Potremmo dire, ex abrupto, una minima parte di persone pensa, la maggioranza adotta acriticamente il pensiero altrui. Si dirà: è sempre stato così. Vero. La differenze, oggi, in regime di democrazia e di culto libertà totale, è costituita dai condizionamenti a cui sono soggette le masse, inganno particolarmente pericoloso. La cultura contemporanea rischia di diventare il modo in cui, persone abili, riescono a imporre le loro opinioni che si trasformano in articoli di fede. Capita così che, nel bazar delle idee, ciascuno scelga quelle che fanno comodo, ovvero, quelle meglio inculcate dai mezzi di comunicazione, cinema e pubblicità. In tal modo, parafrasando Chamfort, : avviene che ci si scaglia contro il pregiudizio non per elevarsi, ma sempre per scendere più in basso. Concetti nobili, come l'antirazzismo, diritti dell’uomo, uguaglianza, vengono usati in modo strumentale, insincero, non di rado per fini non edificanti. La retorica ha mutato segno, ma è attiva ed efficace, tanto più, che i moderni, artisti inclusi, sono privi della capacità di usare in modo corretto, quella che gli antichi chiamavano phantasìa.
Piergiorgio Firinu
Immaginazione malata
Il pensiero moderno è malato; presenta segni patologici incontestabili nei rarissimi punti in cui rimane vivo. E’ come se il pensiero fosse preso in un cerchio, lo stesso cerchio che Euripide descriveva nella sua opera tragica. Il pensiero circola sempre più veloce in un cerchio sempre più ristretto. Sembra che l’attività di pensare sia estranea ai contemporanei abituati alla praticità del preconfezionato, accettano senza riserve un pensiero pret a porter . Indubbia la difficoltà per chi coltiva il pensiero farlo uscire dal cerchio, dilatarlo. Appunto questo è stato il tentativo fallito dell’avanguardia che volle purificare il proprio pensiero per sfuggire al mito.Per uscire dalla prassi accademica, ha tentato di rafforzare il “coefficiente di scientificità”. In questo modo ha creato una base vacillante di teoremi piuttosto ostici; moltiplicato le sigle incomprensibili; eliminato tutto ciò che ancora appariva un’ipotesi intelligibile. Ha scacciato spietatamente ogni onesto artista. Non ci si resi conto che il pensiero dell’avanguardia era sospetto nel suo principio e non sarebbe mai riuscito a emendarsi completamente dalle forme del comunicare, le avrebbe solo distorte a vantaggio di tesi la cui esplicazione necessità di testo a parte. Dunque un lavoro a metà. Il dilemma ancipite: rappresentare il reale e rifiutarlo, ha trovato soluzione nel frammentarlo fino a renderlo incomprensibile e pronto per essere utilizzato dall’ideologia versus. La Babele del pensiero positivo ha dato la scalata al cielo, usando anche l’arte come ancella, ma quando la fragile torre del certo sapere crolla, l’arte resta sola con la sua forma incerta. In taluni casi si rifugia nella violenza. In questo modo, il sacrificio, abbandonato da religione e magia, trova rifugio nell’arte. Appendere un cavallo al soffitto, mettere animali in formalina, infierire sul proprio corpo aprendolo e lacerandolo. La gratuità del gesto non è riscattata dalla teoria, tanto meno dalla sgradevole forma, è piuttosto frutto d’immaginazione malata. Levy-Bruhl aveva cercato nell’antropologia i vapori della stupefazione dell’uomo. Si oscilla sempre tra estremi che cercano di dare l’illusione del cambiamento con eccessi sempre meno efficace che in realtà non cambiano molto. Si è esaurita anche la capacità di stupore. Si succedono i giocatori, bricoleurs di sistemi per manipolare le idee di cui si è privi, paradosso della modernità: abbondanza del nulla. Ci vuole l’intelligenza di un Paul Valery per fare dell’illusione materia del sapere. Il marketing non crea geni, vende inganni.
Piergiorgio Firinu
Neo manichei
Freud , nel “Il disagio della Civiltà”, scritto nel 1929, afferma: “ il principale compito della cultura, la sua vera ragione d’essere è difenderci dalla natura”. Bisogna ammettere che la scienza ha, in questo senso, grandi limiti. Negl’ultimi anni, tusmani, terremoti, esondazioni, eruzione vulcaniche, la terra sembra ribellarsi all’arroganza degli umani e ricordarci i nostri limiti. Non dovremmo mai dimenticare che tutta la nostra scienza riguarda esclusivamente noi stessi, fatte salve poche eccezioni. Oltre agli evidenti danni che abbiamo arrecato all’eco-sistema , danni ancora maggiori sono provocati da spurie teorie sociali, delle quali è pressoché impossibile verificare gli effetti. Anche successive correzioni, non eliminano le conseguenze di certe “espressioni di pensiero” . Talune teorie che si ammantano di spirito libertario, in realtà sono frutto di edonismo e solipsismo miope. Spesso hanno più efficacia gli slogan, della ponderata riflessione. Non c’è dubbio che in regime di “democrazia”, si ottiene sicuramente più consenso assecondando le inclinazioni della maggioranza. Quando Simone de Beauvoir nel “Il secondo sesso” afferma: “ Donna non si nasce, si diventa”, dice qualcosa che si presta a molte interpretazioni. More solito, le scelte privilegiano ciò che è più comodo, non di rado il peggio. Le femministe francesi inalberavano cartelli con scritto “ la natura è fascista”. Può darsi non avessero torto dal loro punto di vista, forse questo spiega perché non poche donne che si dedicano all’arte, realizzano opere nelle quali sono rappresentati gli aspetti più laidi della natura umana, compiono automutilazioni, degradano il corpo, presentano il parto in forme disgustose. E’ fondato il sospetto si tratti di riesumazione, più o meno consapevole, della dottrina gnostica dei manichei, secondo cui il corpo umano è di sostanza diabolica e, tale caratteristica, supera la deviazione generale dell’universo di disegno diabolico. L’ostilità manichea verso il corpo e il sesso, con le sue conseguenze scettiche, riceve in questo un fondamento mitologico. Tale ostilità ha base razionale nella visone gnostica della realtà, qualunque siano gli argomenti mitologici particolari; raramente essi sono stati così fortemente e inflessibilmente sostenuti come nel mito manicheo. Nel contesto di questo appoggio teoretico, il soffermarsi sui particolari repulsivi della generazione dell’uomo da parte dei demoni aggiunge un elemento nauseante ad una ostilità che altrimenti poggerebbe sul razionale. Secondo i manichei, la creazione di Eva aveva uno scopo particolare. Essa è più completamente soggetta ai demoni, divenendo il loro strumento contro Adamo; “ ad essa infusero la loro concupiscenza per sedurre Adamo”: una seduzione non soltanto di concupiscenza carnale, ma per mezzo di questa un desiderio di riproduzione , l’invenzione più potente della strategia di Satana. Agostino vede nei manichei, i peggiori nemici dell’ uomo, della bellezza, quindi dell’arte in quanto ricerca del bello. Non c’è dubbio che nella nostra epoca è diffuso lo sfruttamento del corpo, sottoposto spesso a interventi chirurgici per renderlo più “apprezzabile”, a fini di seduzione e/o di lucro. In assoluto contrasto vi è, anche nell’arte, una sorta di disprezzo per ciò che è “bello”, considerato per ciò stesso banale. Anche in questo caso, il pensiero corre alle antiche dottrine degli gnostici. Ci sarebbe da supporre che il pensiero manicheo, avendo operato sotto traccia, sia riuscito in qualche modo a raggiungere il proprio scopo. Siamo agli antipodi dalle affermazioni di Lessing che aveva indicato il corpo umano come la più alta estrinsecazione della bellezza corporea e quindi come il tema più proprio delle arti, quali scultura e pittura. Non è solo nell’arte che si manifesta il neo-manicheismo mascherato da progressismo. Come spiegare la perenne lotta tra i sessi, le forme di obnubilazione del corpo attraverso le droghe, gli ornamenti orripilanti, piercing, tatuaggi, deformazioni corporali varie, esibizione delle peggiori perversioni animali negli atti sessuali. Sembra che gli esseri umani odino se stessi, a maggior ragione i propri simili, anche se con esibizioni esteriori tentano di far credere l’opposto. Il sonno della ragione genera mostri, che però si presentano in forme accattivanti, non tanto sotto il profilo estetico, quanto sulla spinta dell’alone mondano. Goya, considerato un romantico nel quadro della storia dell’arte, come scrive Corrado Maltese, dipingeva mostri e nani per sottolineare la sua più nota affermazione. La ricerca dell’ “individualità” di molti artisti, Géricault, Delacroix e lo stesso Goya, aveva anche lo scopo di sottrarli a una società che Chateaubriand nel “Génie du Christianisme” , descriveva come corrotta e dominata dal denaro. Si era nel 1809! Ovviamente i “progressisti” definirebbero tutto ciò preistoria, chiliasmo pleonastico. Resta il fatto che dopo due secoli, siamo ancora alla prese con gli stessi problemi indicati da Chateaubriand. Nel frattempo gli esseri umani sembrano possedere meno anticorpi, e una cultura sempre più approssimativa e rozza. Lo sterco del diavolo domina incontrastato.
Piergiorgio Firinu
L'origine dell'avanguardia
L’idea di avanguardia nel campo dell’arte si deve a Henri de Saint - Simon ( 1760 – 1825) il quale riprese la tradizione di Rousseau e dei razionalisti dell’illuminismo, fra i quali era il suo maestro d’Alambert, collaboratore di Diderot all’Encyclopédie e amico di Jefferson. Egli tenne corsi, tra i suoi allievi Enfantin, che dopo la sua morte sarebbe diventato il capo riconosciuto dei sansimonisti. Tra gli allievi anche Auguste Comte, un tempo suo segretario, che sarà espulso. Fu Comte a coniare l’espressione “scienze sociali” e dare inizio agli studi che avrebbero costituito la nuova disciplina, la Sociologia. Saint -Simon nutriva grande ammirazione per Newton le cui teorie influenzarono non poco la sua concezione della storia e dell’importanza che all’interno di essa assumono le rivoluzioni sociali. Le sue tesi presentano diversi punti di contatto con le teorie hegeliane, in seguito riprese da Marx. Nel pensiero di Saint - Simon, ancora più di quello marxiano, la grande arte poteva nascere solo nei periodi in cui l’individuo è relativamente indipendente dallo Stato e questo mostra grande sollecitudine per le arti come accadeva, a suo giudizio, nella democrazia ateniese. Nelle “Opinions, Saint – Simon dava dell’artista una definizione molto ampia indicandolo come un “homme à imagination” e precisava che il termine abbraccia simultaneamente le opere del pittore, del musicista, del poeta, in una parola tutti coloro che hanno sensibilità per il loro oggetto di studio e di realizzazione artistica. Ed è in un dialogo fra artista e scienziato immaginato da Saint – Simon, in cui il filosofo usa per la prima volta l’espressione avanguardia. Egli scrive infatti …..Siamo noi artisti a farvi da avanguardia: la potenza delle arti è infatti la più rapida e immediata…”. Inutile dire che la corrente sansimoniana era convinta di poter fornire quell’impulso all’idea convinta che “l’egoismo, frutto bastardo della civiltà, sarà vinto lasciando libero lo spirito creativo di solidarietà”. E’ quasi commovente leggere questo entusiasmo ideologico, e diventa maggiormente comprensibile lo stimolo che indusse Marx a costruire la sua utopia, anche se poi, paradossalmente per definirla usò l’espressione “ materialismo storico”. Egli, come gli utopisti che l’hanno preceduto, era convinto che l’arte avrebbe dovuto avere utilità sociale, producendo opere di natura didattica, facilmente comprensibili alle masse, come già Dideroto e David avevano sostenuto. A queste asserzioni si è subito contrapposto il movimento propugnatore dell’ “ art pour l’art”. E’ chiaro che l’avanguardia politica era ben distinta dall’avanguardia artistica, anche se non mancavano punti di contatto. Infatti nel 1848 , poco prima della seconda rivoluzione degli operai parigini, fu pubblicato “L’Avant-garde” e i marxisti presero ad usare nel loro gergo politico l’espressione “avanguardia”. Anche Petr Kropotkin fu capo redattore di una rivista anarchica “L’Avant-garde” uscita in svizzera dal 1876 al 1878 quando fu soppressa da un intervento di polizia.Questa rivista ebbe larga influenza sugli artisti, tra gli altri, quelli appartenenti al gruppo di pittori, detti neoimpressionisti, che comprendeva Seurat, Signac, Pissarro, Luce, i quali si consideravano anarchici. Anche in Messico, durante la rivoluzione, Atl , pittore neoimpressionista e sintetista, esponente del “Rinascimento messicano”, pubblicò una rivista intitolata “la Vanguardia”, della cui redazione facevano parte i pittori Siqueiros e Oronzo. Di contro questo entusiasmo dell’arte sociale si schierarono molti artisti borghesi sostenitori de “l’arte per l’Arte”, tra i nomi spicca quello di Oscar Wilde. Saint –Arman Bazard, un sansimoniamo convinto, sosteneva che le “le belle arti, in quanto espressione di un sentimento, costituiscono il linguaggio dell’umanità e condizionano gli uomini rispetto all’agire sociale”. E’ davvero la conferma che l’utopia è tale perché non si realizza mai.
Piergiorgio Firinu
L'arte da bere
Non c’è dubbio che è improponibile un confronto fra l’arte contemporanea e i maestri del passato. Il sovrapporsi di teorie, spinte del mercato, ragioni ideologiche, hanno creato una situazione di estrema confusione e una impossibilità di ritorno a situazioni di “normalità”. Le conoscenze tecniche, abilità manuali, approfondimenti culturali, non s’improvvisano, oggi questo insieme di conoscenze non fanno più parte del bagaglio di studi di coloro che intendono dedicarsi all’arte plastica. Si consideri inoltre che, quanto più ha assunto rilievo il mercato dell’arte, la celebrazione dell’artista, o presunto tale, in pari misura ha perso valore il mestiere dell’artista, inteso nel senso di possedere la capacità di unire cultura, fare, pensare. Ai tempi di Raffaello Sanzio non esistevano le accademie, eppure nel 1502,a soli 19 anni, l’artista aveva surclassato maestri come il Perugino e il Pinturicchio realizzando capolavori come “ Madonna Solly” . Da tempo il sostantivo “arte” viene usato a sproposito. Gombrich cita l’esempio di una stazione ferroviaria nell’Ovest dell’Inghilterra in cui su un grande cartello è scritto: “ Dove l’arte di fare il sidro è ancora riconosciuta”. L’aspetto più deprimente consiste nel fatto che l’arte, anziché contribuire a migliorare la società come sostenevano in molti, marxisti inclusi, si è arresa alle lusinghe del mercato e della tecnica. Ovviamente tutto ciò non è avvenuto in un giorno. La storia dell’arte è disseminata di episodi curiosi. Già nel ‘600 non pochi consideravano il Caravaggio una sorta di anti-Cristo. Nel 1943 in Inghilterra scoppiò una polemica sul Daily Sketch in cui un certo E.G. Bisseker sosteneva l’opportunità di bombardare Roma perché la sua cultura e suoi monumenti antichi erano in qualche modo un esempio che intralciava il progresso. Ovviamente Roma non fu distrutta, ma la bellissima città tedesca di Dresda fu rasa al suolo dall’aviazione britannica come rappresaglia per il bombardamento dei tedeschi sulla città di Coventry, dimostrandosi in quel caso non diversi dai nazisti in termini di rispetto per la cultura. Benché l’arte differisca in modo notevole dalla scienza, oggi le differenze vanno scomparendo, sia per un eccesso di intellettualismo, e anche per le modalità di realizzazione dei prodotti artistici, orientati verso gli effetti speciali, soprattutto condizionati dalle “richieste del mercato”. E’ sorprendete l’influenza dei paesi anglosassoni sulla nostra cultura. Mentre l’uso delle lingua inglese può essere giustificata per ragioni pratiche, questo non vale sicuramente per il linguaggio dell’arte. In verità, se prescindiamo dai luoghi comuni, sappiamo sempre meno in cosa consiste il linguaggio dell’arte. Le opere sono sottratte al giudizio di valore, quindi ogni teoria, per quanto spuria e decettiva, trova spazio e risonanza. In fatto di stranezze gli inglesi non sono secondi a nessuno. Nel novembre del 1951 sul supplemento culturale dell’Observer apparve un articolo in cui si sosteneva che “Michelangelo è out” La strada verso lo squalo in formaldeide era aperta. L’orientamento è ridurre sempre più le discipline umanistiche a favore dell’istruzione tecnica. Quale che sia l’origine dell’espressione “ discipline umanistiche”, non c’è dubbio che abbondare il bagaglio sapienziale, retaggio del passato, impoverisce noi stessi. Da un lato parliamo di diritti individuali, dall’altro rinunciamo a tutto ciò che di meglio l’umanità ha creato. Di fatto, gli essere umani vengono valutati per il loro valore d’uso, come insetti e computer. Abbiamo difficoltà ad accettare l’idea che nel corso della storia siano stati creati precisi valori, che non esiste solo la buona tecnica, ma anche la buona letteratura, la buona arte.
Piergiorgio Firinu
Fetonte e Icaro
Si dice che Engels sulla tomba di Marx abbia detto : “ Egli ha intuito che gli esseri umani devono mangiare, bere, vestirsi trovare riparo prima di potersi dedicare alla politica, alla scienza, all’arte, alla religione o a ogni altra cosa”. Espressione scontata, citazione di Hegel e di Ludwing Feurbach, ripresa da John Ruskin suo contemporaneo. Anche celebrati filosofi si affidano a simili scontate banalità. Non c’è dubbio che l’animale umano ha delle necessità di sopravvivenza come tutti gli altri animali. Ma siccome pensa, si trova a fare i conti con i quesiti che nascono dalla riflessione. Egli non limita al presente, non è assorto solo dalla necessità di sopravvivenza, come avviene per gli altri animali, l’essere umano si proietta, verrebbe da dire si proiettava, verso il futuro. E’ questa la ragione per cui nascono i miti, la religione, la stessa cultura. Le teorie sociali, filosofiche, politiche, hanno tentato di coniugare utopia e vita reale. Gli antropologi sociali potrebbero certamente intrattenerci a lungo sui modi in cui il desiderio dell’uomo di eccellere e di ammirare trovano espressione nella società. Johan Huizinga, nel suoi libro “Homo ludens”, ha raccolto una vasta rassegna di esempi. I precursori di Marx ed Engels, Saint-Simon, Fourier, Owen, hanno “sognato un avvenire radioso dell’umanità”, con ottimismo, hanno immaginato che l’essere umano, liberato dai bisogni essenziali, si sarebbe dedicato alla cultura e all’arte. L’ultimo utopista in questo senso, è stato Ernst Bloch che ha espresso il suo pensiero nel libro “Principio di speranza” in contrapposizione al “Principio di disperazione” di Gunther Anders. Tra le due ipotesi estreme si pone “ Il principio responsabilità” di Hans Jonas. Purtroppo tutto è restato alla stadio di ipotesi. La realtà dimostra che l’animale umano, libero dal bisogno, non si eleva, ma scende più in basso, non sa gestire, controllare la propria libertà, porsi dei limiti. Ovidio narra il mito di Fetonte, simbolo di coloro che si accingono a compiere imprese troppo ardue per le loro capacità. Fetonte, figlio di Elio, il dio del sole, tanto temerario da voler guidare il carro del padre, è diventato simbolo di quanti aspirano a imprese troppo ardue per loro. Fetonte ottenne dal padre riluttante il permesso di guidare il carro del sole lungo l’arco celeste per una giornata. Le ore legarono i quattro cavalli al carro. L’Aurora spalancò le porte del cielo, Fetonte si lancio nell’azzurro. Essendo inesperto trovò presto difficoltà; il momento più drammatico fu quando incontrò il terribile Scorpione, uno dei segni dello Zodiaco: le redini gli caddero di mano, i cavalli lasciati soli a se stessi si lanciarono in una corsa folle, a causa di ciò la Terra prese fuoco. Giove, per risolvere la situazione, scagliò un fulmine che distrusse il carro e fece precipitare Fetonte nel fiume Eridano, che molti studiosi identificano come la fonte del Po. Fetonte è diventato simbolo di coloro che pretendono di fare ciò che non hanno la capacità di fare. Icaro ricorda vagamente Fetonte. Nelle metamorfosi Ovidio racconta il mito di Icaro, figlio del leggendario artigiano e architetto ateniese Dedalo, fu rinchiuso con il padre nel labirinto di Creta. Per poter fuggire il padre costruì per se e per il figlio un paio d’ali, fissò le penne con la cera. Poi ordinò al figlio di seguirlo da vicino, di non volare ne troppo basso ne troppo alto. Ma Icaro s’innalzò fino al sole, la cera si sciolse ed egli perdette le ali precipitando in mare. Le figure di Dedalo e Icaro sono spesso rappresentate dagli artisti greci. Il mito di Icaro è metafora di coloro che hanno molta ambizione e non sanno applicare la virtù della moderazione. Noi contemporanei, abbiamo dimenticato i miti, rinunciato agli ideali, alla religione, alla spiritualità: tutte cose non monetizzabili. Ma non per questo abbiamo risolto i problemi dell’esistenza a giudicare da quanto continua ad accadere nelle società “evolute” e in quelle meno progredite
Piergiorgio Firinu
La fatica della libertà
La libertà più di ogni altro ideale, religione inclusa, è stata causa di rivoluzioni, guerre, massacri. I principi della rivoluzione francese dell’’89, libertà, uguaglianza, fraternità, non si sono mai tradotti in realtà, non più di quanto siano osservati i dieci comandamenti. I fatti storici sono quasi sempre narrati in un’ottica positiva. Come è noto la storia la scrivono i vincitori. La narrazione è intessuta di frasi ad effetto, come quella attribuita a emiliano Zappata: “ preferisco morire in piedi che vivere in ginocchio”. Cosa direbbero Zappata e Simon Bolivar se vedessero Messico e Bolivia dominate da trafficanti di droga. La storia del Risorgimento italiano è ricca di episodi edificanti, e disseminata di morti per guerre e rivoluzioni inutili contro nazioni con le quali abbiamo ora rapporti di amicizia. C’è un punto che viene spesso trascurato, quando si parla di libertà si parla soprattutto del corpo. Emblematiche le teorie del femminismo, si scrive libertà si legge sesso. Il percorso storico dell’occidente, tra guerre e rivoluzioni, ha portato a una libertà solo apparente. I corpi sono liberi, le menti prigioniere di infiniti condizionamenti e suggestioni. Sembra trovare conferma la tesi che libertà e creatività sono incompatibili. Quando i popoli erano privi di libertà l’arte brillava nel fulgore della creazione. I maggiori scrittori della Russia erano sotto l’impero degli Zar e poi del comunismo. Marx, sulla scia della rivoluzione francese, insisteva perché la rivoluzione non fosse solo politica, ma sociale e culturale. In realtà, come ha scritto Hannah Arendt , la parte avuta dai rivoluzionari di professione era ispirata quasi sempre dal conformismo del passato. Il vero compito era quello di assicurare la continuità, anche perché non si sottolinea mai abbastanza, che la quasi totalità dei “rivoluzionari” erano in realtà borghesi che per ragioni esistenziali e si opponevano alla loro classe. Lo stesso Marx era figlio di un avvocato e apparteneva alla classe borghese, come Engels figlio di un ricco industriale tessile. Un certo interesse per l’arte era riscontrabile in suo genero Paul Lafargue e in altri rivoluzionari, Wilhelm Liebknecht, Clara Zetkin, Rosa Luxemburg, soprattutto in Plechanov, Lunacarskij e Trochij. Ma tutto questo non ha portato alla libertà, come la storia ricorda. La libertà non è un dono ma una faticosa e continua presa di coscienza dei nostri limiti. Avere una atteggiamento del genere presuppone l’esercizio della volontà e una buona dose di umiltà. Nell’ambiente nel quale si è formato Carlo Marx, convivevano socialisti anarchici, utopisti. Il dibattito sulla libertà era vivo. Del gruppo faceva parte Johann Caspar Schmidt che con lo pseudonimo di Max Stirner, nel 1845, scrisse “L’unico e la sua proprietà”, libro che all’epoca fece scalpore, tanto che fu attaccato violentemente da Marx nel libro “L’ideologia tedesca”. E’ significativo il fermento tra politica e arte. Specie Engels, che amava il disegno e si cimentava nel ritrarre spesso le riunioni dei gruppi in schizzi abbastanza pregevoli. Marx aveva una passione particolare per l’arte e la civiltà greca. La sua tesi di laurea in filosofia che discusse all’Università di Jena nel 1841, era intitolata: “Differenza tra la filosofia di Democrito e quella di epicureo”. Secondo Marx l’uomo si distingue dagli animali non solo per la capacità di produrre indipendentemente dai bisogni fisici immediati, ma perché egli segue le leggi della bellezza che si esprime attraverso l’arte. Tale atteggiamento risaliva a Hegel il quale sosteneva che lo sviluppo della storia implica l’utilizzazione dello spirito nelle sfere ascendenti della religione, dell’arte, della filosofia; non appena l’arte, che viene dopo la religione, avrà esaurito tutte le sue possibilità, perderà ogni funzione. Tale opinione era condivisa dai giovani hegeliani. Non era stata prevista la forza del mercato che, spazzando via ogni riferimento alla cultura e allo spirito, ha permesso sì la sopravvivenza dell’arte, ma solo come produzione di oggetti in funzione ludica inserita nel gran flusso di consumismo della società contemporanea
Piergiorgio Firinu
Essere in se
Ci sono due modi d’essere e due soltanto: l’essere in sé, che è quello degli oggetti dispiegati nello spazio, e l’essere per se che è quello della coscienza. Il sovrapporsi e confondersi dei due modi di essere è malattia mentale. L’altro starebbe di fronte a me come un in sé e tuttavia esiste per sé, per distinguerlo devo situarlo nel mondo degli oggetti e al tempo stesso pensarlo come coscienza. Nel pensiero oggettivo non c’è posto per l’altro e per la pluralità delle coscienze che non sono oggettivabili. E’ questa una delle ragioni per cui la diffusione dell’oggettività funzionale della tecnica, modifica gradatamente l’ essenza del rapporto tra persone. Il cinema compie il prodigio di stabilire un rapporto simpatetico con robot e personaggi di cartoni animati, quasi equiparandoli a esseri umani. Nelle rappresentazioni scientifiche del mondo e del corpo abbiamo perso il contatto tra oggettività e coscienza, per questo hanno largo seguito filosofie che, attraverso l’apparente valorizzazione dell’individuo, di fatto creano una vuoto nichilista e predispongono alla sostituzione della realtà con l’apparenza. Il mio corpo e il mondo non sono più soggetti i cui rapporti sono determinati da stati di sensibilità naturali e interiori, ma oggetti il cui meccanismo di reazione è provocato da stimoli esterni attraverso i quali si produce artificialmente emozione, desiderio sessuale, dolore. Il sistema dell’esperienza nella quale si sedimenta la razionalità sensibile, diventa pressoché superflua. Quando mi volgo verso la mia naturale percezione del reale, quando passo dalla percezione diretta al pensiero di questa percezione, io la ri-effetuo, ritrovo un pensiero vissuto che opera nei mie organi percettivi nei quali l’esperienza ha lasciata traccia. Nulla di simile accade allorché subisco un impulso artificiale, meccanico che non lascia traccia nella memoria del corpo perché non è vissuto ma semplicemente subito. L’altro non è più un essere dotato di coscienza e come tale complesso nella sua multiforme sensibilità. Egli viene colto con evidenza apodittica come puro oggetto di relazione funzionale. In particolare il soggetto culturale non ha più un centro di azione “umana”, culturale che applicherà nella percezione dell’altro, perché privo della possibilità di disporre del linguaggio dell’esperienza che costituisce la base del dialogo tra persone, tale contributo non è più utile tra due oggettività funzionali. E’ noto che una delle più difficili applicazione dell’intelligenza artificiale ai robot è l’umorismo. Questo perché l’umorismo è privo di necessità, estemporaneo, cosi come altre forme di sensibilità creativa. Di tutto questo abbiamo ampio riscontro nell’algida concretezza dell’arte contemporanea che non allude ma mostra, non crea ma produce.
Piergiorgio Firinu
La forma sensibile
Sono stati necessari secoli di pittura prima che si vedesse sull’occhio quel riflesso senza il quale esso rimane spento e cieco come nei quadri dei primitivi. Il riflesso non è visto per se stesso, dal momento che ha potuto passare inosservato così a lungo, esso esprime la suo funzione nella percezione. Osservando l’arte contemporanea si nota un evidente regresso. La decontestualizzazione degl’elementi di un opera, crea un effetto di estraniazione che raramente è davvero funzionale. Se di fronte a un paesaggio , assumiamo un atteggiamento critico isolando una parte dell’opera, il colore osservato muta senso. Il verde di un prato perde il suo valore rappresentativo e diventa puro colore. Cézanne diceva che un quadro contiene persino l’odore del paesaggio. Egli intendeva dire che la distribuzione del colore sulla tela, guida la fantasia dell’osservatore, ne stimola i sensi sotto l‘effetto dell’emozione estetica. In ogni opera c’è un simbolismo che indirizza e lega ogni qualità sensibile. Il colore si da all’esperienza come una specie di vibrazione. I dati sensibili sotto il nostro sguardo costituiscono il linguaggio della pittura che si insegna da se, in cui il significato è secreto dalla struttura stessa dei segni. L’apparenza sensibile è ciò che rivela (kundgibt) , esprime ciò che essa stessa non è. La comprensione del linguaggio pittorico è ostacolata dai pregiudizi del pensiero oggettivo al quale gli artisti contemporanei sembrano essersi arresi. Tale pensiero ha la costante funzione di ridurre tutti i fenomeni, quindi anche l’arte, ad attestare l’unione del soggetto con il mondo, finisce quindi per sostituire l’utopia progettuale propria dell’arte, con la piatta razionalità assettata di definizioni. Come diceva Berkeley, anche un deserto inviolato se ha per lo meno un osservatore subisce l’esperienza mentale di recepirlo e quindi subisce le mutazioni del pensiero che lo “interpreta”. Tale pensiero ha la funzione tradurre la visione in idea. Il “reale” è quel contesto in cui ogni momento è non solo inseparabile dagl’altri, ma in certo qual modo sinonimo degl’altri, in cui gli “aspetti” si significano vicendevolmente in una equivalenza assoluta. E quindi un truismo basare un opera sul puro concetto anziché affidare alla chiave simbolica la dilatazione dei significati. Cézanne sosteneva che ogni pennellata deve “contenere l’aria, la luce, l’oggetto, il piano, il carattere, il disegno, lo stile”. Ogni frammento di un opera deve soddisfare un numero infinito di condizioni , la sua peculiarità consiste nel contrarre in ciascun tratto un’infinità di relazioni. Il quadro è da vedere e non da definire, esso è un piccolo mondo che si apre a una dimensione sconosciuta allo stesso autore, il senso precede l’esistenza e si riduce a quel minimo di materia necessaria per compiere il prodigio.
Piergiorgio Firinu
Significato, valore
Secondo una tesi centrale del pensiero postmoderno, nella nostra società i segni non rimandano più a un significato, ma sempre e soltanto ad altri segni, noi nelle nostre analisi non cogliamo più qualcosa come significato, ma ci muoviamo lungo una catena infinita di significanti. Secondo questa tesi il segno, che Saussure poteva ancora descrivere come unità di significante e significato, sarebbe stato infranto. Si può osservare nella pittura a partire dalla fine degli anni settanta, messa a confronto con l’arte informale degli anni cinquanta e sessanta, un ritorno di segni che suggeriscono un significato, la cui particolarità consiste nel fatto che non si può in alcun modo attribuire loro un senso. Non è del tutto chiaro se al discorso sull’arte postmoderna corrispondano opere d’arte. Di fatto ci si trova di fronte al paradosso di dover tentare una ermeneutica su oggetti ai quali viene attribuito un “valore” ma a cui è pressoché impossibile attribuire un significato. Arnold Gehlen sostiene, non senza ragione, che la modernità artistica è entrata in una fase di “cristallizzazione” già prima della Grande Guerra, diventando incapace di rinnovamento. I movimenti d’avanguardia, con i loro plagi sfacciati e la loro provocatoria famigliarità, si pensi ai gesti pubblicitari dei dadaisti, hanno infranto anche i confini dell’arte d’intrattenimento, strettamente sorvegliati dalla modernità orientata alla centralità dell’opera. Essi hanno messo in discussione il concetto di necessità della forma, dominante fin da quando l’autonomia dell’arte venne istituzionalizzata. Essi si rivolgono all’allegoria, che conosce una forma non necessaria, puramente convenzionale. Ciò che oggi si cerca di definire con il concetto postmoderno, rischia di rivelarsi una dilatazione della problematica avanguardistica che ha di fatto rinunciato all’arte in favore della modernità. Mettendo sempre di più l’arte di fronte alla propria infondatezza, la modernità ha eliminato l’elemento semantico come estraneo alla purezza dell’estetico, prima di rinunciare all’estetico considerandolo una camicia di Nesso. Tutto ciò è stato possibile in quanto il supporto del mercato ha di fatto permesso di coagularsi di gruppi per una produzione di oggetti destinati alla vendita, senza pleonastiche mediazioni culturali, se non nell’ottica di attribuzione di valore, con buona pace di Gorge Dickie. La nostra epoca vede il trionfo dell’edonismo effimero, quasi a consolazione per avere perso la speranza di futuro ormai ritenuto impossibile. Quello che non è avvenuto nei periodi bui della storia dell’occidente avviene oggi per effetto della narcosi da consumo.
Piergiorgio Firinu
Analisi riflessiva
Secondo una linea propria l’analisi riflessiva non ci fa ritornare alla soggettività autentica; essa nasconde il ganglio vitale della coscienza percettiva, in quanto ricerca le condizioni di possibilità dell’essere assolutamente determinato e si lascia tentare dalla pseudo evidenza della teleologia che il nulla non è niente. Tuttavia i filosofi che l’hanno praticata hanno sempre intuito che c’era da cercare al di sotto della coscienza assoluta. Questo si evidenzia nella filosofia di Cartesio, ma sarebbe possibile dimostrarlo con altrettanta pertinenza a proposito di Lagneau, Alain e altri. Una volta condotta a termine l’analisi riflessiva non dovrebbe più lasciar sussistere, dalla parte del soggetto, se non un naturante universale per il quale esiste il sistema dell’esperienza, ivi compresi il mio corpo e il mio io empirico, collegati al mondo dalle leggi della fisica e della psicofisiologia. La sensazione che noi costruiamo come prolungamento “psichico” degli eccitamenti sensoriali non appartiene evidentemente al naturante universale e ogni idea di una genesi dello spirito risulterà spuria, in quanto ricolloca nel tempo lo spirito per il quale il tempo esiste, in quanto confonde i due Io. Tuttavia se noi siamo questo spirito assoluto, senza storia, e se nulla ci separa dal mondo vero, se l’io empirico è costituito dall’io trascendentale e se è dispiegato davanti a esso, dovremmo scoprirne l’opacità, non si vede come sia possibile l’errore, e tanto meno l’illusione, ossia la “percezione anormale” che nessun sapere può far scomparire. Si può ben dire che l’illusione e l’intera percezione sono al di qua della verità come dell’errore. Ma ciò non ci aiuta a risolvere il problema, giacchè si tratta allora di sapere come uno spirito può essere al di qua della verità e dell’errore. Quando sentiamo, noi non appercepiamo la nostra sensazione come un oggetto costituito in una rete di relazioni psicofisiologiche. Noi abbiamo la verità della sensazione. Non siamo di fronte al mondo vero. E’ la stessa cosa dire che noi siamo individui e dire che in questi individui c’è una natura sensibile in cui qualcosa non risulta dall’azione dell’ambiente. Se nella natura sensibile tutto soggiacesse alla necessità, se per noi ci fosse una maniera di sentire che si identificasse con quella vera, se ogni istante la nostra maniera di sentire risultasse dal mondo esterno, allora noi non sentiremmo. Così, il sentire non appartiene all’ordine costituito, non dispiegato di fronte all’Io, ma sfugge al suo sguardo, è come raccolto dietro di esso, vi forma una sorta di spessore o di opacità che rende possibile l’errore, delimita una zona di soggettività o di solitudine, ci rappresenta ciò che è “prima” dello spirito, ne evoca la nascita e sollecita una analisi più profonda che farebbe luce sulla “genealogia della logica”. Lo spirito ha coscienza di sé come “fondato” su Natura. C’è dunque una dialettica del naturato e del naturante, della percezione e del giudizio, nel corso del quale il rapporto si capovolge. Dare forma alla possibilità del sentito/pensato è compito dell’arte, se non vuole essere null’altro che oleografia dell’irresponsabilità semantica. L’opera dell’artista dovrebbe concretizzare in materia visibile sensazioni che ai più sfuggono, dunque aprire la possibilità di una maggiore fruita sensibilità.
Piergiorgio Firinu
Metafora e melancolnia
Il termine “melanconia” è caduto in disuso, dopo avere ispirato artisti e poeti. In realtà allegoria e melanconia agiscono sotto traccia, con mutate definizioni. Se si cerca di scomporre il concetto di allegoria nei suoi vari elementi si ottiene questo schema. L’allegoria estrapola un elemento dalla totalità del contesto, lo isola e lo priva della sua funzione. L’allegoria è perciò essenzialmente un frammento e in quanto tale si oppone al simbolo organico. Nel campo dell’intuizione allegorica l’immagine, l’opera, è frammento, rura. La falsa apparenza della totalità si spegne. L’allegoria unisce isolati frammenti di realtà e crea un senso a partire da questi. Si tratta di senso che viene posto, che non emerge dal contesto originario dei frammenti. Benjamin interpreta l’attività allegorica come espressione della melanconia. Il rapporto della melanconia con le cose è soggetto a una continua alternanza di coinvolgimento e di nausea. Un confronto tra l’opera d’arte “classica” e l’opera “d’avanguardia” dal punto di vista dell’estetica della produzione trova un supporto essenziale nel fatto che alcuni elementi del concetto di allegoria, come è vista da Benjamin, concordano con ciò che s’intende per montaggio. L’artista che produce un opera “classica”, tratta il proprio materiale come qualcosa di vivente. Ne rispetta i significati come se originassero da una concreta situazione vivente. L’avanguardia invece, il materiale non è nient’altro che materiale; la sua attività sembra consistere nell’uccidere la vita, annullare i significati, capovolgerli. Mentre l’artista classico rispetta il materiale come portatore di significato, l’avanguardista vede in esso solo un vuoto segno, qualcosa a cui lui solo può dare un senso. Quanto è differente il loro atteggiamento nei confronti del materiale, così lo è verso la costituzione dell’opera. L’artista classico produce un opera con l’intento di fornire un quadro vivo della totalità e persegue tale scopo anche quando limita il segmento di realtà rappresentata. L’avanguardista compone frammenti con l’intento di porre un senso, anche quando il senso può consistere nel mettere in evidenza la totale mancanza di senso. Lukàcs individuava il compito dell’artista realista, in opposizione a quello dell’avanguardista, innanzi tutto nella scoperta individuale della relazione tra realtà e sociale. Di fatto, caduti gli ideologismi e le giustificazioni teoriche piuttosto evanescenti, risulta chiaro che l’avanguardia esprime bene il nichilismo del nostro tempo, ma la fa e detrimento della rappresentazione simbolica propria dell’arte. In altre parole l’avanguardia produce delle cose la cui definizione si avvale del sostantivo arte, mentre in realtà ne sono la negazione.
Piergiorgio Firinu
Origine dell'arte astratta (1)
L’arte astratta fece la sua comparsa negli anni precedenti la Prima guerra mondiale, press’a poco nello stesso periodo a Monaco, con Kandinskij, a Parigi con Mondrian e a Mosca con Malevic. Questa coincidenza attraverso il mondo, o almeno attraverso l’Europa, è sorprendente, in quanto i tre artisti sembrano essere giunti all’astrattismo attraverso strade molto diverse, ma ugualmente anomale. Rinunciare all’arte figurativa fu una scelta così radicale e grave che dovette essere accompagnata da strane speculazioni estetiche e metafisiche che servissero e difenderla e giustificarla. La distinzione tra contenuto e forma, messa in evidenza dalle estetiche del diciottesimo secolo, poi la crescente autonomia della forma nel corso del ventesimo secolo, furono senza dubbio fra le condizioni che resero possibile l’astrattismo. Con esso infine la forma si libera dal contenuto al punto da diventare il proprio contenuto o piuttosto da abolire la distinzione fra forma e contenuto. Il passaggio all’astrattismo può essere spiegato a posteriori in questi termini, che sono quelli delle ricostruzioni ortodosse del modernismo, ma non furono considerazioni formali di questa natura a permettere ai pittori di affrontare l’astrattismo. Se la pratica stessa della pittura, dal cubismo in poi, condusse all’arte astratta, i primi astratti sentirono tutti il bisogno di giustificare la loro pittura con una teoria che la rendesse accettabile agli occhi del pubblico così come ai loro. I tre fondatori dell’arte astratta presero la penna per spiegarsi. Ora, il rapporto fra la loro teoria e la loro pratica e sconcertante. Come vedremo, tutti e tre hanno legittimato a posteriori le loro intuizioni profetiche con dottrine antiquate. Questo ci forzerebbe a concludere, insieme ad Adorno, che la dottrina è necessariamente in ritardo rispetto alla vera e propria novità estetica, che manca fatalmente il suo oggetto? Si dice che la prima opera astratta sia stata un acquerello di Kandinskij risalente al 1910. senza dubbio non è un caso che si tratti di un acquerello. Baudelaire considerava caratteristici della modernità i generi rapidi o l’improvvisazione, il disegno a matita o lo schizzo, e Kandinskij avrà bisogno di parecchi anni di pazienza per giungere alla stessa libertà nella pittura a olio. Dovrà in particolar modo passare per due libri, Dello spirituale nell’arte, saggio pubblicato nel 1912, e Sguardo al passato, schizzo autobiografico, scritto subito dopo, in cui riporta soprattutto le sensazioni della sua infanzia in Russia fino alla rinuncia a una carriera giuridica e al suo arrivo a Monaco nel 1896, a trent’anni Kandinskij ricollega l’inizio della sua ricerca dell’astratto a una curiosa esperienza, un giorno che rientrando a casa sua sul far della notte, intravide sul muro “ un quadro di una bellezza indescrivibile, imbevuto di un ardore interno. Mi fermai colpito, poi mi avvicinai rapidamente a questo quadro misterioso in cui non vedevo altro che forme e colori e il cui contenuto mi era incomprensibile. Trovai subito la chiave del mistero: era un mio quadro che era stato appoggiato alla parete rovesciato(…) capii allora in modo esplicito che l’oggetto nuoce ai miei quadri”. Kandinskij rievoca l’angoscia che lo colse subito mentre un vuoto gli si apriva davanti. “Con cosa deve essere sostituito l’oggetto?” La domanda fondamentale era posta. Essa si accompagnava al timore di cadere in una pittura decorativa Da cui l’estrema lentezza e la prudenza con le quali Kandinskij procedette nella rinuncia all’oggetto e alla ricerca delle forme pure in contrasto con la precipitazione di cui alla stessa epoca testimoniavano Braque e Picasso nella loro scoperta del cubismo. “Della spirituale nell’arte” giustifica il modo in cui Kandinskij sostituì l’oggetto. E qui il collegamento con la vecchia filosofia spiritualista del XIX secolo è sorprendente. Dopo un epoca segnata dal materialismo, Kandinskij prevede un tempo nuovo caratterizzato dalla rinascita dell’anima. “ L’arte intraprende la strada al termine della quale ritroverà quello che ha perduto, quello che ridiventerà il fermento spirituale della sua rinascita. L’oggetto della sua ricerca non è più l’oggetto materiale, concreto, al quale ci si riferiva esclusivamente nell’epoca precedente – tappa superata - sarà il contenuto stesso dell’arte, la sua essenza la sua anima”.
Piergiorgio Firinu
Paratassi del segno
La concezione romantica, condivisa tra gli altri di Richard Wagner, per cui l’uomo non trae la sua cultura e la sua arte dalla natura, bensì tramite una dura lotta con essa, appare piuttosto datata, ammesso sia stata mai vera. Il problema è che l’essere umano vede la natura come il predatore vede la preda. I miti naturali citati da Hans Jonas “ Dalla fede antica all’uomo tecnologico”, non sono attuali nella società del consumo. Alla contemplazione della bellezza si è sostituito il turismo sessuale offerto dai viaggi tutto compreso. Anche se in apparenza la coscienza ecologica è oggi più diffusa, in realtà è rimasto poco da contemplare. Per quanto concerne il mondo dell’arte domina la potente egemonia USA, costituita da pragmatismo. Il grande scrittore come William Faulkner negli anni ’50 del secolo scorso scriveva che l’America non aveva ancora trovato un posto per coloro che si occupano solo delle cose della spirito. Gli storici hanno spiegato che con la supremazia degli Stati industriali e commerciali del Nord degli Stati Uniti, il sogno americano di Washington e Jefferson si è inaridito. Anche l’arte è entrata a far parte del business senz’anima che domina il mondo degli affari. La supremazia dell’arte di un paese è legata alla sua potenza politica. Vale per le nazioni il principio enunciato da Marx “ le idee dominanti sono le idee della classe (nazione) dominante”. Questo è confermato dalla realtà di oggi in cui l’arte degli Stati Uniti è egemone, non certo per la qualità delle opere. Agli arazzi dei Gobelins si sono sostituite le trapunte fatte dalle quilters. Nella graduale dinamizzazione dei fattori della storia dei popoli, l’impulso all’imitazione è sempre attivo, ma forse prima di oggi non vi era una così diffusa imitazione del peggio. C’è il rischio che la potenza del marketing finisca per far preferire le Watts Towers costruite a Los Angeles tra il 1921 e il 1954 da Simon Rodia, al Colosseo. Non sarebbe una novità visto che sul Daily Sketch di Londra, nel luglio del 1943, un certo E.G. Bisseker propose di bombardare Roma ed eliminare le tracce di una civiltà “vecchia”. Quando eravamo bambini c’insegnarono che la vendetta è un sentimento ignobile. Evidentemente ai bambini inglesi non fu insegnato lo stesso principio. Quando i nazisti bombardarono la città di Coventry, per rappresaglia gli inglesi dal 13 al 15 febbraio del 1945 bombardarono la magnifica città di Dresda, ricca di opere d’arte, distruggendo ogni cosa. La città fu rasa al suolo. Quando i Talebani distrussero le statue dei Budda scolpite nelle montagne nei pressi di Kabul, tutti i media del mondo diedero un gran rilievo all’episodio, di certo spiacevole. Invece i danni provocati in Afganistan e Irak , con i bombardamenti che hanno distrutto edifici risalenti al V secolo a.C. , nonostante la pervasiva presenza di tutti i media del pianeta, non è mai stata data notizia, se non di sfuggita. E tutt’oggi i danni provocati al patrimonio culturale dell’umanità dalla dissennata politica di Bush, non trova eco nella cultura e sui media del mondo occidentale. Non dovremmo stupirci dell’odio che le nostre azioni scriteriate provocano nel mondo islamico. Le civiltà perdono le loro peculiarità e mutuano il loro sviluppo condizionate da fattori economici e politici di nazioni egemoni. Se consideriamo che Inghilterra e USA sono nazioni egemoni, molte cose si spiegano. L’imitazione rientra nei motivi di più efficace identificazione, spinta anche dall’inerzia conseguente a lunghi periodi di ininterrotta endogamia. L’Italia dopo il fascismo ne è un esempio. Dopo la seconda guerra mondiale, il cinema, l’arte, la letteratura, la musica, provenienti dall’America, invasero il nostro paese. Da allora l’influenza non è mai cessata. Non c’è dubbio che l’approccio americano all’arte è diametralmente opposto a quello dell’ Europa continentale fino all’inizio del 19° secolo. E’ vero che le teorie sull’arte di George Dickie e Arthur Danto, vengono dopo le farneticanti teorie delle avanguardie storiche europee, ma è la dominanza del sistema mercantilistico USA, la potenza dei mercanti americani, ad avere soppiantato nella produzione artistica il riferimento culturale, sostituendolo con il mercato. Forse sarebbe materia per psichiatri e psicologi chiarire le ragione per cui nella cultura europea, in particolare in Italia, la culla dell’arte dell’occidente, si sia verificata una sorta di paratassi figurativa, con regressione formale e produzione seriale, fino ad arrivare ai prodotti industriali. Osservando ciò che accade non solo nel mondo dell’arte, ma in ogni ambito della civiltà contemporanea, dovremmo porci il problema delle ragioni del degrado culturale e civile. L’arte non è che un sintomo, sia pure importante. Sembra che la profezia di Oswald Spengler si stia puntualmente avverando.
Piergiorgio Firinu
Intenzione e forma
Identificando l’arte con la scienza, la filosofia positiva finisce per attribuire all’intelligenza solo le funzioni necessarie a organizzare un materiale già esistente sugli schemi di quella cultura commerciale che sarebbe invece compito dell’arte criticare. Tale limitazione riduce di fatto l’arte a serva dell’apparato di produzione, non già padrona di un sapere creativo. Contenuti, metodi, categorie dell’arte non sono indipendenti dalle situazioni sociali, al contrario lo scopo dell’artista è esattamente quello che conquistare spazi di libertà, una visione più ampia della prassi a cui è costretta la normale quotidianità. Compito della riflessione critica, non è quello di esprimere i fatti nella loro contingente staticità, ma ha implicazioni molto più vaste. Buona parte dell’arte contemporanea, travisa lo scopo dell’arte, si limita ad osservare il proprio ombelico, non in senso metaforico, questo non significa in nessun modo produrre cultura. La cultura artistica contemporanea sembra rispondere quasi soltanto a un meccanismo di autoconservazione. Represso l’impulso mimetico, l’arte si limita ad attuare un processo di assorbimento, una sorta di predisposizione all’adattamento. Tale comportamento finisce per sopprimere ogni forma di creatività e riduce l’arte ad uno stereotipo, un paradosso, una parodia di se stessa. A questo stadio dell’evoluzione dell’arte, dovrebbe essere opportuno tentare di chiarire il significato dell’azione produttiva, affrontare l’ermeneutica relativa al concetto di “fatto”, come azione, accadimento, evento, traendo il significato dal contesto della sua evoluzione, quindi della sua relatività con l’esistente. Un concetto può essere accettato come misura della verità, se l’idea della verità ha valore nel contesto culturale e sociale. Ecco quindi profilarsi l’impasse. Fintanto che la società è quella che conosciamo, l’artista dovrebbe rendersi conto di riuscire a mala pena a scalfire la realtà, sarà indotto a rinunciare al suo compito. Il rischio è che l’artista, adattandosi alla pressione che la società esercita su di lui, per sopravvivere, si trasformi in apparato che sa adattarsi alle situazioni. Questa senza dubbio non è una caratteristica solo dei nostri tempi, da duecento anni, come scrive André Glucksman, la scienza ha fama di scatenare rivoluzioni e il ribelle di abbeverarsi alla scienza. E’ vero però che le risorse intellettuali e psicologiche sono cambiate di pari passo con il procedere della scienza, dei mezzi di comunicazione, dei rapporti tra individui e ceti diversi. Se ancora oggi il 70% della popolazione del globo vive con il 22% del reddito mondiale, le baruffe chiozzotte di artisti e femministe, sembrano davvero un siparietto della commedia dell’arte, che però non diverte più le persone che tentano di pensare e capire. Nessuno, che abbia rispetto di se, può sottrarsi al compito di affrontare a viso aperto l’antagonismo tra teoria e prassi, utilizzando i mezzi che gli sono propri, cercando di far riferimento nelle sue opere al concetto d’intelligenza organizzativa operante, non distogliendo per comodo o solipsismo, l’attenzione da ciò che accade nel mondo. L’ipostatizzazione idealistica contiene una parte di irrazionalità, nel senso proprio dell’arte come utopia progettuale, si richiama al Weltgeist di Hegel, offrendo l’estro ai capziosi critici che hanno buon gioco nel sottolineare il contrasto tra un Weltgeist del tutto pragmatico, consumistico, tutto sommato volgare, e la tensione creativa che vorrebbe sottrarsi all’onnubilante spirito dei tempi. Le dottrine etiche dei tardi epigoni dell’illuminismo, sono ben lontane dalla dottrina di Socrate, il quale insegnava che la sapienza deriva necessariamente dalla virtù mentre l’ignoranza ha come inevitabile conseguenza la malvagità. Ma, per quanto concerne l’arte, la malvagità si riduce a una forzatura ermeneutica della realtà, una realtà parziale che riguarda quasi solo l’artista, il quale, non sapendo controllare e vincere i propri impulsi, tenta di sublimarli attraverso forme di espressione che però finiscono per condurlo ad un vicolo cieco, una sorta di coazione tautologica che manca l’obiettivo. Esprimo ciò che intendo criticare, ma di fatto lo celebro, dal momento che non sempre l’intenzione traspare dalla forma. Oggi il pensiero d’avanguardia sembra non volerne più sapere di ideologie e in questo modo facilita inconsapevolmente la più trita banalità al grado ideale. Abbiamo, in buona parte, la spiegazione di ciò che accade nell’arte e intorno a noi dalla lettura di Socrate, il quale aveva tentato di emancipare la virtù dalla ragione. In seguito la sua dottrina venne ripresa da Pelagio, monaco britannico, il quale mise in dubbio la relazione tra razionalità e virtù, conditio sine qua non per un corretto rapporto tra natura e spirito. Nella controversia odierna tra i profeti delle magnifiche sorti del progresso, che si ostinano ad ignorare evidenza. Si rinnova in forma attenuata, l’idea di gratia salvationis, affidata al progresso conoscitivo, di cui la scienza è considerata la punta di diamante, mentre l’arte oggi è ridotta a sua ancella.
Piergiorgio Firinu
Le forme della conoscenza
Robert Musil espone un’eccellente descrizione dell’atto creativo, della sua natura estranea all’ispirazione, dello stupefatto sentimento con cui l’autore sta di fronte alla sua opera come a qualcosa a lui estranea, delle forze impersonali che hanno una loro parte nel nascere dell’opera. Egli scrive: “ Non c’è nulla di più difficile in letteratura che descrivere un uomo che pensa”. A chi gli chiedeva come facesse a inventare tante cose nuove, un grande scopritore rispose: pensandoci continuamente. A volte l’artista di fronte alla tela si comporta come un cane con un bastone in bocca che voglia passare attraverso una porta stretta: egli volta il capo prima a destra, poi a sinistra, prova e riprova fino a che il bastone scivola dentro, la creazione può essere vista semplicemente come il tentativo di trovare quella che l’artista considera la soluzione ottimale , anche se in realtà finisce per fermarsi a quella che Wittgenstein definisce la formula del “ va bene così”, il passaggio nella porta c’è stato. Il concetto giusto di un’opera d’arte come creazione culturale, entro i limiti di chi la propone, poggia comunque sulla conoscenza preesistente. I passaggi, pensiero- elaborazione, realizzazione, hanno radici nella sensibilità che, per così dire, estrae dalla conoscenza sedimentata, con una serie di passaggi attraverso l’esperienza, si giunge a realizzare la forma dell’opera. Quindi la produzione di opere artistiche è conseguenza di un processo legato a una pluralità di fattori eterogenei. Incidono condizioni naturali, geografiche, etnografiche, temporali, locali, biologiche, psicologiche, economiche, alle quali l’artista risponde in qualche caso con l’adeguamento, in altri casi con la ribellione. Difficile immaginare van Gogh dipingere scene bucoliche o leggiadre figure femminili. I fattori che concorrono all’atto creativo possono essere interpretati e/o modificati dall’artista, mai cancellati. Se così fosse ci troveremmo di fronte ad una contraddizione psicologica difficilmente spiegabile. Il significato estetico è la proiezione dell’immagine interpretativa di una situazione, o processo mentale, che l’artista vive, nella realtà o nell’immaginazione. La peggiore insufficienza della critica, metodologicamente confusa, e l’incapacità di attuare una distinzione fra i fattori culturali dinamici e i fattori psico-culturali i quali hanno radicamento nella personalità dell’artista. La nota affermazione di Picasso: io non cerco trovo”, oltre che frutto di una buona dose di presunzione tipica del personaggio, significa che l’artista sa dove cercare. Tanto la storia dell’arte quanto la critica osservano e interpretano l’opera d’arte principalmente dal punto di vista del soggetto produttivo, eppure artista e pubblico non parlano immediatamente la stessa lingua ; l’opera d’arte deve venir tradotta in un idioma che sia universalmente comprensibile e di conseguenza godibile dai più. Qui ci sarebbe da affrontare il paradosso in base al quale, mentre molti artisti contemporanei dichiarano di realizzare determinate forme d’arte per stigmatizzare il consumismo, contrastare la mercificazione dell’arte, anche producendo opere esteticamente sgradevoli, con il concreto risultato che la mercificazione avviene in ogni caso, ma il grande pubblico, nell’osservare le opere, cade in completa confusione e non trae alcun stimolo all’accrescimento della propria sensibilità. Ecco perché l’affermazione “l’arte è ciò che viene considerata tale”, estrapolata da uno scritto di Marx, ribadita da Heuser, ripresa nei testi di Danto e Dickie, risulta deviante e priva di senso. Vi è un pregiudizio che risale a Goethe, il quale dichiarò “un libro che ha esercitato un grande influsso non può venir giudicato”. L’asserzione di Walter Benjamin: “ il riguardo al ricettore si dimostra infruttuoso per l’opera d’arte”, è tanto vera quanto disattesa. L’arte è una forma di linguaggio, ed il linguaggio è, per definizione, qualcosa atto a comunicare. Fondamento sul quale è costruita la tesi di Heidegger: “ l’arte è un linguaggio che conserva la natura originaria della poesia espressa con diverso segno”. Comunicazione significa , nella poesia come nell’arte in generale, comprensione fra soggetto produttivo e soggetto recettivo, significa la quintessenza dei vincoli fra opere d’arte e la loro ricezione, dunque mediazione, quindi soltanto nel senso di un contenuto decifrabile, senza per questo cedere alla banalità. Soltanto l’iterazione tra opera e suo recettore è garanzia di compimento. Certo è un difficile equilibrio tra qualità e comunicazione. Thomas Mann notava che le opere realmente grandi della letteratura, Omero, Dante, Shakespeare, Cervantes, e l’alta tragedia greca, non fanno mai piangere le lacrime sul destino degli eroi, mentre nell’oscurità del cinematografo, su improbabili storie d’amore, si versano fiumi di lacrime. Il creare artistico è reso complesso dalla sua apparente facilità, tanto che oggi, nell’era digitale e della comunicazione planetaria, esistono milioni di artisti che producono opere per il mercato, come altri producono abiti, salcicce, bottoni. Il creare artistico dovrebbe essere conseguenza della elaborazione di simboli, essendo l’essere umano, come ha sostenuto Cassirer, un animale simbolico. In realtà la simbologia segue il corso dei tempi. Oscurata la lezione fatta propria da T.S. Eliot, Paul Valéry e molti altri simbolisti. L’artista come individuo dovrebbe sparire dall’opera senza lasciare traccia , così come i figli di Lady Macbeth nella tragedia di Shakespeare. In realtà la nostra contemporaneità vede l’artista in primo piano, mentre l’opera finisce per essere valutata in base visibilità sociale di chi la produce. Le slip della Ciccone poste in asta, finiscono per essere quotate più dell’opera di un onesto pittore di paesaggi. Il feticismo mercantilistico sopravanza la cultura.
Piergiorgio Firinu
Chierici devianti
Nel 1927 Julien Benda pubblicò un famoso pamphlet che resta uno dei testi centrali della discussione sulla posizione degli intellettuali nel secolo scorso. Il saggio ha radici lontane, nella clamorosa vicenda dell’affaire Dreyfus, che negli anni a cavallo tra Otto e Novecento divise la cultura francese in due schieramenti inconciliabili. Parteciparono al dibattito tra gli altri, Croce, Gramsci, Paul Nizan, Jean-Paul Sartre. Molte volte confutato ed esaltato, il discorso di Benda non ha esaurito la sua carica provocatoria, ma non ha neppure impostato correttamente il problema. La crescente barbarie della società occidentale, che già allora si profilava in modo netto, insieme all’impoverimento culturale, alla subordinazione dell’arte e della cultura al pensiero dominante della borghesia trionfante, non è problema che si risolve con la partecipazione o meno degli intellettuali alla vita politica, come suggeriva Benda, richiede piuttosto l’esame del percorso culturale che, a partire dall’insegnamento universitario, si propaga nella società civile. Come scriveva Pareto: il prestigio letterario di Anatole France non implica che i suoi giudizi politici siano più affidabili del più oscuro dei cittadini. La radicata idea che la politica sia l’arte di cambiare le cose è vera; dipende però dalle persone alle quali è affidato questo compito. Pertanto, prima di esprimere un giudizio sui politici, dovrebbe essere chiaro che essi sono eletti dal popolo, quindi rappresentano pensieri e valori della società civile in essere, per quanto possa essere difficile da accettare. Sostenere che la società civile è migliore dei politici, significa mancanza di senso logico, affidarsi alla retorica. Non sono immuni alla stessa logica arte e letteratura. Scrive Hauser “ l’arte insegue zoppicando il tempo, non lo precede mai”. Si abusa dell’espressione “ avanguardia” tratta dal gergo militare, per definire opere che tendono a distorcere il concetto di arte. La cifra dell’artista e dello scrittore, considerati “progressisti” , è la provocazione. In realtà molte opere considerate provocatorie, riflettono semplicemente il peggior nichilismo contemporaneo. Si dovrebbe considerare che l’intellettuale e l’artista non contribuiscono tanto al “progresso”, si potrebbe dire alla decenza sociale, partecipando direttamente alla vita politica; in quel caso sarebbero numeri, parte di un sistema, tanto meno contribuiscono tessendo le lodi della devianza, o elogiando il potere. Possono contribuire solo attraverso le loro opere, sempre che riescano a stimolare sensibilità e intelligenza. Platone espresse critica al mondo dell’arte, giudicato prono al pensiero dominante, anelante al plauso. Sembra che in 2500 anni non sia cambiato nulla. L’aspetto culturale che oggi più colpisce, è il compiacimento di tutto ciò che è laido. Dopo la rivoluzione del 1848 in Francia, molti intellettuali furono delusi, per questo molte opere assunsero carattere critico, altri ripiegarono sul quietistico, George Sand, Eugène Sue, sostenevano la causa socialista così come Lamartine, Victor Hugo, Scribe, De Musset, Mérimée, persino Balzac non nascose l’orientamento socialista. Ma tutti loro realizzarono opere di qualità, incisero in modo significativo nel tessuto sociale. Non basta l’insofferenza etica a fare un buon scrittore. In questo senso, nihil novi sub sole, Euripide è un moderno. Egli espresse le sue idee senza preoccuparsi del successo, che infatti non ottenne dai suoi contemporanei, esattamente come Stendhal. Euripide è forse l’unico poeta vero dell’Illuminismo greco. Il concetto di genio nel senso moderno, di colui che si appella alla posterità contro il verdetto dei contemporanei, era estraneo alla cultura antica. Il mito romantico dell’artista maudit, dérangeur, che per principio è contro la società, sopravvive alla fine del romanticismo ed è tutt’ora esaltato senza rendersi conto che di fatto è ormai solo un’etichetta decettiva, un espediente che facilita, anziché ostacolare, il successo. Non è certo l’abbigliamento strano, l’uso di droghe, abuso di provocazioni, che possono sostituire la capacità dell’artista a realizzare opere significative. Difficile immaginare come poteva conciliarsi la cultura Hippy, basata sull’edonismo sfrenato, sulla totale irresponsabilità, con le normali esigenze della gente comune. Se oggi assistiamo a tanti disastri sociali, è anche perché molti della classe politica, esponenti della finanza, della magistratura, situati in ogni snodo della vita sociale, sono cresciuti con la cultura Hippy e altre forme di velleitàrio ribellismo sociale. La vita quotidiana ha esigenze vitali che devono essere soddisfatte da lavoro serio e continuativo, dobbiamo affidarci alla responsabilità di chi questo lavoro svolge, da loro dipende la qualità della nostra vita. Servono a poco le fantasiose elucubrazioni, l’ansia di fuga dalla realtà. I sogni sono squisitamente individuali. Ogni persona è fruitore e fornitore di servizi, offre e utilizza lavoro. Quanto più tutti siamo responsabili, tanto meno la vita di ciascuno sarà problematica. Ecco perché serve a poco che un numero crescente d’intellettuali siano impegnati nella critica indugiando nell’esaltazione di ogni genere di perversione. Non stupisce che le persone, specie giovani, siano attratti da queste suggestioni e si comportano di conseguenza. Il funzionamento della società contemporanea è molto complesso, ma anche nei servizi più semplici è necessaria responsabilità. L’autista di un autobus sotto l’effetto di stupefacenti può causare la morte di molte persone, così il pilota di un aereo, il chirurgo a cui è affidata la vita di molti. La sola etica dell’interesse non basta. In cosa dovrebbe consistere l’intervento dei chierici oggi, se non tentare di ridare giusto valore e significato ai comportamenti, alle azioni concrete che contribuiscono a permettere di vivere decentemente. Invece assistiamo a un sintomatico paradosso: ottiene plauso chi attacca il potere, dagli stessi che quel potere hanno conferito.
Piergiorgio Firinu
Esperienza condivisa
Il contrasto Platone/Aristotele viene utilizzato da certo modernismo preso dal prurito delle estreme differenze ed espulsioni, pronto a distribuire i segni meno/più all’arte, filosofia , politica. Un atteggiamento di contrasto, come quello delle avanguardie, può diventare rituale svuotandosi non solo di forza propulsiva, andando incontro alla perdita di significato. L’opposizione Platone/Aristotele non costituisce un’eccezione; ricorda quei rituali che adottano sistemi antitetici su un medesimo aspetto. Ai giorni nostri lo scatenarsi dionisiaco non è che maniera; le più audaci provocazioni, i più “spaventosi” scandali non hanno più il potere di stupire. Al pari della tragedia, il testo filosofico funziona come giustificazione a posteriori, i mali spiegati, mai risolti. Tentavi di espulsione, perpetuamente ripresi che non giungono mai a conclusione. E’ quello che a mio parere dimostra in modo abbagliante il saggio di Jacques Derida “La pharmacie de Platon”. La dimostrazione è imperniata sull’uso rivelatore della parola pharmakon. Il pharmakon platonico funziona esattamente come il pharmakos umano con analoghi risultati, è il perno di voltafaccia decisivi per la divisione tra cattiva sofistica e buona filosofia. Oggi, in qualsiasi situazione che scivoli verso la tragedia, ci solo anti-eroi. La funzione dell’eroe, prigioniera di stilemi militari, di coraggio, è falsata, rende quasi accettabile l’affermazione di Beltolt Brecht “beato il popolo che non ha bisogno di eroi” , ma allo stesso modo non ha bisogno di artisti, di filosofi, di tutte quelle figure che rimuovono con il loro esempio le incrostazioni delle umane debolezze e per ciò stesso costituiscono un esempio di differenza che i tempi non tollerano. A meno che gli artisti non si adattino, i filosofi non offrono pretesti per giustificare le aberrazioni della modernità. Il reale è da descrivere, non da costruire o costituire. Ma il segno dell’arte oggi non esprime che se stesso, cerca nella confusione di una cultura estemporanea e superficiale di adeguarsi, l’artista, preso da se stesso, non dilata l’immaginazione partendo dal reale, ma tenta pateticamente di adattare il reale alla propria immaginazione, cerca tutto ciò che giustifica modi di essere senza scopo. Questo vale soprattutto quando finge di andare contro mentre in realtà stuzzica la pruderie del pubblico. Non basta avere “esperienza di se stessi”, di questa coscienza che noi siamo: su tale esperienza si misurano i significati di confronto espressi dal linguaggio dell’arte, è questa esperienza elaborata e partecipata che fa si che il linguaggio voglia dire qualcosa non solo per noi. Le essenze di Husser riconducono a se tutti i rapporti viventi dell’esperienza, come la rete porta i pesci dal fondo del mare. Io mi protendo verso un mondo e percepisco un mondo, a patto che non mi perda nell’esperienza di me. Se non so distinguere i miei sogni dalla mie percezioni, il fenomeno mondo mi sfugge. Poiché siamo nel mondo siamo condannati al senso, nulla possiamo fare o dire che non assuma un nome. L’arte è la realizzazione della verità, o almeno il tentativo collegare esperienza e possibilità.
Piergiorgio Firinu
Se il critico..
L’affermazione “non c’è nulla di così stupido che non sia stata detta da un filosofo” andrebbe integrata con “o da un critico d’arte”. Sull’inserto culturale di un noto quotidiano una critica d’arte ha scritto “……. ciò che accettiamo in altri campi – cinema ma anche pubblicità, videogiochi per ragazzi e pornografia venduta legalmente in edicola- diventa scandalo se si propone come arte visiva. La gente (sic!) ama detestare l’arte contemporanea, ma sembra volerne sempre di più…” La citazione serve a fare emergere, oltre alla forma piuttosto rozza e approssimativa, il totale non senso dell’assunto. Chi ama la pornografia può visitare i festival della materia, andare in una della infinite sale a luce rosse che infestano le città, se si reca alla biennale d’arte, museo, galleria, evidentemente cerca qualcosa di diverso, qualcosa che corrisponde alla definizione compresa nel sostantivo: arte. Dovrebbe essere evidente, anche ai critici, che video giochi, cinema, pubblicità,. hanno una diversa specificità. Chi vede,o acquista quei prodotti, li paga pochi euro, per utilizzarli nel modo in cui sono predisposti. Si suppone che l’arte abbia finalità diverse, oltre al non insignificante particolare che costa milioni di euro, ben di più del costo di film porno, video gioco. Giustificare tutto con la libertà dell’artista e/o la commistione di generi, è ormai argomento frusto e sempre meno convincente. L’arte contemporanea è andata ben oltre le pur radicali e dirompenti teorie di Adorno e Lukacs. Neppure Maurice Merleau-Ponty, in “Fenomenologia della percezione”, è arrivato a equiparare arte e pornografia. Così come è stata ampiamente contestata la tesi di G. Dickie secondo cui “ Riconoscere che qualcosa è un opera d’arte non implica che abbia un qualunque valore”. I fatti dimostrano che non è cosi. L’ossimoro “ama detestare l’arte”, forma espressiva non elegantissima, sembra non tenere conto che la “gente” vede l’arte come subisce la pubblicità, anche perché l’arte è ormai reclamizzata con criteri di marketing che prescindono totalmente da valori culturali dei quali infatti non vi è traccia in buona parte delle opere d’arte contemporanea. Jurgen Habermas ha indagato il formarsi dell’opinione pubblica dimostrando come, quelle che vengono considerate “opinioni diffuse”, sono in realtà indotte attraverso più o meno sottili forme di persuasione. Il libero formarsi delle opinioni è un mito che la realtà s’incarica di sfatare ogni giorno. Le “gente” è indotta da martellante battage pubblicitario a visitare le mostre, salvo uscirne confusa e disgustata, anche se non ha modo di fare conoscere le proprie opinioni. Si va facendo strada tra i filosofi dell’arte, la convinzione che l’uso improprio del sostantivo arte finisca per rendere possibile a una ristretta cerchia di individui spregiudicati, in qualche caso anche pregiudicati, la manipolazione del mercato, in modo di continuare l’enorme inganno dell’arte contemporanea. Ne sono passate di opere nei musei da quando nel 1979 Nelson Goodmann dava alle stampe “Fatti, ipotesi e previsioni”. Già Peter Burger in “Teoria dell’avanguardia” aveva tentato di mettere ordine, sul piano concettuale, degl’esiti di certe estemporanee teorie sull’arte. Il tema è stato ripreso da Nigel Warburton, nel saggio “La questione dell’arte”, dove evidenzia la sostanziale insignificanza dei processi, per altro ripetitivi, dell’arte cosiddetta “avanguardistica”. Si suppone che una critica professionista abbia letto questi testi. Appare dunque del tutto fuori luogo lo stupore che manifesta nel riscontrare che ancora avvengono reazioni di rigetto quando in una galleria viene proiettato un film porno spacciato per opera d’arte. Non si insisterà mai abbastanza sul fatto che l’alibi della “libertà di espressione” , e l’affermazione dei tardi epigoni di Dickie, secondo cui tutto è arte, non sono motivati dall’amore per la libertà dell’artista, ma pretesto attraverso cui si rende il mercato unico arbitro, eliminando ogni filtro culturale. Ecco la ragione per la quale si rende necessario togliere spazio alla critica vera, per la verità sempre meno presente, per dare la scena a critici che eufemisticamente si possono definire disinvolti, totalmente presi dal proprio narcisismo dialettico, disponibili, non solo a fare da sponda a ogni operazione commerciale, ai trovarobe dell’arte, ma mettere la loro bravura d’imbonitori, a disposizione di coloro che vogliono accreditare come “arte” forme insignificanti delle quali ormai rigurgitano musei, biennali, gallerie.
Piergiorgio Firinu
Ermeneutica dell'oggetto
Il rapporto che intercorre tra l’opera di avanguardia e i metodi formali di teoria dell’arte è stato stravolto con l’elusiòne dei tradizionali procedimenti tecnici e uso dei materiali. Ciò tuttavia non ha modificato l’approccio ermenèutico della critica d’arte, provocando una dicotomia tra oggetto e interpretazione con criteri classici, così come viene praticata tuttora da buona parte della critica. Prassi e teoria dell’avanguardia hanno avuto, tra l’altro, l’effetto di diluire l’essenza significante in discipline diverse. Reinhard Brandt nel suo libro “Filosofia nella pittura”, ha analizzato opere di artisti classici con riferimenti filosofici. Appare evidente che le opere dei maestri del passato potevano essere apprezzate, indipendentemente dalla capacità d’interpretazione iconologia. L’arte d’avanguardia, avendo eliminato l’estetico, ha ridotto la forma a citazione concettuale, con la conseguenza che, l’osservatore non in grado di percepire il significato sottointeso, perde ogni possibilità di comprensione e godimento. Senza dubbio, non è ancora emersa con sufficiente chiarezza l’inutilità della critica d’arte oggi. Essa ha un approccio classico a opere che sono la negazione di ogni espressione d’arte, intesa in senso tradizionale. La critica non è in grado di svolgere efficacemente la propria funzione interpretativa, in quanto la lettura dell’opera richiede il ricorso a varie discipline, psico - sociologiche, politiche, filosofiche, quant’altro serve a collocare l’opera nel contesto nel quale è possibile decifrarne il senso. L’analisi dell’opera non può essere attuata scientificamente, come ipotizza, tra gli altri, Peter Burger nel suo saggio “Teoria dell’avanguardia”, anche in ragione anche della voluta casualità di molte opere che si attuano tramite a un gesto gratuito, e/o si affidano a espressioni d’ironia estemporanea. Le forzature ermeneutiche della critica, finiscono per costituire anello di congiunzione con l’arte-arte, in questo modo accreditano una supposta concettualità, che forse era nelle intenzioni dell’artista, ma di cui non c’è traccia nell’opera. A ciò contribuisce il modesto bagaglio culturale degl’artisti, incapaci di adeguare l’apparato concettuale alla sintesi della forma. C’è il rischio concreto di nobilitare la pura dissacrazione a concetto. Condizione necessaria per una possibile sintesi tra procedimenti formali ed ermeneutici è rendersi conto che nell’opera avanguardistica l’emancipazione del singolo elemento non raggiunge mai il distacco completo dalla totalità dell’opera. Anche dove la negazione della sintesi diventa principio strutturale, deve comunque rimanere la possibilità di pensare a una unità, sia pure precaria. Per quanto riguarda la ricezione, ciò significa che anche l’opera di avanguardia deve essere compresa in modo ermeneutico, vale a dire come totalità di senso, quel che cambia è solo il fatto che l’unità ha accolto in sé la contraddizione. Non è più l’armonia delle singole parti a costituire l’unità dell’opera, bensì il rapporto contraddittorio di elementi eterogenei. Per questo, dopo i movimenti di avanguardia non si può pensare né di sostituire semplicemente l’ermeneutica con procedimenti formalistici, né di continuare ad adoperarla come procedimento intuitivo di comprensione; essa dovrebbe adeguarsi alla mutata situazione storica.Ermeneutica dell'oggetto.
Piergiorgio Firinu
Forma e sensibilità
Alcuni filosofi dell’arte hanno sostenuto che l’emozione estetica non è una emozione che appartiene alla vita in generale; è qualcosa di più profondo. Nella sezione di Art intitolata “Ipotesi metafisica” Clive Bell suggerisce l’ipotesi che la forma significante ci fornisce uno sguardo sulla struttura del mondo quale realmente è, uno sguardo oltre il velo delle apparenze. Questo passo si avvicina molto all’idea di Arthur Schopenhauer secondo il quale le opere d’arte, e in particolare quelle musicali, ci possono fornire una comprensione della natura ultima della realtà, conducendoci molto più in profondità rispetto al livello superficiale della pura apparenza. Bell formula questa sua ipotesi metafisica in una forma molto più incerta di quella dell’ipotesi estetica. Il nucleo della sua teoria dell’arte è presentato nella esperienza della forma significante piuttosto che nelle speculazioni riguardo alla possibili cause. Lo sguardo sulla realtà ultima che la forma significante può fornire non viene ovviamente raggiunto in modo diretto; piuttosto è conseguenza del fatto che l’artista esprime una emozione che egli prova di fronte a qualche aspetto reale o immaginario del mondo. Il potere di creare una forma significante non dipende da una vista da falco, ma da un curioso miscuglio di potere mentale ed emotivo. Ma qui stà lo snodo. Oggi molte forme di elaborazione artistica non sono frutto della interpretazione dell’artista su aspetti diversi della realtà, ai quali egli attraverso la sua intuizione da forma, ma piuttosto un mix di narcisismo, conformismo culturale, cedimenti a contingenze mondane, il risultato raramente va oltre la mediocrità, ciò è in carattere con il tempo che viviamo. L’ossessione dell’originalità è un altro aspetto deleterio. L’originalità della forma e conseguenze dell’originalità della visione-pensiero dell’autore. Vi è una manierismo formale che si propone soltanto di stupire, provocare, la cui modesta sostanza finisce per esprimerà soltanto la nevrosi individuale. L’arte, per definizione, dovrebbe invece comunicare qualcosa di condivisibile, portare un contributo, un arricchimento all’intera umanità.
Piergiorgio Firinu
Prelegomeni
Il rifiuto dell’eredità del passato, il sospetto che tutto ciò che è tramandato sia necessariamente negativo, è ragionamento apodittico quanto mai diffuso tra gli artisti contemporanei. Una cultura piccolo borghese ha ormai permeato di se la cultura e il mondo dell’arte, creando una buona dose di contraddittorietà in quelli che vengono sbrigativamente definiti fattori creativi. Si creano miti effimeri. Chi ricorda Bouguereau, Regnault, Cabanel, che pure negli anni tra il 1860 – 70 erano gli artisti più desiderati e meglio pagati. La società di massa è frutto del cattivo gusto della borghesia onnivora, che ha dato origine a correnti artistiche come il Dadaismo, scaturito dalla disperazione per l’insufficienza pratica delle forme d’arte e di cultura. Il Surrealismo a sua volta si richiama in qualche modo al Dadaismo, sostituisce le cieca iconoclastia con il rifiuto delle correnti sotterranee della vita spirituale. Per questa strada si arriva alle forme compositive additive, e allo schema della serialità. Percorso che segue tutto l’iter travagliato dell’esperienza della modernità. Nelle opere di Kafka e Joyce, seppure programmaticamente non avevano nulla a che fare con il surrealismo, viene rappresentato nel senso più lato, il travaglio di una società inquieta e confusa. Con l‘immersione dell’arte nella piccola mondanità borghese, comincia il percorso a ritroso dell’arte contemporanea, aggravato dallo shoc causato dalla “scoperta” dell’inconscio, l’irragionevole connessione delle cose, delle persone, delle sensazioni, come appaiono, e come sono in realtà, come sono viste e vissute. Un enorme baratro nelle mente, se vissuto con la forza basica delle convinzioni, avrebbe anche potuto produrre risultati eclatanti. I dipinti di Giorgio De Chirico, Max Ernst, René Magritte, sono tentativi di raffigurare le visioni oniriche, ricerca, infruttuosa, di un nesso con la realtà, simile al sogno, che si traduce nella funzione improbabile, nell’accostamento insensato degli oggetti, la non sicurezza della realtà circostante. Se si prescinde dai caratteri secondari del Surrealismo e si considera come criterio dell’arte, in linea di principio, un immagine del mondo che si disfa e si scinde in sensazioni incontrollate, ne scaturisce una concezione dell’arte espressa in due stili diversi, scrittori come Proust, Kafka, Camus, Gide, Eliot, cantori di una modernità a cui è difficile dare significato e forma, si tracima al rimpianto, all’ansia distruttiva. Nonostante tutta la vis polemica Ernst Bloch si sforza di interpretare letteratura ed arte con maggiore indulgenza di quanto non faccia Gyorgy Lukacs. In epoca di stanchezza, in pause del discorso o in uomini sognanti, in fuga dalla realtà, si parla, si straparla, con parole improbabili, soprattutto in fuga da una realtà che sfugge alla comprensione, e si sottrae al dominio della ragione. Il valore pre-logico penzola sull’azione insensata, impone la propria effimera motivazione. Lo sviluppo dell’arte attuale mette in gioco l’ultimo residuo di autenticità, gioca con la forma ludica, avendo rinunciato al significato. Dopo questo percorso a-logico. Lo sviluppo dell’arte contemporanea entra nella fase propriamente critica della sua storia. Dissipato il dubbio sulla funzione pratica, di comunicazione culturale, non resta che affidarsi all’arte di basso valore, o arte anale. L’esperire estetico lascia il campo alla nevrosi espressiva, solipsismo e intimismo prendono decisamente il soppravvento, anche per una fraintesa ermeneutica dell’arte e della sua particolare posizione nella gnoseologia della cultura storica. Nella rilevanza del fenomeno, la cui etimologia è falsata dall’apparenza, viene considerato superfluo andare oltre il visibile, nel significato proprio del segno. L’emancipazione dalla tradizione diventa ipso fatto, un segno di progresso artistico. Le forme, nuove, “originali” dell’espressione diventano rapidamente scoloriti clichés. Il ready –mades, sbrigative e facili forme di comunicazione precostituita, con supposti significati dissacranti, subito adottati dalla borghesia. La sminuita funzione della soggettività, caposaldo della teoria politica borghese, si impone prima che altrove e nella maniera più impressionante nella teoria della storia dell’arte quale dichiarazione dell’irrilevanza della sincerità. La sincerità, che d’altra parte non è un concetto estetico bensì un concetto morale, per di più con radici nel romanticismo, nell’arte ha per presupposto che l’autore di un’opera agisce in prima persona. Concetto vanificato dal ready – made. Diderot ammetteva che l’Illuminismo aveva disconosciuta la coscienza scissa, egli non condannava il nipote di Rameau, ma soltanto la società le cui convenzioni producevano caratteri come quello. A considerare le cose nel loro aspetto più semplice, il problema è quello dell’antinomia tra fini e mezzi; l’etica borghese scambista, anche nel sesso, esaspera il valore, traduce tutto in moneta sonante. L’etica mercantile borghese consiste nel moralizzare il profitto, nel vedere in esso uno strumento di progresso, lo scambio come lo strumento più sicuro del progresso della civiltà, bagaglio mentale che risale al XV secolo quando Marsilio da Padova sosteneva: ciò che è buono per il mercante è, tutto sommato, buono per tutti. E’ da allora che questa concezione, mutatis mutandis, domina ampiamente tutti i rapporti sociali.
Piergiorgio Firinu
La scelta di Voltaire
Il concetto di pubblico come unità percettiva è semplicemente una ipostasi. L’idea di un pensiero ridotto a categoria numerica è del tutto avulso dalla realtà in quanto l’esperienza sensibile resta del tutto individuale Le singole categorie di pubblico sono nettamente differenziate. Nei tempi storici non si presenta mai un’arte unitaria perché non c’è mai stato un pubblico unitario in quanto i diversi gruppi sono condizionati da cultura, sensibilità e ideologia. E’ stato scritto che non si capisce un cittadino francese se non si conosce Voltaire, ma è altrettanto giusto asserire che non si capisce Voltaire se non si comprende come il cittadino francese sia stato predisposto dalla propria storia a dar vita a un personaggio come Voltaire i cui atteggiamenti signorili, la grande ricchezza e suoi amici regali, lo indicavano come radicato nella contraddittorietà del suo ceto. In tutto e per tutto borghesi erano le sue simpatie e pregiudizi spirituali. Si cita sempre la celeberrima frase di Voltaire: “ non condivido le tue idee, ma mi batterò fino alla morte perché tu le possa esprimere”. A parte l’enfasi posta sull’affermazione, non è mai citata un'altra sua affermazione. Quando in tarda età decise di ritirarsi nel suo castello di Ferney, vicino a Ginevra, egli dichiarò: “dopo avere tentato invano di dare un contributo alla ragionevolezza degli uomini, preferisco vivere sereno lontano da loro”. E’ regola fondamentale dell’evoluzione socio culturale di ciascuna persona ragionevole, espressa nell’adagio: “ si nasce incendiari e si muore pompieri”. Ovvero nella nota affermazione di George B. Shaw : chi da giovane non è stato socialista non ha cuore, chi da vecchio resta socialista non ha cervello”. Anche nel campo dell’arte i progressisti di oggi saranno i conservatori di domani. Ciò che appare buffo è che la saggezza che induce a mutare le proprie idee, non è vista in genere come maturazione, ma come se fosse una sorta di regresso senile. Quando Matisse nel 1906 espose “ Joie de vivre”, un’opera che fece epoca, Paul Signac, che era un significativo esponente dell’avanguardia, a quell’epoca, vicepresidente del Salon des Indépendants, fu fra quelli che protestarono vivacemente contro quel quadro folle. L’anno seguente Matisse mostrò la stessa insofferenza di fronte all’opera di Picasso “Les Demoiselles d’Avignon”. Matisse definì l’opera un attentato a tutto quanto il moderno movimento artistico. E così furono gli artisti all’avanguardia, e non filistei reazionari e nemici dell’arte, a sbarrare ai”rivoluzionari innovatori” la via verso il successo. Nel 1908 Matisse, da membro della giuria del Salon d’Automne, rifiutò le opere di Braque. Con la stessa decisione i cubisti nel 1912 rifiutarono le opere di Duchamp. Non si tratta di un imborghesimento degli innovatori, non più di quanto lo fu la rinuncia di Voltaire a continuare a battersi per dare ragionevolezza alle masse. Si tratta semplicemente della maturazione frutto di esperienza e cultura. E’ nota l’affermazione di Hegel : “la nottola di Minerva si alza in volo solo al tramonto”. Ogni generazione verso il termine della propria vita, percepisce con maggiore lucidità il degrado verso cui scivola la cultura afflitta perennemente dall’ansia del nuovo, non guidata da ideali, ma spinta da meschini egoismi. Scrive Francoise Chatelet: bisogna rinunciare all’idea di una crescita dell’umanità, a meno che non si voglia sostenere che ciò che piace oggi possa essere giudice a tutto ciò che è il passato. Chi ama l’arte è consapevole che essa è una sorta di condizione dello spirito. Il retaggio del passato, nell’arte come nella storia, non è superato, è ignorato. Oggi gli artisti si richiamano a una concezione del successo che potrebbe essere quello di un economista: ritengono che il successo debba consistere nella quotazione delle loro opere, hanno una concezione monetaria dell’arte, non aspirazioni profonde di comunicazione di significati e valori. In questa situazione una parte non marginale è assegnata alla mediazione. Per quanto possa essere utile la funzione del mediatore professionale nel rapporto tra artista e pubblico, allo specialista sfugge spesso l’aspetto spontaneo dell’esperire l’arte nel modo in cui avviene per il profano. Il codazzo di specialisti afflitti dall’ottuso e meschino pregiudizio progressista, inficia la genuinità del giudizio estetico. La mitizzazione dell’artista porta spesso a valutare le opere d’arte non per il loro valore intrinseco, bensì in ragione del nome che viene applicato sotto l’etichetta. Se nel catalogo e sull’etichetta viene posto per errore un nome sbagliato, chi osserva si fida più a quello che legge che a quello che vede. Il creare artistico presuppone un linguaggio formale di comunicazione dalla comprensibilità generale, la validità di tradizioni storiche e convenzioni sociali, la recezione artistica a sua volta presuppone mediazioni ermeneutiche , introduzioni e addestramenti. Quanto più è progredito lo sviluppo stilistico, quanto più nuove le opere, quanto meno intenditori e critici sono soggetti recettivi, tanto più ampie, molteplici e rilevanti, dovranno essere le mediazioni. Il termine “mediazione” esplicita l’intervento di un terzo che si interpone tra artista e fruitore. Chi osserva l’opera, dopo avere subito l’influsso della mediazione, rischia di essere soggetto al condizionamento, nel senso di vedere attraverso la suggestione del mediatore, questo, in pratica, si traduce in un limite alla libertà della visione. Ed è esattamente a questo punto che si situa la critica di molte opere d’arte contemporanea. A prescindere dalla loro validità e fondamento concettuale, sono sottratte alla libera valutazione del fruitore, specie chi non ha avuta la possibilità di avvalersi dei tradizionali mezzi di apprendimento, si trova nella condizione di accettare o rifiutare qualcosa che ha molta difficoltà a capire e collocare nell’ambito della produzione artistica.
Piergiorgio Firinu
Dionisio: l’ebbrezza della violenza
Forse nessun libro ha descritto la folla come annullamento delle differenze con l’efficacia di Elias Canetti in “Mass und Macht”. In ogni ambito della conoscenza la diffusione del sapere in senso orizzontale ha potenziata la tendenza a dare una interpretazione di comodo al pensiero e alla storia umana a iniziare dal mito. Nietzsche e Rudolf Otto, hanno trasformato il carattere odioso di Dionisio, sottacendone la vera natura fatta di violenza e malvagità. Euripide è indubbiamente estraneo a simile interpretazione. Solo il donchisciottismo masochista del mondo d’oggi poteva trovare dilettevole un dio che semina odio e distruzione. Il dio non ha essenza propria al di fuori della violenza. Se, al pari dell’Apollo di Delfi e del mito di Edipo, Dionisio è associato all’ispirazione profetica è soltanto perché nell’ebbrezza dell’abbandono dionisiaco si attua il rito sacrificale. Non vi è nulla nella tradizione dionisiaca antica che si riferisca alla cultura della vite o alla fabbricazione del vino. Tiresia definisce Dionisio il dio dei moti panici, dei terrori collettivi, egli incarna la più abominevole delle violenze, è sorprendente che venga associato, a partire da Nietzsche, alla gioia della festa, sia pure sfrenata delle Baccanti. Sotto il nome di Bromios, il Rumoroso, il fremente, Dionisio provoca un imprecisato numero di disastri. L’analisi dei testi conferma le ipotesi che fanno del culto di Dionisio un invito al sommovimento sociale. L’opera di Erwin Rohde esprime forse la più chiara e completa intuizione sulla vera natura del mito dionisiaco. Gli uomini hanno sempre tentato di porre la violenza al di fuori di se stessi, in una entità separata, sovrana e redentrice, utilizzando una vittima espiatoria. La civiltà di massa ha creato le premesse per dare carattere collettivo alla ricerca del capro espiatorio. I genocidi programmati del secolo breve ne sono testimonianza. L’ispirazione tragica dissolve le differenze fittizie nella violenza. Demistifica l’illusione di una comunità innocente. Abolite le differenze di genere, nelle feste dionisiache era permesso alle donne di bere vino, esse rivelavano una violenza ben più terribile di quella maschile. Sono infatti le donne le principali protagoniste dei baccanali dionisiaci. Euripide avverte tale ambiguità e la sottolinea. Marie Delcourt-Curvers si chiede quale significato abbia inteso dare il poeta allo scatenarsi delle Agave e delle sue compagne. La ripartizione manichea in buoni e cattivi si dissolve nel baccanale e tutto ciò che l’essere umano è nel suo profondo, viene fuori nell’esternazione della più sfrenata violenza. Sul ruolo delle donne nelle società primitive è ritornato Lèvi-Strauss nel suo saggio “Tristes Tropiques”, studiando i villaggi sudamericani dei Bororo. Il dionisiaco contemporaneo si attua anche attraverso la femminilizzazione degli uomini e la virilizzazione delle donne. L’idea accettata che gli uomini si comportino come donne e le donne come uomini provoca un preoccupate scompiglio. L’annullamento graduale delle differenze sessuali marca il regresso di una società confusa che non ha più neppure la capacità di avvalersi del rito per esorcizzare i radicalismi che rendono così effimero lo stesso concetto di civiltà.
Piergiorgio Firinu
Piergiorgio Firinu
Vi sono forme di espressione, la satira a esempio, che raramente possono essere trasferite da un contesto a un altro, pena la perdita di significato. Il linguaggio dell'arte fin ora era per definizione "universale". Certo taluni riferimenti simbolici potevano non essere percepiti da tutti, ma il valore plastico dell'opera faceva si che, là dove non arrivava la conoscenza, ci fosse comunque l'emozione. L'arte contemporanea sembra fare il percorso a ritroso, diventa tribale., accessibile solo a ristrette élite, si badi non èlite culturali, ma semplicemente gruppi d'individui abbienti, accumulati da forme di comunicazione al limite della gergalità. In"Metafisica delle forme simboliche" Cassier ci ricorda che il linguaggio e il mito contribuirono alla costituzione dell'autocoscienza. Ma il linguaggio trasmette qualcosa che possediamo, la contemporaneità si nutre di effimero. Molti intellettuali, tra agnizioni perentorie e apodittiche, insistono nell'esaltare la positività del meticciato culturale, nella realtà, ignorata l'affermazione di Jacoson secondo cui "Non esistono generi, ma soltanto individui", prendono piede l'arte di genere, donne e gruppi che attraverso il segno tentano di dare consistenza a particolarità socio-antropologiche. Non riusciamo a creare un arte "elevata" creiamo qualcosa che stupisca, simulacri di valori, non sappiamo neppure figurarci la perfezione estetica, tutto è visto soltanto "con gli occhi". L'ipostasi della modernità è la contingenza. Appare stridente il contrasto tra forme di comunicazione globalizzate, cinema, musica e la difficoltà dell'individuo di farsi percepire come tale. Per Hegel "l'intero è verità" Intero è il senso compiuto della cosa rappresentata. Il problema della rappresentazione è il problema centrale della conoscenza. Tuttavia conoscere non è ancora capire. Questo spiega perché, in tempi di diffusa scolarità, il linguaggio dell'arte, così frammentato e confuso, non è percepito dai più come forma di comunicazione che arricchisce, ma fenomeno elitario, incomprensibile. La comprensione del segno, spesso semplificato in formule, trascura il percorso, incluse le variazioni, per arrivare al possesso del contenuto. L' eccesso di criptico, scoraggia la conoscenza, anche per carenza di significati. L'intuizione dell'artista anticipa la forma dell'esperienza "anticipatio mentis" ipotizzata da Leibniz. Anticipazione non implica necessariamente oscurità, al contrario. L'arte non percepita diventa inutile, fallisce lo scopo per cui è creata.
Il Segno oscuro.